particolare a Pellegrino Bonaretti, amico generoso che ci ha incoraggiato con preziosi consigli durante tutta la lunga stesura del volume
Ringraziamenti Un grazie ad Andrea Valvason per la sua attiva Uncollaborazioneringraziamento
Per un consuntivo di un’esperienza didattica e di ricerca Enrico Bordogna Terremoti, calamità naturali, strategie di ricostruzione Enrico Bordogna Ricostruzione e rinascita. Ricerca e progetti a Amatrice, Norcia, Camerino Tommaso Brighenti Tradizione teorica e contesto Enrico Bordogna
III. Terza parte 208149105431913577111913616017318621688
IndiceBibliografiadeinomi Indice 7 I. Prima parte II. Seconda
Il nucleo antico di Amatrice: ricostruire in tabula rasa Enrico Bordogna Sperimentazione e ricerca. Tesi di laurea Luca Bonardi, Andrea Valvason, 2018-19 Linda Martellini, Matilde Polvani, Greta Rosso, 2019-20 Amatrice extra moenia: una nuova centralità urbana per la città simbolo del sisma Enrico Bordogna Camerino intra moenia. Nuova sede per la Biblioteca Valentiniana Tommaso Brighenti Sperimentazione e ricerca. Tesi di laurea Andrea Fornaro, Francesca Rossi, Lucrezia Tagliabò, 2019-20 Sara Padrone, Stefano Semprini, Valentina Sessa, 2019-20 Camerino extra moenia. Un polo per il recupero e il restauro delle opere d’arte Tommaso Brighenti Sperimentazione e ricerca. Tesi di laurea Silvia Faravelli, Marco Frisinghelli, 2017-18 Veronica Wieland, Andrea Zanin, Stefano Zanoletti, 2019-20 Norcia. Produzione e istruzione come ricostruzione Tommaso Brighenti Antologia Marcella Aprile; Guido Canella; Giovanni Carbonara; Marisa Dalai Emiliani; Marco Dezzi Bardeschi; Giuseppe Grandori; Giorgio Grassi, Agostino Renna; Paolo Marconi; Mauro Pascolini; Vincenzo Petrini; Gianugo Polesello; Luciano Semerani parte
La ricostruzione post-sismica come “sfida culturale”: tra storia e progetto. Prefazione Giovanni Carbonara
7
Infatti, già nel suo saggio introduttivo, Enrico Bordogna (Terremoti, calamità naturali, strategie di ricostruzione) ricorda che, di fronte a gravi catastrofi d’origine bellica o naturale, molte sono le questioni in gioco: economiche, sociali, edilizie ed urbanistiche, d’ingegneria sismica, di restauro e conservazione, più quelle legate alle norme e procedure, nazionali e locali, fra le quali è necessario sapersi orientare, contemperando esigenze non sempre concordanti. Problema risolvibile solo assumendo un «punto di vista specificamente progettuale», capace di assicurare la necessaria Richiamandosintesi.ilcaso di Teora, in Irpinia, colpita dal terremoto del 1980 e il successivo intervento progettato da Giorgio Grassi e Agostino Renna, egli giudica positiva la ricerca di una «continuità nella discontinuità», d’un
La
Di fronte ai guasti ed alla complessità dei problemi suscitati dagli eventi sismici del 2016-17 nel Centro Italia, a danno d’importanti città storiche ma anche di numerosi borghi e centri impropriamente detti “minori”, nonostante la loro storia e lo stretto legame col paesaggio naturale e culturale, l’approfondita riflessione offerta dalle sperimentazioni di laurea (nell’ambito del Laboratorio di Progettazione della Scuola di Architettura del Politecnico di Milano, condotto da Enrico Bordogna e Tommaso Brighenti) si presenta come un contributo quanto mai opportuno e di cui bisognerebbe fare tesoro. Ciò non solo nel mondo, per così dire, interno all’Accademia, quindi come approfondimento scientifico, teorico e pratico al tempo stesso, delle molteplici questioni che il terremoto ha sollevato, ma soprattutto in quello d’una troppo lontana e burocratica – differentemente dai tempi della ricostruzione del Friuli, dopo il 1976, ma anche dell’Umbria dopo il 1997 – amministrazione pubblica, in tutti i suoi gradi, soprattutto quelli di maggiore Alloresponsabilità.studioche qui si presenta può accostarsi la ricerca, promossa dall’Università degli Studi “Roma Tre” e sostenuta da un sindaco illuminato, sul caso di Arquata del Tronto, a cura di Michele Zampilli e Giulia Brunori (Ricostruire Arquata. Studi, ricerche e rilievi per la redazione dei piani e dei programmi di ricostruzione e recupero dei centri storici del comune di Arquata del Tronto, Roma Tre Press, Roma, 2021) che ugualmente entra, facendo convergere sapientemente considerazioni urbanistiche, storico-critiche, Giovanni Carbonara architettoniche, ingegneristiche strutturali, ma anche di vita, su una città troppo facilmente e giornalisticamente data per distrutta e “azzerata” dal sisma ma che invece, grazie ad un’attenta analisi, dimostra ampi margini di ripresa e di possibile miglioramento del suo tessuto urbano in termini di buona conservazione e, al tempo stesso, di sicurezza. Così anche altre iniziative promosse dall’Università di Salerno, a cura di Federica Ribera. Non sono, però, affatto numerosi gli esempi d’efficace capacità d’integrazione nell’affrontare problemi di tale gravità, mentre sovente si sceglie la più facile e meno impegnativa strada dei singoli apporti specialistici, perlopiù scollegati fra loro.
post-sismicaricostruzionecome "sfida culturale": tra storia e progetto
L'architetto deve rendersi consapevole della propria relazione con la società e bisogna che nella totalità degli elementi dell'architettura egli conosca la società stessa e la incorpori nel processo creativo. La conoscenza della società presente implica la conoscenza della storia della quale il presente è un momento di sviluppo: senza questa conoscenza la considerazione di ogni fenomeno resta indeterminata e gli oggetti non riescono ad essere localizzati entro le coordinate dello spazio e del tempo.1
di natura per così dire morale (forse anche un po’ moralistica), nella convinzione che l’argomento del terremoto e della ricostruzione non potesse essere assunto come un semplice tema di esercitazione didattica, al pari di tanti altri possibili.
La didattica e la ricerca, in questo caso, avrebbero dovuto rispondere ad un inderogabile imperativo di impegno civile, finalizzato a fornire ai destinatari ideali del lavoro, in primo luogo gli abitanti colpiti dal sisma e le loro istituzioni, un contributo di analisi, di conoscenze, di proposte che fossero serie e operativamente attendibili, scientificamente fondate e non velleitarie.
13
Enrico Bordogna
Va riconosciuto a posteriori, a quel gruppo di allievi, il merito di non aver desistito di fronte alle incertezze del gruppo docente, e mie in primo luogo, e di avere in tal modo contribuito a dare avvio all’esperienza pluriennale didattica e di ricerca documentata in questo volume.
Per un consuntivo di un’esperienza didattica e di ricerca
1. Il Tema. L’avvio, nel mese di settembre 2016, del Laboratorio di Progettazione del primo anno di Laurea Magistrale è coinciso con gli effetti della prima scossa del terremoto in Centro Italia, verificatasi alla fine di agosto di quello stesso anno. Un gruppo di allievi ci propose allora di occuparci di questo tema, trovando però da parte della docenza una forte perplessità, dovuta alla consapevolezza delle grandi difficoltà connesse all’argomento, con le sue non accantonabili implicazioni di carattere storico, economico, funzionale, morfologico, urbanistico, di ingegneria antisismica, e alla fine anche architettonico. Difficoltà, per giunta, non separabili dai problemi della fase di prima emergenza, dei provvedimenti per l’assistenza primaria agli sfollati, delle procedure amministrative e gestionali per dare avvio, dopo l’emergenza, a un processo realistico di Un’incertezzaricostruzione.
D’altra parte, all’inizio di ogni anno accademico, si è insistito sul fatto che il buon esito, anche specificamente formativo,
2. Ricerca e formazione. La ricerca e l’attività didattica si sono sviluppate per oltre quattro anni accademici, dal 2016-17 al 2019-20, con le difficoltà non secondarie nell’ultimo anno legate alla pandemia. Nel corso degli anni si è alimentata di due sopralluoghi “istituzionali”, dei docenti e degli allievi iscritti, di due-tre giorni ciascuno, il primo a fine ottobre 2017, il secondo nel mese di maggio 2019, e di una serie di incontri seminariali e convegni, con relative pubblicazioni, tenutisi nel corso degli anni sia alla Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno che alla Facoltà di Milano e in altre sedi universitarie italiane. Numerosi altri sopralluoghi sono stati inoltre svolti in autonomia dai vari gruppi di allievi fino alla primavera 2020 per l’elaborazione dei progetti d’esame, e soprattutto per la stesura della propria tesi di laurea. La risposta degli allievi alla difficoltà del tema, anche se il giudizio può risultare inevitabilmente di parte, è stata complessivamente di grande responsabilità, con un impegno di approfondimento e di rigore più che apprezzabile, a riprova che la formazione non possa essere disgiunta dalla ricerca, e da un fondamentale impegno personale di autodidattismo.
Terremoti, calamità naturali, strategie di ricostruzione
Terremoti e ricostruzioni nell’Italia del ‘900 Le vicende del secolo scorso si aprono col terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. Di magnitudo 7.2, con circa 90.000 morti e 100.000 sfollati, ha colpito entrambe le città dello Stretto, Messina e Reggio Calabria, provocando la quasi distruzione integrale della prima. Il piano di ricostruzione dell’ingegnere Luigi Borzì, del 1910, affiancato dall’importante lavoro architettonico di Francesco Valenti, si conforma alla morfologia preesistente al sisma risalente al Piano Spadaro del 1869, riproponendone l’impianto planimetrico e topografico a
I temi che un evento catastrofico chiama in causa, sia esso di origine bellica o naturale, sono molteplici e assai complessi.
Anche la letteratura dedicata, peraltro, presenta una analoga complessità, temporalmente molto vasta come è e irta di punti di vista e scale di approccio molto variegati, Enrico Bordogna
19
Al di là della fase di emergenza, le questioni coinvolte sono di matrice molto diversa, e tra loro fittamente intrecciate: questioni di natura economica, che riguardano la base produttiva, agricola, industriale, commerciale del contesto colpito, e la connessa rete infrastrutturale; questioni di pianificazione urbanistica, dal livello territoriale e comprensoriale, a quello comunale e dei piani attuativi di singoli comparti edilizi; questioni più strettamente architettoniche, di natura morfologica, tipologica, formale, che a loro volta necessariamente coinvolgono problemi di ingegneria antisismica e il punto di vista del restauro e della conservazione; il tessuto abitativo di base e dei servizi di prossimità e, insieme, le emergenze monumentali e la trama delle strade e degli spazi pubblici, con le rispettive fenomenologie di danni ed esigenze di restauroricostruzione. E dietro, o di fianco, a tutto ciò, il quadro legislativo-attuativo e procedurale-gestionale connesso, con i vari enti preposti alla fase di emergenza e a quella della ricostruzione, con il conflitto tra il prevalere dello Stato centrale o il primato delle autonomie locali, delle popolazioni colpite e delle loro organizzazioni cosiddette Comespontanee.sivede, un intreccio quasi inestricabile.
non tutti facilmente districabili e ricomponibili. Può aiutare ad orientarsi assumere un punto di vista specificamente progettuale, riflettendo operativamente su quali siano state le strategie di ricostruzione nei principali eventi sismici del secolo scorso e dei primi decenni di questo secolo, valutandone i risultati, gli aspetti positivi e quelli più problematici o decisamente negativi, le difficoltà oggettive, le complessità di condizioni al contorno, le aporie, gli eventuali successi. E ciò a partire da un caso concreto, quello del sisma che ha colpito l’Italia centrale nell’estate-autunno del 2016, avendo come guida di analisi l’obbiettivo di elaborare dei progetti di intervento, urbanistici e architettonici, che, pur nella consapevole sperimentalità didattica, assumano i problemi e le difficoltà nel concreto, verificandone nel progetto le possibili risposte.
321
20
1. Luigi Borzì, Piano Regolatore per la ricostruzione di Messina, 1910. 2.3. Palazzata di Messina: schema planimetrico del progetto di concorso di Camillo Autore e Giuseppe Samonà, 1930, e veduta in una stampa del '700. A pagina 18, Amatrice, vista da nordovest dopo il sisma dell’estateautunno 2016: in primo piano a sinistra il campanile dell’ex chiesa di Sant’Emidio, al centro la Torre civica e l’asse di crinale (oggi Corso Umberto I), in fondo la chiesa di Sant’Agostino.
4 5 4.5.
21 scacchiera su isolati rettangolari allungati, e uniformando la conformazione architettonica a criteri compositivi, di densità edilizia e metodi costruttivi contemporanei dell’epoca. A questo fine il piano introduce precise prescrizioni urbanistiche circa larghezza delle strade (almeno m 10) e altezza dei nuovi fabbricati in rapporto alla sezione stradale su cui affacciano, ottemperando al tempo stesso alle norme antisismiche rigidamente introdotte subito dopo il disastro da appositi Decreti Regi. Una ricostruzione che, pur tra pareri contrastanti, è stata per lo più valutata positivamente, quanto meno fino agli anni Cinquanta, tanto più se confrontata con la città tradita dei decenni successivi1.
In questa linea d’intervento un valore emblematico ricopre la ricostruzione del fronte a mare, la storica “Palazzata”. Cominciata con un primo intervento negli anni Trenta ad opera degli architetti Camillo Autore e Giuseppe Samonà, è proseguita nei decenni successivi, fino ai primi anni Sessanta, con la costruzione da parte di Samonà di undici isolati a blocco, caratterizzati da un medesimo filo di gronda e da una accentuata omogeneità compositiva, segnata da un partito architettonico moderno, in qualche modo riferibile a quello che è stato definito il “classicismo strutturale” di matrice perretiana, che si ritrova anche nel coevo edificio dell’Inail a Venezia di Samonà ed Egle IlTrincanato.casodelBelice, del gennaio 1968 con una serie di scosse successive fino a febbraio 1969, è più complesso e variegato. Di magnitudo 6.4, con circa 300 morti e 70.000 sfollati, ha colpito duramente i comuni della valle, e con diversa e minore intensità una serie di territori contermini delle provincie di Agrigento, Trapani e Palermo. A fronte di comuni quasi interamente crollati, come Gibellina, Poggioreale, Montevago, Santa Margherita del Belice, altri hanno subito danni di minore gravità, limitati a singole parti degli abitati o singoli edifici monumentali. Di conseguenza anche le vicende di ricostruzione sono differenziate, con alcuni casi di città di nuova fondazione più o meno lontane dai centri preesistenti, disegnate (per lo più dagli architetti e urbanisti dell’ISES, Istituto Nazionale per lo Sviluppo dell’Edilizia Sociale) secondo schemi architettonici e urbanistici di carattere Giuseppe Samonà, Palazzata di Messina: vista generale e vista di dettaglio dell’isolato IX-Uffici Inps, 1956-58.
34 33
35 33.34. Enrico Bordogna, Tommaso Brighenti, Progetto di ricostruzione del nucleo storico di Amatrice, 2019: modello della piazza centrale con la chiesa di San Giovanni e la Torre civica ricostruite per anastilosi e il nuovo Palazzo comunale; vista della piazza centrale. 34
Il tema della ricostruzione1, nel corso della storia, ha costantemente avuto un peso significativo nell’evoluzione e nella trasformazione degli insediamenti umani. La storia intellettuale dell’umanità si può considerare una lotta per la memoria – scriveva Jurij M. Lotman –sostenendo che non a caso la distruzione di una cultura si manifesta come distruzione della memoria, annientamento dei testi, oblio dei nessi2, ma anche, si potrebbe aggiungere, devastazione delle città, distruzione dei simboli, cancellazione del passato.
Tutti questi casi costruiscono una storia differenziata di strategie d’intervento e specifiche pratiche di Un’esperienzaricostruzione6.pregressa che, nel bene e nel male, costituisce una sorta di un grande e complesso manuale di conoscenze ed esperienze al quale attingere. Se in alcune circostanze l’interazione tra Stato, Amministrazioni (regionali e locali), Soprintendenze, tecnici e studiosi coinvolti ha funzionato, in altre i processi di ricostruzione sono stati farraginosi, a volte persino dannosi rispetto all’eredità culturale e identitaria di un patrimonio e una tradizione che caratterizza determinati luoghi7. Se gli aspetti legati alla prevenzione del rischio in certi casi hanno salvato vite e monumenti, in altri hanno Ricostruzione e rinascita. Ricerca e progetti a Amatrice, Norcia, Camerino
La memoria possiede tuttavia una forza propulsiva in grado di alimentare il pensiero progettuale chiamando in causa il ruolo dell’architettura, della sua responsabilità civile, e di quelle azioni per mezzo delle quali si possono controllare e delimitare le conseguenze della violenza nei confronti della città e del territorio, deliberata o accidentale che sia, e della «intenzionale o involontaria cancellazione della memoria»3.
Memoria, dunque, come fattore indispensabile tanto per l’identità individuale, con le sue “crepe” e le sue “fratture”, ma anche come fatto collettivo e unitario, che fonde intere comunità con l’appartenenza ai luoghi e a una propria identità culturale4.
Tommaso Brighenti
I terremoti come anche le epidemie, gli incendi, le guerre, le inondazioni, diventano momenti determinanti per la storia dell’umanità.
La catastrofe, simbolo generale di un cambiamento per mutazione all’interno di un processo, è la rottura improvvisa di un equilibrio che provoca una «modificazione sull’oggetto che la subisce essenziale per determinarne il carattere positivo o negativo del Icambiamento»5.modellielestrategie di ricostruzione, in particolar modo in Italia, non hanno avuto un’evoluzione lineare, caratterizzandosi per molteplici esempi positivi ma anche negativi, che spesso sono dipesi dalle peculiari condizioni di ogni contesto.
Risulta inoltre quasi paradossale osservare come le catastrofi, naturali e causate dall’uomo, per effetto della loro azione devastatrice diano luogo ad azioni che svelano lo spirito dell’uomo, la sua vitalità, la coscienza collettiva e pare forse contraddittorio affermare che dalla ricostruzione possano nascere nuove potenzialità inespresse.
43
48 6.7.8. Amatrice, fotografie di sopralluogo con gli studenti nell’area extra moenia dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, ottobre 2017: chiesa di Santa Maria Assunta e ex Orfanotrofio maschile. Foto di T. Brighenti, M. Frisinghelli. 6 87
9.10. Norcia, fotografie di sopralluogo con gli studenti nell’area intra moenia, ottobre 2017: chiesa della Madonna Addolorata crollata dopo il sisma e facciata della basilica di San Benedetto con l’intervento di consolidamento. Foto di T. Brighenti, M. Frisinghelli.
49
9 10
II. Seconda parte
71
Cenni storici di un borgo di crinale Amatrice è oggi un borgo interno della provincia di Rieti, nella regione Lazio, con 2296 residenti censiti al 31.12.2020, in calo di circa il 18% rispetto al 31 dicembre 2001 quando ne registrava qualche unità più di 2800 (2809 per l’esattezza), e di circa il 13,6% rispetto all’ultimo censimento pre-sisma del 31.12.2015 quando ne registrava 2657. Nel terremoto del 2016-2017 ha subito circa trecento vittime.
È un borgo murato di fondazione federiciano-angioina, risalente, pur senza una datazione precisa, a poco dopo la metà del Tredicesimo secolo, con impianto di crinale innervato da un asse centrale (oggi Corso Umberto I) ad andamento pressoché rettilineo in direzione nordovestsudest, sette strade parallele di minor calibro, e due soli assi trasversali che con inclinazione diagonale leggermente diversa intersecano l’asse centrale di crinale. Terra di transumanza tra i principali centri della Sabina e, a sud, verso la Capitanata, posta su uno sperone roccioso a poco più di m 900 s.m. tra il fiume Tronto e il fiume Castellano, era per questo naturale presidio della antica via Salaria, principale asse viario tra mare Adriatico e Tirreno di importanza strategica sia economica che militare, prerogativa che sta alla base delle ragioni stesse della fondazione della città e dei suoi successivi sviluppi.
Un ruolo importante, nella conformazione della sua forma urbis, è stato svolto dagli insediamenti degli Ordini Mendicanti, Francescani, Agostiniani, Domenicani, che fanno di Amatrice uno dei pochi insediamenti della Enrico Bordogna Il nucleo antico di Amatrice: ricostruire in tabula rasa
Sabina e del Reatino dove tali Ordini erano tutti presenti e operanti nei medesimi secoli. La loro azione e le tre chiese da essi edificate, tutt’oggi esistenti, hanno svolto un ruolo importante nella vita della comunità amatriciana e nella stessa morfologia urbana, come dimostrano le famose “triangolazioni” degli studi di Guidoni per localizzare nel sito intorno alla Torre civica e al vicino Palazzo comunale il centro civile e religioso della città1. Due chiese sono state particolarmente rilevanti, anche architettonicamente: quella di San Francesco e quella di Sant’Agostino, mentre la terza, quella dei Domenicani, dopo aver subito diverse trasformazioni nel corso dei secoli, nel Novecento è stata trasformata prima in Opera Nazionale Balilla e poi in sala cinematografica. Nello specifico, San Francesco con annesso chiostro conventuale, risalente con certezza agli ultimi due decenni del Trecento, è un edificio a slanciata navata unica, con copertura a capriate lignee in vista, conclusa da un’abside pentagonale in proseguimento delle pareti longitudinali. La facciata rettangolare è segnata da un grande oculo e una marcata cornice orizzontale a separazione dal sottostante portale, e fianchi e abside sono ritmati da lunghe finestre monofore con archiacuto trilobato. Una costruzione austera in pietra arenaria, con netta prevalenza dei pieni sui vuoti, secondo caratteri architettonici tipicamente centro-italici, comuni a numerose fabbriche di chiese coeve umbro-abruzzesi.
Di circa un secolo posteriore è la chiesa di Sant’Agostino, anch’essa a navata unica e con caratteri architettonici
Relatori: Enrico Bordogna, Tommaso Brighenti
Studenti:2019-20Linda
Adiacente alla chiesa di San Francesco, sulle tracce dell’antico convento, sorge il nuovo complesso della foresteria e del museo di storia urbana, i cui corpi si articolano verso valle seguendo l’andamento del terreno. Il museo, il cui percorso prosegue anche in una galleria, è a tutta altezza con luce proveniente sia dagli shed sia dalla vetrata rivolta verso la piazzetta inferiore, ed è caratterizzato da un bassorilievo sul prospetto verso valle che riprende un’opera di Osvaldo Licini e che rimanda anche al bassorilievo di Monteleone nella facciata della chiesa di santa Maria dell’Assunta progettata da Foschini. La foresteria si articola su due livelli di camere singole con loggia verso il paesaggio ed un blocco di servizi (ingresso, reception, uffici del personale, cucina comune e sala da pranzo, terrazza, sala studio, spazi tecnici).
Titolo: Un'ipotesi di ricostruzione per Amatrice. Il caso-studio della tabula rasa AA Martellini, Matilde Polvani, Greta Rosso
96
Il polo agroalimentare risulta collocato strategicamente rispetto alla città per la possibilità di avere una piazza del mercato adeguata ad accogliere attività produttive e commerciali all’aperto, e sulla quale affacciano, il mercato – caratterizzato architettonicamente da un muro monumentale che rievoca l’antica fortificazione all’esterno e da stalli verso l’interno – e le aule didattiche, mentre i laboratori affacciano sulla piazza inferiore raggiungibile da una scalinata che si apre sul paesaggio. La struttura portante del mercato è in calcestruzzo armato, la copertura degli stalli in x-lam rivestito in lamiera grecata, mentre il muro perimetrale, rivestito in pietra arenaria, è stato realizzato con una soluzione a facciata ventilata.
La ricostruzione in sito del nucleo antico di Amatrice si presenta molto complessa, nonostante le tracce delle emergenze monumentali e dell’impianto urbano di matrice svevo-angioina, data la condizione di tabula rasa che la caratterizza. I riferimenti progettuali considerati sono due modelli di ricostruzione che si pongono in dialogo con la tradizione e la storia della città: da una parte, l’attenzione agli aspetti tipo-morfologici – secondo la lezione muratoriana – del cosiddetto modello Friuli; dall’altra, l’idea di una città ricostruita per parti, corrispondenti a tre diverse modalità d’intervento, secondo il Piano di recupero del centro storico di Teora di G. Grassi e A. Renna. Il progetto prevede il mantenimento delle gerarchie e delle emergenze della griglia di origine angioina – l’andamento diagonale di via Roma, la rottura dell’ortogonalità sul margine sud-est verso S. Agostino – individuando negli isolati su Corso Umberto –strada di crinale e matrice della città sulla quale affacciano i palazzi storici e molti degli edifici messi in sicurezza o catalogati – quella parte di città da ricostruirsi “dov’era com’era” secondo una ricostruzione processuale che deriva dalla lezione di Caniggia a Venzone. Rispetto alle altre terre nuove reatine, Amatrice non ha una vera e propria piazza, piuttosto uno slargo tra il Palazzo comunale, la Torre e la chiesa di S. Giovanni: nel progetto, la continuità di questi fronti viene interrotta eccezionalmente dalla nuova piazza civica, tra il Corso e via Roma. Si instaurano così nuove relazioni tra gli spazi aperti, con il parco della chiesa del SS. Crocifisso, che si collega alla chiesa di S. Agostino seguendo il tracciato delle antiche mura, e le nuove piazze del mercato, dell’Immacolata Concezione e l’ampliata piazza di S. Francesco.
Per il museo è stato applicato un approccio costruttivo leggero a secco. Le fondazioni sono a platea nervata in calcestruzzo armato e la struttura portante è in acciaio. La copertura a shed è in pannelli sandwich rivestiti con un profilato grecato mentre la galleria, caratterizzata da una copertura a botte, è sospesa su pilastri in acciaio rivestiti in pietra arenaria.
Sperimentazione e ricerca Tesi di laurea
Anche le tre tipologie di isolato residenziale si pongono in continuità con l’antico disegno urbano: se a nord del Corso si succedono, con altezze digradanti verso l’esterno, la tipologia a schiera e la tipologia a patio, a sud l’architettura della città è caratterizzata da corpi in linea, sia nella tipologia residenziale a pettine, sia nel nuovo polo agroalimentare.
1. Prospetto dell’intervento con la chiesa di Sant’Agostino, a sinistra, il polo agroalimentare e la piazza antistante l’abside della chiesa di San 2.3.Francesco.Ridisegno planivolumetrico del nucleo storico pre-sisma e planivolumetria di progetto.
1 2 3
97
98 4.5.Planimetria generale ai piani terra e schemi assonometrici degli isolati-tipo: a patio; a schiera; a pettine. 6. Assonometria con la chiesa di San Francesco, l’ex chiostro conventuale ridestinato a foresteria e residenza studentesca, l’edificio per il Museo della città. 54
99 6
Antologia
1978 Con questo numero ci ripromettevamo di affrontare le questioni connesse alle tipologie insediative poste in atto a fronte delle calamità naturali, che nel nostro Paese in questi anni hanno raggiunto una progressione allarmante.
186 Guido Canella
[…] Si sarebbe indotti a considerare il contesto italiano come più suscettibile di progresso, se è vero che qui ci si è posti a seguito degli eventi catastrofici non solo in termini di pura riparazione, ma anche con virtuali propositi di innovazione e rilancio differenziati sulle singole situazioni. Verrebbe allora da chiedersi perché in realtà assai distanti […] i piani conseguiti alle calamità naturali non siano riusciti a guadagnare ottiche complessive in grado di sviluppare nuove attività motrici. Si tratta forse di rigidità soprastrutturali connesse a sistemi politici particolari […]? Ci persuade di più la riflessione di Frantz Fanon, dove si nega che il riscatto sia obbligato al ricorso storico del modello di democrazia occidentale; anche perché proprio le Nazioni e Metropoli europee che negli anni Venti e Trenta si erano date governi e amministrazioni di autentica democrazia popolare – eccentrici perciò rispetto all’asse tradizionale di democrazia borghese – sono state quelle in grado di sperimentare pratiche alternative almeno nella gestione del territorio: la politica degli alloggi a difesa del salario reale nella Vienna degli anni Venti; la politica del tempo libero di massa a fronte della disoccupazione nella Barcellona degli anni Trenta; la politica delle scuole come antidoto dell’emarginazione operaia nella Banlieue parigina degli anni Trenta; e altri […].
D’altra parte, le calamità naturali della nostra epoca sembrano accanirsi come quelle del passato su corpi sociali e insediamenti umani già logori per precedenti dissesti economici e istituzionali; ricorre ancora oggi quella logica spietata che identifica gli apici della crisi con quelli delle catastrofi, come ieri i luoghi delle carestie con quelli delle pestilenze. Perciò si sarebbe indotti a considerare la stessa frequenza dei fenomeni, più che la mancanza di risorse, come traccia determinante nella geografia del sottosviluppo. Per interrompere questo cortocircuito sembra più che mai necessario passare dal feticismo della quantità alla razionalizzazione dei salti di qualità; un po’ quello che si propone la Teoria delle catastrofi elaborata dal matematico francese René Thom […].
Assumere l’emergenza che non finisce, in “Hinterland”, n. 5-6, settembre-dicembre 1978, monografico dedicato a “Calamità naturali e strategie di ricostruzione”, pp. 2-3.
Muoviamo allora dall’acquisizione che il rapporto tra condizioni di partenza e suscettibilità di progresso non si determina una volta per tutte quantitativamente, ma che su esso incidono decisivamente anche caratteri soprastrutturali da coinvolgere caso per caso: quando le calamità naturali si abbattono su di un sistema insediativo costituito da un grande agglomerato urbano dove si trova concentrata la gran parte delle attività del territorio, gli effetti di distruzione e le necessità di ricostruzione vengono rilevati e totalizzati al ripristino della massima densità demografica, edilizia, economica del centro; mentre nel caso dell’Italia, dove storicamente prevale un’armatura insediativa concentrata su una parte limitata del territorio complessivo e dove si trovano diffusi sistemi urbani connessi soprattutto da centri di media grandezza, gli stessi effetti e le stesse necessità tendono ad investire intere fasce di territorio e a imporre in bilancio il riscatto da un pregresso degrado economico, oltre che fisico, con la conseguenza da noi ricorrente per cui si attribuisce alla stessa carenza di risorse primarie il mancato decollo Laalternativo.partediquesto numero dedicata al caso italiano già indica quanto fin qui si è saputo investire delle potenzialità riconoscibili e recuperabili come qualità di ciascun contesto. Se la cultura cattolica, vincendo la rassegnazione secolare, ha potuto prodursi nel massimo coinvolgimento, svolto in modo a lei
Gianugo Polesello 1978 Riedificare per un contesto senza città, in “Hinterland”, n. 5-6, settembre-dicembre 1978, monografico dedicato a “Calamità naturali e strategie di ricostruzione”, pp. 42-46. […] Insisto su questo punto: la ricostruzione, oggi, della realtà preesistente al terremoto è una operazione riduttiva e dispendiosa per il Paese intero (proprio nel senso di antieconomica) se non viene proposta e attuata come momento tattico di una strategia dello sviluppo. Mi rendo conto della enormità del compito, ma di questo proprio si tratta: della capacità di definire un «progetto» generale, realistico e credibile, che investa il Friuli nella sua complessiva dimensione culturale e storica, un «progetto» politico. Certamente la disaggregazione di questo progetto deve prevedere il ruolo delle diverse parti che lo compongono. lo mi sono limitato a tracciare alcuni aspetti della realtà friulana (ed anche con palesi limiti tecnicistici).
Ma la parte che più mi interessa di mettere in mostra è quella relativa al collegamento, nella pratica, tra una sorta di ingegneria, di capacità operativa, che si appropria continuamente di tutto il prodotto usabile del mondo moderno, della moderna produzione industriale, della nuova tecnologia (che il Friuli mostra di possedere in diversi settori) e le ragioni più profonde della sua (del Friuli) unità di cultura e storia. Non credo che l’anima del Friuli antico e moderno sia «ricostruibile» salvandone i simulacri. Mi riferisco, da friulano, alla politica di recupero acritico e generalizzato, senza priorità assolutamente necessarie, di tutto il patrimonio edilizio preesistente, senza fare i conti con l’economico e con il sociale che sono il contenuto principale di quel «progetto» di cui parlavo. Insisto a considerare questo «progetto»
187 coerente tra mobilitazione popolare e attivismo carismatico (dalla pianificazione dal basso di Danilo Dolci, trasferitosi a Partinico fin dal 1952 al viaggio della speranza dei bambini del Belice guidato dal Parroco di Santa Ninfa nel 1976, dal sindaco del terremoto ad Ancona alle dimissioni spontanee del Commissario governativo per il Friuli), da parte della cultura di sinistra era lecito attendersi un più fermo rifiuto alla polemica condotta in termini moralistici contro il cosiddetto «faraonismo» e un maggior impegno per un progetto di complessiva ricostruzione contestuale (antropologica, etnica, produttiva, ecc.), capace di graduare e differenziare incentivi, priorità, trasformazioni proprio a partire dalle opportunità di gestione alternativa, facilitate anche da una innovata tipologia architettonica e urbanistica anche a rischio di una provvisoria ma lungimirante Diventaimpopolarità.interessante
a questo proposito l’intervista rilasciata da Terenzio Arduini, Sindaco socialista di Longarone al tempo dell’alluvione del 1963, dove si rivaluta, dietro la frammentarietà degli episodi architettonici e a quindici anni di distanza, il ruolo fondamentale del piano unitario elaborato dal Gruppo veneziano di Giuseppe Samonà. Infatti già allora interveniva quella perdita di precisa identità di classe, innescata dall’individualismo difensivo (che negli anni Settanta una indiscriminata politica di consumi ha poi sospinto verso l’allargamento del comportamento piccoloborghese), giocando tutto il suo peso anche nelle occasioni pubbliche di partecipazione e di consenso, così da aumentare la viscosità nella costruzione di scelte unitarie che antepongano i vantaggi collettivi a quelli privati, l’investimento prospettivo al tutto subito Nel caso del Belice anni di commozione passiva sulla cultura del sottosviluppo, considerata senza alternativa ma dopo il terremoto ridotta allo sfacelo, hanno finito per liberare e autorizzare una politica di interventi astratta e modellistica. Se si ammette infatti che i criteri di conurbazione, individuati per la traversa est-ovest Poggioreale-Santa Ninfa (dal Gruppo di Danilo Dolci l’indomani del sisma del 1968 e ripresi successivamente nel piano dell’ISES), potessero recedere di fronte alle resistenze autonomistiche (o clientelari?) di alcune amministrazioni fino a rattrappirsi in singoli piani di trasferimento di tipo comunitario, l’accusa rivolta ai soli architetti di essersi abbandonati alla prefigurazione astratta si rivela pretestuosa, poiché se di qualcosa essi andrebbero imputati (con urbanisti, sociologi ed economisti) è di non aver saputo osare con più immaginazione e talento. […]. Ci si chiede se il Friuli potrà far valere, contro tutte le avversità e i tentativi di deculturazione, la contaminazione attiva tra cultura etnica e cultura professionale. Dopo il terremoto si è rivendicata per il capoluogo friulano un’università: quale occasione più propizia per sperimentare nella ricostruzione la trasmissione di conoscenza direttamente applicata al laboratorio della realtà? non sono proprio queste le occasioni che, ripartendo quasi da zero, possono cercare di riparare con la massima ricchezza d’immaginazione e articolazione torti e debiti secolari accumulati soprattutto nella sfera del pubblico e del collettivo, riducendo la tendenza a prolungare esclusivamente nel personale e nel privato risarcimenti impagabili, soddisfacimenti effimeri di rivendicazioni coltivate difensivamente e spesso strumentalizzate clientelarmente? […]