INDICE
7 17 31 71 109 115 155 177 199 233 249
Introduzione
Avventure della memoria
L’immaginario delle rovine
Presenze del passato in Italia
Tassonomia delle rovine
La rovina come essenza
La rovina come sottrazione
La rovina come moduli in collisione
La rovina come stratificazione
La rovina come macerie
Indice dei nomi
1. Sebastiano Serlio, Trattato di Architettura, 1537.Iltema delle rovine, colto in un ambito metastorico, è un insieme eterogeneo di letture e d’interpre tazioni diverse che si sono succedute nel tempo. L’argomento riguarda competenze operative: quel le dello storico, del sovrintendente, dell’archeologo e del museologo. E riguarda, inoltre, diverse que stioni più teoriche: quelle relative al nostro rap porto con il passato, con la memoria e con l’antico. Temi particolarmente significativi nella cultura e nei paesaggi italia ni, densi di tracce, monumenti e palinsesti appartenenti a diverse epoche e a diversi linguaggi.
Le rovine intese come testimonianza, ovvero come monumentum, cioè come memoria, rappresentano un valore offerto alla collet tività come recita l’epigrafe «Quanta Roma fuit ipse ruina docet». Frase, questa, che compare tanto nel frontespizio scenografico del Terzo libro del Trattato di Architettura di Sebastiano Serlio, dedi cato alle antichità di Roma, quanto nella facciata del Teatro Olim pico di Sabbioneta, detto anche Teatro all’Antica, commissionato da Vespasiano Gonzaga a Vincenzo Scamozzi. Teatro la cui platea semicircolare a gradoni riprende le forme marmoree della cavea dei Teatri classici, creando un cortocircuito tra il tema della memoria e quello della sua teatralizzazione.
trascolora invece in toni melanconici e nostalgici nel ruinismo del Romanticismo che raffigura paesaggi di rovine o che costruisce ar chitetture reali che simulano il loro stato di rudere. Come nell’Ab bazia nel querceto e nel Viaggio d’inverno di Caspar David Friedrich oppure nell’Isola dei morti di Arnold Böcklin che declama enigmati che atmosfere circoscritte dalle pareti di una montagna ruderizzata. Tutti luoghi questi dove leggere idealmente il Corvo di Poe con i suoi ossessivi nevermore, magari illustrato da Gustav Doré. Il tono metafisico dell’Isola dei morti sarà ripresa da Giorgio De Chirico in alcune sue rappresentazioni, come nel dipinto Paesaggio romano. Un ruinismo concretamente realizzato è la Casa a forma di colonna dorica in rovina, realizzata da François Racine de Monville nel suo vasto giardino di Désert di Retz, in forma di colonna dorica, divel ta nella sommità e con le finestre inserite lungo le sue scanalature. Architettura che risente dell’Architettura parlante di Claude-Nico las Ledoux e che influenzerà a sua volta il progetto di concorso per il Chicago Tribune elaborato da Adolf Loos nel 1922, anch’esso in forma di monumentale colonna dorica.
Per l’Illuminismo, diversamente dal Romanticismo, la sugge stione delle rovine costituisce invece l’inizio di una rêverie fonda ta sulla ricerca dell’archetipo e sul desiderio del paesaggio nativo, dove l’evocazione del paesaggio originario costituisce un orizzonte ideale in cui collocare la rifondazione dei linguaggi. A differenza, quindi, dello spirito romantico in cui il rudere sancisce la fine ultima e definitiva di una lunga traiettoria che parte da lontano e che non ammette nessun futuro.
Lo scritto La rovina di Simmel mette in evidenza la processuali tà temporale che caratterizza l’identità delle rovine e che non può essere simulata come nelle opere del Romanticismo. Per Simmel il rudere è il risultato di due azioni congiunte: l’architettura che, de gradandosi, torna alla natura e, parallelamente, la natura che s’im possessa dell’architettura quasi a riscattarne le sue colpe in quanto artificio. Una sorta di «vendetta» della natura. Questa forma, che non è più architettura e che non è ancora natura, rappresenta per Simmel un’«unità caratteristica».
Aqueste interpretazioni, che vanno da Füssli a Böcklin e che potremmo definire sinteticamente negative, non per il loro indubbio interesse artistico ma in quanto soggette all’autorità della Storia e alla pato logia della memoria, si contrappongono diverse nar razioni, anche queste legate ad un ambito metasto rico, che guardano invece positivamente alle rovine come presenze che favoriscono l’immaginario arti stico e che promuovono la fantasia del progettista ponendosi come motore di una ricorrente rêverie.
Nella specifica cultura del progettista la rovina agisce come un elemento di indirizzo estetico che alimenta diversi processi d’in venzione. La memoria attiva, contrapposta alla memoria contem plativa, misura la distanza tra innovazione e seduzione. La prima presuppone la partecipazione attiva e cosciente dell’artista; la sua capacità di svelare il messaggio contenuto nei segni dell’antico e di rapportarlo ai temi della sua epoca. In questo caso l’azione specula tiva e interpretativa del soggetto prevale sulla presenza e sulla stes sa identità dell’oggetto osservato. La seconda identifica, invece, la sensazione di chi subisce passivamente ed in modo ambiguo l’at trazione delle rovine, come accade per il viaggiatore sentimentale del Grand Tour.
un linguaggio dissonante rispetto quello classico e programmaticamente frammentario: una sorta di anastilosi immaginaria.
Particolarmente significative ed interessanti sono alcune rude rizzazioni del Settecento applicate ad edifici integri esistenti, di stanti quindi da quelle istanze contemplative che si registreranno poi nel Romanticismo. Come quelle espresse da Robert, amico ed emulo di Piranesi, e da Gandy che raffigurano rispettivamen te la Galleria del Louvre di Pierre Lascot e la Banca d’Inghilterra, quest’ultima appena costruita da John Soane, nel loro futuribile stato di disfacimento. Queste particolari ruderizzazioni guardano alle rovine come valore aggiunto rispetto alla integrità delle con figurazioni architettoniche originali: una sorta di svelamento delle potenzialità delle rovine in quanto prefigurazione di un’auspicata architettura permeabile alla luce e aperta all’ambiente circostante. Lo spazio integro del Louvre e quello della Banca d’Inghilterra rap presentano spazi chiusi e perfettamente organizzati nei rispettivi dispositivi funzionali e distributivi; la rappresentazione anticipata del loro stato di rovine libera, invece, inedite e trasgressive energie espressive; negate queste al modello originario, colto nel suo pre cedente stato unitario.
Entrambe queste rappresentazioni immaginarie celebrano, at traverso la rêverie dei ruderi, un’idea di architettura in grado di superare le tradizionali dicotomie esterno/interno, aperto/chiuso, pubblico/privato, luce/ombra. Quest’ansia di trasparenza contiene in nuce la prefigurazione di quanto sarà successivamente realizzato nella modernità: dalle diafane architetture in ferro e vetro dell’Ot tocento, con le sue serre, mercati, musei e stazioni luminose, nelle quali penetra la luce all’interno e dove è possibile godere della vista sovrastante del cielo, fino a quella lunga narrazione che vede all’o pera, in successione, la Glassarchitectur di Bruno Taut, la Lighar chitectur di Erich Mendelsohn e dei fratelli Luckard, la trasparenza degli Skyscrapers espressionisti di Berlino e di quelli cartesiani di Chicago, entrambi di Ludwig Mies van der Rohe.
Un altro tema di trasfigurazione delle rovine è quello offerto da numerosi esempi in cui i resti di templi e monumenti del paganesimo
11. Hubert Robert, Veduta immaginaria della Grande Galerie del Louvre in rovina, 1796.
12. Joseph Gandy, View of the Rotunda of the Bank of England in Ruins, 1798.
LA
COME MACERIE
Lemacerie rappresentano un tempo sospeso in un incerto presente dove sono azzerate le coordi nate spazio-temporali tradizionali e dove vengono meno tutti i simboli e le figure iconiche della città: architetture, strade, piazze, monumenti, abitazioni e relazioni sociali. Le macerie costitui scono la fine dell’abitare «poeticamente» la terra e non hanno l’affabulazione propria delle rovine. Dopo il crollo c’è solo silenzio, come nell’Urlo di Edvard Munch: drammatico proprio nella sua sconcertante afonia. Le macerie non rinviano a nessun passato storico ma declamano la sospensione stessa della Storia; parimenti non rinviano ad alcun progetto di futuro. I temi operativi della ricostruzione, di come, dove e quando rico struire, avverranno unicamente solo dopo aver elaborato il lutto della scomparsa: quello della memoria, dei luoghi, degli usi, dell’a bitudine e dell’identità dei suoi abitanti.
Come conseguenza di una distruzione le macerie rappresentano l’elemento antipolare del valore assertivo e fondativo della positività del costruire. L’estetica delle macerie non possiede però quel ruolo esornativo che si riscontra invece nelle rovine; non indirizza l’imma ginario creativo legato alle figure del taglio, della sottrazione, del vuo to e della frammentazione che sono invece promosse dalle rovine.
Paesaggi apocalittici, legati allo scarto, all’abbandono e alla cata strofe figurano in diverse rappresentazioni artistiche, come nelle Tor ri di Babele di Jun Du Zhen o nelle visioni urbane di Giacomo Costa pubblicate nel libro The Chronicle of time dove Norman Foster, nell’in troduzione, afferma che le immagini di Costa «sono come le rovine di una civiltà perduta, che potrebbe essere la nostra»7. Le raffigurazioni post-atomiche di Costa mostrano paesaggi metropolitani abbando nati in cui la natura si riappropria pervasivamente degli spazi a suo tempo sottratti. Nella videoinstallazione Rosso Babele Grazia Toderi raffigura una metropoli bombardata da oscure forze aliene. Attra verso un grande plastico esposto nella Biennale di Venezia del 2013, Alfredo Jaar immagina l’allagamento dei 28 padiglioni nazionali situa ti nell’area dei Giardini di Castello, simulandone l’invasione da parte di un eccezionale evento di acqua alta. L’arte ha sempre rivendicato la legittimità dell’estetica del brutto, del deforme e del disturbante, temi ripetutamente analizzati in una vasta trattatistica: dall’Estetica del Brutto di Karl Rosenkranz alla Storia della bruttezza di Umberto Eco. Alcuni fotografi raffigurano città distrutte da un terremoto oppu re dilaniate da bombardamenti o da azioni terroristiche attraverso
68. Terremoto in Irpinia, 1980.69. Daniel Libeskind, Micromegas, 1979.