Frugalità in architettura

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ISBN 978-88-6242-767-8 Prima edizione ottobre 2022 © LetteraVentidue Edizioni © Valerio Paolo Mosco Tutti i diritti riservati Come si sa la riproduzione, anche parziale, è vietata. L’editore si augura, che avendo contenuto il costo del volume al minimo, i lettori siano stimolati ad acquistare una copia del libro piuttosto che spendere una somma quasi analoga per delle fotocopie. Anche perché il formato tascabile della collana è un invito a portare sempre con sé qualcosa da leggere, mentre ci si sposta durante la giornata. Cosa piuttosto scomoda se si pensa a un plico di fotocopie. Progetto grafico: Francesco Trovato Impaginazione: Alberto Scalia LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa www.letteraventidue.com


Valerio Paolo Mosco

FRUGALITÀ IN ARCHITETTURA


Temi di architettura. Una nota iniziale.


Questo libro è parte di una collana dedicata ai temi di architettura; più specificatamente è dedicata alla frugalità, al kitsch, alla fragilità, alla stilizzazione, alla convenzionalità, alla nudità e al manierismo. Sette temi utilizzati come dispositivo per comprendere la nostra epoca, il suo gusto e il suo sentire fatto di infatuazioni e idiosincrasie, di aspirazioni come anche di inevitabili frustrazioni. Come si sa i temi prendono forma in diversi modi i quali dialogano tra loro per accostamenti, analogie e metafore. Nelle diverse espressioni tematiche riconosciamo delle apparizioni, delle ricorrenze, come anche degli slittamenti semantici che nel tempo hanno prodotto delle vere e proprie metamorfosi ed è proprio questo andamento il nucleo di interesse della collana. L’analisi per temi non è una novità. Nella seconda metà del secolo scorso Hans Sedlmayr ha incentrato il suo libro Perdita del centro sull’analisi tematica. Egli ha così analizzato la modernità attraverso determinati temi: la fabbrica, il museo, il teatro, il monumento architettonico figurativo, la casa popolare, il giardino all’inglese. Mediante essi Sedlmayr intendeva cogliere, da buon hegeliano, lo spirito di un’epoca da lui considerata, non senza forzature, una morbosa patologia. A prescindere dalle conclusioni a cui Sedlmayr è giunto, la sua analisi possiede ancora il fascino delle letture a volo d’uccello, di grande respiro, che hanno il coraggio di rifuggire quel FRUGALITÀ

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debilitante relativismo, oggi soverchiante, che considerando solo i particolari avvilisce la narrazione generale, ovvero la narrazione critica. Leggendo il libro di Sedlmayr abbiamo infatti la sensazione di riappropriarci del dibattito e questa riappropriazione nasce proprio da quell’analisi tematica che appare come il necessario preludio a qualunque teoresi. Preludio senza il quale le forme, inseguendo loro stesse, scivolano inevitabilmente nell’entropia. È da notare che i temi di Sedlmayr erano specificatamente architettonici, tanto che in alcuni casi (la fabbrica, il museo, la casa popolare) corrispondevano a dei tipi edilizi. I temi presi in considerazione in questa collana invece non sono specificatamente architettonici, bensì estetici, nel senso che coinvolgono contemporaneamente diversi campi espressivi. Il kitsch o la frugalità a esempio prendono forma non solo in un’architettura, ma anche in un’opera d’arte, in una performance, in una pièce di teatro, nella moda e non ultimo nel costume. La scelta di allargare l’analisi tematica, e di conseguenza l’analisi iconografica, deriva dal fatto che le visioni a volo d’uccello, come ci insegna Fernand Braudel, non possono restringersi a uno specifico, ma devono allargare i loro orizzonti diventando il più possibile inclusive: devono, come andava affermando George Kubler, «allargare il più possibile il portone di ingresso». TEMI

VALERIO PAOLO MOSCO


Quanto il lettore troverà scritto deriva dalle lezioni svolte presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, presso la sede di Roma della Cornell University e presso l’Università della Navarra a Pamplona, istituzioni a cui devo un sentito ringraziamento. Ringraziamento che estendo alle biblioteche dello IUAV e della Sede di via Flaminia dell’Università La Sapienza di Roma. Per ultimo ringrazio Esther Giani che conosce i miei refusi e sa come trattarli.

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... e raggiunsi il privilegio concessomi da Madonna povertà». San Francesco

A questo punto abbandono tutto visto che un uomo è ricco in proporzione al numero di cose che riesce a lasciar stare». Henry David Thoreau


Quella frugale è un’architettura rappresentativa nel senso che oltre a se stessa mette in mostra una condotta etica e dei riti a essa connessi: mette in mostra uno stile di vita1. Senza comprendere lo stile di vita frugale non se ne comprendono le forme, sempre in bilico tra l’estetico e l’etico. La condotta di vita frugale si nutre della dialettica tra vita solitaria e collettiva. Nella vita conventuale medioevale le due modalità si giustapponevano traducendosi direttamente negli spazi e nella loro organizzazione. Nei conventi e nelle certose era la regola che determinava lo stile di vita, organizzando tutte le transazioni tra il privato e il pubblico e la regola si incarnava nell’architettura organizzando con gli spazi la vita dei monaci. La memoria del convento continua ancora oggi a rimanere un modello per l’architettura frugale attraverso due figure di riferimento: la cella, ovvero lo spazio primario privato e il complesso architettonico, inteso come edificio-città autosufficiente e formalmente compiuto. Entrambi i modelli sono spesso visti oggi con la nostalgia di chi si rende conto dell’impossibilità di riproporre una regola generale capace di entrare negli ambiti più privati. Sono visti con la nostalgia per uno stile di vita rigoroso, difficile, se non impossibile da mediare con le pressanti esigenze di quella libertà mondana che ormai consideriamo un diritto non negoziabile2. La frugalità FRUGALITÀ

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6. La trasfigurazione della frugalità rustica (Rudolf Schwarz, Chiesa di St. Albertus Magnus, Leversbach, Kreuzau, 1932).


si dona immediatamente e senza filtri, è ottenuta radicalizzando l’autonomia figurativa dei singoli elementi della costruzione in maniera tale da dare l’impressione di essere di fronte ad architetture teoricamente facilmente smontabili pezzo per pezzo. Questo effetto è ottenuto denudando l’edificio eliminando la decorazione o integrandola completamente alla singola componente della costruzione. Con Schwarz, come per altro con Giotto, non siamo di fronte a una idealizzazione radicale del messaggio religioso, ma allo sforzo di mediare l’idealizzazione con la concretezza del mondo fisico. Una mediazione per altro strutturante la teologia cristiana. Le loro architetture sono tangibili se non tattili, come se il loro interesse fosse quello di incarnare quella sacralità del quotidiano di stampo religioso di cui parla il filosofo Roger Scruton12. Sembra allora che lo sforzo per entrambi sia stato quello di evocare, attraverso una frugalità in parte idealizzata, la pace spirituale di un vernacolo senza tempo, o meglio sospeso nel tempo. Schwarz definiva ciò “pienezza della povertà”, una pienezza che, se relazionata all’etimologia dell’aggettivo frugale (dal latino frux, frutto), dà quei frutti spirituali che ci avvicinano contemporaneamente a Cristo e al prossimo. Un’altra chiesa di Schwarz è significativa, quella di St. Theresia, costruita sul finire degli anni Cinquanta [7]. FRUGALITÀ

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9. L’atemporale immutabilità degli interni frugali (Vincent Van Gogh, La camera di Vincent ad Arles, Museo di Amsterdam, 1888).


molti e questi molti sono destinati ad aumentare in relazione proprio all’aumento della dipendenza dalla tecnologia, dal comfort, dalle reti di qualunque tipo esse siano. Il punto è che da Thoreau in poi la frugalità, in maniera spesso ellittica e non senza ambiguità, si è caratterizzata come fenomeno di reazione, come una forma di antagonismo che ha delle analogie con la nudità, o meglio con il denudamento, così come ce lo ha descritto Agamben20. Antagonismi destinati a perpetuarsi in quanto l’esperienza insegna che più un fenomeno è pervasivo (e la tecnologia informatica è il più pervasivo dei fenomeni che possono venire in mente), più esso genera azioni di segno opposto di intensità commensurabile al fenomeno originale che le ha prodotte21. Il moderno dunque ha sostituito la cella monastica con la camera, eppure l’aspirazione utopica di un’essenzialità fuori dal tempo, rimane inalterata nelle sue forme22. Hannes Meyer nel 1926 allestisce una camera ancor più essenziale di quelle di Thoreau e Vang Gogh, la Camera modello CO-OP [10]. C’è una differenza essenziale tra questa spartana stanza e le altre due: essa non è stata trovata, non è stata scelta dai futuri abitanti in quanto adatta ai loro intenti, ma è stata progetta e allestita ad hoc per un cliente del tutto speciale: un ipotetico operaio di una società fondata sui principi del socialismo più radicale. La camera di Meyer, come adeguatamente FRUGALITÀ

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21. Il cheapscape, ovvero la costruzione povera non priva di comfort (Frank Lloyd Wright, Solar Hemicycle House, Middleton, Wisconsin, 1943).


La casa infatti è sì costruita con l’essenziale ma è confortevole, del tutto priva di quella rinuncia preventiva che caratterizza le opere frugali europee o se non altro questa rinuncia è ridotta al minimo. Il cheapscape, ovvero la costruzione essenziale che sa essere confortevole, non è un’invenzione di Wright. Essa ha un precedente in Rudolph Schindler, un architetto che viene dalla Vienna sofisticata, intrisa dell’essenzialismo dai toni moralistici di Adolf Loos47. Schindler nel primo dopoguerra si trasferisce negli Stati Uniti a lavorare in West Coast proprio da Wright. A Los Angeles si costruisce con le sue mani e con l’aiuto di amici e maestranze non specializzate, una sorprendente villa. Siamo nel 1926, l’anno in cui viene inaugurato il Bauhaus. Sorprendente innanzitutto l’analogia compositiva dell’edificio di Gropius e la villa di Schindler. Sorprendente anche la modalità costruttiva delle pareti che Schindler riprende dalle architetture autoctone di stampo spagnolo dei pueblo di Los Angeles [22]. Ai piedi della parete, nella terra, era stato scavato un cassero in cui era stato gettato il cemento; appena indurita questa lastra era stata ribaltata in verticale con un semplice argano movimentato da un paio di persone e lo spazio tra una lastra e l’altra era stato colmato da una lastra di vetro a tutt’altezza. L’interno della casa, che tesse insieme la costruzione in cemento e quella in legno a incastro, è scarno. I finiti sono quasi inesistenti: tutto è lasciato al gretto e l’attenzione di Schindler, che sarà FRUGALITÀ

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27. L’architettura come grande allestimento “spontaneo” (Enric Miralles & Benedetta Tagliabue, Mercato di Santa Caterina, Barcellona, 1999-2004).


spontanea. In taluni casi queste architetture arrivano a lambire la scala monumentale, quasi a voler ribadire la superiorità etica di un manufatto di tal tipo rispetto a uno debitamente costruito. Maestro dell’architettura allestita degli ultimi anni è stato Enric Miralles. Nei suoi lavori, ideati prima con Carme Pinós e in seguito con Benedetta Tagliabue, si respira, forse per la prima volta, la potenzialità monumentale dell’architettura allestita. Nel caso di Miralles non si può certo parlare di architettura frugale nel senso stretto, casomai di un’architettura che utilizza come tecnica compositiva l’allestimento innescandovi delle componenti prese dai linguaggi spontanei. La frugalità, come si è potuto vedere, implica la visione a uno stile di vita e l’adesione a esso: stile di vita che le opere di Miralles non implicano affatto. Eppure la sua breve e intensa esperienza è necessaria per comprendere l’evoluzione di quelli che possiamo definire linguaggi allestiti (da non confondersi con quelli spontanei) e come questi abbiano influenzato e continuano a influenzare la cultura alta. Senza Miralles, e senza Frank O. Gehry, i linguaggi allestiti sarebbero rimasti infatti confinati a delle esperienze collaterali, marginali, di piccola scala. Consideriamo di Miralles la ristrutturazione del Mercato di Santa Caterina a Barcellona o il Campus universitario di Vigo [27-28]. In entrambe i casi siamo di fronte a grandi allestimenti architettonici, a delle scene che nel caso del Mercato, ben rappresentano FRUGALITÀ

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