Indice
09 21 29 57 85 105 115 Prefazione Gianfranco Gianfriddo La mia scuola di architettura (in forma di premessa) 1. Dall’interno verso l’esterno. Il Raumplan 2. La conoscenza dei materiali. Il Principio del rivestimento 3. La storia dell’arte. I Romani Un’idea di spazio moderna, anzi, antica Raumplan. Disegni Matteo Pennisi
Prefazione di Gianfranco Gianfriddo
Scrivere un libro su Adolf Loos è un’impresa ardua.
Pellegrino ci informa: «Questo libro è rimasto chiu so nel cassetto per trent’anni. Poteva francamente rima nerci». Così nella premessa ne chiarisce con lucidità le ragioni e i contenuti.
Quando l’ho letto ho pensato: menomale che è uscito. Poi l’ho riletto, e non mi è più sembrato un libro su Adolf Loos, piuttosto Loos un “pretesto nobile” per prendere posizione, per tracciare un percorso “per addi tare una strada” come ci dice lo stesso autore. Un prete sto non solo nobile ma soprattutto calzante.
Provo a spiegare alcune ragioni per cui questo libro mi sembra di grande utilità.
In tempi di archi-star e di pubblicazioni scientifiche per la carriera, leggere qualcosa sull’architettura che ti appassiona è veramente raro. Ancor più raro trovare un libro il cui contenuto acquista un senso necessario ri spetto al contesto.
Non v’è dubbio che il contesto storico, culturale, politico ed economico in cui viviamo è difficile e pie no di contraddizioni. E, come se non bastasse, il no stro pianeta, nel suo lento e inesorabile processo di modificazione, sembra alla ricerca di un nuovo assetto
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A prescindere da quello che si andrà a dire – che altro non sono che le intuizioni di un profondo assiduo impegno di un anno di studi, così come esse si sono sedimentate nel mio lavoro e nella mia ricerca sull’archi tettura, e non hanno certo la pretesa di operare qual sivoglia sostanziale spostamento nella conoscenza del pensiero e delle opere di Adolf Loos15 –, si può ritenere in assoluto che non ci sia tanto da aggiungere a quanto non sia già stato detto e scritto, se non appunto torna re ad additare il suo lavoro, le sue idee come fondanti e attualissime per la disciplina dell’architettura16. Allo stesso tempo, prima ancora che per gli altri, si scrive per sé stessi, per fare chiarezza, vedere cosa resta, mettere un punto, liberarsene anche. Da questa angolazione il libro si prefigge il compito arduo di dire cosa è stato ed è Loos per me, per il mio lavoro di architetto, di didatta, perché no, per la mia vita; un tributo necessario – per me – all’architetto da cui ho più appreso, che più mi ha dato, a tutti gli effetti un maestro17.
«Perché Loos. Non a caso gli studi del passato ven gono affrontati quando si ripropongono delle condizioni analoghe: ed è allora che certi documenti sopiti riconquistano la loro lucidità originaria e con essa la forza di stimolo che avevano un tempo. Oggi più che mai, anche nel campo delle arti e dell’architettura, si rafforzano i centri di potere mediante istituzioni ari stocratiche il cui accesso è vietato ai non iniziati. “… ancora una volta i giovani lottano per sopravvivere per ché quelli venuti prima hanno occupato il mondo e si sono coalizzati contro di loro”. Ecco “perché Loos”»18.
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con la finestra di quest’ultimo, e i gradini che scendono al piccolo spogliatoio con lavabo, fra la scala e il secondo pilastro/condotto di riscaldamento della casa24; così pure, a seguire, le finestre delle singole camere da letto e dei vani di servizio, che si leggono in trasparenza nei disegni tradendo il fittizio disordine esterno. Fanno eccezione le finestre del prospetto sud allineate, a salire e a scendere, con la vetrata della musikzimmer a sinistra e la finestra della esszimmer a destra; ironia compositiva
ovest est
nord
sud
Haus Rufer, prospetti (da disegno ALA 611)
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di Loos, quello a sud è il prospetto meno pubblico, sul giardino, non quello d’ingresso a est, men che meno quello su strada a nord dove l’unica concessione a bilanciamento è la copia del fregio del Partenone. La luce governa e restituisce gerarchicamente l’organizzazione e la misura dello spazio.
Pur ragionando su spazi fortemente compenetrati planimetricamente e volumetricamente – e allo stes so tempo aperti – si continua ad utilizzare la dicitura
Haus Rufer, piante
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2 1 4 3
viene ridotta per ottenere la zona del camino ribassata36. Questa perdita di profondità e di volume, lungi dal rimpicciolire la percezione dimensionale, la esalta: la stanza grande lo sembrerà tanto più in relazione alla misura del vano-camino (alcune porte, negli spazi rinascimen tali, sono alte meno di due metri ingigantendo proporzionalmente i vani prospicienti).
Chiuderemo il ragionamento con l’edificio più rap presentativo e impegnativo di Adolf Loos: i magazzini Goldman & Salatsch sulla Michaelerpaltz, altrimenti noti come Looshaus.
In quest’opera Loos enuncia a chiare lettere che il Raumplan, lo strumento che gli aveva permesso di “pen sare la pianta nello spazio”, è la riconsiderazione in chiave moderna della complessa articolazione spaziale degli ordini architettonici; la riproposizione di un problema che solca trasversalmente la storia dell’architettura, dai Romani ai Rinascimentali a Palladio sopra tutti.
Prenderemo in considerazione il basamento dell’e dificio, dove viene applicato il Raumplan; al di sopra vi sono normali appartamenti ad un piano (come su un unico piano vengono distribuite le zone notte delle case di Loos, quasi che la Looshaus debba intendersi come una casa unifamiliare gigante). Dei piani commerciali alla base vengono disegnate sempre tre piante, in relazione ai livelli di riferimento: il parterre con la pilastrata quadrangolare centrale, il mezzanino nelle due ali dell’e dificio sulla Herrengasse e il Kohlmarkt, la galerie tutta a girare sul perimetro esterno. A rigore però, guardando la sezione trasversale, i livelli sono quattro perché lo spazio
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in Giselastrasse, pianta e sezione
47 Appartamento Loos
Appartamento Loos, vano camino a dire: il legno si può dipingere di tutti i colori tranne uno: il color legno»48.
Con questi avvertimenti si può passare a prendere in considerazione alcune opere di Loos, cominciando an cora una volta dal suo piccolo appartamento sulla Gise lastrasse. Si dimostrano di particolare interesse, ai nostri fini, le travi in legno del soffitto ribassato del vano cami no. Esse sono finte, in maniera evidente. Il vano ha ov viamente la stessa altezza del resto dell’appartamento e il ribassamento è un semplice controsoffitto. Di più, per
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“esprimere il loro vero significato di rivestimento” Loos realizza le travi nella maniera più diretta ed economica possibile, inchiodando tre tavole ad U. Ci si chiede: ma perché metterle se sono assolutamente inutili? La rispo sta è semplice: per Loos le travi a vista sul soffitto ‘fanno casa’, sono “calde ed accoglienti”, e così le ripropone sistematicamente negli spazi domestici che realizza.
Per contro, i materiali non devono imitarne altri in un falso strutturale ma possono certo – secondo la lezio ne classica – mimare un principio strutturale proprio dei
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Santa Maria delle Carceri, esterno
grande colonna dorica può finalmente sperimentare la ‘misura americana’, quel gigantismo che aveva trovato nel suo viaggio in occasione proprio della grande Esposizione colombiana di Chicago, l’uso fuori scala delle colonne nei monumenti e negli spazi pubblici, o nei colonnati delle ville del neopalladianesimo americano. Forse il progetto più adatto per capire il senso del Chicago Tribune è quello per il Monumento al Kaiser Franz Joseph: una profusione superlativa, ridondante, di colonne ioniche nel porticato continuo a girare e cingere tutto lo spazio, e le due torri nude, un reticolo
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Kaiser Franz Joseph Denkmal, prospettiva
ripetitivo e indifferenziato di finestre, estensione del reticolo di “finestre viennesi” dei piani adibiti a residenza della Looshaus. Loos non avrà modo di realizzare questi due grandi progetti, né nessuno dei tanti altri che ha ideato; la Looshaus rimarrà il suo edificio costruito più rimarchevole; anche per questo è più che un edificio, più che un’architettura di rilievo, piuttosto la summa delle sue idee sull’architettura, la loro estre ma complessa stratificazione, a cominciare proprio dal le colonne, mai realizzate in tale quantità né prima né dopo. Cosicché, se le colonne della Looshaus possono
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sul muro, lo compattasse perché ingombri quanto meno possibile, liberi quanto più spazio: liscio, quindi. Un’idea di spazio come vuoto, sua massima dilatazione, e del suo contenimento come superficie piana estrema che si fa carico – attraverso la materia preziosa, il marmo primo fra tutti – della riduzione dell’aggettivazione plastica. Il Cafè Capua costituisce la palese espressione di questa concezione. È un’idea romana (un più grande problema di progettazione): un rivestimento interno, un rivesti mento esterno, in mezzo il muro, supporto della rappresentazione della costruzione, della sua doppia rappre sentazione interna ed esterna, una dall’altra (e viceversa).
È l’idea di spazio stessa che è antica, se non come formulazione teorica (ma quali formulazioni teoriche sono antiche? Essa è un’attitudine alquanto moder na, da ricondursi appunto al dibattito fra Ottocento e Novecento), sicuramente come prassi dell’Arte del costruire; quale spazialità meglio riuscita del Pantheon!?, dilatazione estrema del vuoto contenuto124.
Sotto questo punto di vista non c’è stato progresso.
«[...] tutto il progresso che si è verificato [...] se escludiamo l’influenza che hanno avuto le nuove sco perte, è testimoniato da due occhi soltanto. E questi occhi sono i miei. Ciò vuol dire che nessuno ne sa niente. E io non aspetto il mio necrologio. Lo dichiaro subito io stesso»125.
Occhi che ancora ci interrogano, senza scampo.
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