MARE CRISIUM

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INDICE

Piscina Mirabilis Museum and Art Pavilion

Jeux/Pavillons Olympos

THEMATA – PARTE PRIMA

L’architettura e il volto: considerazioni sul significato della facciata

La muraglia abitata tra principio insediativo e tema di progetto

PRAGMATA – PARTE SECONDA

Un decennio in progetti

Facies moderna Aigousa. Centro d’arte contemporanea sull’isola di Favignana Giardino di Palazzo Zupi (ex Convento delle Clarisse) a Fiumefreddo Bruzio, Cosenza Museo Militare a Palau

Passeggiate sull’acqua Una Wunderkammer a Bologna Φάρος – Lighthouse Sea Hotel

Muraglie Abitate Eden. L’ultima fortezza dell’Utopia

El muro en sí mismo Ksar

La luz y la materia Lo Shu City Towers Plus Ultra. Due torri-faro nello Stretto di Gibilterra

Riqualificazione della Torre Key a Latina Vertical Incognita Regesto progettuale 2012-2022

Prefazione Franco Purini Introduzione
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PREFAZIONE UN ARCHITETTO DELLA NUOVA AVANGUARDIA FRANCO PURINI

La generazione dei giovani architetti, la cui età va dai trenta ai quarant’anni, ha dovuto affrontare nella sua formazione, nella ricerca, nella pratica progettuale e, per alcuni, nell’insegnamento, una condizione mol to diversa da quella dei colleghi della mia età, ormai tarda, avendo già doppiato il fatidico capo degli ottant’anni. Mezzo secolo fa, ma anche fino agli anni Novanta, un architetto che volesse comprendere la scena del suo mestiere in Italia e nel mondo doveva conoscere le poche tendenze che allora nutrivano il dibattito disciplinare. A noi sembrava difficile orientarsi in questo ristretto labirinto che il neorazionalismo, il postmodernismo, l’empirismo eclettico, il tecnologismo e il funzionalismo disegnavano i meandri che in realtà – se si era convinti e attenti – era possibile seguire. A quel campo tematico limitato si è oggi sostituito un orizzonte teorico e critico, intessuto con un numero elevato e pressoché impossibile da classificare di idee progettuali, un quadro di concezioni e di direzioni operative che è quanto mai frammentato, di cui non si può tracciare una mappa leggibile che consenta di muoversi in un territorio sempre più vasto e affollato. Sono pochi i giovani architetti che sono teorici e critici capaci non solo di farsi strada nel mare magnum delle tendenze contemporanee ma anche capaci di costruirsi un linguaggio del tutto personale al contempo comprensibile nella loro avventura compositiva. Marco Falsetti è uno dei più attivi protagonisti della generazione dei giovani in grado di dare vita a innovative vicende della nostra architettura.

A fronte di questa identità culturale chiara, precisa, partecipata con sapienza e passione di architetti come il protagonista di queste note, altri architetti della sua generazione hanno invece deciso di esprimersi in un discutibile “esperanto” fatto di frazioni linguistiche prelevate da varie scritture architettoniche da montare in un mosaico incoerente e in trinsecamente effimero. La fine dell’unità dell’architettura decretata da pressoché tutte le Facoltà nonché da tanti storici, critici e progettisti, a favore di una frammentazione per la quale quasi tutte le componenti del sapere del costruire sono divenute autonome discipline specialistiche, non è accettata da una ristretta avanguardia di giovani consapevoli dei vari, diversi e complessi contenuti dell’architettura. Essa è oggi definita dal

7Prefazione

THEMATA

PARTE PRIMA

L’ARCHITETTURA E IL VOLTO: CONSIDERAZIONI SUL SIGNIFICATO DELLA FACCIATA

Non c’è niente di più profondo di ciò che appare in superficie

Georg Wilhem Friederich Hegel

Nel suo celebre Passaggi, Rosalind Krauss ripercorre l’ iter del mezzo scultoreo nell’ultimo secolo, un percorso che, a suo avviso, aveva avuto inizio con Rodin, il primo a separarsi da un accademismo morente che, se da un lato aveva esplorato i picchi vertiginosi della perizia tecnica, dall’al tro ne aveva anche sondato gli abissi più cupi. Tali profondità andavano identificate con le frustrazioni derivate dall’impossibilità di descrivere l’opera d’arte come oggetto globale, provvista cioè di un fronte e un retro, un sopra e un sotto, un dentro e un fuori, una materia e, soprattutto, un tempo percettivo non oggettivo.

Tali fallimenti, secondo la Krauss, avevano poi prodotto, nel corso del secolo, reazioni di segno opposto, a seconda dei differenti approcci all’opera e alla sua criticità, da quello futurista a quello del landscaping degli anni ‘60. Tutti quanti, tuttavia, avevano preso le mosse dall’impossibilità di esplorare – e dunque interpretare – l’interiorità dell’opera e quindi di trasmetterne il messaggio senza la mediazione di un “volto”, e contro di questo avevano reagito.

Pur sussistendo tale problematica – quando essa sia, o sia stata, motivo di ricerca – anche in architettura, il problema della resa esterna dell’interno,

19L’architettura e il volto

Studi per la facciata e l’ingresso del nuovo complesso della Camera dei Deputati in Roma, 2015. Disegno dell’autore.

ragione d’essere in una dialettica – una società di facce, per parafrasare Louis Kahn –, non sempre pacifica con l’altro da sé. Ogni architettura, per quanto acontestuale che sia, innesca infatti una dinamica di confronto nel momento stesso in cui si emancipa dal piano del progetto e si trasferisce nel mondo reale; in quest’ultimo non è più infatti solo un volto che guarda (come ci rammenta la radice del termine viso visu – ho visto –), ma è anche un corpo che, a sua volta, viene osservato, e in tale relazione finisce col perdere la sua autonomia esistenziale – la sua purezza originaria – innescando una dinamica più complessa di rapporti e di riflessi.

Inquadrati all’interno di una prospettiva semantica, frontiera e confine manifestano meno tratti in comune di quanti tradizionalmente vengano loro accordati. Sono al contrario numerose le caratteristiche distintive: la prima è infatti un elemento dinamico, cioè in continua evoluzione, mentre il secondo possiede una staticità formale che lo avvicina a un elemento

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Case come persone. Una compagine di facce-facciate in un complesso di nuova costruzione in Spagna.

architettonico. Se la frontiera – e con essa lo spazio della soglia – è instabile, stabilire un confine significa, al contrario, definire un continuum, sancire cioè un limite che sia origine o fine di un percorso spaziale o che delinei un ambito, il più delle volte, chiuso. Il confine separa due luoghi, due entità, due sfere di influenza o due visioni del mondo, in maniera più netta di quanto faccia la frontiera (per sua intrinseca natura terra di confluenze e di compromessi). Il primo ha una connotazione fisica forte e figurativamente delineata, la seconda sfuma in un labirinto di possibilità e di occasioni, so litamente precluse dal confine. Scrive in proposito Piero Zanini : «la frontiera non è rappresentabile come una linea; è piuttosto una fascia, una vaga zona dove molte volte tutto si confonde, si mescola. Una striscia in cui non è possibile distinguere ciò che appartiene al suo interno e ciò che sta al suo esterno. I suoi bordi non sono mai netti, né perfettamente definibili, né in assoluto impermeabili. Non lo erano le diverse muraglie costruite dai

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L’architettura e il volto
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Isola di statue, Salvatore Fiume, 1947.

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L’architettura e il volto

UN DECENNIO IN PROGETTI

Ripercorrere la propria parabola progettuale rappresenta, per molti versi, quanto di più vicino ad un processo psicanalitico e, come tale, è tutt’altro che semplice, né tantomeno è sempre possibile definire le ragioni che hanno presieduto ai momenti di svolta o, se vogliamo, di trasformazione.

Da una parte ci sono i temi di ricerca, tensioni ideali verso i quali ogni architetto è condotto, dall’altra le occasioni, cioè le possibilità reali di tradurre il pensiero in materia. Tali occasioni possono assumere forme varie, spesso fortuite, che spaziano dai compagni di viaggio (amici, colleghi, soci) che si incontrano e con i quali si intraprende un percorso, ai “progetti disponibili”, quei momenti concreti che si presentano in termini di possibilità lavorative e/o concorsuali. Vi sono inoltre un certo numero di varia bili che giocano un ruolo non secondario, come il periodo storico in cui ogni architetto vive e lavora e che, in termini di occasioni, può cambiare radicalmente le prospettive di una generazione rispetto ad un’altra. I gio vani architetti degli anni ‘60 – tanto per fare un esempio di cui chi scrive ha avuto modo di occuparsi in diverse occasioni –, avevano sicuramente molte più probabilità di verifica della propria produzione progettuale rispetto alla generazione nata negli anni ‘80 confinata, non per sua volontà, all’interno di una bolla teorica prevalentemente speculativa.

Cionondimeno, anche se più rarefatte e meno legate ad una dimensione prettamente realizzativa, nel secondo decennio degli anni 2000 sono state elaborate da chi scrive diverse proposte progettuali.

63Un decennio in progetti
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Progetto per un grattacielo sul waterfront di Baku, Azerbaijan. Foto del modello, 2011.

Grattacielo di 52 piani, presentato in occasione del concorso “Giovani architetti grattano il cielo” promosso da Casabella Laboratorio, 2012.

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Un decennio in progetti

FACIES MODERNA

PROGETTI

AIGOUSA. CENTRO D’ARTE CONTEMPORANEA SULL’ISOLA DI FAVIGNANA

Il concorso per la riqualificazione del Forte di Santa Caterina, imponente complesso che domina la maggiore delle isole Egadi, è stato bandito nel 2018 dall’Agenzia del Demanio con il proposito di trasformare il Forte in uno dei più grandi e suggestivi centri d’arte contemporanea del Mediterraneo.

L’obiettivo della proposta è quello di definire un luogo, prima ancora che un ambito, che possa rappresentare, per i fruitori (siano essi artists-inresidence oppure ospiti occasionali), una meta ideale dove riflettere sull’arte e sul suo rapporto con il contesto, avvalendosi degli spazi del Forte e dell’edificio di servizio contiguo come piattaforme attrezzate per il soggiorno e la residenza. Il progetto è strutturato attraverso tre elementi: la Galleria, l’Art Hotel e i Padiglioni espositivi, collegati tra loro da un percorso ascensionale che, dalle pendici del monte, conduce fino alla sommità del Forte. La Galleria (che assolve alla funzione di spazio espositivo) è caratterizzata dalla teoria di setti dal profilo a “v”, ed è incassata nel costone roccioso che sfrutta il salto altimetrico

per definire uno spazio collettivo: dalla quota del colonnato l’edificio degrada, attraverso una gradonata, verso una piazza d’acqua che ospita sculture e installazioni site-specific di grande formato. Il livello superiore, che corrisponde alla copertura della Galleria, risulta in tal senso complanare al percorso di visita generale, consentendone l’utilizzo nelle forme di una grande terrazza per eventi all’aperto.

L’Art Hotel si sviluppa invece dentro i locali del Forte, utilizzandone gli antichi spazi per recuperare, attraverso un progetto ad impatto minimo, la dimensione abitativa. È previsto in tal senso la trasformazione di alcune sale in atelier e in residenze per artisti, mentre il margine occidentale ospita le funzioni collettive e culturali come la biblioteca, il giardino zen e le sale proiezioni.

L’approccio al progetto del centro d’arte contemporanea si inserisce all’interno di una tradizione museale di matrice scarpiana, tradizione giocata sul lacerto, sul frammento e sull’uso della pavimentazione intesa come disegno architettonico capace

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FACIES MODERNA

di fornire organicità ai diversi ambiti del progetto.

Tutte le aree sociali e residenziali interne (in particolar modo quelle dell’edificio contiguo al Forte, realizzato negli anni ‘40 del ‘900 e sul quale il progetto interviene radicalmente pur lasciandone inalterata la volumetria) favoriscono una relazione diretta con il paesaggio attraverso “tagli” nei prospetti, sedute o altre soluzioni di arredo. Lo stesso rapporto simbiotico si sviluppa all’interno dei piccoli atelier situati lungo il percorso che dalle pendici del monte conduce al forte; i due “volumi piscina”, concettualmente parte del complesso dei padiglioni seppur deputati ad altra funzione, non sono realizzati per scavo ma concepiti come concrezioni che si sovrappongono al layer orografico,

Cava a galleria nella località Scalocavallo –Foto di Renato Lo Presti.

alla maniera dei vecchi fontanili isolani. Il progetto è pensato come ponte ideale tra patrimonio storico e progetto, in particolare come sintesi tra i caratteri antropici e naturali tipici dell’isola, come le superfici grezze e geometriche delle cave di tufo a cielo aperto e le volumetrie stereotomiche. Il sistema dei padiglioni si pone come strumento di indagine dell’archetipo, sovvertendo – attraverso un paradigma tipologico-simbolico – le tradizionali regole di costruzione del tessuto urbano. La proposta rappresenta, in tal senso, l’esito di un’analisi sui meccanismi insediativi e sul ruolo che in essi rivestono i processi formativi dell’edilizia di base: il progetto considera infatti l’universo dei segni architettonici come un ideale bacino di tipologie edilizie basiche, capaci di

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Aigousa. Centro d’arte contemporanea

Veduta renderizzata dell’Art Gallery. La hall principale dell’Art Hotel.

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Studi

Pavilions). Disegno

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preliminari del sistema dei padiglioni (FAV, Favignana Art
dell’autore, 2018. Aigousa. Centro d’arte contemporanea

Vista prospettica e in wireframe del progetto.

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Veduta prospettica con il muro allineato lungo una delle guidane e l’accesso rivolto al complesso della basilica di Santo Stefano. Composizione con sezione trasversale (vista nelle due direzioni) e sezione longitudinale.

Veduta prospettica con, in evidenza, la griglia espositiva.

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Una wunderkammer a Bologna

SEA HOTEL

La proposta nasce a seguito del concorso “Lighthouse Sea Hotel” (promosso da YAC – Young Architects Competitions, con la collaborazione dell’ Agenzia del Demanio), avente come obiettivo la valorizzazione del faro di Murro di Porco, nel siracusano, e la sua destinazione a struttura ricettiva. Il concorso prevedeva, oltre al cambio di destinazione d’uso, la possibilità di realizzare una serie di volumi accessori autonomi o in adiacenza alle strutture preesistenti, a condizione che questi rispettassero alcune condizioni (altezza massima di 4 metri, superficie complessiva non superiore ai 3.000 m2 , rispetto della leggibilità della struttura del faro). L’impostazione del progetto è stata dunque finalizzata alla realizzazione di un’architettura capace di sopravvivere, sia dal punto di vista funzionale che tipologico, alle trasformazioni legate ai cambiamenti d’uso, come i grandi complessi della classicità che la proposta prende a modello. La chiara impostazione planimetrica dell’edificio residenziale, con il grande atrio a pianta quadrata che distribuisce le due speculari sale colonnate rettangolari (la

sala conferenze e il foyer dell’Art hotel) rappresenta in tal senso il riferimento geometrico dell’ordine che sovrintende alla disposizione delle funzioni richieste dal programma. Tra queste ultime vi è la necessità di fornire agli utenti – siano essi artisti o ospiti dell’hotel –, un rifugio confortevole e, allo stesso tempo, un ambiente improntato al benessere igrotermico e all’efficienza energetica, e che preveda, da un punto di vista gestionale, un basso costo di costruzione e manutenzione A livello spaziale, il profilo del Lighthouse Sea Hotel appare quasi nascosto rispetto al volume del faro, sia per i limiti d’altezza imposti dal bando ma, soprattutto, per una concezione dell’impianto basata sullo sviluppo di un unico corpo lineare, che a partire da un percorso organizza ed ordina le sequenza dei vani. Il plesso delle residenze e il confinante auditorium sono annodati, anche con il percorso di visita, mediante uno spazio atriale semipubblico coperto, inserito nel volume dell’edificio. In tal modo l’ambiente polare dell’exhibition room è concepito come una sorta di tempio

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ΦΆΡΟΣ LIGHTHOUSE
JEUX-PAVILLONS

Planimetria generale del complesso.

laico, che restituisce centralità al momento compositivo senza per questo rinunciare alla celebrazione degli aspetti comunitari del processo creativo. La sala delle arti, legata attraverso la grande vetrata agli “umori” dell’ ambiente esterno, recupera così una ideale dimensione romantica dell’atelier, mentre la parete inclinata – utilizzabile a mò di spalto – consente, all’occasione, la presenza di un pubblico di spettatori. L’Art Hotel occupa pertanto tutta l’area vicina al faro ad eccezione del piccolo sentiero che arriva fino alla costa, che diviene il nucleo generatore dei frammenti episodici del progetto. L’obiettivo è quello di dare vita ad un sistema osmotico dove sia gli edifici che il reticolo dei percorsi (artistici, naturalistici, di viabilità primaria) contribuiscano a definire un complesso organico di collaborazione tra le parti.

La forza espressiva e il carattere dell’edificio traggono origine dal conflitto tra la natura razionale della struttura e le caratteristiche morfologiche del sito in cui essa si inserisce, così come dalle tensioni generate da un insieme di diadi oppositive: artificio/natura, pieno/ vuoto, lineare/curvilineo, luce/ombra, interno/esterno, chiuso/aperto.

La ricerca di nessi e di legami con i contesti fisici dei luoghi del progetto è una costante che caratterizza la proposta nelle sue diverse componenti. L’elemento acquatico, dal rapporto col quale il progetto trae forza, rappresenta l’ideale traguardo al quale ricondurre le singole unità, a partire dalle grandi stanze atelier le cui finestre-shoji possono aprirsi interamente sul paesaggio mediando la relazione tra uomo e ambiente (inteso nell’accezione dell’etologo estone Jakob von Uexküll).

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Schizzi e ipotesi compositive del belvedere. Disegni dell'autore 2015.

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139ΦΆΡΟΣ. Lighthouse sea hotel

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