FARE ARCHITETTURA

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Collana Alleli / Research

Comitato scientifico

Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa)

Emilio Faroldi (ICAR 12, Milano)

Nicola Flora (ICAR 16, Napoli)

Antonella Greco (ICAR 18, Roma)

Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa)

Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia) Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)

ISBN 978-88-6242-802-6

Prima edizione gennaio 2023

© LetteraVentidue Edizioni

© Armando Dal Fabbro

© Gli autori per i testi e le immagini se non diversamente indicato

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza.

Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyright delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa.

Progetto grafico editing e impaginazione: Vincenzo d’Abramo, Claretta Mazzonetto

LetteraVentidue Edizioni Srl via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa

www.letteraventidue.com

introduzione di Alberto Ferlenga contributi di Vincenzo d’Abramo Claretta Mazzonetto

Indice

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La complessa vita delle forme Alberto Ferlenga

Architetture perdute – Architetture ritrovate Armando Dal Fabbro

Cinque riflessioni progettuali

Avanguardia antica Vincenzo d’Abramo

Variazioni sul tema Claretta Mazzonetto

Indice dei contenuti e dei crediti

La complessa vita delle forme

Come in un romanzo di Bolaño, la realtà dell’architettura e della sua genesi illustrata in questo libro, apparentemente monocorde, assume, di progetto in progetto, svariate sfaccettature dentro la questione generale del prodursi della forma nel tempo particolare dell’architettura. La struttura del racconto è data da occasioni diverse tra loro ma, coerentemente con le premesse, segue il tema prescelto e apre più di un sentiero in un territorio teorico ormai incolto e sempre meno praticato dagli architetti. Il linguaggio adottato per sviluppare la riflessione, è quello proprio all’architettura: disegno e parole strettamente dipendenti tra loro e tendenti allo stesso scopo: la descrizione del progetto e della realtà ad esso collegata. Anche il tempo della narrazione ricorda quello intrecciato e pieno di stacchi e di ritorni che connota, da sempre, questa disciplina. In un dipanarsi sostanzialmente atemporale della trama solo verso la conclusione poche righe e segni essenziali ci riportano drammaticamente al tempo presente. Cosa può fare l’architettura di fronte all’orrore delle distruzioni? Si chiede l’autore. Distruzioni, dobbiamo dirlo, che sono sempre state parte non secondaria e non necessariamente negativa dell’architettura, espressione di una sorta di suo grado zero che, nel passato, in forma di rovina ripresa e misurata dagli architetti, ha contribuito, per attrazione, a generare la stagione rinascimentale e, secoli dopo, in forma di maceria ha prodotto, dopo guerre e disastri, per reazione questa volta, una volontà collettiva di riscatto e una nuova voglia di modernità. Distruzioni di cui abbiamo conosciuto, negli anni più vicini a noi anche una declinazione più subdola la cui azione disgregatrice non ha avuto bisogno di livellare muri, o squarciare solai, ma ha deliberatamente attaccato l’anima delle città e la compostezza delle case con le armi dell’assenza di cura e del cattivo gusto. Fino ai giorni nostri in cui le guerre che lambiscono i nostri confini e i disastri ambientali sempre più frequenti ci hanno mostrato di colpo che non solo la distruzione non ci ha mai abbandonato ma anche che ne siamo la principale causa e che gli scenari futuri, in mancanza di soluzioni, rischieranno di esserne sempre più pesantemente condizionati. Una distruzione che rimescola tutto con la furia livellatrice di bombardamenti, terremoti o alluvioni riducendo in briciole sia le rovine splendide del passato, come a Palmira o a Ninive, che le brutte città che abbiamo costruito in decenni di disattenzione e cinismo. Di fronte a questo progressivo montare di una marea annientatrice che ha come primo obiettivo la natura e come vittime tutti noi, non è sufficiente il crescere di una sensibilità di massa nei confronti delle tematiche ambientali, fortunatamente oggi più presente che in passato, ma è necessaria la ricostruzione delle singole competenze che hanno a che vedere con esse. E chi più degli architetti lavora, da sempre, nel campo in cui oggi più imperversano i

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Il grande vetro

Sesto San Giovanni, Milano 1995-2022

Ritengo assai difficile mostrare e spiegare il proprio lavoro senza cadere nella trappola dell’illustrazione stilistica e autocontemplativa. Le immagini presentate qui di seguito si riferiscono ad una sperimentazione progettuale elaborata in occasione della Triennale di Milano (Il centro altrove, 1995). Questa prova di architettura rimanda a tecniche rappresentative dell’espressionismo, proto-razionaliste e miesiane (i progetti degli anni Venti per i grattacieli di vetro sulla Friedrichstraße a Berlino), ma manifesta anche una iconoclasticità apparente, la quale mi permette, senza scivolare nelle patetiche rivendicazioni dell’architettura del dettaglio, di sviluppare temi che legano ricerca figurativa e composizione architettonica, concezione architettonico-spaziale e immagine scultorea. A tal fine propongo una interpretazione dell’esperienza lecorbuseriana, mostrando le numerose e stimolanti interferenze tra la ricerca artistica e la sua trasposizione in architettura. Ogni buona architettura che possa chiamarsi tale contiene in nuce una potenziale carica poetica. Cogliere questo aspetto dentro l’opera in fieri e renderlo manifesto costituisce l’obiettivo di ogni artista. L’architettura si identifica con la sua storia interiore e la trasmette, come fa l’opera d’arte; l’aiuto e il sostegno che possono dare la conoscenza degli strumenti e delle tecniche delle arti plastiche e delle discipline artistiche in generale sono sostanzialmente riconosciuti. Le procedure che usano la tecnica del montaggio, per esempio, come strumenti della progettazione architettonica – attingendoli alle arti visive, soprattutto alla pittura, alla scultura, al cinema – affrontano il progetto a partire dagli aspetti figurativi e compositivi, comunque funzionali alle ragioni dell’architettura. Elaborare una poetica, o più semplicemente mostrare un modo di porsi nei confronti di un progetto, comporta un ragionamento sugli strumenti della progettazione e sulle vie compositive che a questa adducono. L’affermazione di Paul Klee sul concetto di figurazione è in questo caso esemplare. Per Klee figura, rispetto a forma, «esprime qualcosa di più vivo. Figura è più che altro una forma fondata su funzioni vitali: per così dire una funzione derivante da funzioni. La teoria della figurazione (Gestaltung) si occupa delle vie che conducono alla figura (cioè alla forma). Essa è la teoria della forma ma con l’accento sulle vie che a questa conducono». Teoria della forma e della figurazione rappresenta, oltre a un valido testo pedagogico, la sintesi poetica e il principio stilistico di tutta l’opera di Klee; così come per Leonardo – come suggerisce Mario Pomilio nell’introduzione a Leonardo pittore (Milano 1967) – il Trattato della pittura rappresenta «la prima, in senso moderno, tra le poetiche che mai artista abbia tentato di elaborare». Propongo un confronto, non casuale, tra un modo di indagine critica e un’ipotesi compositiva. La Citè de refuge di Le Corbusier è un esempio sufficientemente valido per sostenere un metodo di lettura dell’opera architettonica da

I disegni raccolti in queste pagine mostrano gli schizzi di studio e il ridisegno dell’impianto planimetrico, con lo studio dei moduli geometrici di costruzione, la sezione e i due prospetti dell’edificio, un lato composto da una facciata regolare e monolitica, e il lato opposto composto da una superficie sfaccettata e traslucida, ricordando gli edifici miesiani degli anni Venti. Infine, un’idea di montaggio attraverso il collage e l’analisi degli elementi da un punto di vista urbano e architettonico, attraverso le due assonometrie, ovvero la composizione del grande vetro come elemento di composizione e definizione dello spazio della città.

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Un progetto per il teatro della città

Larissa, Grecia 2021-2022

Il progetto per Larissa affronta principalmente il tema dello spazio delle relazioni urbane inteso come la scena fissa della città. È l’idea di teatro, di teatralità dello spazio urbano che muove le ragioni del progetto per Larissa i cui presupposti progettuali si identificano in due precise scelte di campo che si possono così sintetizzare: la prima, nell’approccio del progetto alla scala urbana e al suo rapporto con la particolare orografia su cui si è costruita la città e il suo territorio; la seconda, nella scelta formale delle soluzioni architettoniche in relazione alla città antica e alle sue potenzialità espressive e funzionali.

Alla scala urbana i punti su cui abbiamo lavorato sono:

1- Interpretare e valorizzare i luoghi e le tracce dell’antica città, considerando il valore spaziale e storico dei ruderi archeologici e dei pochi, pochissimi edifici monumentali di epoca ellenistica e romana ancora presenti: i due teatri ellenistici (A e B), alcuni frammenti di strutture murarie, come stele commemorative e parti pavimentate, e i pochi lacerti delle antiche mura difensive sull’acropoli.

2- Riprendere la percezione morfologica del territorio su cui si è costruita la città e che si è persa nella città contemporanea, in relazione soprattutto a determinati luoghi urbani come l’area del teatro, la sommità dell’acropoli posta tra la chiesa e l’area archeologica.

3- Riconoscere e ribadire l’importanza dello spazio pubblico della città, delle sue piazze, dei suoi giardini ombrosi e dei suoi ruderi antichi: la piazza principale della città, improntata sul sedime della antica agorà, e l’attuale piazza Tachydromeon, l’antica agorà eleuthera, di fatto oggi rappresentano il perno monumentale e spaziale che lega la città antica alla città moderna e contemporanea. La proposta di liberare completamente senza ricostruzione dell’isolato oramai fatiscente e di proporre in sua vece una nuova piazza alberata con funzioni di piazza-mercato rafforza e consolida l’idea di luogo dalle funzioni centrali aperto sul teatro antico e di cerniera urbana tra la piazza principale, il teatro e la città. 4- Concepire l’area dell’acropoli, non più come un parcheggio, ma come parco urbano, luogo aperto in cui si può stare e camminare nel verde e tra i reperti archeologici. Il parco completamente pedonale (le automobili troveranno posto in un parcheggio lineare alberato oltre l’acropoli su Georgiadou street), sarà finalmente uno spazio urbano della città, in cui si può stare e ci si può muovere senza sentirsi respinti. Tutte le alberature vengono mantenute, così da caratterizzare l’area dell’acropoli come un grande spazio verde in sommità, accogliente e ombroso, delimitato dalle chiome esistenti e da nuovi filari alberati che lo trasformeranno in un ritrovato parco dentro la città storica. Una pergola leggera attraversa l’area archeologica ponendosi

Le immagini seguenti rappresentano alcuni degli elaborati realizzati in occasione del concorso internazionale per l’area del teatro antico di Larissa in Grecia.

A partire da schizzi e studi preparatori, le immagini mostrano i modelli e i disegni di progetto, cercando di far emergere le intenzioni progettuali.

I due modelli rappresentano le due scale di progetto con le quali ci si è voluti confrontare: la prima con la misura della città, nel rapporto con l’orografia, mostrando la predominanza dell’acropoli e degli elementi cardine esistenti e di progetto; la seconda scala, con l’immediato intorno del teatro antico e la costruzione del grande invaso della piazza, come luogo elettivo e di connessione tra i differenti capisaldi urbani.

I disegni mostrano le figure della composizione, gli elementi, le relazioni, il rapporto tra architettura e spazio costruito, tra vuoti urbani ed elementi di margine.

Gli schizzi e i disegni preparatori manifestano il mettere alla prova l’insistenza su alcune idee di progetto, come le torri, la definizione di uno spazio libero inteso come vuoto urbano, le figure antiche nel contesto del contemporaneo, ma definiscono anche come una continua interpretazione e un’insistenza sui temi di progetto, sulla necessità di misurare l’idea attraverso l’operare selettivo della mano, del gesto che segue, o talvolta precede, il pensiero.

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2022

«Eppure io ho costruito nella mia mente un modello di città da cui dedurre tutte le città possibili» (Italo Calvino, Le città invisibili).

La Torre dei Venti ad Atene, la cui costruzione è attribuita ad Andronico di Cirro, costruita presumibilmente nella prima metà del I secolo a.C., si erge ancora oggi ai bordi dell’antica agorà romana. Sulle fronti delle otto facciate sono inscritte in rilievo le delicate allegorie dei venti conosciuti fin dall’antichità. La torre appare misurata e fragile, elegante nelle sue forme sembra celare, nelle pieghe delle solide pietre, il mistero della purezza immanente dell’architettura.

È con questa immagine così visionaria, ma ancora oggi così tangibile, che abbiamo voluto confrontarci, interrogandoci sulla natura profonda dell’architettura. Attraverso alcune forme significanti dettate in pianta dalle figure elementari della geometria piana come il quadrato, il triangolo e l’ottagono, le architetture si animano evocando le schiette e rugose superfici dei muri antichi, e i puri volumi prismatici e chiaroscurali delle opere perdute nella storia ritornano, come presenze su un palcoscenico, a segnare lo spazio reale della città. Credere ancora nella verità e nella saggezza delle pietre sbozzate dalle mani di uomini vivi che innalzano costruzioni dalle forme significanti è rispondere in parte alla domanda che ci siamo posti nell’accettare questo confronto, e cioè: cosa può fare l’architettura di fronte all’orrore delle distruzioni?

Le pietre dell’architettura sono materia viva dell’opera dell’uomo, e in quanto prodotto dell’uomo per l’uomo, svelano la relazione necessaria tra la materia e il suo significato, sono edilizia della mente che si alimenta dei valori che noi attribuiamo allo spazio costruito e che si fissa nel tempo. Per questo le città vivono e muoiono con chi le abita. Abbiamo voluto immaginare alcune architetture come principio di riscatto, per un nuovo umanesimo, cui riconosciamo un valore e attribuiamo un significato. La torre dei luoghi perduti, la torre del vento, la torre delle ombre sono un omaggio all’architettura delle città e agli artefici (antichi e moderni) che con le loro opere hanno saputo rendere manifesto il valore di ogni singola pietra, di ogni singola architettura perduta e ritrovata.

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