146 Collana Alleli / Research
Comitato scientifico
Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa)
Emilio Faroldi (ICAR 12, Milano)
Nicola Flora (ICAR 16, Napoli)
Antonella Greco (ICAR 18, Roma)
Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa)
Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia)
Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)
ISBN 978-88-6242-816-3
Prima edizione febbraio 2023
© LetteraVentidue Edizioni
© Giuseppe Arcidiacono
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Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa.
In copertina: Giuseppe Arcidiacono, Crono e l’Architettura, collage 2010
Book design: Francesco Trovato, Gaetano Salemi
Finito di stampare nel mese di febbraio 2023 presso la tipografia The Factory srl
Via Tiburtina 912 – 00156 Roma per conto della BDprint.it
LetteraVentidue Edizioni Srl via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa, Italy
www.letteraventidue.com
GIUSEPPE ARCIDIACONO
ARCHÈ
ARCHITETTURA CONTEMPORANEA E ARCHEOLOGIA IN CALABRIA
L’ORIGINE È LA META
Introduzione di Antonello Russo
ABITARE IL TEMPO
PER UNA TEORIA DELLA TEMPORALITÀ
Architettura contemporanea e Archeologia: andata e ritorno
PROGETTO MAGNA GRECIA
IL MARE PIENO DI VOCI
SCILLA & CARIDDI
VIBO VALENTIA
Tre città in una
HIPPONION
La porta nord di Vibo Valentia e il parco della città Magno Greca
NOSTOS
Un progetto per il parco archeologico di Hipponion
LE EPIFANIE DEL CLASSICO
Un atelier di progettazione per Hipponion
LA CITTÀ CONTINUA
Scavi romani per l’elevazione della città
VIBO SANT’ALOE.
IL PARCO MUSEO DELLA CITTÀ ROMANA
Un atelier di progettazione
DAL
Un
progettazione per il belvedere di Vibo Valentia
contemporanea a Vibo Sant’Aloe
CIELO SOPRA MONTELEONE
SOTTOSUOLO DELLA NECROPOLI ANTICA AL
INFRASTRUTTURA MODERNA E SEDIME ANTICO A TAUREANA 007 015 023 029 037 047 055 059 063 079 093 101 135 143 INDICE
atelier di
GA, Notre petite cabane, 1999
L’ORIGINE È LA META
Introduzione di Antonello Russo
Riflettere su una genesi significa aver individuato un obiettivo e, con esso, aver avuto modo di appurare una sovrapposizione tra ipotesi e tesi, tra incipit e conclusione. Come già Karl Krauss sottolineava nel suo celebre aforisma, la sostanza originaria delle cose riporta nella sua stessa natura anche la finalità principale di una ricerca. In tale sintesi è insita la predisposizione di Giuseppe Arcidiacono a individuare nella meta i dati caratterizzanti l’origine. Ne consegue una sua attitudine a delineare una proiezione circolare del sapere che, riportando agli estremi la sovrapposizione in uno stesso punto, non può che proporre in ogni conclusione un nuovo inizio. Immaginare il progetto come origine e come meta di un percorso allinea l’idea di tempo su un doppio registro: da una parte, una proiezione alla quale è preclusa ogni consistenza sia di ciò che è definito passato, in quanto memoria dell’istante che non c’è più, ma anche di ciò che è definito futuro, dato che non c’è ancora, e, più che mai, di ciò che è nominato come presente, ovviamente sfuggente a causa del suo trascorrere; dall’altra, la possibilità di accettare che il tempo assuma reale consistenza solo per l’uomo, in quanto creatura destinata a riconoscere nella sua contingente durata un’idea di assoluta finitezza. Arcidiacono risolve tale opposta dicotomia attraverso un’idea ciclica del sapere tesa a tracciare un presente proponendosi, attraverso un’interpretazione delle esigenze del tempo corrente, di dare esito a una proiezione in avanti e, con essa, nuovamente tornare all’archè. Un cerchio perfetto, dunque, che unisce l’intuizione di una scoperta con la conoscenza della storia per dare avvio a un’invenzione intesa, quest’ultima, sempre, come ritrovamento di un dato necessario che era già lì, latente, in attesa solo di essere riconosciuto. Contemporanei a noi stessi viviamo la nostra epoca includendo ogni gesto di ciò che è stato: ne consegue un’idea di ricerca che, sospesa in un peregrinare continuo tra l’origine e la meta, descrive nelle finalità e nelle analogie primigenie del progetto le frontiere opposte di un ideale emiciclo. In mezzo il suo impegno animato dalla curiosità di risalire al conforto (leggi confronto) con l’idea del mito, riconducibile a una raffigurazione delle origini del mondo e, pertanto, operante come guida della contemporaneità.
7 L’origine è la meta
GA, La fabbrica della memoria, 1993
ABITARE IL TEMPO
Nel mito, all’inizio della vita, c’è l’azione violenta del tempo che scinde l’abbraccio infinito di Urano a Gea: permettendo alla terra di portare alla luce le sue creature, ed al cielo di generare Afrodite sorgente dell’amore1. È il tempo dello spietato Crono, che libera la vita e poi inghiotte i suoi figli: svelando il crudele paradosso di un fare per disfare; che tuttavia contiene la trama antagonista della età dell’oro, in cui la vita umana scorre beatamente indefinita se non infinita, quando per i mortali non ci sia ancora coscienza del tempo. Perché la Storia abbia inizio c’è bisogno di una nuova rituale violenza, che precipita sulla terra attraverso la pietra- omphalos venerata a Delfi: quella vomitata da Crono per segnare l’inizio del tempo2; il tempo ordinato e diviso da Zeus, dove gli dèi celesti abitano il mondo olimpico e lasciano poco a poco agli umani quello terrestre. «La separazione tra uomini e dèi si presenta contemporaneamente come una decadenza e una promozione: da quando il tempo condiviso con gli dèi è terminato, l’umanità ha perso la felicità originaria, ma in cambio ha cominciato a percorrere la strada che porta […] alla civiltà. Perciò i miti di fondazione esprimono implicitamente la contrapposizione tra natura e cultura»3. Il tempo diviso, in passato-presente-futuro, risulta finalmente commensurabile alle vicende umane, anche se inevitabilmente ridotto dentro una clessidra o spaccato dai secondi di un cronometro; eppure, anche così, la sua natura paradossale e crudele non smette di mostrarsi: perché nel passato misuriamo un tempo che non c’è più; e nel futuro un tempo che non c’è ancora; mentre, per il suo inarrestabile trascorrere, anche il presente non ha durata. Il tempo, dunque, non esiste; o esiste solo per l’uomo: è nello spirito, infatti, la misura del tempo; perché – come dice Agostino – «il tempo è una distensione dell’anima». In altre parole, il tempo esiste perché noi siamo creature temporali, perché siamo finiti; e, in questo senso, «anche la nostra percezione dello spazio ha un carattere totalmente temporale» 4. È davanti alla siepe leopardiana che «mi sovvien l’eterno / E le morte stagioni, e la presente / E viva»: il muro di verzura – mentre modifica la natura e la rende abitabile – si fa recinto temporale, che permette all’infinito di contrarsi in uno spazio-tempo finito, cioè umano. L’immagine – che è
15 Abitare il tempo
20 Archè
GA, Delfi, 2010
21
Abitare il tempo
GA, La Musa dell’architettura, 1990
NOSTOS
Un progetto per il parco archeologico di Hipponion
Dal mare sono giunti, all’approdo. Dall’attracco di Trainiti e dal seno di Porto Venere hanno riconosciuto il sito, il rilievo acropolico di Hipponion. Con questo sguardo – amoroso e guerriero – oggi torniamo a guardare la città antica che origina la moderna Vibo Valentia; senza tuttavia nasconderci le contraddizioni di un incontro che è anche scontro di visioni urbane: perché è questa tensione che genera il progetto. Certo, la città contemporanea ha provato a nascondere e dimenticare la città magnogreca. Noi oggi facciamo un progetto per la città contemporanea, della città contemporanea: reso possibile – grazie all’archeologia – a partire da un disvelamento della città antica; che non è un semplice ricordare ma ancora un ri-conoscere, un conoscere di nuovo ed un nuovo conoscere. Arrivando dal mare – e oggi dall’autostrada – a Vibo Valentia, le mura di Hipponion tornano a segnalare il margine della città ed il suo ingresso: è un ciclopico righello orizzontale che solca la collina di Trappeto; cui fanno eco, a partire dall’opposta altura Belvedere –in dialogo e in controcanto verticale – le presenze puntiformi di moderne torri. La prima torre si colloca a fronte del Temenos di Kore, per ricordarne l’antica funzione di faro urbano; e dare nuovo impulso all’uso contemporaneo di centro sportivo, previsto dal PRG, per il Parco Belvedere. Altre due torri condensano a Vibo nord il tema della nuova porta della città: attraversata dall’asse che conduce in centro, e da quello che risale verso il Castello/Museo; segnalando con un ponte pedonale un ingresso finalmente leggibile, dai tessuti residenziali moderni verso il Parco Archeologico di Hipponion, sul bordo dell’antica area sacra del Cófino. A questa porta simbolica fa da contrappunto funzionale un secondo ingresso dal bordo esterno viario della collina di Trappeto: dove un’ultima torre di progetto permette – con i suoi ascensori panoramici – la risalita diretta verso le mura ciclopiche, da un ampio parcheggio che sa trasformare il suo tetto-giardino in un teatro di antiche e nuove visioni della città. Le torri sono torri moderne, che – come Kahn ci ha insegnato – sanno cum-prehendere, tenere insieme, le tecnologie, le funzioni, i materiali, le spazialità della nostra modernità, con il senso della storia dei luoghi: la Storia che è un campo di rovine,
63 Nostos
66 Archè
67 Nostos
GA, P. versus P., 2016
LE EPIFANIE DEL CLASSICO
Un atelier di progettazione per Hipponion
Il Classico – apollineo e dionisiaco, solare e infernus – è bipolare: è un ibrido, che riunisce diversità inaspettate e sorprendenti; permettendo a noi contemporanei di tenere insieme, in un corto-circuito dell’invenzione, architetture lontane nello spazio e nel tempo, collocandole nel nostro “teatro della memoria” come modelli per la costruzione della città che abitiamo. Per questo motivo le feroci Carceri, o l’ombroso Sotterraneo Fondamento che Piranesi disseppelliva del Mausoleo di Elio Adriano, possono stare insieme a quel panopticon, solare ma non meno crudele, della Casa dello Studente che Franco Purini progettava nel 1978 a Reggio: prigione dedalea dalla sezione piramidale e costrittiva, che sporge sul vuoto una ferrigna tribuna-scalinata a far da trampolino al folle volo di un Icaro di Calabria. Scala aerea ed infernale insieme è anche quella incisa nel 2011 sempre da Purini, come su muri di suburra d’un Satyricon felliniano: il gioco della scala ascende una parete verticale svuotata del suo soggetto, dei suoi abitanti: quel popolo dimentico e affaccendato alla festa de Noantri; ora la festa è finita, e il suo soggetto è letteralmente sub-jectum, gettato sotto, sotto il suolo, sotto terra. Così lo scenario di questo theatrum mundi puriniano diventa muta facciata di un colombario romano; e possiamo dire, con Loos, dopo Loos: «Qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura». Ci accorgiamo allora che stiamo contemplando dall’alto una sequenza orizzontale di tumuli: perché il gioco della scala si ri-vela quando la misura di Purini si fa declaratoria delle misure di “finestre di cortile” che sono fosse e recinti scavati su un temenos nella nuda roccia. Dallo scandaglio dei rimandi, dunque, le preesistenze archeologiche emergono nella nostra contemporaneità come, appunto, pre-esistenze, come fantasmi: oggetti enigmatici e perciò consegnati al loro silenzio (il Grande Silenzio rappresentato da A. Anselmi nel 2011); ma che possono tornare ad offrire nel paesaggio una miracolosa epifania di smaglianti analogie. Così il moderno vassoio del tetto-giardino della Unité lecorbuseriana, è riportato a terra da Alessandro Anselmi nel sistema direzionale di Pietralata-Tiburtina (1996) per trasformarsi in un sistema di moderni Fori: che mentre rivela l’ideale classico della lezione di Roma – dove, come scriveva nel 1923 Le Corbusier,
79 Le epifanie del classico
Franco Purini, Casa dello Studente a Reggio Calabria, 1978
Franco Purini, Il gioco della scala, 2011
Un’ultima ipotesi d’intervento è sperimentata attraverso il progetto Sciuto, che si concentra sul tema di un unico edificio-piazza, di forte impatto monumentale e paesaggistico. L’insieme funzionale di antiquarium e centro di servizi per il vicino parco archeologico è risolto dalla costruzione di un Grande Muro, che costituisce il contraltare “moderno” alle rovine della muraglia magno-greca: per questo, al ruvido paramento di pietra dell’antica cinta fortificata, il progetto oppone la superficie astratta e “purista” con la quale Le Corbusier ha interpretato il Classico. La successiva articolazione del programma progettuale è costituita dalla piegatura dell’involucro architettonico che, sul modello del Municipio di Fiumicino di Alessandro Anselmi, distende la superficie verticale di prospetto in un piano orizzontale: a definire la nuova piazza urbana quale moderna Agorà, affacciata verso il mare, e porta d’ingresso al centro cittadino di Vibo Valentia.
90 Archè
Atelier di Architettura, diretto da Giuseppe Arcidiacono con Carmine Quistelli: progetti elaborati da Antonia Sartiano – Martina Sciotto Giuseppe Mattia Alberto – Pierluigi Gerace Alessia Belvedere Antonino Sciuto
91 Le epifanie del classico