Giovanni Tomassetti
Giancarlo Rosa Insegnare semplice un saper fare complesso
Giancarlo Rosa, con Giovanni Tomassetti e Claudio Proietti, Museo Diocesano nell’episcopio di Rieti, 2004.
Indice 09
Giancarlo Rosa. Insegnare architettura 70 anni di trasmissione del saper progettare di Giovanni Tomassetti
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Tre saggi di Giancarlo Rosa La qualità dello spazio nel progetto dell’alloggio in Progettazione della residenza, 1987
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Il dettaglio architettonico
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L’insegnamento dell’architettura degli interni
in Dettagli di architettura di Danilo Guerri, 1991
in Architettura Interni. Convegno IUAV, 2005
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Appendice La griglia-guida alla progettazione. 1976 in Lotus, n. 21, dicembre 1978
«È curioso a vedere che quasi tutti gli uomini che vagliono molto, hanno le maniere semplici; e che quasi sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco valore» G. Leopardi, Pensieri/CX
Giovanni Tomassetti
Giancarlo Rosa. Insegnare architettura 70 anni di trasmissione del saper progettare Introduzione. Primi anni, formazione, Quaroni e il metodo didattico «L’esperienza di una vita mi ha chiarito le grandi differenze, per l’architettura, fra saper fare e saper insegnare; e quelle esistenti tra saper parlare di architettura e saper insegnare a “fare” un progetto o, se si preferisce, ammesso che le forze a disposizione siano sufficienti, a “fare” una “composizione” che raggiunga almeno la soglia più bassa dell’opera d’arte»1. Giancarlo Rosa nel 2001, l’anno della discussione della mia tesi di laurea, produce un contributo molto interessante incluso nel volume pubblicato per l’anniversario della fondazione della facoltà2. Lo scritto si intitola Bibliografia dei libri per la didattica curati dai 1. Ludovico Quaroni, Il tirocinio progettuale come avvicinamento all’architettura, Edizioni Kappa, Roma, 1979. 2. AA.VV., La facoltà di Architettura dell’Università “La Sapienza”. Dalle Origini al 2000. Edizioni Kappa, Roma, 2001.
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docenti delle discipline compositive-progettuali della Facoltà di Architettura di Roma, e termina con la citazione quaroniana. Rosa continuerà a svolgere l’attività di docente per altri otto anni, fino alla pensione nel 2008, due anni prima della discussione della mia tesi di dottorato e poi negli anni successivi, invitato nei laboratori di progettazione e poi ancora come responsabile di un seminario all’interno del Dottorato di Teorie e Progetto del dipartimento DIAP. Il rapporto di Rosa con la didattica ha origine insieme alla sua passione per l’architettura ma a differenza della sua attività progettuale non è mai stata indagata sistematicamente3. Nella sua lunga attività Rosa ha prodotto almeno sedici libri sulla didattica e oltre trenta saggi ma, a ben vedere, è possibile trovare in ogni suo scritto un messaggio indirizzato a chi ha intenzione di cimentarsi con l’attività progettuale. Certamente lo stesso può dirsi di moltissimi docenti della facoltà di Architettura, alcuni dei quali ho avuto modo di conoscere personalmente, ma pochi come lui hanno avuto come principale obiettivo, insieme all’architettura, la definizione di una strategia didattica appropriata ed efficace. Spesso si ha la sensazione che per Rosa sia più importante la didattica dell’architettura rispetto alla progettazione dell’architettura stessa, 3. I progetti di Giancarlo Rosa sono stati pubblicati in modo esteso ed esaustivo e la sua opera è stata trattata in numerosi testi e monografie. Il tema della didattica, affrontata da Rosa in modo diretto e indiretto in più di cinquanta anni di pubblicazioni, è stata oggetto di una pubblicazione specifica nel 1998.
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Rosa spiega continuamente come è possibile insegnare a progettare, e indica la strada che secondo lui deve essere percorsa per intraprendere il mestiere di architetto. Il rapporto con l’insegnamento di Giancarlo Rosa è segnato da alcune tappe fondamentali e risale alla sua giovinezza. La prima va ricercata nel rapporto di Rosa con il suo mentore-maestro, la seconda nella decisione di lavorare all’università con Alfredo Lambertucci, la terza si compie con il passaggio all’ICAR 16, la quarta, durante l’ultimo decennio prima della pensione, è rappresentata dal continuo misurarsi con le riforme spesso non condivise, con le modalità progettuali mutate dall’uso degli strumenti digitali e dalla rivoluzione internet. Nel 1998 Rosa pubblica L’insegnamento della composizione architettonica, primo bilancio della sua attività accademica dove affronta in modo approfondito e sistematico il tema della didattica e ribadisce quanto già detto in tanti altri scritti: «In tutte queste esperienze, in controtendenza con altri metodi di insegnamento, ho sempre ritenuto sia necessario esercitare l’imitazione, perché si impara solo imitando, seguendo una linea ben determinata, un solo grande architetto alla volta, conosciuto in tutta la sua opera»4. Più avanti aggiunge: «Agli studenti non ho mai imposto né la mia architettura, né una mia ipotesi progettuale sui temi di esercitazione. Al contrario ho tentato di trasmettere la 4. Giancarlo Rosa, L’insegnamento della composizione architettonica, Officina Edizioni, Roma, 1998, p. 83.
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M. Simonetti e G. Camporesi, Museo Pio-Clementino, disegni di studio propedeutici alla realizzazione della scheda analisi redatta per la tesi di dottorato, disegno eseguito da G. Tomassetti.
mia passione per l’architettura; l’onestà progettuale ed esecutiva; l’esercizio, con competenza, del proprio lavoro, della propria arte nel senso dell’antico artigianato; l’attenzione al benessere degli uomini abitatori di case; la necessità di continuare a studiare insieme alle innovazioni, la storia dell’architettura, “la sola via maestra” secondo Le Corbusier , cioè quello che l’uomo ha fatto e perché in quel modo in architettura nel corso di millenni, e confrontarlo con l’oggi; la necessità di studiare la geografia, che l’architettura nasce dai luoghi, e per quei luoghi...».5 Su due concetti vale la pena di soffermarsi: l’“imitazione” o “copia”, e l’idea di trovare la soluzione da sé, dentro di sé, tra le conoscenze acquisite attraverso lo studio. La definizione di “copia” nel vocabolario online Treccani così recita: «Trascrivere fedelmente, mettere in bella copia» e poi «Eseguire copia di uno scritto mediante un procedimento meccanico, o di un disegno ricalcandolo o lucidandolo» e come ulteriore opzione «Riprodurre un’opera d’arte o altro modello; anche, ritrarre dal vero»6. Tutti i vocabolari consultati7 inseriscono come terza variante del primo significato quello di riprodurre un’opera d’arte e ritrarre dal vero, in riferimento alla prassi degli artisti rinascimentali e non solo. È curioso verificare che, mentre nell’idea comune la copia è di per sé da biasimare, nel primo significato non 5. Ivi, p. 85. 6. AA. VV., Vocabolario online della lingua italiana, Treccani 2022. 7. Devoto-Oli, Garzanti, Zingarelli, Hoepli e Treccani, citato nel testo.
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Giancarlo Rosa, con Giovanni Tomassetti e Claudio Proietti, Museo Diocesano nell’episcopio di Rieti, 2004.
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Giancarlo Rosa, Biblioteca di una casa a Reggio Emilia, 1988.
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Tre saggi di Giancarlo Rosa
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Le scale sono le stesse per il bambino, l’adulto e il vecchio. Sono concepite nelle misure adatte particolarmente al ragazzo, che aspira a fare le scale tutte d’un fiato, sia in discesa che in salita. È bene considerare anche il pianerottolo come un luogo dove sedersi, presso una finestra, con accanto, possibilmente, uno scaffale con qualche libro. La persona anziana, salendo assieme al ragazzo, potrà sostare qui, mostrando interesse per un certo libro ed evitando di dare spiegazioni sulla propria stanchezza. Il pianerottolo vuole essere una stanza. Louis I. Kahn, La stanza, la strada e il patto umano
Pubblicato in: Giancarlo Rosa, La progettazione della residenza, Edizioni Kappa, Roma 1996. Le immagini sono tratte da Giancarlo Rosa, Atlante dell’abitazione moderna 1901- 2002, a cura di Paolo Rosa, Officina Edizioni, Roma 2019.
La qualità dello spazio nel progetto dell’alloggio Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, cap. 4: «[…] Tancredi voleva che Angelica conoscesse tutto il palazzo nel suo complesso inestricabile di foresterie, appartamenti di rappresentanza, cucine, cappelle, teatri, quadrerie, rimesse odorose di cuoi, scuderie, serre afose, passaggi, scalette, terrazzini e porticati, e soprattutto di una serie di appartamenti smessi e disabitati, abbandonati da decenni e che formavano un intrico labirintico e misterioso […] Le scorribande attraverso il quasi illimitato edificio erano interminabili; si partiva come verso una terra incognita, e incognita era davvero perché in molti di quegli appartamenti e ripieghi neppure don Fabrizio aveva mai posto il piede, il che del resto gli era cagione di grande soddisfazione, perché soleva dire che un palazzo del quale si conoscevano tutte le camere non era degno di essere abitato».1 Il quasi illimitato edificio di Donnafugata sembra avverare l’esigenza della “vera” casa, l’idea della casa degna, cioè “giusta” per essere abitata. 1. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, Feltrinelli Editore, Milano, 1958-1963, pp. 106-107.
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Arte non v’è, che porti seco delle scienze maggior necessità: che de’ color non può trattare il cieco. Che tutto quel, che la natura fa, o sia soggetto al senso, o intelligibile per oggetto ai pittor propone, e dà. Che non dipinge sol quel, che è visibile, ma necessario è che talvolta additi tutto quel c’è incorporeo, e ch’è possibil Salvator Rosa, Satire
Pubblicato in: Giancarlo Rosa, Dettagli di architettura di Danilo Guerri, Officina Edizioni, Roma 1991.
Il dettaglio architettonico Quando mi trovo a riflettere sul “dettaglio” sia nella teoria che per un progetto di architettura, mi torna sempre alla mente un passo di Walter Gropius letto, ormai da tanti anni, su quell’eloquente libro che è stato Architettura integrata: «l’architetto non deve considerare la relazione dimensionale assoluta tra il nostro corpo e gli oggetti che vediamo: deve pure prevedere le distanze variabili dalle quali l’osservatore potrà vedere l’opera. L’effetto di un edificio sarà forte solo quando saranno state soddisfatte tutte le condizioni rispetto alla scala umana, da qualunque possibile distanza o direzione esso venga osservato»1. È un’affermazione apparentemente ovvia e scontata, eppure il modo didascalico, con cui Gropius poneva l’accento su quelle questioni compositive, dava quasi il senso della scoperta di verità altrimenti dimenticate. Visto da lontano l’edificio dovrà presentarsi con un profilo evidente, cosicché anche l’osservatore poco attento 1. Walter Gropius, Scope of Total Architetture, 1955 (trad. it. di R. Pedio, Architettura integrata, Arnoldo Mondadori, Milano, 1959).
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Partito architettonico e particolari del Colosseo, da S. Serlio, Trattato di architettura, edizione a cura di R. Peake, London 1611
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potrà coglierne all’istante la sua forma caratteristica. Più da vicino devono distinguersi le sue articolazioni volumetriche, e il gioco delle ombre costituirà il sistema di misura tra le parti rispetto all’insieme. E finalmente, essendogli così vicino da non poterlo abbracciare tutto con un solo sguardo, l’occhio dovrà essere attirato da una nuova sorpresa nel modo di esecuzione delle superfici e dei suoi elementi più minuti. La sorpresa del “dettaglio”, colto da distanza ravvicinata, che solo l’esperienza dal vero può offrire, come quelle volte che vediamo la colonna del tempio greco, priva della base, con la pietra su cui poggia segnata da un lieve avvallamento di pochi millimetri tutt’intorno alla sua superficie d’appoggio, un avvallamento della sola larghezza sufficiente ad apprezzarlo. Di fronte alle architetture greche Le Corbusier si interrogava: «L’emozione da cosa nasce? Da un rapporto determinato tra elementi categorici: cilindri, pavimento levigato, muri levigati. Da una concordanza con le cose del luogo. Da un sistema plastico che distende i suoi effetti su ogni parte della composizione. Da un’unità di idea che va dall’unità della materia fino all’unità della modanatura»2. La modanatura è quindi l’apice, in senso artistico, raggiunto dal dettaglio nato dall’esigenza funzionale, la sua maggiore astrazione, la meta di un cammino Vers une architecture, come era il titolo che Le Corbusier ha 2. Le Corbusier in Vers une architecture, Edition Crès, Paris, l923 - tr. it. di P. Cerri, P. Nicolin e C. Fioroni: Verso una architettura, Longanesi & C., Milano, 1979).
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Porzione di ossatura di facciata, da A. Sacchi, L’economia del fabbricare, Ulrico Hoepli, Milano 1879.
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colmato delle immagini dei più utilitari edifici industriali, dei piroscafi, degli aeroplani, delle automobili, il libro che è senza equivoci il manifesto dell’architettura del tempo moderno, quell’architettura che deve trovare la sua linfa vitale nella modanatura classica. «La modanatura è la pietra di paragone dell’architetto. Qui si rivela artista o semplice ingegnere. La modanatura è libera da ogni costrizione. Non si tratta più da consuetudini, né di tradizioni, né di procedimenti costruttivi, né di adattamento a bisogni utilitaristici. La modanatura è pura creazione dello spirito; richiama l’arte plastica»3. Nel progetto, dice Le Corbusier, esigenze utilitarie hanno determinato, anche se non in maniera esclusiva, la pianta, il suo volume, le superfici; mentre l’immaginazione e l’intenzione plastica hanno fatto il resto, hanno cioè disciplinato le esigenze utilitarie verso una composizione architettonica. «Allora è venuto il momento in cui bisognava disegnare i “tratti del viso”. Ha giocato con la luce e l’ombra, in funzione espressiva. È intervenuta la modanatura. La modanatura è libera da ogni costrizione, è un’invenzione totale che rende il viso radioso o lo offusca»4. Mies infatti amava dire: «Dio è nei dettagli»5.
3. Ivi, p. 163. 4. Ivi, pp. 177-78. 5. Il detto è citato da Peter Blake in The Architectural Forum, maggio 1958; questo articolo con il titolo “L’art difficile d’être simple”, è stato ancora pubblicato in L’oeuvre de Mies van der Rohe, Editions de L’architecture d’aujourd’hui, Paris, 1958, pp. 24-25.
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Giancarlo Rosa, professore di Progettazione Architettonica e di Architettura degli Interni, ha da sempre perseguito i suoi obiettivi didattici con tenacia e costanza creando di fatto una “scuola” di docenti e architetti formati con i suoi insegnamenti. Nel testo si cerca di mostrare quanto sia attuale un metodo didattico verificato e testato dalle esperienze condotte con centinaia di studenti – ingegneri e architetti di vari corsi di laurea – che trae origine dall'eredità lasciata da alcuni dei fondatori della disciplina ed è stato definito da una paziente attività iniziata molto presto e lunga quasi settant’anni. Un metodo didattico basato su pochi fondamenti – la conoscenza profonda della storia dell’architettura, lo studio approfondito di un “maestro”, la conoscenza della dimensione costruttiva dell’architettura – sufficienti a illuminare la difficile strada di chi decide di intraprendere il mestiere di architetto.
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