From Emergency to Emerging Places
PAOLO BONVINI MADDALENA FERRETTI GIANLUIGI MONDAINIIndice
Contesti dell'emergenza
FRANCESCO
FRANCESCO CHIACCHIERA
Amandola
CATERINA RIGO
Sarnano
FRANCESCO CHIACCHIERA
Montefortino
CATERINA RIGO
Visso
MARIA GIADA DI BALDASSARRE
Pioraco
CATERINA RIGO
Montemonaco
MARIA GIADA DI BALDASSARRE
Montegallo
MARIA GIADA DI BALDASSARRE
Petriolo
MARIA GIADA DI BALDASSARRE
Progetti per riemergere
Tre scenari di trasformazione
MADDALENA FERRETTI
Luoghi del progetto
GIOVANNI TECCO
Stratificazioni resilienti
COSTANTINO CARLUCCIO
Borghi storici come arabe fenici
GIOVANNI ROCCO CELLINI
Dot System
Ricostruzioni resilienti
FRANCESCO ALBERTI
L’identità dei borghi
FRANCESCO CHIACCHIERA
Amandola
San Ginesio
Tolentino
Network System
Reti multiple tra città e paesaggio
MICHELE MANIGRASSO
Connessioni, strategia per riemergere
CATERINA RIGO
Amandola
Montefortino
Sarnano
Visso
Il progetto dei territori di margine
FRANCESCO ROTONDO, FRANCESCO SFORZA
La resilienza del margine
MARIA GIADA DI BALDASSARRE
Amandola
Montefortino
Montegallo
Montemonaco
Pioraco
Sarnano
Strumentario
La ricerca nel laboratorio di progetto
PAOLO BONVINI
Il progetto come energia di rigenerazione
Azioni
Ricomporre lo spazio dell’abitare
Ipotesi di riconfigurazione post sisma del quartiere Madonnetta di Pioraco
GIANLUIGI MONDAINI, GIOVANNI ROCCO CELLINI
Riciclare per rigenerare
La fragilità come occasione architettonica nel caso dell’ex Convento di S. Agostino a S. Ginesio
MADDALENA FERRETTI
L’Appennino centrale: un grande spazio urbano montano policentrico contemporaneo
FABIO RENZI
Nuovi paradigmi per la ricostruzione
Tra strategie, politiche e piani
GIANLUCA LOFFREDO
Sub Commissario Straordinario Ricostruzione Sisma 2016 Regione Marche
Prima di individuare le strategie della “ricostruzione” di un territorio colpito da un sisma mi preme soffermarmi sul termine ricostruzione. Esso evoca alle menti edifici rasi al suolo da ri-edificare tant’è che l’etimologia riconduce alla stessa immagine, il termine deriva dal latino reconstruere, composto da re, di nuovo, e construere, costruire, a sua volta composto da con, insieme, e struere, ammassare. Quindi l’insieme degli ammassi di edifici che non ci sono più devono, dovrebbero, essere ricostruiti. Il termine è analogicamente non corretto o meglio ha valenza solo per limitate aree geografiche colpite da un sisma; sismi di magnitudo, nella scala Richter, superiore al sesto grado producono danni seri ed estesi e hanno elevate probabilità di verificarsi nell’arco di un ventennio nelle zone d’Italia a più elevata pericolosità sismica. Ora in funzione della distanza epicentrale i danni si riducono drasticamente e generalmente solo l’area inclusa pressappoco in un cerchio di 20/25 km centrato sull’epicentro induce un livello di distruzione tale da evocare paesi, frazioni o città rasi al suolo. Ragion per cui i decreti attuativi che discendono dal codice della ricostruzione dovranno contemplare una modulazione delle tipologie di interventi e di approccio al livello di deroghe rispetto alla pianificazione territoriale ante-sisma. Nelle zone interne al cerchio occorre demandare ad un approccio pubblico anche la ricostruzione privata espandendo in modo forte la possibilità di ricorrere, tramite appalti unitari, alla ricostruzione pubblica dei nuclei urbani e dei centri storici dei comuni maggiormente colpiti, secondo quanto previsto dall’articolo 11, comma 2, decreto-legge 20 luglio 2020, n. 76, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120. Il pubblico non il privato deve sancire l’ammontare del contributo sicchè il costo convenzionale, come definito nel decreto-legge n. 189 del 2016, deve essere attribuito dalle pubbliche amministrazioni, senza lasciare adito a scelte del privato sugli obiettivi di prestazione energetica, sismica, digitale o funzionale.
L’azione della ricostruzione, sempre improntata ai principi dell’ottimizzazione delle risorse pubbliche, dovrà contemplare l’indennizzo monetario, commisurato ad una quota percentuale del valore dell’immobile ante sisma, per i proprietari non residenti e non attivamente interessati alla ricostruzione, giovando altresì all’obiettivo di disigillare suolo edificato e restituirlo alle funzioni altre, uso pubblico a diverso titolo funzionale al benessere dell’ambiente e dell’uomo. In particolare la ricostruzione deve concentrare tutti gli sforzi sulle prime case e le attività produttive lasciando alle “seconde case” un’alternativa, ovvero un indennizzo come quota percentuale del valore dell’immobile secondo dati ufficiali ISTAT alla data dell’evento sismico che ha innescato l’inagibilità; questo processo è estremamente virtuoso perché innesca una serie di conseguenze sostenibili a vario livello: sotto il profilo economico perché la ricostruzione è molto più onerosa dell’indennizzo di una quota parte del valore delle unità immobiliari ante sisma, consente di accorpare, laddove non ci siano vincoli diretti del Codice dei Beni Culturali, unità immobiliari in edifici per conseguire una composizione morfologica in linea con il tessuto storico esistente e con l’ambiente circostante disigillando suolo prezioso ai fini della rinaturalizzazione o conversione ai fini dell’interesse pubblico. Aggiungo che le seconde case all’interno di edifici vincolati dovrebbero comunque prevedere un indennizzo sulla quota parte delle finiture interne e gli impianti sempre nell’ottica di ottimizzare la spesa pubblica ed evitare di realizzare bellissimi appartamenti vuoti; sono scettico sulle forme di uso airbnb tante volte decantate come l’uso migliore da parte dei privati: attività turistico-commerciali di questo tipo sono poco diffuse nelle aree del Centro Italia tant’è che i turisti, specie quelli stranieri, tendono a valorizzare i servizi e non il mero involucro. La ricomposizione fondiaria e la riconfigurazione plani-volumetrica dei piani pubblici di ricostruzione saranno improntati non alla realizzazione delle stesse superfici e volumetrie ante sisma ma a concetti performance based in cui il ciclo di vita e la carbon footprint costituiscono il volano della ricostruzione, tesa quindi alla parte immateriale, non solo legate agli obiettivi di rilancio socio-economico, ad esempio favorendo il più possibile il cambio di destinazione d’uso, e di rilancio ambientale. I protocolli energetico-ambientali saranno i drivers delle future ricostruzioni sulla falsariga delle relazioni europee sulla tassonomia della sostenibilità e della lotta ai cambiamenti climatici (si vedano le sei stelle polari che traghettano il piano nazionale di ripresa e resilienza). La parte pubblica avvalendosi delle più idonee misure satellitari o strumentali crea una piattaforma informativa territoriale nella quale convergono tutte le
Le tappe del viaggio
MARIA GIADA DI BALDASSARREGli eventi sismici che hanno colpito il Centro Italia tra il 2016 e 2017, definiti sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso (INGV), hanno avuto inizio ad agosto 2016 con epicentri situati tra l’alta valle del Tronto, i Monti Sibillini, i Monti della Laga e i Monti dell’Alto Aterno. La prima scossa si è registrata il 24 agosto 2016 con epicentro ad Accumoli e Mw 6.0, le successive il 26 ottobre 2016 con epicentro a Castelsantangelo sul Nera e Mw 5.4, il 30 ottobre con epicentro a Norcia e Mw 6.5 e infine il 18 gennaio del 2017 con epicentri a Montereale (Mw 5.1), Capitignano (Mw 5.5), Pizzoli (Mw 5.4) e Cagnano Amiterno (Mw 5.0).
L’area sismogenetica, sempre secondo le osservazioni dell’INGV, sarebbe caratterizzata dalla presenza di diversi segmenti di faglia con elevata complessità strutturale. La scossa principale avrebbe causato una rottura di un segmento di faglia in corrispondenza della città di Accumoli e poi essersi propagata in direzioni opposte verso Amatrice e verso Norcia.
L’ondata sismica ha coinvolto 4 Regioni, 10 Province e 1391 Comuni per un totale di circa 8.000 kmq, raggiungendo magnitudo 6,5 Mw con la scossa del 30 Ottobre, e radendo al suolo preziosissimi centri storici. Fenomeno per intensità maggiore al terremoto che colpì L’Aquila nel 2009 considerato il quinto più disastroso della storia moderna del nostro paese, non tanto per il numero delle vittime, quanto per l’intensità del fenomeno (Sisma 2009 – L’Aquila: magnitudo 6,3 Mw) rispetto all’area colpita.
Tra le regioni colpite, la Regione
Marche è risultata la più danneggiata, con ingenti danni in 86 Comuni su totale di 139 ricadenti nel cratere sismico 2016.
Per le Marche, il bilancio complessivo è stato assai rilevante: oltre 104 mila edifici danneggiati, 54 mila edifici evacuati e 32 mila sfollati, di cui da subito 28.500 hanno usufruito dei Contributi di Autonoma
Sistemazione (CAS) e circa 3.400 persone sono state sistemate nelle strutture ricettive della costa adriatica. La grande maggioranza delle popolazioni, nonostante i grandi e gravi disagi vissuti, non si sono allontanate dai rispettivi territori d’origine, e la scelta di realizzare insediamenti temporanei, SAE, Soluzioni Abitative di Emergenza (operazione che si è dimostrata in questi territori pedemontani e montani, complessa e potenzialmente antieconomica), trova ragion d’essere proprio nella volontà di non disperdere la comunità locale e per cercare di contrastare in qualche forma il processo di abbandono del territorio conseguente al sisma. All’interno di questo contesto di riferimento il Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Archittura si è messo al servizio delle amministrazioni e delle comunità locali per tre anni accademici consecutivi, espandendo sempre più il proprio raggio di azione. L’esplorazione attraverso il progetto è stata offerta al fine di suggerire strategie resilienti ed immaginare interventi innovativi per un possibile futuro delle aree emergenziali.
INGV, ’Terremoto del centro Italia’ cambia nome in ’Sequenza Amatrice-Norcia-Visso’, ANSA, 14 febbraio.
San Ginesio
FRANCESCO CHIACCHIERA
Il Comune di San Ginesio si trova in posizione di alta collina nella parte settentrionale del territorio pedemontano ai piedi del versante orientale del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, di cui il territorio comunale fa parte.
Le origini di San Ginesio probabilmente risalgono all’epoca dei piceni. L’esistenza del Castello fortificato, di cui ora non si hanno resti visibili, è testimoniata sia dai nomi “Castrum” o “Colle” ricorrenti nella storia della cittadina che dagli scavi.
San Ginesio non ebbe né mura né rocche prima del sec. XIII. Agli inizi del XIV secolo la giurisdizione di S. Ginesio era già ampiamente estesa sopra i vicini luoghi e la città fu ricolmata di privilegi dai Duchi di Spoleto e dai Legati pontifici. Nel 1355 San Ginesio fu concesso in feudo ai Varano dal Cardinale Albornoz per dodici anni. All’atto della cacciata dei Varano, nel 1433, San Ginesio recuperò la sua libertà. Nel 1455 tornò definitivamente alle dipendenze della Chiesa. A partire da questo momento e per tutto il resto del periodo di antico regime
San Ginesio fu terra “immediate subiecta” alla Santa Sede. Con l’avvento del Regno napoleonico fu sede di Cantone nel Distretto di Fermo, dipartimento del Tronto. All’atto della Restaurazione fu sede di Governatore, nel Distretto di San Severino, Delegazione di Macerata. Con l’Unità d’Italia entrò a far parte della Provincia di Macerata. Il territorio ginesino è stato storicamente luogo privilegiato dalle comunità religiose, che vi hanno realizzato centri importanti di via
ascetica quali abbazie e monasteri. La storia plurisecolare della città di San Ginesio è strettamente connessa alla costante presenza della Chiesa nel territorio, tanto che si parla di Città delle Cento Chiese. San Ginesio si presenta come un agglomerato urbano racchiuso dalle mura Castellane, fortificazioni ricche di storia, segni che testimoniano la loro funzione protettiva: giungono fino a noi ancora quattro porte intatte ed alcuni torrioni. Delle parti conservate, la migliore con anche un camminamento interno è quella in corrispondenza di Porta Picena.
Il territorio del Comune di San Ginesio con i suoi 78 kmq è uno dei più vasti della provincia di Macerata, il centro storico conserva veri e propri monumenti architettonici: la Pieve-Collegiata (1090), che custodisce molte opere d’arte (dal ’300 ai primi del ’900), si erge maestosa come capolavoro marchigiano di romanico e gotico-fiorito nella piazza centrale intitolata ad Alberico Gentili (1552-1608); quasi contemporanea alla Collegiata è la Chiesa di San Francesco con l’attiguo convento che ospitava la sede comunale prima del sisma del 2016; altra testimonianza dell’importanza del Comune per gli ordini religiosi nel territorio è il complesso agostiniano, che attualmente ospita l’Auditorium comunale e l’istituto superiore “A. Gentili”, con il vicino complesso delle monache benedettine. Numerosi complessi architettonici e palazzi del centro storico hanno subito ingenti danni durante le scosse sismiche del 2016 e del 2017.
Borghi storici come arabe fenici
GIOVANNI ROCCO CELLINIProgettare è sempre un atto critico di trasformazione di una condizione esistente, anche quando si comincia a progettare su una tabula rasa. Tuttavia, la questione diventa più complessa quando la modificazione interessa contesti dove la densità del costruito è più intensa. I centri storici, ad esempio, con le loro stratificazioni di segni, definiscono dei palinsesti dove la progettazione ha il dovere di preservare la vita urbana che tra essi si condensa e, nel caso dei piccoli centri storici marchigiani colpiti dal sisma, accrescerla. Da questi borghi dovrebbe infatti emergere un nuovo modo di abitare che soddisfi i desideri e il comfort degli abitanti, attraendo anche nuove persone che qui ritrovano la dimensione ideale di una città sostenibile e a misura d’uomo. L’architettura ha quindi il compito di prendersi cura dei danni provocati dagli eventi drammatici proponendo delle forme che, senza rinunciare ai linguaggi contemporanei, riscoprono i valori identitari più profondi. Come l’Araba fenice rinasce dalle proprie ceneri, i centri storici distrutti dovrebbero rinascere da loro stessi, ripartendo dalle proprie specificità. È un’operazione progettuale complessa quella di rinvenire con i linguaggi dell’architettura contemporanea quelle forme che manifestano la natura più autentica dei contesti storici; ma è un’operazione di fondamentale importanza dal punto di vista etico ed estetico: solo in questo modo le forme, anziché aliene, sono in grado di rispecchiare le ragioni della collettività. Se attraverso le forme
si è in grado di avere maggiore consapevolezza della realtà, allora la bellezza si disvela e diviene valore da preservare (Moccia 2018). La realtà bisogna quindi comprenderla a fondo e reinterpretarla prima di trasformarla, e nel farlo, i nuovi linguaggi contemporanei che danno forma alle architetture, se sapientemente usati, giocano un ruolo determinante. La loro formulazione, che non è mai l’esito puramente del gusto, deriva da un processo di lettura della realtà che contemporaneamente rimanda al passato, con la ricostruzione di quello che il luogo è stato un tempo, al presente e alle caratteristiche dell’oggi, ma anche al futuro, attraverso l’immaginazione di ciò che potrà essere il nuovo senso delle cose (Flores, Prats 2016). Questo momento di sintesi costituisce una riflessione critica necessaria al progetto di architettura che si pone l’obiettivo di ri-fondare e di far rinascere a nuova vita gli spazi urbani, per farli ritornare ad essere comprensibili e piacevoli alla collettività che in essi si riconosce.
BIBLIOGRAFIA
Flores R., Prats E. (2016), La disciplina dell’esistente. In: Posocco P., Raitano M. ed. (2016) La seconda vita degli edifici. Riflessioni e progetti. Macerata, Quodlibet, p. 115-125.
Moccia C. (2018) La bellezza come disvelamento della natura delle cose. In: Carpenzano O., Nencini D., Raitano M. ed. (2018) Architettura in Italia. I valori e la bellezza. Macerata, Quodlibet, p. 87-93.
Amando|Lab
Progetto di Benedetta Di Leo, Martina Tagliabracci, Camilla Torselletti
Professori
Gianluigi Mondaini con Giovanni Tecco
Corso e Laboratorio
Composizione
Architettonica 3
A.A.
2017/18
Amando|Lab nasce dalla volontà di riqualificare un quartiere residenziale della città di Amandola mediante la progettazione di una scuola di ebanisteria, di un ostello e di una ludoteca intorno ad una nuova piazza. Qui vengono installate delle “colline” artificiali, come elementi di gioco, di relax e schermatura, a simboleggiare la rinascita del territorio post sisma, mentre piccoli edifici-vagone ospitano differenti servizi e richiamano l’antica presenza della ferrovia. Una scuola di formazione di ebanisteria - antico mestiere locale - si colloca all’interno dell’ex consorzio; la struttura a pilastri in cemento armato è stata mantenuta ed è stato creato un ballatoio: nodo centrale poiché collega gli ambienti del piano terra, luoghi di incontro e socializzazione, con il piano seminterrato, adibito allo studio e al lavoro. L’ex stazione ferroviaria viene totalmente recuperata ed adibita ad ostello per gli studenti della scuola di formazione, ma diviene anche un edificio per la comunità mediante un nuovo volume annesso che ripercorre l’antico tracciato ferroviario. La nuova struttura è basata su un sistema di elementi puntuali in legno che richiamano il tema della copertura a falde e racchiudono un volume vetrato destinato alla caffetteria.
Affaccia sulla piazza anche una ludoteca, realizzata in sostituzione dell’ex mattatoio, ormai in stato di abbandono. Il nuovo edificio a setti in cemento armato è caratterizzato da due blocchi sovrapposti di diversa matericità: il piano terra in mat-
toncini richiama l’adiacente edificio anche nelle proporzioni, mentre il corpo superiore è rivestito in legno con fronti vetrati. Fulcro interno è il grande scalone in legno: elemento di collegamento, ma anche teatro per i bambini e luogo di sosta. Amando|Lab è, in conclusione, un progetto che riparte dagli antichi mestieri locali e fa proprio il binomio tradizione-innovazione con l’obiettivo di favorire la crescita della comunità.
Progetto di Letizia Acciarresi, Elisa Francolini, Angelica Tuzi
Professori Gianluigi Mondaini con Giovanni Tecco
Corso e Laboratorio di Composizione Architettonica 3
A.A. 2017/18
Park & Crafts - Tra fiume e città
Park and Crafts è un progetto di architettura urbana e di rinascita per i luoghi dell’industria idroelettrica e della conceria, fondamentali per lo sviluppo della comunità tolentinate. Il taglio operato nella struttura dell’Infopoint, approdo iniziale e snodo di traffico, proietta il visitatore verso un percorso ad anello che tocca tappe legate alle storiche attività manifatturiere e allo svago a contatto col paesaggio fluviale, attraverso luoghi emblematici come il Caffè della Centrale e arrivando a toccare il Cultural Point.
La copertura in corten dell’infopoint, che ospita anche un bike sharing e un’area interattiva, nasce dalla volontà di emulare le coperture a falde degli edifici tipici di Tolentino, attraverso un sistema di piani a diverse pendenze in cui la linea di compluvio è strategicamente sovrapposta alla linea che idealmente divide il percorso pedonale e quello ciclabile, laddove attraverso il taglio essi si proiettano verso il parco fluviale. La vista sul Ponte del Diavolo diviene ancor più apprezzabile fruendo del volume panoramico addizionato al caffè letterario, ex Centrale del Littorio, prima e principale centrale idroelettrica della città, posta nel punto di arrivo dell’antico cardo. Una passerella, con punto focale verso la porta della città storica, conduce il visitatore sulla sommità di un’antica struttura in muratura che contiene le vecchie canalizzazioni, valorizzata tramite un sistema di collegamenti accessibili, rivestiti in corten: una rampa dalla forma dinamica accompagna l’utente al piano del percorso sotto-
stante, mentre tramite una seconda passerella è possibile accedere al volume panoramico.
Il piano di approdo di quest’ultimo collegamento offre la possibilità di fruire, attraverso aperture pensate per essere utilizzate da ogni tipologia di utenti, di una sorta di cannocchiale che permette di godere della suggestiva vista del fiume che scorre attraverso le campate dello storico ponte.
Progetto di Eleonora Fanesi
Relatore
Gianluigi Mondaini
Correlatori
Paolo Bonvini
Antonello Alici
(Ri)costruire dalle macerie
Il lavoro di tesi parte da una riflessione sul futuro dei territori colpiti dal sisma del 2016 e si propone di ripensare la ricostruzione, trasformandola in un’occasione di rilancio economico del territorio, attraverso la creazione di nuove spazialità capaci di coniugare, rinascita, innovazione e identità.
Tra le zone maggiormente colpite e devastate si trova il borgo di Visso, un’area già critica da prima del sisma, classificata come “area interna”, con gravi fenomeni di spopolamento e invecchiamento della popolazione e carenza di servizi. Al contempo però Visso svolge un ruolo chiave nella Regione, sia per le sue bellezze naturali e il suo patrimonio storico-culturale, che per la sua posizione strategica di collegamento tra le Regioni Marche e Umbria. In questo contesto la ricostruzione può essere vista sia come una minaccia, se realizzata nella maniera istituzionale che può portare ad avere una città museo con le stesse criticità preesistenti, che come un’occasione di rinascita mediante l’applicazione di un nuovo approccio resiliente ed integrato. L’idea alla base della progettazione è quella di mettere il borgo di Visso ‘in rete’ con gli altri territori colpiti dal sisma, per creare un sistema di relazioni e servizi, andando a riattivare le micro economie legate alle tipicità locali, tutelando e valorizzando il patrimonio naturalistico e culturale, e ricostruendo non solo il patrimonio edilizio, ma anche il tessuto immateriale delle relazioni e dell’identità. Attraverso la proposta progettuale le macerie, una
delle principali criticità, diventano le fondazioni della nuova identità locale: attraverso un processo di raccolta e selezione esse saranno riutilizzate in loco per realizzare nuove orografie urbane, con l’inserimento di servizi, di spazi per le attività commerciali temporanee e per la progettazione partecipata.Per mezzo di un’operazione di ristrutturazione urbanistica e di ricucitura del tessuto urbano disgregato si andrà a realizzare un parco urbano, ristabilendo una connessione tra diverse parti della città. L’assetto d’insieme prevede la valorizzazione del cuneo tra le due vie di accesso principali alla città, con l’inserimento di diversi poli: sportivo, culturale, per uffici – coworking –fab lab, residenziale, commerciale per le tipicità enogastronomiche e artigianali. Il masterplan generale del piano terra mostra il sistema degli spazi pubblici che si viene a creare, diramandosi tra le nuove orografie urbane e tra i volumi che si innestano sull’esistente, andando a confluire in una nuova piazza attrezzata polifunzionale grazie ad una infrastruttura metallica circolare, realizzata riutilizzando i tubi giunti dei puntellamenti. Il risultato finale è quindi un parco urbano simbolo della ricostruzione, ibrido di funzioni e attività che punta a rilanciare il territorio, valorizzandone la natura, le origini e le tradizioni, per poter ricostruire Visso e garantirne uno sviluppo futuro.
Progetto di Lorenzo Falcioni
Rosa Palma
Alessandra Traballoni
Relatore
Gianluigi Mondaini
Correlatore
Francesco Clementi
Visioni strategiche per Petriolo
Petriolo è un borgo dell’entroterra maceratese caratterizzato da una potenzialità di investimento sulla propria identità e sullo sviluppo economico, turistico e culturale. Tuttavia, il suo territorio ha subito un degrado sia del tessuto edilizio, per gli effetti del sisma del 2016, sia sociale, per un lento spopolamento e una condizione economica stagnante. Risultano necessarie strategie innovative che, da un’analisi su scala regionale, provinciale ed infine intercomunale, individuino temi e linee di sviluppo. A partire da questa analisi, il progetto inserisce Petriolo in un sistema di reti virtuose intrecciate sul territorio. I luoghi della cultura vengono messi a sistema generando flussi di condivisione della creatività e dei saperi artigianali, come in un grande laboratorio a scala territoriale che si attua con piccole azioni, quali il riuso di spazi per mostre e laboratori o la condivisione delle stagioni teatrali tra i borghi. A connettere tali luoghi, si immagina una infrastruttura della mobilità lenta con percorsi naturali, ciclopedonali e turistici lungo il corso dei fiumi Fiastra e Chienti, supportata da una rete di condivisione dei mezzi di trasporto, con strategie di bike e car sharing. Viene così riportata l’attenzione sulla dimensione locale con l’opportunità di far parte di una struttura interconnessa a livello regionale, in un nuovo scenario sostenibile e condiviso. Inoltre, con l’obiettivo di rendere Petriolo un Borgo Vivibile, Creativo ed Innovativo, la sua vocazione culturale viene mescolata a nuovi stimoli sociali
ed economici. Il progetto individua così tre macroaree funzionali, in ognuna delle quali attivare, con modalità diverse e per quattro fasi temporali consecutive, un programma di interventi che riusano e riconnettono gli spazi del tessuto urbano. L’azione parte da una prima fase con eventi ed installazioni temporanee che segnalano i luoghi della rigenerazione, e si evolve nelle fasi successive con la creazione di un sistema di nuove polarità, posizionate in maniera strategica e diffusa nel tessuto urbano storico. Prendono vita un hub creativo, polifunzionale e laboratoriale, come luogo dello scambio e dell’incontro, la cui architettura ricostruisce i volumi dell’antico palazzo “De Nobili” e dell’antica torre a partire dalle tracce murarie ancora oggi presenti, un complesso di residenze temporanee e innovative all’interno di vuoti ed involucri urbani come spinta a riabitare il borgo, uno spazio pubblico con aree verdi, giardini, piazze ed aree gioco che ridisegna i contorni sfrangiati del costruito fuori dalle mura del Castello, ne ricuce i vuoti urbani rimasti privi di ruolo e ne riconnette i dislivelli, per donare a chi abita il borgo un luogo dello stare. Il progetto immagina in questo modo una visione coraggiosa della futura e ricostruita città di Petriolo, viva e vivibile, permeabile allo scambio, ricca per il suo retaggio storico e per le nuove architetture che con esso si relazionano.
Riciclare per rigenerare
La
fragilità come occasione architettonica nel caso dell’ex Convento di S. Agostino
a S. Ginesio
MADDALENA FERRETTIIl complesso di S. Agostino è uno dei più importanti manufatti storico-religiosi del centro storico di San Ginesio, un convento che rappresenta la cultura monastica e umanistica ginesina. Dal Medioevo esso ospitava le cattedre di Filosofia e Teologia e oggi è sede dell’Istituto di Istruzione Superiore “A. Gentili” con al suo interno il liceo linguistico, delle scienze umane e scientifico. La Chiesa, parte del complesso monumentale, ha impianto romanico (circa 1230) ma è stata trasformata totalmente nel XVIII secolo (Mariano, 2004). Da quando fu sconsacrata nel secolo scorso essa ha ospitato l’auditorium comunale, reso inagibile tuttavia in seguito agli eventi sismici del 2016-2017 che hanno interessato il centro Italia.
In linea con l’idea di riciclo del patrimonio costruito esistente (Bocchi, 2017) e per evitare di espandere ulteriormente la città, valorizzando invece le risorse architettoniche a disposizione in contesti che peraltro presentano trend di calo demografico e spopolamento (Barca et al. 2014; Sargolini et al. 2022), si è proposto un recupero della chiesa per rigenerare il contesto urbano circostante e per riportare la vita in questo luogo riattivando un importante attrattore culturale.
La proposta di recupero, immaginata attraverso una ricerca progettuale che ha visto coinvolto il Dipartimento di Ingegneria Civile Edile Architettura dell’Università Politecnica delle Marche nell’ambito delle attività di terza missione1 (1), prevede il mantenimento e il
recupero del fabbricato attraverso l’attuazione di interventi strutturali atti a garantirne la stabilità, unitamente all’inserimento di nuove installazioni funzionali allo svolgimento delle attività proprie di un auditorio, al fine di poter essere utilizzato dalla cittadinanza come sala polivalente per spettacoli, riunioni ed attività sociali, culturali e ricreative.
Dal punto di vista urbano l’edificio si colloca all’interno del centro storico di San Ginesio in una posizione strategica vicino alla piazza principale. La facciata arretrata e leggermente ruotata crea un vuoto di forma trapezoidale in corrispondenza della facciata nord del complesso di S. Agostino. Ad ovest invece il lato della navata caratterizzato da cortina muraria si apre su un generoso spazio aperto in cui si percepisce la differenza di quota tra lato nord e sud, fino ad arrivare all’abside poligonale con una caratteristica copertura a falda unica. Il sisma del 2016 ha provocato danni in particolare nel torrino ovest ma anche nelle principali strutture murarie con fenomeni di distacco. Per ragioni di sicurezza la parte sommitale del torrino è stata demolita.
In questo contesto la ricerca progettuale si è concentrata sull’idea di preservare il bene architettonico nella sua caratterizzazione spaziale e decorativa e di aggiungere pochi elementi, fondati sul principio di flessibilità e assoluta reversibilità, che vadano a garantire la funzio-
A seguito del sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, il Corso di Laurea in Ingegneria Edile-Architettura dell’Università Politecnica delle Marche, con il suo gruppo di ricerca Hub for Heritage and Habitat dell’area Architettura, ha dedicato un programma di esplorazione progettuale per alcune città colpite dall’evento sismico all’interno della Regione Marche.
ISBN - 978-88-6242-918-4
9 788862 429184
22,00 €