La Quinta da Conceição di Fernando Távora

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a cura di Antonio Esposito, Giovanni Leoni

La Quinta da Conceição di Fernando Távora

Variazioni fotografiche

PNRR PE CHANGES Spoke 7- Università di Bologna Unit

THE HISTORICAL CITY A critical reference and role model for Innovative urban and metropolitan development

Il presente volume nasce dalla rielaborazione di un colloquio tra i curatori e i fotografi tenutosi nello studio di Roberto Collovà a Palermo il 16 febbraio 2023.

Gli autori desiderano ringraziare la Fundação Instituto Arquitecto José Marques da Silva per avere reso disponibili i materiali d’archivio.

I curatori ringraziano Alvaro Siza per avere gentilmente concesso la pubblicazione del testo e degli schizzi che chiudono il presente volume.

Sigle

AFIMS Archivio Fundação Instituto Arquitecto José Marques da Silva

Saggi introduttivi

Antonio Esposito

“Interpretare e riutilizzare l’esistente”

Giovanni Leoni

Progettare con il corpo. Fernando Távora nella Quinta da Conceição

Saggi fotografici

Roberto Collovà

Architettura della fotografia

Alessandra Chemollo

Il frammento del concetto

Ivana Barbarito

La fotografa non chiude mai un occhio

Sebastiano Raimondo

Una verifica nella Quinta da Conceição di Fernando Távora

Il progetto

Excipit

Alvaro Siza

Quinta da Conceição

Antonio Esposito

“Interpretare e riutilizzare l’esistente”

La mattina del 18 settembre 1997, Fernando Távora, posizionato nel mezzo del patio rosso, appena un pò disturbato da qualche folata di vento che muove i fogli sulla lavagna, racconta ad un pubblico di studenti e docenti portoghesi, spagnoli e italiani1, seduti sulla scalinata di ingresso, la Quinta da Conceição. Il progetto e le vicende che ne hanno accompagnato genesi e realizzazione.

In quella occasione credo di aver colto tutto ciò che ho potuto delle ragioni di questo progetto, arricchite, ogni volta che ci sono tornato a distanza di anni, rielaborando a posteriori il senso di quella descrizione. Perciò ho pensato che il modo più opportuno di scriverne oggi, fosse a partire dagli appunti di quella mattina, riportando tra virgolette alcune delle frasi fedelmente – io credo, ma lo si prenda col beneficio d’inventario giacché la trascrizione include pure la simultanea traduzione dal portoghese in italiano – da me trascritte in diretta come da lui pronunciate.

“La forza dell’architettura ha sottratto queste quintas all’ignavia della politica”. Come è ormai noto, l’assetto a suo tempo studiato per proteggere il Parco delle Quintas da Conceição e de Santiago2 dall’invadenza incontrollata dei lavori per l’ampliamento del porto di Leixões e della viabilità veloce connessa – programma che alla metà degli anni ’50 occupava naturalmente le coscienze dei cittadini e dei politici portuensi lasciando poco spazio ai rimorsi per l’eventuale perdita di pezzi del patrimonio e del paesaggio3 – nasce come emergenza per limitare il sacrificio di una parte consistente del terreno che includeva i resti del chiostro del convento4

Le due quintas avevano origini diverse: quella da Conceição nasce dal convento di Nossa Senhora da Conceição che i frati francescani, acquartierati in alloggi di fortuna sulla costa oceanica di Leça – l’abi-

tato del comune di Matosinhos cresciuto a nord del fiume omonimo e del porto di Leixões –, avevano cominciato a costruire nel XV secolo senza mai però completarlo; solo in seguito, nel XIX secolo, è divenuta una residenza privata con la costruzione del palazzetto a corte che all’epoca del progetto era utilizzato come caserma di polizia, uso che si è mantenuto fino a tempi recentissimi. La Quinta de Santiago nasce come residenza privata estiva, progettata alla fine dell’Ottocento dall’architetto Nicola Bigaglia, italiano che dal 1888 si trasferisce stabilmente in Portogallo, e poi restaurata dallo stesso Fernando Távora a partire dal 19815

I terreni delle due residenze sono adagiati su di un pendio che degrada per terrazzi a sud, verso il corso del fiume Leça o, in seguito all’esecuzione delle opere di ampliamento del porto, verso la viabilità che costeggia la banchina. L’unione di fatto delle due quintas in un solo parco nel progetto di Távora, avviene circa trent’anni dopo le prime sistemazioni, grazie alla realizzazione del ponte pedonale curvo che sovrappassa la strada che a sua volta, aveva coperto un preesistente corso d’acqua.

L’opera si realizza negli anni, man mano che l’amministrazione di Matosinhos rende disponibili le necessarie risorse economiche. I tempi lunghi dell’esecuzione fanno sì che il progetto si adatti continuamente alla variazione delle esigenze e alle economie del momento, trovando nella variabilità contingente una ragione in più di esprimere la sua capacità intrinseca di aderire alla realtà mutevole, senza perdere lo spirito essenziale originario. Si tratta di un progetto pienamente circostanziale secondo i criteri che lo stesso Távora in quegli anni teorizzava6, in cui il progetto interagisce in una relazione biunivoca con la circostanza in cui è immerso; lo condiziona e ne è condizionato. Come in uno spartito di base su cui possono innestarsi variazioni e rettifiche, negli anni si sono aggiunti obiettivi e porzioni di terreno e si sono perse alcune funzioni inizialmente previste. Tanto che forse ancora oggi è possibile considerarlo un’opera aperta.

Nei pressi di un ingresso secondario alla Quinta da Conceição, alla quota alta del terreno, Távora progetta il patio rosso, l’ingresso più architettonico e scenografico al parco, uno spazio concluso cinto da muri per tre lati. Il quarto lato confina con un piccolo parcheggio dal quale lo separa un’ampia rampa di gradini e una bassa cancellata. Sul lato opposto del parcheggio, si affianca un patio minore, anch’esso tinteggiato di rosso, che dà accesso alle aree tecniche di servizio e completa l’insieme degli spazi di sosta e di ingresso che mettono in relazione il parco con la strada.

Sebbene sin dalle prime planimetrie di progetto emerga subito l’intenzione di pensare il parco come luogo di convergenza di percorsi provenienti da diverse direzioni e distanze, probabilmente il patio rosso era stato immaginato in origine come l’accesso principale al parco, quello più alla portata dei cittadini di Leça e più a diretto contatto con la viabilità storica, dunque raggiungibile più facilmente a piedi

Gli appunti della lezione.

Il patio rosso annuncia al visitatore il tema dello spazio aperto recintato che, a diverse scale e mediante diverse modalità di costruirsi, ricorre varie volte all’interno del parco come modalità per scandire la lettura dello spazio naturale in episodi e moltiplicarne l’effetto spaziale, mediante compressioni, limitazioni e improvvise aperture dello sguardo.

L’alta siepe che affianca i resti ricomposti del chiostro forma, ad esempio, degli spazi recintati: una corte e due corridoi. Così pure il sagrato della cappella. Gli stessi campi da tennis stanno all’interno di un’ampia corte che si apre verso il porto ed è definita dalla vegetazione e dalle pareti contro terra in blocchi di granito, dietro una delle quali sono alloggiati gli spogliatoi e i servizi, sormontati dal famoso padiglione. Un piccolissimo spazio, analogamente fatto di vegetazione e granito, in cui campeggia un grande albero che lo copre interamente ad ombrello, si interpone tra la cappella e i campi da tennis e, grazie ad una panchina di granito, può fungere da saletta di attesa per gli atleti prima di entrare in campo. Una piccola perla quasi inosservata che Távora prediligeva.

Se dunque in origine la spazialità compressa del vestibolo e la sua essenza minerale anticipavano per contrasto l’ariosità dello spazio naturale, oggi, con la prevalenza di ingressi dal basso in asse con i campi, il patio rosso è diventato piuttosto un terminale dei percorsi, o un luogo di sosta per chi fa ginnastica o meditazione e qualche volta i tennisti lo usano per riscaldarsi contro il muro prima del gioco. Il suo portale – un taglio totale della muratura cucito da un poderoso architrave di granito – completato dal sistema di scale e vialetti che, salendo o scendendo, introducono i percorsi nelle tre direzioni, oggi funziona più da traguardo in lontananza che da varco obbligato.

La composizione è elementare e asciutta al massimo grado. Il muro di cinta preesistente stabilisce l’altezza del perimetro murario e la giacitura del lato obliquo. Le due direzioni della strada urbana e dell’asse principale gradinato, determinano la geometria trapezia della pianta che, mediante la pavimentazione, Távora riconduce alla figura più classica del quadrato. Il triangolo residuo è un’aiuola in cui campeggia un albero11 che, assieme alla scala di accesso e al portale, organizza lo spazio in una triangolazione inscritta nel quadrilatero.

Il pavimento è ribassato rispetto alla strada e al parcheggio e lo è anche rispetto alla parte più alta del parco. Per tre lati dunque, il patio è incassato di qualcosa più che un metro e mezzo rispetto al piano di campagna, i muri che lo circondano sono quindi in parte muri di sostruzione. Questa parziale immersione nel suolo della collina accentua la sensazione di distacco dallo spazio carrabile e di proiezione verso lo spazio vegetale. Con un piccolo accorgimento il patio si apparta così dalla città ed enfatizza l’atto di ingresso verso la dimensione naturale del giardino.

Si è spesso caduti in un equivoco, più volte chiarito dallo stesso Távora, riguardo alla vicinanza di questo pezzo di architettura ai modi

Progettare con il corpo. Fernando Távora nella Quinta da Conceição

Viaggio e progetto

Nel decennio tra il 1950 il 1960, Fernando Távora intreccia una intensa sperimentazione progettuale con una sequenza di viaggi decisivi. Il viaggio, per Távora, non è una semplice attività di formazione ma una esperienza integrata al progetto e il progetto, del resto, vede tra i suoi fondamenti il viaggio in diverse accezioni.

Il viaggio come utilizzo, ai fini della buona riuscita dell’opera, di una conoscenza cosmopolita delle culture architettoniche.

Il viaggio come fondamento e pratica di una concezione geografica del progetto.

Infine, il viaggio fisico, corporeo del progettista all’interno del luogo su cui sorgerà l’opera e all’interno dell’opera stessa. Un attraversamento, una azione progettante che diviene guida del progetto1

In uno scritto fondamentale del 1952 – Arquitectura e urbanismo. A lição das constantes – Távora definirà questo apprendimento strettamente connesso al viaggiare come la “lezione delle costanti” ovvero quella che, per il tramite di una conoscenza fondata sull’incontro diretto e fisico con le opere architettoniche del presente e del passato – di ogni opera del passato, colta o popolare, autoriale o anonima – sola può offrire al progetto un fondamento di “perenne modernità”2

Il viaggio in patria

Il primo viaggio di Távora si potrebbe definire un voyage autour de ma chambre, la scoperta, in famiglia, da parte di un Távora fanciullo, della cultura portoghese. Ancora ragazzo, mosso da un precoce interesse

per l’arte e l’architettura popolare, egli percorre e ripercorre il territorio portoghese per comprendere la struttura, il carattere, la storia culturale dei luoghi. Si tratta di viaggi decisivi nel definire lo specifico dei progetti di Távora, la quasi totalità dei quali sarà localizzata, nel corso della sua intera carriera, nel Nord del Portogallo.

Al volgere degli anni Cinquanta, seguendo un percorso parallelo all’interno della Scuola e come membro del Sindacato professionale degli architetti portoghesi, il personale viaggio in Portogallo di Távora si trasforma da atto individuale in viaggio collettivo, un viaggio che si pone tra i fondamenti della cultura architettonica portoghese del Secondo Novecento.

La ricerca sulla architettura anonima come lezione di autenticità, come campo di individuazione di “costanti” di una “perenne modernità” quale alternativa al modernismo linguistico internazionalista, trova infatti l’occasione di una sperimentazione collettiva nella celebre impresa del Inquérito à Arquitectura Popular em Portugal3

La vicenda, come impresa della organizzazione professionale, è ampiamente studiata ma è importante ricordare che, anche all’interno della ESBAP e per specifico interessamento di Carlos Ramos, l’indagine sulla architettura popolare viene introdotta e accompagnata da una attenzione per gli aspetti geografici della architettura.

Nel 1953 Ramos aveva invitato il geografo Orlando Ribeiro (191197) a tenere un corso sulla Geografia Umana presso la ESBAP e, nello stesso anno, Távora realizza con gli studenti un Inquérito às expressões e técnicas tradicionais portuguesas con il sostegno del Centro de Estudos Geográficos da Faculdade de Letras e del Centro de Etnologia Peninsular da Faculdade de Ciências do Porto, nell’ambito di un più ampio lavoro didattico che, tra il 1952 e il 1957, intreccia moderno internazionale e moderno popolare4

La visione geografica che Távora pone a fondamento del progetto, visione da cui deriva la rilevanza non accessoria ma strutturale del viaggiare, ha quindi radici profonde e, in larga misura, ancora meritevoli di indagini.

L’ESBAP guidata da Ramos non è però solamente l’ambiente in cui i viaggi individuali di Távora per le strade portoghesi si trasformano in una ricerca nazionale sulla architettura popolare.

Carlos Ramos5 infatti, direttore della Scuola e mentore di Távora, da un lato porta nelle aule una concezione del progetto capace di coniugare riferimenti diversi all’interno della cultura architettonica portoghese, avendo subito l’influenza tanto di Raul Lino quanto di Miguel Ventura Terra. Dall’altro lato egli è certamente anche il tramite –come Lino stesso, del resto – di una cultura inglese ottocentesca che elabora il superamento dell’eclettismo sostituendolo con l’idea di un linguaggio “popolare” derivato, senza scelte militanti di stile, dall’uso libero dei diversi linguaggi storici resi subalterni alle condizioni geografiche locali, alle logiche costruttive, alle esigenze di vita. Inoltre, Ramos, pur interessandosi delle innovazioni di linguaggio moderni-

F. Távora, Padiglione del Tennis, Parco municipale nella Quinta da Conceição, Matosinhos 1956 sgg., schizzo d’insieme, AFIMS.

F. Távora, Tempio Higashi-Honganji a Kyoto (20 maggio 1960), Diario di Bordo, AFIMS.
La Quinta da Conceição di Fernando Távora

Saggi fotografici

Il progetto

N.B.: Dove non diversamente specificato, i disegni sono stati digitalizzati dai Curatori del presente volume nello studio dell’arch. Fernando Távora, su autorizzazione dello stesso, nel corso delle ricerche finalizzate alla pubblicazione della monografia edita da Electa nel 2005 (N.d.C.)

Progettare con il corpo Fernando Távora nella Quinta da Conceição
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La Quinta da Conceição di Fernando Távora

In alto: Planimetria di febbraio 2000 che riproduce lo stato attuale del Parco.

A fianco: Schizzo planimetrico corredato da altri schizzi e appunti, datato 10.5.93, in cui prende forma la connessione tra le due Quintas con l’ipotesi di un ponte curvo che diventerà esecutiva nel febbraio 2000.

In questa epoca è ormai da tempo tramontata l’ipotesi del museo e l’ingresso principale al parco, corredato di una fontana a tre vasche, è stato realizzato più o meno in asse con i campi da tennis e con il padiglione. A destra l’ingrandimento di alcuni appunti di studio per le sezioni trasversale e longitudinale del ponte.

Il progetto

Quinta da Conceição

Porto, 11 febbraio 2002

Tra il 1955 e il 1958, ho collaborato con l'architetto Fernando Távora. Il coinvolgimento e l'entusiasmo nella vita quotidiana dello studio e l'impegno per il mio primo incarico personale (quattro case a Matosinhos, 1954) allontanavano la voglia e l'energia necessarie per affrontare la responsabilità della prova finale del corso, che ho poi sostenuto soltanto nel 1965.

La mia ignoranza era pari alla volontà di apprendere. Ormai arreso all'architettura, mi ero lasciato dietro il desiderio di essere scultore.

Távora divideva il suo tempo tra l'insegnamento, nella scuola di Porto, i viaggi (partecipazione ai CIAM e altro), gli scritti e le opere. Coordinava anche il gruppo che preparava il capitolo «Minho e Douro Litoral» nella Arquitectura popular em Portugal1

Avevo l'incarico di collaborare al progetto di massima di una piscina nell’ambito dello sviluppo dello studio complessivo del Piano generale della Quinta da Conceição, precedentemente elaborato da Távora (1956-1957).

L'intenzione di utilizzare i terreni residui di una tenuta espropriata per realizzare l’ampliamento del porto, aveva portato il Comune di Matosinhos a incaricare Távora della redazione del piano per trasformare i terreni della Quinta in un parco pubblico.

Lo studio avrebbe poi travalicato i limiti prestabiliti. Constatando infatti l'inadeguatezza del sistema viario a servizio del porto, Távora riuscì a far approvare una proposta di modifica radicale. Tale proposta includeva la localizzazione dei magazzini necessari, al di là di un anello verde intorno ai terreni portuali, integrando una proprietà confinante con la Quinta da Conceição (Quinta de Santiago).

Nel 1957, ho iniziato la mia collaborazione al progetto della piscina della Quinta (consegnato nel 1958), inseguendo l'espressione architettonica magistralmente realizzata nel padiglione del tennis di Távora, il primo progetto, all'epoca già concluso, per il parco.

Távora era molto paziente con gli studenti e con i giovani e inesperti collaboratori.

Non ho mai assistito al suo rifiuto di ragionare su qualche nostro suggerimento o di spiegarne, con calma, le ragioni di un’eventuale inadeguatezza.

Il mio lavoro proseguiva lentamente; nel mio entusiasmo giovanile, provavo mille alternative.

Forse per questa ragione, un giorno Távora mi fece una proposta straordinaria: «È meglio che se lo porti a casa e lo sviluppi per conto suo; prometto di seguire il lavoro, sempre che lo consideri necessario».

Così è stato.

1 - Aa.Vv., Arquitectura Popular em Portugal, Sindicato Nacional dos Arquitectos: Lisboa, 1961 (3ª ed., 1988), pubblicazione della ricerca, svolta tra il 1955 e il 1960, denominata Inquérito á arquitectura regional portuguesa Il gruppo che Távora coordinava era composto anche da Rui Pimentel e António Meneres.

Nel 1956 la Municipalità di Matosinhos incarica Fernando Távora di realizzare un parco pubblico in un’area residua dei lavori di ampliamento del porto, in cui sorgevano due ville rurali con le relative tenute. Nel momento in cui Távora interviene sul terreno vi sono solamente i resti del chiostro di un convento quattrocentesco mai completato, alcune fontane monumentali e una cappella. Távora decide di non affrontare l’immagine perduta del convento, di cui non propone una restituzione, ma di indagare il “rituale spaziale” dell’esistente e tale indagine, che di fatto genera il progetto, avviene camminando, attraversando ripetutamente, “viaggiando” all’interno del luogo.

La Quinta da Conceição è dunque un progetto fondativo del metodo progettuale tavoriano che ne rivela gli aspetti più sottili, legati alla esperienza dei luoghi piuttosto che alla loro rappresentazione.

Il volume propone un esercizio di lettura affidato allo sguardo fotografico di diversi autori – Roberto Collovà, Alessandra Chemollo, Ivana Barbarito, Sebastiano Raimondo – in diversi tempi. La diversità degli sguardi su un’opera al tempo stesso sfuggente ed esemplare offre occasione per una riflessione, anche di carattere generale, riguardo a temi quali il rapporto tra l’architettura e le sue rappresentazioni, gli aspetti performativi del progetto, la conoscenza  della dimensione.

ISBN 978-88-6242-942-9 € 18 www.letteraventidue.com

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