Juan Navarro Baldeweg

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JUAN NAVARRO BALDEWEG

intersezionieconfluenze

ANTONELLO

INDICE

Prefazione

Antonino Saggio

La fenomenologia e il dialogo tra le arti

Duchamp e la riscrittura della realtà

Intersezioni e confluenze

La forma che si ripete e la geometria complementare

L’ombra come processo sottrattivo

Corpi tra equilibri e tensioni

I luoghi simbolici dell’acqua

Soglie topografiche, soglie temporali

Strati archeologici

Lo spazio interiore

Paesaggi intesi come forma-processo

“Un oggetto è una sezione”

Strutture di luce

Il legame con il luogo

Una poetica a contatto con la storia

Memorie dal sottosuolo

Lavorare sul confine

Sezionare attraverso il cavo

Un laboratorio vivente di idee

Postfazione

Efisio Pitzalis

Frenhofer e Lord Chandos

Juan Navarro Baldeweg

Apparati

Bibliografia

Crediti

Ringraziamenti

Biografia

3. INTERSEZIONI E CONFLUENZE

Navarro Baldeweg conclusa l’esperienza americana rientra, alla morte di Franco, in Spagna. Nel 1976 si dedica allo sviluppo della sua conoscenza, maturata a contatto con artisti visivi sperimentali, legati, come abbiamo visto, alla musica e all’arte concettuale. L’occasione è offerta da un concorso. In America aveva sviluppato alcune installazioni nominate Interiores che avevano come finalità quella di interrogarsi sul senso gravitazionale e magnetico dello spazio e come questo influisca nella vita di chi vi abita. Su questi temi torneremo più avanti per comprendere il significato ampliato di Spazio interiore. Un filo conduttore e sottile lega le installazioni Interiores con due progetti sul tema dell’abitare che sviluppa tra il 1976 e il 1979: Casa per una intersezione e Casa per Karl Friedrich Schinkel

La Casa per una intersezione introduce in architettura le sperimentazioni che Navarro Baldeweg aveva condotto in America. Recupera i temi delle finestre e della porta elaborati da Duchamp e li inserisce all’interno di un volume puro posto sulla confluenza di un fiume.

La Casa per un’intersezione è un progetto di architettura che incorpora opere di Marcel Duchamp: c’è La Bagarre d’Austerlitz, la Fresh Widow che è la finestra vera e propria, la slitta che è la camera da letto, la porta che apre e chiude come ingresso dell’abitazione, la noria che aziona una ruota di bicicletta. È come se ci trovassimo all’interno della stessa casa di Duchamp.

Navarro Baldeweg 2013b

Il progetto mette al centro il suo interesse per Duchamp maturato presso il Center for Advanced Visual Studies. L’opera, concettualmente generatrice, dal titolo Apparato scorrevole contenente un mulino ad acqua in metalli vicini, è stata realizzata da Marcel Duchamp tra il 1913 e il 1914. È tra le opere più interessanti della produzione dell’artista franco-americano e contiene un meccanismo cinetico in grado di ruotare come una porta-finestra. I riferimenti di Navarro Baldeweg si rivolgono al pensiero progettuale di Duchamp: all’apertura negata della Fresh Widow o alla porta in Rue Larrey che chiudeva un ambiente per aprirne un altro. Marcel Duchamp, in un appartamento affittato in Rue Larrey al numero 11 di Parigi, si trovò in una situazione accidentale e ambivalente che, più tardi, tradusse in opera: una porta davvero strana, incardinata nell’angolo tra due stanze, che chiudeva e apriva nello stesso tempo il bagno e la camera da letto.

Casa per una intersezione, 1976, assonometria e schizzo

In alto:

modello della casa

Nella pagina a fianco: disegno dell'abitazione con Duchamp, Mary Reynolds e Brancusi

La porta così contemporaneamente chiudeva un ambiente e ne apriva l’altro, sempre aperta e sempre chiusa. Navarro Baldeweg la pone sulla soglia di ingresso in un punto di intersezione diagonale per aprire la casa alla natura dell’acqua, in una confluenza tra il cristallo duchampiano e il contesto naturale di un piccolo fiume. Questo viene modellato da uno specchio d’acqua, che àncora la casa al sistema ambientale, in un tema di soglia tra l’interno e l’esterno abitati.

Scrive acutamente Juan José Lahuerta: «La Casa per una intersezione ha anche un luogo e un tempo impliciti: Villefranche, estate 1929. In uno schizzo sul tipo delle Soirée di Beatrice Wood, Juan Navarro Baldeweg ha disegnato Duchamp, Mary Reynolds e Brancusi in atto di fare il bagno insieme nella piscina della casa» (Gonzáles García, Lahuerta 1996, p. 17). La pianta e il volume sono apparentemente semplici, quasi essenziali, mentre penetrando all’interno si scopre una capacità di lavorare per stanze una dentro l’altra, per moltiplicare il senso del luogo, personalizzarlo, che sarà una caratteristica della sua produzione. La casa è il luogo per un cliente scapolo che doveva sistemare la sua collezione d’arte. I disegni e l’acquerello raccontano bene i diagrammi concettuali alla base dell’opera e consentono a Navarro

5. L’OMBRA COME PROCESSO

SOTTRATTIVO

Scriveva Abel Martin, poeta e filosofo sivigliano, concepito da Antonio Machado: «Si muovono soltanto le cose che non cambiano», e in relazione «alla permanenza tracciata del volo degli uccelli: solo ciò che sfugge rimane e dura» (Gonzáles García, Lahuerta 1996, p. 37). È una riflessione di Angel González García sul lavoro di Navarro Baldeweg dal titolo Di pura ombra pieno riguardo al peso di una colonna, al tempo che scorre e all’acqua che consuma gli artifici dell’uomo. Così scrive lo storico: «L’acqua che attacca una massa rocciosa produce paradossalmente simulacri di resistenza all’erosione; di modo che la forma più resistente è, in realtà, la più minacciata» (Gonzáles García, Lahuerta 1996, p. 58). È la dialettica tra il perdurare della forma e la sua erosione, il suo consumarsi gradualmente, il suo ritornare alle origini della terra. Navarro Baldeweg, come abbiamo detto, ha introdotto il concetto di Tempo nei processi del fare architettura, partendo anche e soprattutto dalla sua visione di artista. La luce è consunta, la materia vive nel tempo. Materia e peso dimostrano la resistenza al perdurare delle forze che agiscono su di essi. Nell’opera La columna y el peso (1971-1975) il maestro iberico mette in relazione un peso calibrato, monito dell’operare dell’uomo, con quello della colonna, esempio dell’artificio e delle qualità costruttive dell’architettura. La misura del calibro mostra la convenzione di un ordine misurabile, con la necessità da parte del soggetto e della società di ordinare e quantificare il proprio mondo o universo. La dimensione ridotta del peso esalta la potenza strutturale della colonna che ricorda con la sua possenza la gravità fisica a cui siamo sottoposti, ma anche la resistenza dei carichi che sostiene. Così l’architettura torna a parlarci del suo senso strutturale, legato alle forze di gravità.

Così l’architetto la descrive:

La columna y el peso l’ho realizzata quando stavo nel Center for Advanced Visual Studies del MIT, che dirigeva Gyorgy Kepes, ed ero molto attratto dalla natura fisica dell’architettura. Ero in contatto con altri artisti e musicisti. Una persona di cui ero amico era la compositrice Maryanne Amacher che lavorava sulla musica ambientale. Captava suoni della natura, del mare, del vento, della città, e anche dell’architettura. Lavorava con le onde elettroniche e m’interessava molto l’architettura come strumento musicale, come congegno che devi suonare. Immaginavo le pareti, i pavimenti come materiale compositivo sonoro. Il pavimento come un tamburo. Ci sono sistemi di calcoli per le vibrazioni nelle strutture di cemento armato che sono forme come conseguenza delle vibrazioni. Riflettevo sulla

colonna che, precipitando al suolo, avrebbe fatto vibrare il pavimento come un tamburo. Man mano che ti avvicinavi alla colonna il colpo diventava sempre più forte. Così, creavo delle installazioni in cui era presente la colonna e una sequenza di pesi che si riducevano man mano che ti allontanavi. Ma un giorno guardai un peso e la colonna e pensai: la cosa più interessante è un peso, per l’idea del suono nel concetto di struttura, dove c’è una sorta di fluido, di dispersione, di vibrazione. Il peso fa si che la colonna si veda come un tubo, una conduttura del fluido energetico. Quando uno guarda la colonna e il peso non inizia a pensare al disegno della base, se è un tuscanico, se è un dorico, se è un corinzio, se è un composito, no, pensa alla gravità. Il peso fa si che tutti i possibili sguardi alla colonna si focalizzino sul concetto della gravitazione.

Navarro Baldeweg 2013b

I temi di un’architettura acustica, in grado di vibrare, per generare momenti inattesi, sono parte di un pensiero che si sviluppa dal considerare lo spazio dell’architettura in relazione a un corpo costituito da organi interni. L’opera La columna y el peso è concepita come un ready-made duchampiano e apre la ricerca di Navarro Baldeweg al tema dei corpi immersi nella gravitazione. È una fase in cui la gravità diventa il centro di una sperimentazione sia nella riflessione artistica, sia in quella dell’architettura. Certamente è un filone di ricerca importante visti i legami tra musica e pittura, a partire dalla produzione di Klee che era stato in vita un musicista, un suonatore di viola. La corrispondenza tra Wassily Kandinsky e Arnold Schönberg aveva mostrato una nuova via, una letteratura della dissonanza, basata su contrasti e contrappunti, che è vissuta nel cuore del primo Novecento, prima dello scoppio del primo conflitto mondiale. Il carteggio tra il 1911 e il 1914 tra Kandinsky e Schönberg sancisce l’amicizia tra due artisti che stavano mettendo le basi della ricerca di un’arte totale. Una fase complessa del secolo appena passato, in cui le ragioni romantiche, totali e assolute, si scontravano con le esigenze del cambiamento, in un momento storico in cui l’imminente conflitto mondiale spingeva gli artisti a interrogarsi sul tempo, sul destino, sulla singolarità, sulla solitudine, quando il mondo intorno chiedeva loro un capovolgimento di strumenti d’indagine. Il carteggio permette di fare luce sulla comprensione di quei processi. Il 18 gennaio del 1911 Kandinsky scrive la prima lettera a Schönberg. Il tono aulico e il rispetto si evincono dalle seguenti parole:

Nella pagina a fianco: La columna y el peso, 1971-1975

6. CORPI TRA EQUILIBRI

E TENSIONI

Con la produzione che elabora in America presso il CAVS del MIT sta mettendo le basi profonde per il suo lavoro di progettista. I due campi dell’arte concettuale e dell’architettura sono indagati parallelamente, in assenza di confini. Il corpo del soggetto e quello della costruzione sono entrati intimamente in contatto. Nell’antichità corpo e struttura erano spesso fusi insieme, penso alle cariatidi dell’Eretteo nel monte sacro dell’Acropoli o più intensamente a Villa Adriana a Tivoli. Qui le colonne che reggono il peristilio sono corpi protesi a danzare in uno spazio sottratto da una mano che ha scavato il suolo per generare, nel luogo del Canopo, il ricordo di Adriano della sua visita in Egitto, da cui aveva recuperato gli spazi magici della Villa, apollinei e dionisiaci insieme. Nell’autunno del 1911 nella visita a Villa Adriana Le Corbusier aveva segnato, nei suoi taccuini, le trappole della luce, nel ninfeo semicircolare in cui le volte crollate avevano permesso alla luce di penetrare, come in un vuoto evocato. Tali schizzi riemergeranno dopo quarant’anni nel progetto della Cappella di Notre-Dame du Haut a Ronchamp (1950-1955). Non è più il diagramma Domino riproducibile e seriale del 1914 ma una sostanza elastica e sofferta. Siamo in una fase in cui erano crollati gli ideali della modernità sotto le bombe del secondo conflitto mondiale, come ricorda Aldo Rossi nella Autobiografia scientifica (1980), e dall’America arrivavano gli echi dell’informale di Pollock (Marotta 2019). Nel volume Le Corbusier e la rivoluzione continua in architettura, Charles Jencks ricorda che i primi schizzi prodotti in situ rimandavano a una doppia dimensione: il ricordo della caverna, che Corbu aveva elaborato per il Santuario sotterraneo di Sainte-Baume, e l’idea di una poetica plastica, fatta da muri curvi che prendevano vita «per effetto delle riverberazioni acustiche emesse dal paesaggio» e dovevano evocare la struttura del «timpano sinistro dell’orecchio umano» (Petrilli 2001, p. 10). Le Corbusier aveva materializzato questi intenti nei suoi carnet, dove aveva riproposto «l’orecchio o forma acustica da una scultura della serie Ubu» (Jencks 2002, p. 265).

Se nella fase degli anni Cinquanta la riscoperta del suono nell’architettura porta alla ricerca del mondo scavato e in tensione, Navarro Baldeweg dagli anni Settanta in avanti riporta il corpo della struttura sul limite verticale dell’equilibrio dei corpi e, parallelamente, sull’orizzonte fisico e mentale.

L’architetto iberico ha riportato il corpo a una dimensione più profonda della storia, un corpo che come nei suoi dipinti Kouroi, espressione nella classicità di un ideale di

Kouros bianco, 1980

bellezza e di giustizia, ora si trasformano in esseri astratti attraversati dal peso della gravità e dalla volontà di rendere attivo il soggetto, immerso in un campo di forze. L’opera del 1980 Kouros bianco trasforma il soggetto in un dispositivo del tempo, una sorta di clessidra attraversata da fluidi interni al meccanismo spaziale ed esterni ad esso. L’esperienza americana è di fatto un laboratorio attivo di tutto quello che l’architetto iberico realizzerà negli anni a venire nelle sue architetture. La sua pratica pittorica e scultorea non può essere svincolata da quella di progettista, anzi è la sua visione di artista che alimenta quella di architetto. Notiamo l’emergere di una altra modernità che non intendeva catalogare, semplificare, rendere omogeneo, quanto esprimere la complessità di un tempo che in quegli anni era sottoposto a tensioni drammatiche. Il pensiero di Duchamp era criptico come passaggio necessario, in un mondo pieno di contraddizioni. La sua visione non poteva essere diretta, ma necessitava di slittamenti semantici.

Con l’opera La rueda y peso (1974) Navarro Baldeweg rende evidente il principio delle forze che agiscono sui corpi.

Il concetto di trazione della ruota simboleggia la tendenza di ogni entità a gravitare verso il basso. È un esempio eloquente di come l’intero nostro universo e il nostro corpo siano legati alla resistenza, alla caduta verso il suolo. Tali sistemi sono incarnati nell’immagine della ruota su un piano inclinato. Elementi come La rueda y peso sono interessanti per la loro natura transitoria, poiché ci conducono all’essenza della natura. La mia azione consiste nel discutere della complessità del mondo che ci circonda non attraverso un libro, ma mediante frammenti costruiti. In America, gli elementi che ritenevo fondamentali per essere un architetto erano la luce, la gravità, il tempo e il corpo. Parlo della mano come manifestazione di energia che scaturisce unicamente dal corpo.

Navarro Baldeweg 2013b

Nell’opera La rueda y peso il peso svolge un lavoro di opposizione alla forza di gravità di una ruota posta su un piano inclinato, mentre nell’opera La columna y el peso il peso era posto alla base della colonna e assolveva al compito di creare un contrappeso virtuale (Curtis 2006a).

Se nel corso preliminare di László Moholy-Nagy, tenuto negli anni 1923-1924 presso il Bauhaus a Weimar, il tema era l’equilibrio di forze dinamiche, che gli studenti affrontavano attraverso nuove concezioni neoplastiche, i riferimenti che

1973-1999

Dos pesos,
Rueda en equilibrio, 1973-1999

9. STRATI ARCHEOLOGICI

Il tema delle soglie e degli strati archeologici lo possiamo cogliere in tanti progetti di Navarro Baldeweg, alcuni effettivamente legati a sedimi antichissimi, penso alla Sede del Consiglio della Giunta di Estremadura a Merida (1989-1995), o alla Biblioteca Hertziana a Roma (1995-2012), altri come spazi di mediazione tra tempi storici differenti, come abbiamo già analizzato nella Ristrutturazione dei Mulini vecchi di Murcia (1984-1987) o nella Ristrutturazione del Mulino di Martos e Balcone del Guadalquivir a Cordoba (1997-2005). Ne emerge una letteratura in aree di matrice archeologica che opera per sedimentazioni di strati, come possiamo leggere nella sezione dei Mulini a Murcia, dove l’ordine temporale non segue processi mimetici o peggio filologici ma prevale una differenziazione degli spazi nell’asse verticale che è anche una linea del tempo. Di fatto questa interpretazione la ritroviamo nella composizione astratta di Malevič, dove la pianta è in realtà sovrapposizione di spazi in una sequenza verticale o in quella figurativa di Rauschenberg che sommava, grazie all’introduzione dei media, frame di diverse fasi storiche, isolate nella loro forza connettiva. Credo si possa asserire che il lavoro del maestro iberico viva sempre di una tensione evolutiva: lo vediamo nella produzione pittorica dalle origini ad oggi, tra una astrazione anche moderna dello spazio, secondo matrici novecentesche che sono le basi grammaticali anche del nostro tempo, e una figurazione che, di contro, introduce un dialogo con tempi differenti. Questa figurazione non riporta al centro il verisimile, quanto uno spazio del possibile. Allora la pianta che incarna bene il progetto della Sede del Consiglio della Giunta di Estremadura a Merida è quella del sedime archeologico, dove l’architettura con le sue regole necessarie si modella sullo spazio antico, ricercando una propria astrazione quasi moderna, nel corpo che, attraversato da molteplici connessioni, consente anche di vivere il suolo originario, in una sospensione, che è anche una sospensione del giudizio, dell’azione del presente sul passato. Sulla Biblioteca Hertziana torneremo, ma possiamo anticipare che Navarro Baldeweg coglie nella topografia antica il sedime vissuto dal tempo e lo ripropone in una spazialità cava e in tensione. Infine, nella Ristrutturazione del Mulino di Martos l’intervento si pone come una architettura-soglia per la visione. Un volume elementare che dalla circolarità dei panorami si traduce in un quadrato con lamine diagonali per una vista completa della città. Il panorama, letteralmente visione totale, era un dipinto circolare brevettato nel 1787 dal ritrattista irlandese Robert Barker, che nel 1793 ha realizzato a Leicester Square

Biblioteca Hertziana a Roma, 1995-2012, foto dell'interno della biblioteca e modello Nella pagina successiva: sezioni

10. LO SPAZIO INTERIORE

Possiamo asserire che tutta la produzione di Navarro Baldeweg sia animata dalla necessità di costruire ponti, intersezioni, confluenze tra discipline del progetto dello spazio provenienti dalla sua formazione di artista prima e di architetto subito dopo. Nell’arte e nell’architettura, come abbiamo visto, si interroga sulle ragioni del peso, della luce, della gravità, sul lavoro in sezione, scavando il corpo, che è un corpo sociale ma anche individuale, personale, soggettivo. Non dimentichiamo che il maestro iberico rilegge sempre la specificità topografica della città. Cosa è uno spazio interiore?

Potremmo definire tali luoghi stanze in grado di moltiplicare le occasioni interne, con la finalità di vedere oltre i limiti fisici, sia materialmente che concettualmente. Certamente in tutta la produzione di Navarro Baldeweg i limiti fisici sono quelli su cui lavora maggiormente, ribaltando il piano del progetto che non è planare, non è il piano modernista ideale, platonico, ma è sempre uno spazio corrugato, interno, modellato da forze che agiscono sulla storia e sull’uomo. Nelle installazioni Interiores 1-4 (1971-1975), realizzate in America presso il Center for Advanced Visual Studies del MIT, troviamo molto di quello che elaborerà nella sua produzione architettonica. Le stanze sono ambienti che vivono in relazione al magnetismo terrestre, alle coordinate del nostro stare nel mondo, con un senso di inquietudine, perché lo spazio, come scrive Perec in Specie di spazi, non è mai dato, deve essere costantemente progettato, ideato, personalizzato, interrogato (Perec 1989).

Si sarebbero potute chiamare anche Rooms ma Interiores porta con sé un certo grado di ambiguità, poiché suggerisce anche un riferimento a ciò che risiede all’interno di ognuno di noi. Sono quattro o cinque installazioni per stanza. Emerge il magnetismo terrestre, attraverso delle bussole manipolate, come se fosse uno spazio di rottura dell’elettromagnetismo naturale che punta verso il nord. Sono dimensioni che esistono in ogni stanza, attivate perché posizionavo delle barre verticali che fanno ombra: una squadretta con pesi di diversa dimensione in maniera che si spostino. Si capisce che sto lavorando con la gravità e il magnetismo terrestre. È uno spazio nel quale uno ha visivamente coscienza di stare dentro delle coordinate fisiche che sono da tutte le parti, dove ho messo dei segnali per renderle visibili e sensibili. Questa installazione è per me molto importante, è un Interior che ci racconta semplicemente dove siamo, dentro coordinate fisiche che dipendono dalle circostanze. Navarro Baldeweg 2013b

Navarro Baldeweg guarda da sempre alla cultura orientale, anche attraverso lo sguardo di un artista straordinario qual è stato Henri Matisse. La produzione pittorica dell’architetto iberico deve molto alla sua ricerca. Proviamo ad entrare nella stanza dell’artista per comprendere altri strati soggiacenti di quello che per Navarro Baldeweg può essere concepito come uno spazio interiore È il fotografo Alexander Liberman a descrivere il lavoro di Matisse dopo aver fotografato il suo studio negli anni Cinquanta del Novecento, in una fase in cui l’artista stava attraversando, da un lato, un momento di crisi personale e, dall’altro, di liberazione artistica. Così descrive l’operato dell’artista francese:

Le sue tele luminose apparivano come soli risplendenti. Erano finestre aperte verso il sud. Matisse fu il primo Fauve, forse perché capì per primo la lezione del sole meridionale, la lezione di Cézanne, che la forma è al suo massimo quando il colore è al massimo. Matisse sapeva che il sole, la sorgente luminosa, può essere trascritta in pittura solo tramite l’equivalenza del colore. È impossibile armonizzarsi con

la sua luminosità, ma mediante la brillantezza delle tonalità i nostri occhi sono in grado di ricevere uno stimolo simile, se non uguale, alla luminosità intensa. Alla intensità del colore Matisse aggiunse la potenza del segno. Rese il colore inscindibile dalla linea. Nella sua arte la linea è la frontiera naturale della percezione del colore.

Liberman 1988, p. 48

Colpisce la produzione pittorica degli anni Ottanta di Navarro Baldeweg perché è protesa a ricercare segni interiori, in una sorta di espressività arcaica o di un classico sofferto, dove appaiono templi in un mare agitato, penso a Sentinelle dell’acqua del 1982, o a opere come Il bagno del 1985 in cui prevale lo spazio interno e l’ambiente è sospeso nella storia, il piano si inclina per accogliere l’acqua e lo spazio rimanda a un passato immaginifico, dove la luce di Matisse convive nella forza dei contrasti cromatici. È un ambiente che rimanda alla circolarità o all’ellisse del soffitto, ma trova una contraddizione nei muri che tendono a mettere in crisi lo spazio modellato. Questa tensione dello spazio la ritroviamo anche nella produzione architettonica dove gli impianti

Cabeza negro y plata, 1983

«Il mio interesse si basa su ciò che si trova nelle cose e su ciò che esiste tra esse e noi. [...] L’architettura è il luogo che accoglie le linee diagonali che intersecano le produzioni materiali e ci avvolgono rendendoci parte di queste linee. [...] Intendo dire quindi che una opera è una sezione fisicamente definita in un fascio di fibre che si estendono oltre esse, è un taglio nella corda formata da fili che vincolano ciò che è isolato».

Il libro indaga la produzione architettonica e artistica di Juan Navarro Baldeweg, uno dei maggiori progettisti dello spazio.

Architetture che si confrontano con il peso della storia e che ricercano, nella relazione con la luce, nuove dimensioni esperienziali e conoscitive. L’idea di una geometria complementare, caratterizzata da relazioni fisiche finite e infinite, è animata da un forte legame con il reale, per ricercare soluzioni che lo trasformano, accogliendo all’interno dello spazio dell’architettura la topografia come parte essenziale della città, in un sistema che ne rivela l’appartenenza.

L’arte e l’architettura allora vivono in una costante revisione del reale e ricercano un contatto con ciò che di archeologico permane e persiste.

Il maestro iberico ci consegna un lavoro inteso come un atlante della memoria, una sorta di zodiaco artistico, in grado di attivare i segni intorno a noi, in un laboratorio vivente permeato dalla forza delle idee.

ISBN 978-88-6242-968-9 € 39 www.letteraventidue.com

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