Giovanni Maciocco

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Collana Alleli / Research

Comitato scientifico

Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa)

Antonella Greco (ICAR 18, Roma)

Emilio Faroldi (ICAR 12, Milano)

Nicola Flora (ICAR 16, Napoli)

Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa)

Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia)

Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)

ISBN 978-88-6242-988-7

Prima edizione novembre 2024

© LetteraVentidue Edizioni

© Giovanni Maciocco

Tutti i diritti riservati

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyright delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa.

Progetto grafico: Francesco Trovato con Stefano Perrotta

Editing: Sabina Selli

LetteraVentidue Edizioni Srl

Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia

www.letteraventidue.com

Il disegno come epistemologia del progetto

Silvano Tagliagambe

Storie di disegni e di città

Dino Borri

Il disegno come archeologia del territorio

Antonello Marotta

Sezioni tematiche a cura di Gabriele Bennati

Disegno come tutto in tutto

Disegno tra memoria e oblio

Disegno tra scale

Disegno come connessione tra gli elementi dominanti

Progetto, Disegno, Territorio

Giovanni Maciocco

IL DISEGNO COME EPISTEMOLOGIA DEL PROGETTO

Silvano Tagliagambe

La strategia dello sguardo

Per capire il significato e l’importanza di questo patrimonio di immagini, attraverso le quali Giovanni Maciocco estrinseca le sue idee progettuali e dà loro espressione concreta, trasformandole in qualcosa di accessibile allo sguardo, bisogna cominciare col chiedersi in che cosa consista, per l’uomo, il viaggio della scoperta, quello che gli consente di produrre innovazioni, nuovi stili di pensiero e forme di vita inedite, indipendentemente dall’ambito in cui ciò si verifica.

Gli studi in questo campo mettono in evidenza che alla base di questo processo c’è una capacità che consiste nell’avere occhi nuovi, come viene sempre più frequentemente sottolineato non solo dalle ricerche nel campo delle neuroscienze, ma anche dai fisici. Carlo Rovelli, ad esempio, evidenzia che il nostro cervello: «elabora un’immagine di quanto prevede gli occhi debbano vedere […]. Questa informazione è inviata dal cervello verso gli occhi attraverso stati intermedi. Se viene rilevata una discrepanza fra quanto il cervello si aspetta e la luce che arriva agli occhi, solo in questo caso i circuiti neurali mandano segnali verso il cervello»1

Dal canto loro le neuroscienze evidenziano che “vedere”, come risulta dalle ricerche condotte per spiegarne il processo, non significa generare delle rappresentazioni e delle immagini nel cervello, ma costituisce invece un’attività esplorativa mediata dalla conoscenza delle contingenze sensomotorie: in essa è dunque in gioco un continuo processo attivo di interrogazione e di controllo in cui è cruciale, ancora una volta, la comparazione tra le aspettative del soggetto e ciò che arriva effettivamente al suo sguardo.

È questo il modo di procedere di Giovanni Maciocco, il quale accarezza con lo sguardo il territorio per vedere com’è e attraverso i suoi disegni lo esplora in “un continuo processo attivo di interrogazione” per capire come potrebbe diventare in seguito alle sue previsioni. Le immagini, messe a confronto con il qui e ora, consentono di valutare volta per volta la congruità di queste aspettative con i segnali provenienti dal territorio al suo sguardo. Ciò è evidente nei disegni quali Portoferraio, Brindisi Acque Chiare, Olbia Contratto di fiume.

Viene così sottolineato che non è l’immagine dell’ambiente osservato a viaggiare dagli occhi verso il cervello, ma solo l’informazione relativa a eventuali discrepanze, a scarti, rispetto a quanto il cervello si attende. A essere rilevante, per la capacità di vedere, è dunque proprio lo scarto, strumento, al contempo, di esplorazione e di controllo, di raccordo tra il senso della

Portoferraio. Parco delle Ghiaie

realtà e il senso della possibilità, che fa emergere un altro possibile, operante, in continua tensione con l’esperienza e il vissuto, che segna una distanza in virtù della quale si resta sempre aperti all’altro e all’altrove. Ecco perché Florenskij, il pensatore al quale si devono rilevanti contributi per quanto riguarda la comprensione dei processi di innovazione e della creatività, assume proprio lo sdvig, lo scarto, come idea guida del proprio pensiero e ne fa il motivo conduttore presente in tutti gli snodi fondamentali del suo percorso di riflessione e di ricerca. Sorprende, da questo punto di vista, che la presenza e l’incidenza dello scarto non siano generalmente rilevate e sottolineate con l’attenzione e la profondità che meritano. Si tratta infatti di un concetto cardine che si manifesta nella relazione tra ciò che si vede e ciò che ci si aspetta di vedere, tra l’“oggetto reale” e l’“oggetto della conoscenza”, sotto forma di “frizione”, determinata dalla ricchezza inesauribile degli eventi e dei processi che vengono di volta in volta indagati e dall’apertura che ne consegue, in seguito alla quale gli uomini sono costantemente e inevitabilmente di fronte a una frattura che si aspira a comporre, a una sorta di fossato che si cerca di colmare senza mai poter riuscire a farlo compiutamente, tra rappresentante e rappresentato. Lo stesso può dirsi per quanto riguarda il rapporto tra il visibile e l’invisibile e tra il finito e l’infinito, tra il continuo e il discontinuo: non solo, ma lo sdvig svolge una funzione fondamentale anche nel percorso di costruzione dell’identità personale e della relazione con l’altro. Al contrario della differenza, nella quale i termini coinvolti e i soggetti implicati puntano soprattutto a definire ciascuno la propria specificità, con la conseguenza di restare chiuso all’interno di essa, nello scarto la distanza tra le identità in gioco le mantiene in tensione, lasciando aperta la ricchezza del confronto e consentendo di far emergere squarci su possibilità inattese di interazione e scambio. Si genera in tal modo uno spazio intermedio, un “tra” che permette di uscire da una prospettiva puramente identitaria e istituisce con l’altro e il diverso una relazione che non significa assimilazione e che è la condizione e al contempo lo scopo di un dialogo autentico, nel quale le rispettive posizioni si scoprono reciprocamente e via via elaborano le condizioni che renderanno possibile un incontro effettivo. Può così emergere lentamente un ambito non solo di conoscenza e intelligenza, ma anche di emozioni, passioni e valori condivisi, in cui ognuno può cominciare a comprendere l’altro, in quella prospettiva di meta-rappresentazione, che ha come proprio strumento il pensiero ricorsivo. È proprio la presenza dello scarto, dunque, che dà consistenza e spessore in prima istanza all’altrove, al “simbolo in sé”, allo «spirito che si

fa carne»2 e diviene concreto, e poi all’all’altro, un altro che non sia soltanto una proiezione immaginaria di sé, ma sia davvero una persona con una propria identità con la quale dialogare per far nascere qualcosa che sia realmente comune. Ed è la parola a dar forma e a riempire via via questo spazio intermedio in quanto in essa «si distinguono […] alcune sezioni concentriche. Le sezioni concentriche della parola rappresentano diversi gradi e stadi della formazione, innanzi tutto a livello individuale della singola persona, e poi, con tutta probabilità, a livello collettivo di un intero popolo»3 .

Lo sguardo che scopre, lo sguardo che cura non è lo sguardo diretto, che pretende di andare dritto verso le cose, ma lo “sguardo attraverso”, che si caratterizza per quel “dia” che in greco esprime al tempo stesso lo scarto e l’attraversamento, il limes, il sentiero, la via, il cammino che ha sempre un punto di fine, e orienta la vista verso la conclusione di ogni singola tappa del percorso, che però rappresenta contemporaneamente anche un limen, una soglia, un ingresso, l’inizio di una nuova fase, come si evince dalla duplice accezione del confine che ho cercato di approfondire in un mio testo di diversi anni fa4 .

Per questo, come scrive Grazia Marchianò, per una mente protesa a valicare il limen per aprirsi al limes, se si allena sistematicamente a farlo, la connessione tra il “campo” e il “conoscitore del campo” diventa avvistabile. Accadde a Giacomo Leopardi confessandolo ne L’infinito a un passo da casa. Lì, sull’ermo colle il limen della siepe è scavalcato non appena “sedendo e mirando interminati spazi di là di quella e sovrumani silenzi e profondissima quiete Io nel pensier mi fingo”. Fingere rinvia in latino all’atto di “formare”, “allestire”, anche “simulare”, “contraffare”, dunque non solo evocare l’“immensità nella quale s’annega il pensier mio”, ma effettuare operazioni e osservazioni mirate nei distretti congiunti del dentro e del fuori5 .

Lo scarto dal contesto di prossimità e l’attraversamento di un limes, dei confini concettuali legati alla città compatta come repertorio contestuale del progetto, sono temi ricorrenti nei disegni di Giovanni Maciocco, che varcando questo limes va in campo aperto cercando nel territorio nuovi materiali del progetto e nuove prospettive dell’abitare orientate a prendersi cura in modo inclusivo del territorio complessivo. I disegni sono in questo senso particolarmente significativi (Museo archeologico di Olbia, Tortolì Iscola, Scuola di Tempio, Jerzu Iscola).

La creatività e la capacità progettuale innovativa che ne scaturisce appaiono dunque il risultato di uno sguardo che è reso possibile dalla presenza del confine e dalla sua natura non tanto di linea di demarcazione, bensì di luogo nel quale può emergere

Tianjin. Campus Universitario Sino-Italiano
Strutture di Città
Uta. Polo Scolastico
Barcellona. Sistemazione dell’Area Zal
Olbia. Progetto del Lungomare

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