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PuntidipartenzaPensareèfare
Pensare
fare
Astratto ma non troppo
Ho cominciato a lavorare come ingegnere all’inizio degli anni '90, proprio nel momento in cui la progettazione si stava spostando dal tavolo da disegno al computer. I prezzi dei programmi di calcolo erano finalmente diventati abbastanza accessibili anche ai “normali” progettisti, che fino a quel momento si erano affidati a china e carta da lucido. Era un momento di transizione: il monitor del computer era ancora un televisore molto ingombrante e la stampante funzionava rigorosamente ad aghi. Io e i miei colleghi condividevamo un plotter a penna con un altro studio di professionisti da cui eravamo in subaffitto, ma erano più le volte che si bloccava che quelle in cui riuscivamo a ottenere una stampa completa. Si usava ancora la carta copiativa per fare le copie delle relazioni di calcolo e gli stessi manuali dei software erano in versione cartacea!
Non c’erano né Internet né cellulari; le copisterie erano il nostro punto di riferimento, tra elio-copie e rifornimenti di cancelleria.
Viene da sé che
disegnare “a mano” all’epoca fosse un aspetto fondamentale per la professione dell’ingegnere. Per me lo è tuttora: sicuramente perché rappresenta un piccolo legame con quel mondo “analogico” dove mi sono formato, ma anche perché è un’attività della quale ho imparato ad apprezzare sempre più il valore, soprattutto se messa in relazione alle tecnologie che oggi ci permettono di fare calcoli e visualizzazioni straordinarie in maniera automatica.
In fondo carta, penna e computer sono tutti accomunati dalla stessa natura: sono strumenti. Dietro qualsiasi strumento c’è una mano e, ancora prima, il pensiero che decide come questa debba muoversi. Nella sua semplicità, il disegno resta il mezzo più immediato e catartico con cui
dare forma alle idee, perché ci mette sempre inevitabilmente di fronte alla necessità di fare un ragionamento (cosa che a volte si perde, quando ci si abitua ad affidarsi ai soli software). Inoltre carta e penna non sono vincolati alla corrente elettrica e possono arrivare (quasi) dappertutto.
Attraverso il disegno, pensare può diventare un’azione “concreta” che porta nuovi spunti, magari applicabili a soluzioni e contesti anche apparentemente molto distanti. Per questo motivo ho sempre considerato lo studio, l’esplorazione e l’immaginazione come attività fondamentali al pari dei progetti commissionati da clienti. Questo è vero soprattutto se ci concediamo di pensare in grande, cioè a problemi e soluzioni straordinarie per dimensioni, contesto, risorse necessarie; così come se ci legittimiamo, allo stesso tempo, di accogliere stimoli e intuizioni inaspettate, di muoverci su aree di pensiero trasversali: insomma, di pensare oltre. Senza lasciarsi andare a discorsi motivazionali fini a sé stessi (direi che se ne possono trovare già in abbondanza su ogni media), è indubbio che se affrontiamo la quotidianità sotto questa lente, difficoltà e vincoli possono diventare veramente uno stimolo per allargare ulteriormente i propri orizzonti4
Questo libro raccoglie circa trent'anni di disegni a mano libera, che corrispondono ad altrettanti anni di ricerca, riflessione ed esplorazione personali. Ho sempre amato sfogliare gli schizzi e i taccuini altrui, perché mi sembra di addentrarmi in un territorio allo stato naturale dove le idee si muovono liberamente e senza costrizioni: mi auguro che anche voi proviate lo stesso, man mano che avanzerete tra le pagine di questo volume! La mia speranza è che questo libro possa diventare uno spunto, così come il lavoro di altri ingegneri, architetti, artisti, designer, è stato (ed è) di ispirazione per me. Se tutti questi disegni sono la rappresentazione visiva del percorso che ho fatto e sto facendo come progettista, mi piace comunque considerarli come un sentiero libero che anche altre persone possono percorrere e sul quale trovare le proprie diramazioni, scorciatoie e punti panoramici!
4. Ricordo un noto aforisma di Walt Disney che a tal proposito diceva: “Se lo puoi pensare lo puoi fare” e di come alcuni scienziati ipotizzino che il fatto stesso di poter immaginare qualcosa abbia già in se un germe di potenziale realizzazione (questo perché la nostra mente genera pensieri basandosi su esperienze e conoscenze pregresse).
STUDI DI AEREI
(primi anni '90)
Sono sempre stato appassionato di aerei e di tecnologia in generale: per questo motivo la mia libreria è piena di libri di navi, auto e motori. Non ne ho mai disegnati molti, in parte perché il mio interesse principale sono le costruzioni civili (anche se apprezzo molto i veicoli e gli oggetti di design) e un po’ perché, soprattutto all’inizio del mio percorso lavorativo, tendevo a vedere il disegno come un’attività di svago ma in un qualche modo sempre funzionale al lavoro.
Non avendo mai pensato di operare in campo aeronautico o automobilistico, non mi sono quindi mai approcciato al tema con sistematicità.
Oltre all’aspetto tecnico mi affascina soprattutto il lato del design di questi oggetti. Degli aerei mi piacciono soprattutto quelli militari, in particolare i caccia stealth che si basano sul disegno sfaccettato delle superfici (e quindi della struttura del velivolo in sé) per deviare le onde dei radar.
Pensare al limite
Le tipologie strutturali presentate in queste pagine sono le tensostrutture e i ponti, entrambi temi di cui mi interesso fin dai primi anni di attività ingegneristica (se non addirittura prima). Sono riunite in un’unica sezione perché tutti questi progetti sono concettualmente legati dallo stesso filo conduttore, cioè la ricerca della forma e il tentativo di “portarla al limite”.
Nel caso delle
tensostrutture, la forma deriva direttamente dall’equilibrio delle tensioni in funzione degli ancoraggi. Sono
“strutture organiche” molto diffuse anche nel mondo naturale, per esempio nelle membrane cellulari di organi vegetali e animali, proprio in virtù della propria efficienza: la loro principale caratteristica è infatti la capacità di sfruttare al massimo le potenzialità del materiale di cui sono composte. In ambito ingegneristico questo si traduce nella possibilità di progettare soluzioni che siano allo stesso tempo molto leggere ed estremamente resistenti con il minimo impiego di materiali. Il limite in questo caso è quello a cui si possono portare le tensioni che modellano la forma, all’interno dei vincoli imposti dal progetto.
Nel caso dei ponti, il limite viene inteso similmente come l’equilibrio che può essere ottenuto spingendo al massimo le proprietà dei materiali e il tipo di struttura scelta per raggiungere la massima luce possibile in sicurezza. Vista la vicinanza di intenti, considero inevitabile che per cimentarsi un progetto complesso come quello di un ponte si faccia riferimento alle strutture che permettono di far fronte in maniera efficace alle stesse sfide progettuali: da qui il motivo per cui i progetti di ponti e tensostrutture spesso e volentieri si sovrappongono nei miei studi.
Mi sono approcciato per la prima volta ad entrambi gli argomenti durante il tirocinio finalizzato alla laurea presso lo studio di Massimo Majowiecki. Il mio progetto di tesi trattava proprio un’applicazione del concetto di tensostruttura a un ponte, dato che l’argomento riguardava la verifica della proposta progettuale che Sergio Musmeci presentò al concorso ANAS 1969 per il ponte sullo Stretto di Messina in tensostruttura. Effettuai tale verifica utilizzando sia un software di calcolo per tensostrutture), sia un programma elaborato da me per testare il comportamento della sezione in mezzeria del ponte quando investito dall’azione dinamica del vento, confrontandolo con quello di impalcati non stabilizzati dalle funi inferiori (come quello di Tacoma).
Ho continuato ad interessarmi di tensostrutture e ponti anche una volta intrapresa la mia attività professionale, seppure in maniera discontinua fino all’inizio degli anni 2000. A partire dal 2005/2006 abbiamo1 portato avanti il progetto della mia tesi di laurea, arrivando a una rielaborazione del concetto di ponte in tensostruttura e a una sua applicazione su casi reali: per la creazione di un attraversamento sullo Stretto di Gibilterra e successivamente sullo Stretto di Messina2
Allontanandoci dal tema dei ponti e in riferimento specificatamente alle tensostrutture, i bozzetti presentati in questo capitolo fanno tutti riferimento a progetti non realizzati3, ad eccezione della passerella pedonale di Borgo Rivola.
1. Parlo al plurale perché il confronto con collaboratori e colleghi è stato ed è fondamentale.
2. Tutte queste ricerche sono state pubblicate nel libro Ponti Sospesi Storia, Tecnologia, e Futuro. Dalle liane al Ponte di Gibilterra passando per lo Stretto di Messina edito da Silvana Editoriale nel mese di dicembre 2022. Nel volume sono presenti i disegni preliminari di questi studi oltre a molte altre idee che spesso e volentieri si ispirano a principi tensostrutturali o mmbranali e più in generale a forme naturali.
3. Molti di questi sono stati presentati in una mostra gratuita (nonché nel catalogo autoprodotto annesso) organizzata dal mio studio a Faenza, nel 2018.
STUDI PER UN TEATRO TEMPORANEO
(2015-2016)
Questi disegni si riferiscono al progetto per una sala da concerti da realizzarsi ai piedi dei monti presso l'uscita Trento Nord dall’autostrada del Brennero. La commessa proveniva da un’azienda della città, attiva nel campo del commercio di prodotti musicali e nell’organizzazione di eventi live: la richiesta era per una struttura temporanea e removibile, perché la zona interessata si trovava proprio sotto alla traiettoria di linea di volo per l'aeroporto di Trento.
A livello estetico e strutturale, il mio primo pensiero è stato quello di riprendere il concetto della montagna in modo da armonizzare l’edificio con l’ambiente circostante. La prima soluzione proposta è stata quella di una tensostruttura semplice, simile a una tenda da circo; si è quindi ipotizzata un’ulteriore struttura composta da una serie di tubolari in pressione disposti a triangolo a punta, controventati all’interno da un telaio in legno che stabilizzi il tutto. In un secondo momento abbiamo studiato la possibilità di realizzare un solo palco, anche questo in tensostruttura e ispirato al corno, strumento musicale tradizionale utilizzato dalla gente di montagna.
Nessuna delle soluzioni è stata realizzata.
PONTE PER RIANO
(2020)
Ho realizzato questi disegni in occasione di un mini concorso indetto dall’edizione 2020 del congresso Footbridge, il cui tema era un ponte per la località spagnola di Riano (sia il concorso che l’evento sono stati però spostati nel 2022 a causa della pandemia globale di COVID-19).
Dato che il percorso sarebbe stato localizzato tra due montagne sopra a una vallata aperta, ho ipotizzato due soluzioni che risultassero il più possibile “eteree” nel contesto naturale.
La prima versione dell’attraversamento è costituita da due nastri: uno sostenuto da esili tiranti e dalla funzione unicamente strutturale, mentre un secondo (rappresentato in rosso) ad uso pedonale.
La seconda versione, con la quale abbiamo effettivamente partecipato al concorso, è invece composta da una passerella sostenuta da ruote eoliche, in modo da sfruttare il fatto che la vallata fosse molto ventosa. L’impalcato del ponte in questo caso è sostenuto da una serie di strutture a cerchio che a loro volta sostengono delle grandi pali eoliche. L’impalcato si dirama a lato di queste strutture che risultano quindi centrali rispetto al piano di impalcato.
L’idea delle ruote eoliche (che per prima avevo proposto per il Ponte nelle Alpi) l’ho in seguito declinata (su sollecitazione dell’amica Letizia Mammini) per il sito Hudson River a New York per una proposta poi non presentata.
STUDI PER ASCENSORE PANORAMICO RIOLO TERME (2009)
Questi studi nascono da una commissione da parte dell’allora sindaco di Riolo Terme, piccola cittadina romagnola. La richiesta era per un collegamento tra il parco fluviale e il centro storico della città, nello specifico una sorta di teleferica/funivia: la mia interpretazione è stata però quella di dare una connotazione più “solida” alla struttura in modo da trasformarla in un’opera urbana iconica, vista anche la vocazione turistica di Riolo Terme nella stagione estiva.
L’ispirazione deriva dalle opere di Calder, veri e propri monumenti urbani; l’idea è stata di declinare una sua tipica scultura in un grande arco panoramico, percorso dalle entrambe le parti da due cabine trasparenti. Il punto di arrivo è una piattaforma a sbalzo dalle mura della città che collega il centro storico.
Ho quindi ripreso questa soluzione per applicarla a una proposta successiva per l'Arco di Roma.
(2011-2012)
Piazza Rampi a Faenza è uno dei luoghi, insieme al parcheggio dell'Ospedale cittadino, per i quali si è da sempre pensato ad un parcheggio multipiano.
Il disegno qui presentato nasce dall’idea di integrare la rampa al parcheggio, in modo da trasformarli in una sorta di scultura urbana. La struttura consiste in una doppia elica autoreggente da realizzarsi con una soletta in cemento armato precompresso.
GRATTACIELI E STRUTTURE ALTE (2020-2022)
In queste pagine sono raccolti alcuni schizzi recenti sul tema dei grattacieli e delle strutture di grande altezza.
Molti dei miei disegni fanno riferimento a strutture organiche ispirate alla natura, tra cui i cosiddetti “grattacieli appesi” sia in tensostruttura che a moduli poliedrici sospesi da cavi, ispirati alle opere di Thomas Saraceno.
Altri studi riguardano delle specie di concrezioni di rocce “forate” con squarci per illuminare le parti interne del volume, a metà tra scultura e ingegneria strutturale.
Completano la raccolta alcuni studi per un campanile a Pieve Cesato (piccola frazione alle porte di Faenza) con la campana posizionata in basso a terra e che rinfrange il suono in alto attraverso una sorta di parabola, e gli studi per una rotonda fotovoltaica poi realizzata a Faenza nella rotonda di Via Galilei.
PERGOLA RIONE VERDE (2023)
Questo progetto per un pergolato destinato al cortile del Rione Verde, associazione locale della città di Faenza, fa parte di una commessa ancora in corso.
La struttura si sviluppa attorno ai due alberi già presenti ed è coperta in parte da un telonato antipioggia per ricavare un percorso coperto che colleghi gli l’ingresso e gli uffici al bar e alla struttura ricettiva del rione.
Pensare oltre
Le mie prime esplorazioni spaziali su carta risalgono già agli anni ‘90, sempre che non si voglia tenere in considerazione tutto il processo di brainstorming che porto avanti fin da giovanissimo, da grande appassionato di fantascienza.
Nonostante l’interesse di lunga data e alcune idee che reputo interessanti (come la reinterpretazione della Bernal Sphere risalente al 2007) ho però cominciato a dedicarmi seriamente al tema “tardi”, a causa dei miei ritmi lavorativi. In questo senso fu decisiva la partecipazione del 2016 a Moontopia, un concorso di idee indetto dalla testata Eleven Magazine per l’ideazione di una base lunare. Per l’occasione presentammo la prima versione di Solenoid Moon City, un progetto di colonia extraterrestre protetta dalle radiazioni cosmiche con uno scudo elettromagnetico generato da una struttura di cavi elettrici circostanti. Si trattava di una soluzione decisamente innovativa nel panorama delle proposte “classiche” per avamposti spaziali, basate principalmente su sistemi a protezione “passiva” (ambienti sotterranei o protetti da regolite): questi ultimi sono infatti efficaci a livello teorico, ma da un punto di vista pratico costringerebbero i coloni a a vivere “sepolti” in luoghi chiusi, con importanti conseguenze dal punto di vista psicologico per permanenze molto lunghe. Solenoid Moon City prevede invece una protezione “attiva”, dato che la base viene appunto protetta attraverso la generazione di un campo magnetico che avvolge la zona abitata dai coloni: in questo modo è possibile realizzare degli edifici con materiali più leggeri e che consentano di vedere l’esterno, con l’unico vincolo di posizionarli all’interno della struttura di cavi elettrici.
Anche se non siamo stati premiati nel concorso, Solenoid ci ha comunque dato lo slancio per continuare a fare ricerca nell’ambito. Nel corso degli anni abbiamo man mano portato avanti e perfezionato il progetto, arrivando prima a una soluzione per i cavi a toroide sia verticale che orizzontale e successivamente a nuove conformazioni di cavidotto, che abbiamo quindi applicato a strutture come la Base Marte e il Moon Hotel.
All’interno del macro tema dell’esplorazione spaziale, la progettazione di avamposti e colonie è sicuramente uno degli aspetti per il quale nutro maggiore interesse. È infatti il “pretesto perfetto” per indagare una grande varietà di argomenti che portano con sé implicazioni molto diverse: per esempio l’autosufficienza delle basi, il trasporto dei pezzi necessari e il recupero dei materiali per la costruzione e l’assemblaggio, come rendere la vita dei coloni confortevole al di fuori della Terra e non solo per mera sopravvivenza. Su questi presupposti ritengo interessante il progetto per astronave e colonia modulare, dove abbiamo studiato ogni aspetto della colonizzazione (a partire dal viaggio stesso) in modo da ottimizzarlo nel modo più efficiente possibile.
Anche se il mio approccio alla progettazione spaziale si basa principalmente su strumenti e soluzioni che risultino plausibili nel breve-medio periodo (è lo stimolo che mi spinge a tenermi aggiornato sull’attuale stato di avanzamento dell’industria aerospaziale), a volte però è salutare anche sognare in grande: ed è appunto da questa libertà creativa che nascono i progetti Dark Shadow e gli studi per uno schermo solare per il pianeta Terra. Perché dare confini all’immaginazione, se ancora non abbiamo tracciato quelli dell’universo?
Conversazione con Marco Peroni
A cura di Pasqualino Solomita
Faenza, 2 gennaio 2024
[Pasqualino Solomita] Chi è Marco Peroni? [Marco Peroni] Una persona appassionata del suo lavoro. Forse la cosa più importante che mi contraddistingue! Per esempio, oggi che è il 2 gennaio e lo studio è chiuso per ferie, in realtà io sono qui già dalle sei del mattino a mettere un po’ d’ordine ai vari progetti e a pensare a come organizzare il nuovo anno. Direi una persona per la quale il lavoro coincide con il suo hobby, cioè progettare: che è appunto il mio interesse principale fin da quando sono bambino. Tutti i bambini lo fanno: io ho cercato di approfondire questo interesse e di farne un lavoro. In realtà ho sempre immaginato di aprire uno studio professionale, così come poi ho fatto. Mia moglie dice che è una vita monotona e triste, perché ho praticamente programmato tutto sin dall’inizio.
Sei il monaco dell'ingegneria. Esatto. Ho ingegnerizzato il mio futuro!
Cosa significa per te essere ingegnere oggi? Ah, essere ingegnere oggi… è una domanda interessante. Significa avere proprio una grande passione, in un momento come quello attuale in cui le norme e la burocrazia ti imbavagliano e ti mettono veramente alla prova. È dal 2010 che è in atto una sorta di “burocratizzazione”, un’esplosione delle normative. La professione si è fatta un po’ triste, rigida; tutto si è complicato e irrigidito (dico scherzando che siamo diventati tedeschi o svizzeri…) ed è quindi sempre più importante riuscire ad avere la mente aperta e soprattutto coltivare una passione che ti alimenti.
Quindi, sull'essere ingegnere oggi: da una parte ritieni che sia assolvere e rispondere alle norme in maniera puntuale, e dall'altra però cercare comunque di mantenere un po' di libertà creativa all'interno di una maglia che rimane ed è diventata ancora più rigida. Sì, è vero: io sono sempre positivo e vedo sempre il bicchiere mezzo pieno!
Anche in questo scenario di burocrazia e di tanti “paletti” che le norme impongono ci sono tantissime opportunità nuove.
Ad esempio si sta aprendo lo scenario del BIM e della progettazione integrata e multidisciplinare, che il nostro studio vuole cercare di intraprendere il prima possibile. Poi le occasioni interessanti e stimolanti nel lavoro in realtà, a saperle cogliere, ci sono sempre. Penso alla sperimentazione sulla
costruzione di case con la stampa 3D, che è un tema che si sta prospettando proprio in questi primi giorni dell’anno all’interno del mio studio. La creatività dell'ingegnere odierno, l'invenzione della forma strutturale, l'invenzione di un sistema, quelle ci sono sempre, per carità. È che adesso essere ingegnere, rispetto alla spensieratezza di un tempo, deve andare di pari passo con il rispetto normativo.
Le forme organiche sperimentali di inizio carriera hanno lasciato il posto a forme astratte, declinate secondo una concezione metabolica. Ritieni di avere consapevolmente o anche inconsapevolmente preso queste direzioni in virtù del supporto del calcolatore elettronico nel controllo della forma?
Ho iniziato, come già accennato, facendo la tesi con il prof. Majowiecki sulla verifica del progetto di Sergio Musmeci per il ponte sullo Stretto di Messina.
Il tema delle forme strutturali mi ha sempre appassionato: le tensostrutture così come le forme organiche in generale, come per il recente progetto di concorso per la nuova sede Orogel che abbiamo sviluppato con l’ausilio della modellazione parametrica. Il riferimento alla forma organica è sempre presente nel mio pensiero progettuale.
Questa ricerca sulla forma organica ha preso corpo in maniera preponderante grazie anche al supporto della tecnologia che ti ha permesso di controllarla?
Qui nello studio ci sono tanti modellini con cui verifichiamo le forme che di volta in volta sviluppiamo.
È chiaro che, se la forma è troppo complicata e/o troppo particolare, devi aiutarti con i programmi parametrici. Da questo punto di vista sono di grande supporto, ma di contro non devi neanche farti prendere la mano dalla facilità con cui è possibile creare qualsiasi forma con questi software.
Il rischio è di rimanere imbrigliato.
La questione che ti pongo quindi è: questi programmi li usi come strumento di verifica o di progettazione?
Li uso come supporto alla progettazione. Il tipo di architettura come quello di Zaha Hadid, per esempio, non riesco a farmela piacere del tutto. Nel senso che preferisco quando l'uso dei programmi parametrici è finalizzato all’ottenimento di una forma che ha un chiaro