Architetti in viaggio

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A cura di Paola Barbera Maria Rosaria Vitale

Architetti in viaggio La Sicilia nello sguardo degli altri


01 DIÀTONI studi di storia dell’architettura e restauro


Questo libro è stato pubblicato con i fondi del progetto FIR 2014 La Sicilia nello sguardo degli altri: architetti in viaggio, finanziato dall’Università degli studi di Catania, Dipartimento DICAR, e raccoglie gli atti del seminario internazionale (Siracusa, 18-19 maggio 2017) realizzato con il contributo della Struttura Didattica Speciale di Architettura di Siracusa. Responsabile scientifico: Paola Barbera Gruppo di ricerca: Edoardo Dotto, Salvatore Giuffrida, Eugenio Magnano di San Lio, Maria Rosaria Vitale Componenti esterni: Tiziana Abate, Filippo Gagliano, Franca Malservisi, Pawel Migasiewicz Nell’ambito del progetto Tiziana Abate ha curato la redazione delle schede degli architetti-viaggiatori implementate nel database, Filippo Gagliano ha curato la realizzazione della piattaforma GeoDatabase-WebGIS.

ISBN 978-88-6242-256-7 Prima edizione Dicembre 2017 © LetteraVentidue Edizioni © Testi e immagini: rispettivi autori È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico e impaginazione: Raffaello Buccheri LetteraVentidue Edizioni Srl Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italy Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni


A cura di Paola Barbera Maria Rosaria Vitale

Architetti in viaggio La Sicilia nello sguardo degli altri


INTRODUZIONE 11

Paola Barbera - Maria Rosaria Vitale «Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola»

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Giuseppe Pagnano Dufourny in Sicilia. 1788-1793

47

Maria Giuffrè Souvenirs de Sicile, 1907. Il viaggio dell’architetto francese Prosper Bobin (1844-1923)

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Ornella Selvafolta Architettura, natura e paesaggi mediterranei: il viaggio in Sicilia di Luigi Figini nel 1961

IN VIAGGIO: TRE LEZIONI

UN’ISOLA DAI MOLTI VOLTI DALL’ANTICO AL MEDIOEVO 93

Francesca Buscemi Richard Koldewey ad Agrigento (1892-1895): architetti tedeschi, Accademia, addestramento professionale e cantieri di archeologia alla fine dell’Ottocento

113

Saverio Sturm Resa til Italien. Il viaggio in Sicilia di Carl August Ehrensvärd nel 1781

133

Julia Wuggenig Heinrich Gentz’s travel to Sicily and his experiences with antique architecture

151

Gabriella Cianciolo Cosentino Verso il medioevo. Topografie, geometrie e cronologie del gusto nel lungo Ottocento

171

Maria Sofia Di Fede Sicilia 1836: le architetture “saracene” nelle memorie di viaggio di Eugène E. Viollet-le-Duc e di Henry Gally Knight


193

Giuseppe Antista La riscoperta dell’architettura medievale siciliana: la cattedrale di Messina disegnata dai pensionnaires francesi nel primo Ottocento

209

Fabio Mangone Lo sguardo del filologo, lo sguardo dell’architetto, lo sguardo del poeta. Arata, la cultura Arts and Crafts e l’architettura arabonormanna

225

Lucia Trigilia Christiane Reimann e Siracusa nel Novecento: un nuovo contributo alla conoscenza dell’area archeologica della Neapolis

ARCHITETTURA E NATURA: LA SCOPERTA DEL PAESAGGIO 243

Tiziana Abate - Stefano Branca Jean Houel e la vulcanologia dell’Etna

259

Edoardo Dotto Il viaggio in Sicilia di M.C. Escher

271

Ascensión Hernández Martínez Alla scoperta dell’architettura vernacolare mediterranea: il viaggio dell’architetto spagnolo Fernando García Mercadal in Sicilia (1924)

289

Gemma Belli Viaggio nel sud: la Sicilia negli “occhi” di Federico Patellani

PROTAGONISTI, LUOGHI, ITINERARI 303

Pawel Migasiewicz Le problème des inspirations polonaises dans les oeuvres siciliennes de Stefano Ittar

315

Marco Calafati Il voyage in Italia di Pierre-Adrien Pâris (1745-1819). Annotazioni, percezioni e riflessioni con alcuni disegni di architetture neoclassiche in Sicilia

331

Andrea Maglio Gli architetti tedeschi e la Sizilienreise nell’Ottocento


349

Michael Kiene Hittorff e la Sicilia. Concetti estetico-documentari nella realtà editoriale

365

Michela D'Angelo «En entreprenant le voyage de Sicile …». Hittorff a Messina nel 1823

385

Massimo Lo Curzio Il viaggio in Sicilia di Hittorff nel 1823, l’architettura moderna ed una città nuova

401

Antonio Brucculeri - Massimiliano Savorra Serialità e topoi nei disegni di viaggio in Sicilia. Charles-Édouard Isabelle e gli architetti francesi tra la fine del Primo Impero e l’inizio della Monarchia di Luglio

421

Chiara Monterumisi Quando il nord incontra la «chiave di tutto». La Sicilia di Ragnar Östberg

441

Antonello Alici La Sicilia di Alvar Aalto

STRUMENTI DI CONOSCENZA: MUSEI, ARCHIVI, DATABASE 459

Francesca Gringeri Pantano La Cultura della Bellezza esposta: il Museo dei Viaggiatori in Sicilia di Palazzolo Acreide

473

Franca Malservisi Immagini della Sicilia negli archivi della Médiathèque de l’Architecture et du Patrimoine: insegnamenti e potenzialità di un corpus disorganico

489

Paola Vitolo Un contributo allo studio del patrimonio artistico e architettonico dell’Italia meridionale: il progetto The Medieval Kingdom of Sicily Image Database

507

Salvatore Giuffrida - Filippo Gagliano Logiche dell’informazione per una sinossi dell’errare. Il geodatabase degli architetti in viaggio


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Introduzione ~


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barbera maria rosaria vitale paola

«Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola»

Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che al concetto di isola corrisponde solamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui tutto è mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finiremo mai di contarle. (Gesualdo Bufalino, La luce e il lutto, Sellerio, Palermo 1996) Oggetto di una sterminata produzione di diari, racconti, lettere, relazioni, raffigurazioni, la Sicilia dei viaggiatori è un territorio in buona parte esplorato da studiosi di rilievo, italiani e stranieri1. Eppure, per le strade dell’isola, sulle sue coste e nei remoti paesi dell’interno si sono avventurati viaggiatori di cui ancora sappiamo poco, talvolta nulla. Tra i tanti, la nostra attenzione è stata rivolta agli architetti-viaggiatori che nel corso di un lungo arco temporale, dalla fine del Settecento al Novecento, hanno visitato la Sicilia. I loro disegni e scritti ci restituiscono una sequenza di ritratti dell’isola, delle sue architetture e dei suoi paesaggi: talvolta queste immagini si sovrappongono, tanto da farci pensare a un diretto passaggio di testimone da allievo a maestro, a passi che seguono e ricalcano orme (e disegni) già tracciati da predecessori, talvolta invece uno scarto brusco, un mutamento improvviso di prospettiva ci mostra un’isola diversa. Ma insieme ai molteplici ritratti della Sicilia, dai disegni di viaggio viene fuori anche una sequenza di autoritratti, che – pur attraverso templi greci, cattedrali normanne, corti di palazzi maestosi e piccole case di pescatori, paesi aggrappati alla roccia o distesi sul profilo del mare – raffigurano gli architetti e molto ci dicono del loro modo di progettare, in ogni tempo alla ricerca di un punto di equilibrio tra memoria e modernità, tra domande sulle origini dell’architettura e sul suo futuro. Osservare la Sicilia con gli occhi dell’architetto Questo saggio, così come la cura del volume, è frutto del lavoro comune e condiviso delle due autrici; tuttavia a Paola Barbera si deve la stesura del primo, secondo e quinto paragrafo, a Maria Rosaria Vitale quella del terzo, quarto e sesto. 1. Rimandiamo per le informazioni essenziali alle singole bibliografie proposte dai diversi autori del volume e alla bibliografia in coda a questo saggio.


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MARIA GIUFFRÈ

Gli architetti del nord e la Sicilia I colori e la luce sono, ancora una volta, al centro delle attenzioni da parte degli architetti provenienti dal nord, come dimostra Fabio Mangone nel suo apparentemente modesto e invece utilissimo libro dal titolo Viaggi a sud. Gli architetti nordici e l’Italia,1850-192537, magistralmente presentato da Cesare de Seta. Anche in questo caso desidero segnalare, dalla interessante selezione iconografica di Fabio Mangone, alcune immagini riguardanti in particolare la Sicilia, tra 1868 e 1924: immagini che vanno dall’osservazione minuta delle decorazioni a mosaico e a muqarnas della Zisa [Fig. 18] e delle fitte grafie arabeggianti del palazzo Chiaromonte a Palermo (opere rispettivamente degli svedesi Ernst Jacobsson, 1868, e Isak Gustaf Clason, 1884), alla capacità di sintesi espressa nei panorami urbani, Palermo con il Monte Pellegrino, Taormina immersa nella campagna e sovrastata dalle rocce e dai castelli [Figg. 19, 20] (opere rispettivamente dello svedese Hakon Ahlberg, 1920, e del finlandese Hilding Ekelung, 1922; quest’ultimo intitola Italia la bella. Rapsodia di un viaggio un articolo del 1923 e nel 1921, con la moglie, aveva denominato libro delle città un suo quadernetto, inaugurandolo a Roma: probabile premessa a una futura pubblicazione); sino agli schizzi di particolari compositivi e di edilizia urbana con il disegno di ringhiere e di anonime quinte architettoniche (per Vicenza, da parte dei finlandesi Marius af Schultén, 1920, e Pauli E. Blomstedt, 1924)38. Tutto questo avviene più o meno contemporaneamente ai viaggi italiani di Asplund e di Aalto. La concorrenza della fotografia: Emanuele Giannone per Palermo Cronologicamente vicine agli acquarelli di Bobin, tra gli anni 1885 e 1922, quando la fotografia tendeva ormai a soppiantare il disegno di veduta e a diventare una pratica comune, sono poi le immagini del fotografo Emanuele Giannone per Palermo, oltre 100 nelle collezioni del museo Pitrè, e altre nelle collezioni di Rosario La Duca e di Enzo Sellerio39: attente, però, a mostrare realisticamente non tanto i monumenti di una città che è stata sovente definita capitale della belle époque, la città dei Whitaker e dei Florio, quanto le sue condizioni di degrado che possono quindi, in un certo senso, giustificare le grandi operazioni di sventramento legittimando le demolizioni che ne caratterizzeranno la storia in quegli anni. Non sono senza significato, infatti, le due date tra le quali Giannone opera, 1885, anno di presentazione del famoso 37. Mangone 2002, in particolare il capitolo dedicato ai viaggiatori del Novecento, pp. 45-62. Il libro di Fabio Mangone è una vera miniera di notizie che la voluta sinteticità di queste mie note non può certamente dimostrare. 38. Ivi, figg. a p. 129. Anche se non riferiti alla Sicilia, segnaliamo questi soggetti per la loro modernità. 39. Cfr. Morello, Uccello, Mazzola, 2000.

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Fig. 14 ~ René Binet, Esquisses décoratives par René Binet Architecte, s.d. ma 1902, frontespizio. Fig. 15 ~ Vetrine per l’esposizione di profumi e giocattoli (Binet 1902).

Fig. 16 ~ Decorazioni a mosaico e in ceramica sulle pareti di una casa di abitazione (Binet 1902). Fig. 17 ~ Decorazioni a graffito sulle pareti di una casa di abitazione (Binet 1902).


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selvafolta Architettura, natura e paesaggi mediterranei: il viaggio in Sicilia di Luigi Figini nel 1961

Un viaggio “ritrovato” Nella primavera del 1961, Luigi Figini insieme alla moglie Gege intraprende un viaggio/vacanza in Sicilia che si svolge lungo le coste di quasi l’intera l’isola, si spinge fino alle isole Eolie (Lipari e Vulcano), alle Egadi (Levanzo e Favignana) e a Ustica [Figg. 1, 2]. La Sicilia è una meta fino ad oggi sconosciuta nei percorsi biografici e culturali dell’architetto e non è mai rientrata nella riflessione storico-critica sulla sua opera; il convegno Sicily through foreign eyes ha offerto quindi l’occasione di scoprirne le tracce e di portare alla luce nuovi documenti conservati nell’archivio privato dell’architetto1. L’attività e il ruolo culturale di Luigi Figini e Gino Pollini sono già stati oggetto di numerosi e rilevanti studi2; ricordo solo, e in estrema sintesi, che entrambi partecipano nel 1926 alla fondazione del Gruppo 7 insieme a Giuseppe Terragni, Guido Frette, Sebastiano Larco, Carlo Enrico Rava, Ubaldo Castagnoli (poi sostituito da Adalberto Libera): giovani architetti, alcuni di loro appena laureati al Politecnico di Milano, le cui idee di rinnovamento, espresse nella memorabile serie di articoli pubblicati dalla rivista “La Rassegna Italiana”, hanno 1. L’idea di verificare se tra le mete di viaggio di Figini vi fosse anche la Sicilia, è nata da una conversazione con l’amico Fabio Mangone. Desidero ringraziare Paola Barbera e Maria Rosaria Vitale, curatrici del convegno, che hanno prontamente accolto la proposta. Niente tuttavia sarebbe stato possibile senza la disponibilità e la fiducia degli eredi Alessandro e Liliana Figini che conservano con grande attenzione l’archivio privato dell’architetto a Milano (attualmente in corso di ordinamento): cfr. Archivio Arch. Luigi Figini, d’ora in poi Milano, AAF. A entrambi va la mia particolare gratitudine. 2. Tra tutti: Gregotti, Marzari 1996, al quale rimando generalmente per i riferimenti alle opere di Figini e Pollini. Si precisa che il Fondo Luigi Figini-Gino Pollini del Museo di Arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto [d’ora in poi Rovereto, Mart] conserva i documenti inerenti l’attività professionale dello studio e, in minima parte, anche documenti personali dei due architetti.

San Giovanni degli Eremiti a Palermo, 1961 (Milano, AAF).


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Fig. 9 ~ Il teatro greco di Taormina, 1961 (Milano, AAF). Fig. 10 ~ Dettaglio di un alberello fiorito rampicante a Taormina, 1961 (Milano, AAF).

Fig. 11 ~ Angolo sud ovest del chiostro di Monreale, 1961 (Milano, AAF). Fig. 12 ~ Chiostro della Magione a Palermo, 1961 (Milano, AAF).


ORNELLA SELVAFOLTA

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Fig. 13 ~ Pergolato sull’isola di Vulcano, 1961 (Milano, AAF).

Che questo tema gli interessi lo si capisce anche da altre e diverse immagini dove le sequenze dei chiostri diventano quelle di semplici portici, logge, pergole che creano confini aperti come sistemi di indicazione spaziale, regolatori di luce, dispositivi di orientamento per le vedute e le loro profondità. Dalla fiancata del piroscafo tra Messina e Villa San Giovanni alle pergole delle case di Vulcano, Figini fotografa più volte questi elementi che ritmano il mare, la campagna e il cielo e costituiscono, magnifici «intermediari tra il vivere al chiuso e il vivere all'aperto»33 [Fig. 13]. Prima del viaggio in Sicilia ne aveva tessuto le lodi sempre in L’Elemento verde e l’abitazione, evocando la bellezza delle «pergole lunghe» che «ombrano portici assolati», delle «aiole che sorgono inattese da cassoni di muro rettangolari, per fiorire tra pilastro e pilastro, tra colonna e colonna, in margine a piccoli cortili», mentre «verso il mare si allungano terrazze e solari, in vista all’orizzonte dei due azzurri lontani»34. Erano questi, a suo parere, «elementi tipici» dell’architettura mediterranea nelle declinazioni più genuine di costruzioni semplici, spontanee, in accordo con la natura. Figini le rintraccia soprattutto negli arcipelaghi siciliani dove, insieme al paesaggio, costituiscono per lui un campo di interesse quasi esclusivo e rimandano alla sua perdurante idea che nell’«architettura mediterranea minore, senza tempo e senza trapassi di stile» risiedesse sia il ricordo dell’antico, sia la profezia del moderno. Grazie a «un gioco sconosciuto di influssi, rispondenze e

33. Figini 1951, p. 52. 34. Figini 2012 (1950), p.16.


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Fig. 7 ~ Richard Koldewey, Otto Puchstein, «Der sog. Tempel des Hercules in Akragas» (Koldewey, Puchstein 1899, II, Taf. 21).

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Stuart e N. Revett57. Va tuttavia, osservato, come la prima liberazione della cella e i primi scavi fossero avvenuti soltanto dopo il viaggio dell’architetto inglese, e cioè a partire dal 1834 su impulso della neonata Commissione di antichità e belle arti, in collaborazione con la Commissione di corrispondenza di Agrigento58. Nel 1836 venne redatta la prima pianta dell’edificio, a cura dell’architetto Francesco Saverio Cavallari, per Le Antichità della Sicilia del duca di Serradifalco. Si osservano nel grafico quotature, indicazione dei rocchi superstiti della peristasi e la principale novità emersa dagli scavi, cioè la presenza di un piccolo sacello presso il fondo del naos. Questa pianta fu seguita direttamente da quella di Koldeway [Fig. 7], che rimase anche l’unica fino al secolo successivo, e cioè fino all’altro importante contributo degli architetti tedeschi alla conoscenza dell’architettura templare siceliota, costituita dai rilievi e dagli studi di De Waele59. Ciò che segna la differenza tra questa e le altre restituzioni di Koldewey rispetto agli elaborati di altri architetti più o meno contemporanei, è l’addestramento professionale nei cantieri di archeologia e il lavoro congiunto con gli archeologi. Ciò è evidentissimo nell’impostazione sia grafica che teorica del volume, a partire già dall’indice, non strutturato come un diario di viaggio, cioè per luoghi toccati, bensì per bacini geo-culturali, distinti in base alle fonti storiche, vale a dire per colonie achee, calcidesi, corinzie, sub-colonie siracusane etc., e dunque, in definitiva, già come una storia dell’architettura antica. Nella sua modernità e attualità la pianta di Koldeway può essere considerata ancora di riferimento, sia per la sorvegliata oggettività, 57. Cockerell 1830, pp. 10-11, pl. IX. 58. Buscemi 2016. 59. De Waele 1992.


FRANCESCA BUSCEMI

sia per la ricchezza di notazioni fondamentali per l’archeologo quali la stratigrafia muraria con indicazione delle fasi edilizie, il piano d’uso riferito ad un riutilizzo del tempio, le manipolazioni alle lastre del pronao, parzialmente asportate, o l’ingombro dei crolli. In stretta correlazione con la pianta sono il prospetto e la sezioni di dettaglio che documentano i rifacimenti all’anta meridionale e all’opistodomo avvenuti già in antico [Fig. 8]. Va segnalata, inoltre, la pianta dell’altare60, mai rilevato fino a quel momento. Secondo una pratica già diffusasi nella documentazione archeologica a partire dagli anni ‘70 dell’Ottocento, per esempio da Dörpfeld e Schliemann a Micene e Troia o da Niemann a Samotracia, Adamklissi ed Efeso, anche nei volumi di Koldeway e Puchstein la rappresentazione dello stato di fatto dei monumenti o dei crolli, un tempo affidata alle vedute, molto impegnativa per il lavoro che essa richiedeva e meno bisognosa di interpretazione, è ormai delegata alla fotografia, in altri casi anche ricalcata al tratto. In generale, non era infrequente che essa sostituisse gli schizzi e soprattutto il disegno di ornato61. Gli strumenti utilizzati da Koldeway e Puchstein furono, come dichiarato dagli stessi studiosi, «i più semplici», vale a dire canna metrica, filo a piombo, regolo e livello. Se si eccettua l’unico strumento di traguardo goniometrico, la bussola diottrica, utilizzata dai due tedeschi per verificare gli orientamenti dei templi rispetto all’edito, con tanto di dati sulla declinazione magnetica forniti loro dalla marina militare tedesca62, si può affermare che Koldeway e Puchstein si mossero nel solco dello strumentario per il rilevamento già riconosciuto da Edoardo Dotto alla base dei rilievi di monumenti siciliani 60. Di Stefano 2014. 61. Buscemi 2010. 62. Koldeway, Puchstein 1899, p. 190.

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Fig. 8 ~ Richard Koldewey, Otto Puchstein, Agrigento. Prospetto e sezioni dell’anta sud-ovest (Koldewey, Puchstein 1899, I, Abb. 129).


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wuggenig Heinrich Gentz’s travel to Sicily and his experiences with antique architecture

Introduction Gentz was 24 years old when he undertook the journey to Italy and Sicily1. The purpose of his journey was to «make him more complete» as François Deseine already describes the goal of journeys to Italy in Nouveau Voyage d’Italie in 1688 and thus finish his education as an architect with the study of original buildings which were important for his career2. Gentz was not an isolated case in doing so: for almost every European architect of Gentz’s time it was common to spend a part of their life in Italy after their study period, before starting a professional career3. For most of them, however, Sicily was not part of the programme of their stay in Italy. Besides the archeologist Aloys Hirt, Gentz was until the year 1800 the only German architect who undertook the dangerous journey to Sicily4. On his journey there, he had several travel guide books with him. In addition to the Voyage pittoresque by Houel5 he carried also books by Baron of Riedesel6, by the English scientist Patrick Brydone7, by the German archaeologist

1. An outcome of the journey to Italy and Sicily was for example a contribution to the so-called Elementarzeichenwerk, a manual for future artists and architects. 2. Hersant 2001, p. 24. In the Enlightement the focus was shifted from the completion of the individual to the human comunity in general: through travelling the architect should enlarge the general knowledge of the society. 3. Pinon 2001, p. 74. 4. Ivi, p. 103. 5. Houel 1782-87. 6. Riedesel 1939. 7. Brydone 1776.

Heinrich Gentz, Sketches about the temples in Selinunte; below: capital of temple F; London Fair Copy (Londoner Reinschrift, Gentz 2004).


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Fig. 7 ~ H.H. Bothen, Monreale, Duomo, particolare, 1838 (gta Archiv ETH Zürich, 173 03 57). Fig. 8 ~ F.D. Bedford, Palermo, Cappella Palatina, sezione, 1891 (RIBA London, PB169).

ARCHITETTI IN VIAGGIO

Geometria e ideologia L’iperbole rappresenta graficamente il crescendo dell’interesse degli architetti europei per l’architettura siciliana di epoca medievale, che intorno alla metà dell’Ottocento registra una vera e propria impennata. Quali sono i motivi di questo entusiasmo? L’orientalismo e il nazionalismo sono due aspetti centrali – apparentemente opposti – dello stesso fenomeno, e possono essere assunti come chiavi di lettura per capire le ragioni di questo interesse. «Il gotico come ultimo grande sogno d’Oriente della cultura occidentale»22. Per Adolf Behne e per molti architetti prima e dopo di lui, il gotico e l’architettura orientale rappresentano «matrici non alternative ma complementari, che […] spesso realizzano una simbiosi»23. La simbiosi medievale-orientale delle fabbriche normanne, e la coincidenza terminologica, concettuale e ideale fra “gotico” e “arabico” nella percezione di queste architetture rispecchiano l’intreccio tra medievalismo, orientalismo e ornamentalismo che segna fin dall’inizio la rinnovata attenzione per epoche e stili del passato considerati fino ad allora “barbarici”. La rivalutazione delle architetture normanne e della loro decorazione non è altro che un aspetto di quel processo culturale, ideologico, antropologico a scala internazionale che vede il tramonto del mito neoclassico e l’apertura verso civilizzazioni e culture architettoniche fino a quel momento escluse dal repertorio degli stili “ufficiali”, come il gotico, il bizantino, il moresco. Orientalismo e ornamentalismo vanno di pari passo, includendo in un graduale processo di revisione critica ed estetica tutto quello che fino a pochi decenni prima infastidiva, deludeva e perfino indignava i viaggiatori: la policromia, i rivestimenti musivi, la ricchezza decorativa, i cosiddetti “arabeschi” [Figg. 7, 8]. A una sterminata produzione grafica e pubblicistica (centinaia di disegni di ornamenti e dettagli decorativi si trovano nelle collezioni grafiche di tutta l’Europa) corrispondono interessanti sperimentazioni progettuali. Vari edifici realizzati nel corso dell’Ottocento si ispirano ai monumenti normanni siciliani, soprattutto nella

22. Bossaglia, Terraroli 1990, p. 375. 23. Godoli 1990, p. 109.


GABRIELLA CIANCIOLO COSENTINO

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MARIA SOFIA DI FEDE

realizzati a Palermo nel 1836 [Figg. 7, 8]26, ed una ricostruzione dell'esterno [Fig. 9], ipotizzandone così la configurazione originaria prima dell'avvenuta "rococotizzazione" nell'età moderna. Alcune sue riflessioni del 1836, in realtà, intercettano le questioni storiografiche più spinose. Indica con convinzione nella sapienza costruttiva degli Arabi l'incipit dell'architettura archiacuta, nelle "diaboliche" muqarnas l'espressione del sapere geometrico da cui deriveranno le complesse volte gotiche, attribuendo al palazzo della Zisa, in definitiva, il ruolo testimoniale del cruciale passaggio dall'architettura islamica al gotico. Simili preposizioni sono palesemente debitrici degli scritti di Hittorff, su cui il giovane Eugène aveva basato la sua formazione preparando il tour italiano27. Soltanto un anno prima l'architetto tedesco, pubblicando l'Architecture moderne de la Sicile, aveva esposto le sue teorie sull'origine dell'architettura gotica, maturate fin dal suo lungo soggiorno isolano, fra il 1823 e il 1824; nel Précis historique28, anteposto alla serie di tavole debitamente commentate, sviluppa i vari passaggi dei suoi ragionamenti che si possono riassumere in pochi concetti fondamentali: l'affermazione sistematica dell'arco acuto nelle opere realizzate dagli Arabi in Sicilia come la Zisa o la Cuba, la sua adozione da parte dei Normanni nelle loro costruzioni e la sua conseguente trasmissione prima in Normandia e quindi in Europa e, infine, la lunga influenza nelle opere siciliane, sino alla fine del XV secolo, dell'architettura sarrasine-normande29, ossia "arabo-normanna".

26. Esiste infatti, fra i disegni elaborati a Palermo, anche una veduta del vestibolo della Zisa, che non pubblichiamo a causa delle non perfette condizioni del grafico che lo rendono poco leggibile, il quale evidentemente ha ispirato l'immagine stampata nell'Histoire. 27. È lo zio Etienne Jean Delécluze a conoscere personalmente Hittorff e a fornire al nipote le sue opere. Viollet-le-Duc 1980, p. 13. 28. Hittorff, Zanth 1835, pp. 1-21. 29. Uno degli ultimi paragrafi del Précis si intitola L'influence de l'architecture sarrasine-normande ayant disparu des monumens élevés en Sicile depuis le XVIe jusq'au XIXe siècle ..., ivi, p. 15.

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Fig. 7 ~ E.E. Viollet-le-Duc, Palermo, Zisa, piante del piano terra e del piano nobile (Antista, Scibilia 2016). Fig. 8 ~ L. Gaucherel, Palermo, Zisa, mosaico della sala della Fontana (Antista, Scibilia 2016).


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da alcuni disegni del collega Prosper-Mathieu Morey (1805-1886), destinati alla raccolta di incisioni e litografie pubblicata nel 1841 con il titolo Charpente de la cathédrale de Messine … [Fig. 7], ma furono realizzati durante il viaggio in Sicilia del 1836 e sono oggi conservati presso la Bibliothèque-médiathèque di Nancy16. Morey, borsista a Villa Medici negli anni 1832-183717, fu infatti tra i maggiori studiosi del tetto della cattedrale, così come Eugène E. Viollet-le-Duc (1814-1879), che al termine del tour siciliano, svoltosi proprio nello stesso anno, realizzò una singolare tavola di grande formato (65x99 cm) sulla complessa carpenteria18. I futuri architetti, che erano già entrati in contatto a Parigi presso lo studio di Achille Leclère – dove Viollet-le-Duc svolse un primo apprendistato, prima di rigettare il sistema d’insegnamento dell’Accademia per dedicarsi 16. I disegni della Bibliothèque-médiathèque di Nancy (vol. 7, cc. 7-22) sono consultabili nel sito http://morey.nancy.fr e recano la data 1836, ad eccezione di uno datato aprile 1834 che mostra una chiara derivazione dalla sezione del tetto della cattedrale eseguita da Garrez nel 1832. Si veda Mazzeo 2008, pp. 87-92, che inoltre raffronta i disegni di Morey con la tavola di Viollet-le-Duc dedicata allo stesso soggetto. 17. Su Morey, autore di diversi studi sull’architettura storica della Lorena e progettista di molti edifici neogotici, tra cui la basilica di Saint-Epvre a Nancy, si veda: Hubert 1964 e Rossinot, Benhamou 1990. 18. Sul viaggio in Sicilia di Viollet-le-Duc si rinvia ad Antista 2016, pp. 18-25. Si confronti inoltre: Viollet-le-Duc 1971; Le voyage d’Italie d’Eugene Viollet-le-Duc, 1836-1837, 1980; Pagnano 1980, pp. 224-247; tra gli studi più recenti sull’architetto si veda invece: Viollet-le-Duc. Les visions d’un architecte, 2014; Viollet-le-Duc e l’Ottocento. Contributi a margine di una celebrazione (1814-2014), 2017.


GIUSEPPE ANTISTA

a lunghi viaggi di formazione – ebbero modo di rivedersi nell’isola e di confrontarsi in varie occasioni, come a Roma nei mesi successivi, dove entrambi lavorarono al rilievo della Cloaca Maxima e di altri siti. L’analisi dei disegni e della produzione teorica, che si svilupperà in seguito, evidenzia un approccio alquanto differente tra i due architetti, riflesso della propria personalità e formazione19. Nell’introduzione alle sette tavole contenute nella Charpente de la cathédrale de Messine [Figg. 8, 9], con un atteggiamento più da storiografo che da architetto, Morey dà una chiave di lettura personale del soffitto, mettendolo in relazione alle carpenterie delle basiliche antiche; finanche i particolari ornamentali, la cui iconografia è chiaramente legata a temi cristiani, sono da lui considerati un esempio di decorazione classica, da riproporre possibilmente nell’architettura contemporanea. Egli infatti scrive: «Noi sappiamo che il legno ha svolto un ruolo importante nella costruzione degli edifici greci e romani: la maggior parte delle coperture erano fatti di questo materiale […]. Purtroppo nessuna delle carpenterie che dovevano coprire questi edifici grandiosi si è salvata dagli incendi, dalla cupidigia degli uomini o dall’azione del tempo. Le descrizioni che l’antichità ci ha trasmesso sono insufficienti e incomplete su questo aspetto. Come dunque sapere quale era la disposizione delle carpenterie antiche? Se, per esempio erano nascoste ai nostri 19. Si confronti Leniaud 1994, p. 225.

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Fig. 5, 6 ~ Pierre-Joseph Garrez, cattedrale di Messina, carpenteria lignea della copertura e particolare decorativo, 1832 (MAP, Plans et relevés de Louis-Clémentin Bruyerre, 0080/116/4001, n. 18-19).


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annotazioni, che testimoniano uno studio approfondito22. Altre due tavole del corpus dei disegni siciliani testimoniano l’interesse del giovane architetto per le strutture lignee: una è dedicata al celebre soffitto normanno della Cappella Palatina e un’altra alla copertura a cassettoni della sala dei Baroni nel trecentesco Palazzo Chiaromonte, entrambi a Palermo; assieme alla cattedrale di Messina mostrano una comune matrice culturale araba, evidenziata dalle stelle a otto punte, presenti sia nell’esempio più antico che in quello del XIV secolo23. Nella maturità, a distanza di circa trent’anni dal viaggio in Sicilia e alla luce di tanta esperienza nei cantieri di restauro di edifici medievali, Viollet-le-Duc tornò a scrivere sulla carpenteria messinese, dedicandovi un corposo paragrafo nel suo principale contributo teorico, il Dictionnaire raissonné de l’architecture francaise du XIe au XVIe siècle (Paris 1854-1868). In esso si legge: «Noi non conosciamo le grandi carpenterie a vista anteriori al XIII secolo; è probabile che quelle che esistevano prima di questa epoca, nel nord della Francia, ricordino fino a un certo punto le carpenterie delle basiliche primitive del Medioevo che lasciano vedere le capriate ed erano solamente controsoffittate al di sotto del colmo, come per esempio, la carpenteria della navata della cattedrale di Messina, così riccamente decorata di pitture all’interno. Non bisogna dimenticare che questa carpenteria fu costruita durante la dominazione dei Normanni in Sicilia […]. Ci sono tutte le ragioni Fig. 10 ~ Eugène Emmanuel Violletle-Duc, cattedrale di Messina, particolare del pulpito (MAP, 1996/083/0353).

22. I disegni sono conservati a Parigi presso la Médiathèque de l’architecture et du patrimoine (MAP), ai segni 1996/083/0353 (particolare del pulpito), 1996/083/0354 (carpenteria del tetto), mentre gli schizzi di studio sono contenuti nell’Album Italia-Sicilia. Per il rilievo della copertura, posta a notevole distanza dal suolo, è stato anche supposto l’uso della camera chiara, sebbene Viollet-le-Duc non ne faccia riferimento nel diario di viaggio; si confronti Mazzeo 2008, pp. 87-92. 23. Antista 2016, pp. 18-25.


GIUSEPPE ANTISTA

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dotto Il viaggio in Sicilia di M.C. Escher

Le recenti mostre delle opere di Maurits Cornelis Escher allestite in Italia1 assieme alla riorganizzazione espositiva di alcuni siti museali europei a lui dedicati che propongono affascinanti percorsi didattici, hanno recentemente rivitalizzato l’attenzione del pubblico sulla figura di questo originale artista grafico ed hanno stimolato l’interesse nei suoi confronti da parte di una nutrita schiera di studiosi. Il richiamo finora suscitato in modo particolare dalle sue opere realizzate a partire dal 1940 circa – quelle più famose che rappresentano con rigore geometrico mondi impossibili, situazioni paradossali e inganni ottici – viene adesso condiviso con lavori di grande pregio, realizzati nella fase iniziale della sua carriera e che hanno come soggetto le architetture, le città e i territori che hanno rappresentato, almeno sino alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, le mete privilegiate dei suoi viaggi. In questa nota si prendono succintamente in considerazione le opere di Escher che hanno come oggetto le città e i paesaggi della Sicilia e si cerca di stilare un elenco quanto più aggiornato e comprensivo di questi lavori. Non esiste ancora un catalogo generale delle opere di Escher, quindi se ne propone una stesura provvisoria, resa difficoltosa dalla naturale diaspora delle opere e dei materiali originali, raccolte in diverse istituzioni pubbliche e private – in Olanda ed

1. In questi mesi è aperta a Catania la mostra al Palazzo della Cultura, dal 19 marzo al 17 settembre 2017. Negli anni passati su Escher erano state allestite, tra le altre, la mostra al palazzo Reale di Milano nel 2016, al museo di Santa Caterina di Treviso nel 2015-2016, a Palazzo Albergati di Bologna nel 2015, al Chiostro del Bramante a Roma del 2014-2015 e quella al Palazzo Magnani di Reggio Emilia nel 2013-2014.

Fig. 1 ~ Escher a Patti, 1932, fotografia.

M.C. Escher, Colonne doriche, 1945 (Locher 1978).


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Fig. 12 ~ Federico Patellani, Sicilia: eruzione dell’Etna, 1950 (Fondo Federico Patellani, Museo di Fotografia Contemporanea Cinisello Balsamo-Milano). Fig. 13 ~ Federico Patellani, Stromboli: gita al vulcano, 1952 (Fondo Federico Patellani, Museo di Fotografia Contemporanea Cinisello Balsamo-Milano).

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allora come alcuni temi propri del dibattito urbanistico assumano in Sicilia connotati particolari: infatti, se da un lato l’autonomia, grazie alle possibilità offerte dalla Carta costituzionale regionale, consente di affrontare talune questioni in anticipo, compresa la potestà legislativa in materia urbanistica, dall’altro lato le particolari condizioni socioeconomiche e politiche della regione ne osteggiano lo sviluppo, condizionato soprattutto dalle attività della mafia. In una società ancora prevalentemente analfabeta, le immagini di Patellani, pubblicate prevalentemente su riviste non specialistiche capaci di comunicare a un vasto pubblico, diventano una realtà mediata di indiscusso valore, un irrinunciabile mezzo di divulgazione culturale, e contemporaneamente uno strumento di riflessione sul futuro dei luoghi, partecipe di un progetto di rinnovamento culturale e di trasformazione sociale. Lo conferma la riflessione condotta più o meno negli stessi anni sulle pagine di “Urbanistica”, il cui corrispondente dall’isola è Edoardo Caracciolo, impegnato nella denuncia del contrasto tra le condizioni drammatiche dell’abitare e l’esuberanza della programmazione tecnica di allora. Ad esempio, in Premesse al Piano Regionale Siciliano, articolo apparso sul numero 1 della rivista nel 1949, a firma dello stesso Caracciolo, l’occhiello recita: «il popolo siciliano mangia e veste peggio e si diverte meno della media nazionale. È più malato e più ignorante. Vive in ambienti edilizi ed urbanistici spesso orrendi»28; e le illustrazioni raccontano alcuni aspetti dei grossi centri rurali delle zone interne dell’isola, provando a evidenziare come «le città [manchino] di acqua potabile e di fognatura. Il popolo [lotti], cercando di coltivare ogni palmo di terra disponibile; ma il rendimento è scarso, perché gli investimenti capitalistici (strade, bonifica idraulica ed

28. Caracciolo 1949, p. 13.


GEMMA BELLI

agraria, case) sono scarsi. […] Ne viene che il lavoro è scarso. Ed il ciclo si chiude. […] Siamo nella piena miseria di una zona depressa»29. L’urgenza di procedere alla realizzazione di opere pubbliche e al loro coordinamento, così come messa in luce dagli scatti del fotografo monzese, è ad esempio ribadita da Giuseppe Tesoriere in Aspetti attuali e proposte per la soluzione del problema della viabilità siciliana, che insiste sulla necessità di risolvere il problema in un momento storico in cui le strade dell’isola ancora «non conoscono che l’aspro sentiero e la malsicura trazzera»30. E risuona anche una visione della natura analoga a quella proposta da Patellani: ancora Caracciolo, infatti, sottolinea come la Sicilia non sia affatto quella terra «dalla inesauribile ricchezza e feracità […], negletta dai suoi abitatori che si addormentano tra le sue delizie, cupidamente cercata sempre dagli stranieri»31; così come riecheggia la sottolineatura del carattere di fissità, con Vincenzo Lona che, nell’ambito dei resoconti sui Piani comunali nel quadro della pianificazione regionale, definisce la Sicilia un’isola in cui «la stessa terra, le stesse mura, gli stessi uomini non sembrano mutati nel tempo»32. In maniera significativa, dunque, le immagini fotografiche di Federico Patellani, meno indagate nel loro rapporto con l’urbanistica e il paesaggio di quanto non lo siano, ad esempio, i coevi reportage di Paolo Monti, o successivamente di Mario Cresci, soprattutto se analizzate nello specchio dei viaggi al sud e in Sicilia restituiscono con efficacia la capacità della fotografia di rendersi, nel secondo dopoguerra, propositiva di una nuova forma di comunicazione. Esse 29. Ivi, p. 16. 30. Tesoriere 1950, p. 40. 31. Caracciolo 1949, p. 13. 32. Lona 1955, p. 99.

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Fig. 14 ~ Federico Patellani, Stromboli: isolana, 1952 (Fondo Federico Patellani, Museo di Fotografia Contemporanea Cinisello Balsamo-Milano). Fig. 15 ~ Federico Patellani, Stromboli: vulcano in eruzione, 1952 (Fondo Federico Patellani, Museo di Fotografia Contemporanea Cinisello Balsamo-Milano).


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Fig. 9 ~ Elévation générale de la grande fontaine sur la place de la Cathédrale a Messine (Hittorff, Zanth 1835, Pl. 27).

ARCHITETTI IN VIAGGIO

Anche l’altra fontana di Montorsoli, quella di Nettuno (1557), che si trova «dans un des lieux les plus beaux et les plus agréables que l’on puisse voir», cioè lungo la marina al centro della Palazzata, è nel suo insieme «d’un grand effet» e nei dettagli mostra «une rare perfection» (Pl. 24-25. Plan, élévations et details de la grande fontaine élevée sur la Marine) [Fig. 10]34. Oltre «les fontaines monumentales qui embellissent les places et les rues de Messine», ad interessare Hittorff sono anche quelle «moins considérable» che «ornent les palais et les édifices publics» come la fontana del palazzo arcivescovile (1611), che «réunit à l’effet pittoresque l’utilité et la salubrité» con il suo zampillante getto d’acqua incontaminata (Pl. 16. Fontaine du palais de l’archêvéque)35. Con la fontana Senatoria (1615) e quella della Pigna, degna di attenzione è quella più antica «de marbre blanc» in piazza S. Giovanni di Malta che Hittorff riproduce anche nel Frontispice delle Planches. «Plusieurs dispositions de palais …» Lo sguardo di Hittorff si rivolge anche verso i palazzi di alcune famiglie nobili o comunque importanti nell’economia e nella società cittadina. I disegni di Hittorff che riproducono la pianta e l’interno sono le uniche immagini esistenti delle residenze private di nobili e borghesi.

34. Hittorff, Zanth 1835, pp. 37-38. 35. Ivi, p. 35.


MICHELA D’ANGELO

Definite «Opere da Muratori» da un architetto messinese, per Hittorff queste costruzioni esprimono le non trascurabili abilità degli architetti locali36: i palazzi privati, infatti, sono «remarquables» per l’uso felice di «une intelligence industrielle», anche senza quella «combinaison artistique» che potrebbe inserirli nella storia dell’arte37. Del palazzo degli Avarna, duchi di Belviso, in piazza Annunziata, Hittorff apprezza la suddivisione degli spazi interni e la spaziosa entrata con una grande e bella scala che porta ad «une riche habitation», mentre l’imponente facciata, che gli sembra ispirata alla scuola di Borromini, contrasta con l’assetto interno del palazzo riedificato nel 1787 dall’architetto Saverio Francesco Basile (Pl. 19. Plan et vue du palais Avarna). La pianta disegnata da Hittorff resta una fonte preziosa per la storia dell’architettura messinese: di palazzo Avarna, distrutto dal sisma del 1908, Maria Accascina ha scritto che «la fotografia del prospetto e un disegno pubblicato nel volume dell’architetto Hittorff rappresentante un interno e la pianta permettono di rievocarlo come un bell’esempio di architettura del Settecento nel ritmo delle paraste che scandiscono la facciata lasciando il pieno risalto ai balconi con balaustri al prospetto e al portale centrale fiancheggiato da colonne e sormontato dal balcone»38 [Fig. 11].

36. Ivi, p. 37. 37. Ivi, p. 20. 38. Ivi, p. 36; Accascina 1964, p. 148.

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Fig. 10 ~ Plan, élévations et details de la grande fontaine élevée sur la Marine (Hittorff, Zanth 1835, Pl. 20).


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Fig. 8 ~ F.J. Lecointe, Messina, Cattedrale, Particolare dei cassettoni, 1831 (USB). Fig. 9 ~ Cattedrale di Messina, particolare del soffitto (foto: M. Lo Curzio, 2015).

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originariamente progettata con il suocero Lépere. Nella nuova configurazione, per non dare disturbo alla percezione generale, utilizza per le cinque navate – come elemento strutturale verticale – delle colonne e, sopra di queste, una semplice trabeazione, soluzione che risolve l’errata alternanza tra archi e trabeazioni o la dicotomia colonna-pilastro. Se nel caso della configurazione di St. Vincent de Paul la situazione è palese, data la volontà di dare unitarietà allo spazio sacro, più singolare è la citazione di un particolare decoro della Cattedrale di Messina che utilizza in maniera più improbabile. Ce ne fornisce la prova il bel disegno del collega e socio di Hittorff che, a distanza di alcuni anni, va a sua volta a fare il tour siciliano e disegna, forse proprio su indicazione del collega, i dettagli policromi dell’intradosso del tetto. Jean-François-Joseph Lecointe rappresenta nel 1831 con bei disegni a colori il plafond centrale della Cattedrale24 [Fig. 8]. Ma la cosa abbastanza singolare è che Hittorff a St. Vincent de Paul copia sfacciatamente questo elemento [Fig. 9] stendendolo “a tappeto” su entrambi gli intradossi del rifascio interno della copertura [Fig. 10]. Se nel caso della variazione d’impianto il gioco era motivato, in quest’ultimo la caduta di stile è totale.

24. Kiene 2005.


MASSIMO LO CURZIO

Fontane messinesi e parigine Altra possibile connessione Messina-Parigi riguarda le fontane. Le più famose fontane parigine di Hittorff, a Place de la Concorde, si chiamano des Mers e des Fleuves, cioè dei Mari e dei Fiumi. Guarda caso le fontane messinesi prese ad esempio sono: la fontana di Orione che rappresenta quattro fiumi: Tevere, Ebro, Nilo e Camaro e la fontana del Nettuno che è dedicata al dio del mare. Il principale riferimento formale delle parigine è certamente la fontana di Orione dalla quale Hittorff riprende l’impianto, la sagoma di alcuni elementi, il modello delle vasche e di alcuni apparati scultorei per i giochi d’acqua. Ma lo stesso si può dire per i dettagli di alcune fontane messinesi “minori”, sei e settecentesche, anch’esse fonte di ispirazione. Completamente differenti sono però i contesti e le modalità espressive. Le fontane messinesi connotano punti simbolici e spazi urbani particolari, mentre quelle di place de la Concorde, geometricamente collocate in un enorme spazio, devono proporre focalità precise, segnare l’attenzione esorcizzando l’horror vacui. Non solo, ma la necessità di dare forza e grandiosità le fa realizzare con soluzione policrome assai spinte che poco hanno a che fare con le eburnee cinquecentesche fontane messinesi.

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Fig. 10 ~ Hittorff, St. Vincent de Paul, intradosso del soffitto (Kiene 2017).


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brucculeri massimiliano savorra antonio

Serialità e topoi nei disegni di viaggio in Sicilia. Charles-Édouard Isabelle e gli architetti francesi tra la fine del Primo Impero e l’inizio della Monarchia di Luglio

Studiare i disegni di viaggio degli architetti francesi: questioni metodologiche Tutt’altro che nuovo, il tema del viaggio dei pensionnaires dell’Accademia di Francia è stato dagli anni Ottanta del Novecento in poi oggetto di specifica attenzione da parte della storiografia; in particolare le indagini si sono sovente concentrate sul censimento e sullo studio degli elaborati grafici ufficiali, prodotti durante il viaggio e il soggiorno in Italia, e poi inviati all’Académie des Beaux-Arts a Parigi. Queste tavole, acquerellate e di grandi dimensioni, sono state valutate addirittura come autentiche “opere d’arte”1. È quanto emerge con chiarezza se si considerano sia i fondamentali studi di Pierre Pinon2, sia la serie dei preziosi cataloghi realizzati nell’arco di vent’anni, relativi alle mostre sugli envois de Rome tenutesi in principal modo a Roma e a Parigi3. A partire da queste esposizioni, diversi contributi hanno utilizzato gli envois dei pensionnaires per studiare luoghi o siti archeologici, oppure determinate architetture, interessati più al contenuto dei disegni in quanto mera rappresentazione di quel tempio, di quella chiesa o di quella città o regione, che al viaggio come strumento didattico. Ciò ha fatto sì che in questi studi siano stati spesso tralasciati temi chiave per la conoscenza delle forme e degli strumenti di apprendimento della disciplina. E quando, di taluni protagonisti, sono venuti alla luce i disegni non ufficiali, i disegni “privati”, questi sono stati considerati per lo più eccezioni, sebbene – come alcuni studiosi hanno

1. Cfr. Adam 2002. 2. Cfr. Pinon, 1982; Pinon, Amprimoz 1988. 3. Cfr. De Caro 1980; Paris-Rome-Athenes 1982; Roma Antiqua 1985; Ciancio Rossetto et al. 1992; Jacques et al. 2002.

Il presente saggio è frutto di una costante e proficua collaborazione fra i due autori; tuttavia, la stesura del terzo e quarto paragrafo si deve ad Antonio Brucculeri, quella del primo e del quinto a Massimiliano Savorra, quella del secondo ad entrambi.

Ch. Isabelle, Veduta della corte di un palazzo di Palermo, 19 giugno 1826 (ENSBA).


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pensionnaires, anche per Isabelle la “restauration” è la dimostrazione di come un luogo del passato possa rivivere, mediante l’“immaginazione” e l’“istinto” da un lato e grazie all’“imitazione analogica” dall’altro, a partire dall’uso del poché, termine con il quale gli architetti Beaux-Arts designavano la traccia grafica del costruito sul suolo. Motivo di divisioni e frustrazioni in questo periodo anche tra gli artisti pittori – classici e romantici – all’interno dell’Académie34, i temi 34. Korchane 2003. Fig. 9 ~ E. Viollet-le-Duc, Teatro di Taormina. Veduta prospettica della “Restitution” 1836 (MAP).


ANTONIO BRUCCULERI - MASSIMILIANO SAVORRA

dell’“idealità” della tradizione – così come la questione del colore35 – venivano affrontati, mettendo in discussione le posizioni teoriche assunte fino a quel momento. Come ricordato, i giovani architetti potevano nutrirsi, in quegli anni, della versione completa della prima ambiziosa sintesi storica del divenire dell’architettura occidentale, offerta nell’opera di Séroux d’Agincourt, i cui ultimi fascicoli erano stati dati alle stampe, postumi, nel 1823. Parallelamente si preparavano su 35. Savorra 2006b.

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Fig. 7 ~ Ragnar Östberg, L’avvicinamento al Tempio della Concordia, marzo 1897 (Kungliga Akademien för de fria konsterna, Stoccolma).

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August Ehrensvärd (1745-1800) ammiraglio, nonché uomo della corte di Gustavo III. I disegni contenuti nel suo Resa till Italien (Viaggio in Italia, 1786) sono infatti capaci, nella loro apparente semplicità, di sintetizzare i tratti salienti di paesaggi fisici e antropologici. Agrigento «La strada che collega Segesta e Girgenti si snoda su un letto di sabbia che attraversa l’isola da nord a sud. Non c’è traccia di ombra. Sotto al sole un accampamento di pietre con mura e piccoli pertugi scuri. Dall’altra parte di questo paese in stile arabo, giù verso il mare, si trovavano i resti della greca Girgenti. La sabbia turbinava intorno ai gradini del tempio, ammucchiandosi e coprendo in gran parte colonne, basamento e capitelli, oppure oscurandoli interamente. Il mare risplendeva come uno specchio in fiamme. La vorticante sabbia africana brillava come granelli dorati nell’aridità dell’aria e nell’afa i pilastri sembravano spaccati in due metà, una al sole e una all’ombra, che, sciogliendosi al calore, scorrevano lungo i gradini di marmo. Davanti il deserto, fino su alle mura della città. Su un’immensa pietra giaceva, molto vicino a me, il guardiano. Bagnato dal sole, a proprio agio e cullato da tutto quello che vedeva, se ne stava sdraiato lì beato come un contadinello su un covone di paglia mentre strappa erbacce e fiori. Il covone era un gigantesco capitello dorico ricoperto di vegetazione staccatosi dal Tempio di Giunone lì a fianco»28. 28. Östberg 1920, p. 95.


CHIARA MONTERUMISI

«Il fatto che ancora oggi, dopo 2500 anni, si trovino in ottime condizioni nonostante i danni causati dai terremoti e dall’intervento dell’uomo, sta a testimonianza dell’incredibile solidità con la quale furono costruite. Forniscono ancora oggi, nonostante il decadimento, un’impressione ancora viva del tempo che rappresentano, di uno dei più alti concetti che allora dominavano e hanno preso forma, e che, al debole bagliore dorato del sole che tramonta, appaiono tutt’oggi più belli di qualsiasi altra forma d’arte»29. Tre dei quattro schizzi della Valle dei Templi sono gli unici nei quali appare la presenza umana che è però tanto narrata negli appunti di Agrigento, quanto nei passi precedenti. L’esperienza di avvicinamento al maestoso Tempio della Concordia lungo la strada polverosa costellata di rocchi di colonne e arbusti della macchia mediterranea è ben descritta dal primo disegno [Fig. 7]. Un gruppo di persone punteggia lo spazio innanzi al tempio e sale per le scalinate. Protagonista indiscusso degli altri due schizzi è l’uomo come misura dell’architettura e, in particolare, dei resti del Tempio di Giunone. In questo senso, interpretiamo l’elemento trilitico di colonna dorica e porzione di trabeazione al cospetto di una probabile figura femminile in piedi che sembra parlare con un uomo seduto su uno degli imponenti gradoni del basamento. Nello spazio tra i due si delinea, con un tratto decisamente leggero, il profilo delle mura della città di Agrigento che si è sviluppata a nord e lontana dalla valle [Fig. 9]. 29. Östberg 1897, p. 124.

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Fig. 8 ~ Ragnar Östberg, Il guardiano disteso beatamente sui resti di un capitello adagiato sul terreno, marzo 1897 (Kungliga Akademien för de fria konsterna, Stoccolma).


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Fig. 9 ~ Ragnar ร stberg, Dialogo ai piedi dei resti del Tempio di Giunone, marzo 1897 (Kungliga Akademien fรถr de fria konsterna, Stoccolma).

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CHIARA MONTERUMISI

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Fig. 10 ~ Ragnar Östberg, L’enigmatico monumento sepolcrale di Terone nella necropoli fuori dalle mura, poco a sud della valle dei Templi, marzo 1897 (Kungliga Akademien för de fria konsterna, Stoccolma).


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Fig. 3 ~ Alvar Aalto, Concorso per la chiesa di Töölö, Helsinki, schizzo su carta (Alvar Aalto Museum, Archive, Jyväskylä).

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ANTONELLO ALICI

[…] The travel sketches as such are more architectural history than the architecture of today. But they must have left some unconscious influences in the mind: for example the amphitheatres, to which all Aalto’s public spaces aspire, to a greater or lesser extent, even if he did break the classical mould»37. Le emozioni e le ispirazioni raccolte nei viaggi vanno dunque cercate nei disegni di progetto, che con segni rapidi e concisi fissano le prime idee da consegnare ai collaboratori di studio capaci di tradurle in elaborati compiuti sempre sotto l’attenta supervisione del maestro38. L’esaltazione della città verticale e della composizione su terreni collinari è evidente nel piano regolatore e nel progetto di municipio per la piccola comunità di Säynätsalo [Fig. 9], così come nella sapiente composizione della nuova città universitaria di Otaniemi, in cui la sequenza regolare dei dipartimenti conduce fino all’acropoli del rettorato, segnata dall’iconica aula magna gradonata in forma di teatro greco. Cosi come il legame con la classicità e con la cultura mediterranea è esibito nel motto dei numerosi concorsi vinti in quegli anni, da “Ave Mater Alma. Morituri te Salutant” (Otaniemi) a “Sinus” per la chiesa parrocchiale di Lahti 1950, da “Trinitas” per la cappella del cimitero di Malmi 1950, a “Curia” per il municipio di Säynätsalo, e ancora da “Casa” per Rautatalo a Helsinki a “Urbs” per l’Università Pedagogica di Jyväskylä del 1952 [Fig. 10].

37. Following the line. Elissa Aalto on Alvar Aalto’s working practice, in Paatero 1993, pp. 20-21 (based on an interview by Marja-Riitta Norri in Tiilimäki 20, Helsinki, 13.4.1993). 38. Sulla vita nello studio di Tiilimäki 20 a Munkkiniemi, Helsinki, vedi Charrington, Nava 2011.

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Fig. 9 ~ Riflessi del viaggio in Italia. Municipio di Säynätsalo (foto: A. Alici, 2011). Fig. 10 ~ Alvar Aalto, Concorso per il campus dell’Università Tecnologica di Helsinki, motto “Ave Mater Alma. Morituri Te Salutant” (Alvar Aalto Museum, Archive, Jyväskylä).


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malservisi Immagini della Sicilia negli archivi della Médiathèque de l’Architecture et du Patrimoine: insegnamenti e potenzialità di un corpus disorganico

Scandagliando i ricchissimi fondi iconografici degli archivi del servizio dei Monuments historiques attraverso gli operatori di ricerca, ci si può imbattere casualmente in alcune fotografie siciliane. Per quali ragioni gli archivi fotografici della Médiathèque de l’architecture et du patrimoine1 conservano alcune migliaia d’immagini dell’Italia, tra le quali si trovano alcune centinaia d’immagini siciliane? Dai rari dagherrotipi dei pionieri della fotografia alle vedute istantanee riprese con le prime macchine facilmente maneggiabili, questo corpus eterogeno rivela alcuni aspetti della relazione della cultura architettonica francese con il patrimonio della Sicilia. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la maggiore facilità degli spostamenti e della produzione di immagini modifica il ruolo delle riproduzioni di edifici e paesaggi nella formazione degli architetti. Un esame dei diversi contesti di produzione di queste immagini della Sicilia, tracce di nuove modalità d’immersione visiva in altri spazi e altri luoghi, rinvia anche a una riflessione sulla conservazione e la valorizzazione di fondi documentari in crescita esponenziale. Gli archivi della Médiathèque custodiscono una delle più importanti collezioni fotografiche a livello internazionale. Quantitativamente, si tratta di quattro milioni di stampe e quindici milioni di negativi, in parte digitalizzati e messi progressivamente in rete. Le fotografie sono consultabili grazie al database Mémoire, che rende disponibili fondi iconografici di origine sorprendentemente diversa. Mémoire fa parte

1. La Médiathèque de l’architecture et du patrimoine, creata nel 1996 come emanazione del servizio del Patrimonio del ministero della Cultura francese, conserva e valorizza gli archivi dell’amministrazione dei Monuments historiques et del patrimonio fotografico dello Stato.

Le informazioni sulle immagini sono tutte estratte dalle schede associate alle fotografie nel database Mérimée.

Lucien Roy, Agrigento, tempio di Castore e Polluce, 1914, positivo su vetro, autocromia (MAP AP10L00786).


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Fig. 5 ~ Lucien Roy, tempio di Segesta, colonne, 1914, positivo su vetro, autocromia (MAP AP10L00779).

ARCHITETTI IN VIAGGIO

destinato alla proiezione. Le vedute siciliane di Lucien Roy rivelano lo sguardo di un architecte-archéologue che esalta i paesaggi assolati ed esplora la relazione tra monumento e contesto naturale o urbano14. Con l’autocromia l’autore sperimenta le nuove possibilità per la riproduzione dei valori cromatici degli interni decorati e degli orizzonti aperti. Nelle vedute dei templi, la monumentalità del sito sembra inglobare quella delle vestigia e le pietre antiche diventano un elemento naturale della Sicilia [Fig. 5]. Linee, forme e colori di rocce lontane rispondono a quelli dei ruderi archeologici, mentre in altre immagini è la vegetazione che occupa lo spazio maggiore dell’inquadratura [Fig. di apertura]. Nella riproduzione degli edifici medievali i procedimenti fotografici sono messi a confronto. L’uso del bianco e nero e del colore in uno stesso luogo – il chiostro della cattedrale di Monreale per esempio – dimostra una ricerca attenta alla riproduzione delle qualità dei materiali e degli effetti spaziali della luce [Figg. 6, 7]. Un’analisi più approfondita dovrebbe permettere di verificare in che modo il colore assuma un ruolo specifico nella riproduzione della spettacolare magnificenza di interni policromi e della relazione tra vegetazione e murature. Il bianco e nero conferma invece le sue potenzialità nell’interpretazione in due dimensioni delle volumetrie complesse delle volte o nella riproduzione della scultura [Fig. 8]. Il viaggio in Sicilia ispira anche vedute panoramiche di golfi, porti, barche e l’espressione di una certa intimità con luoghi e persone. Il lavoro di questo fotografo amatore, risultato di una vera ricerca creativa, assume una dimensione più ampia rispetto al semplice valore documentario che l’appartenenza ai fondi della Société Française d’Archéologie avrebbe lasciato ipotizzare. Lucien Roy fa un lascito dei suoi negativi (1885-1935) alla Société che, a sua volta, nel 1998 li dona agli archivi fotografici della Médiathèque.

14. Una tesi di dottorato in Storia dell’arte contemporanea è in corso sugli archivi fotografici di Normand e Roy: Camille Conte, Les usages et regards photographiques des architectes français, Alfred-Nicolas Normand et Lucien Roy, 1880-1939, Université de Poitiers.


FRANCA MALSERVISI

Fig. 6 ~ Lucien Roy, Monreale, duomo, arcate del chiostro sul giardino, 1914, positivo su vetro, autocromia (MAP AP10L00755).

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Fig. 7 ~ Lucien Roy, Monreale, duomo, colonne del chiostro, 1914, positivo su vetro, gelatino bromuro (MAP AP10L02341).

Fig. 8 ~ Lucien Roy, Palermo, chiesa di San Cataldo, interno, cupole, 1914, positivo su vetro, gelatino bromuro (MAP AP10L02331).


01. DIÀTONI studi di storia dell’architettura e restauro Oggetto di una sterminata produzione di diari, racconti, lettere, relazioni, raffigurazioni, la Sicilia dei viaggiatori è un territorio in buona parte esplorato da studiosi di rilievo, italiani e stranieri. Eppure, per le strade dell’isola, sulle sue coste e nei remoti paesi dell’interno si sono avventurati viaggiatori di cui ancora sappiamo poco, talvolta nulla. Con il convegno La Sicilia nello sguardo degli altri: architetti in viaggio (Siracusa, 18-19 maggio 2017) la nostra attenzione è stata rivolta agli architetti che nel corso di un lungo arco temporale, dalla fine del Settecento al Novecento, hanno visitato la Sicilia. I loro disegni e scritti ci restituiscono una molteplicità di ritratti dell’isola, delle sue architetture e dei suoi paesaggi e insieme a questi anche una sequenza di autoritratti, che raffigurano gli architetti e molto ci dicono del loro modo di progettare, in ogni tempo alla ricerca di un punto di equilibrio tra memoria e modernità, tra domande sulle origini dell’architettura e sul suo futuro.

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