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Introduzione Impilare pietre...Impilare parole... Torrente montano Taccuino Prabel Ho smarrito... Impilare pietre/impilare parole di Roberto Andrea Lorenzi
81 Non identificato 90 Intrusione o "della qualitĂ della forma" e dello spazio di Paolo Mestriner
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Jacinta Inzuppato nel tempo... alle volte gracido alle volte canto. Scorro, come un’anatra mandarina sulla semplice cosa: la vita.
Introduzione Tenia algo de Precursor Pio Baroja A volte, nella vita di ogni uomo, arriva il momento in cui si prova a interpretare le tracce che si sono lasciate. Le circostanze che mi hanno accompagnato hanno voluto che queste, architracce o tracce archetipe, incrostassero il campo limitato della mia esistenza e del mio immaginario di povertà rurale. Ciò, negli anni, mi ha portato a riflettere sulla possibilità di rendere qualcosa a questo campo, qualcosa che esprimesse un carattere di autenticità, inteso come una sorta di ritorno alla natura e al corso naturale delle cose. In generale va detto che il termine architracce, confluisce, o inizia per me, nella costruzione elementare contadino-montanara, « [...] Arché indica ciò che è in principio: è ciò che sta nelle profondità mitologiche e araldiche dell’origine, ma è anche ciò che si impone per principio, perché è evidente, logico, elementare.» (R. Masiero, Estetica dell’Architettura, il Mulino, Bologna, 1999, cap. Primo, pag. 13). Sono ben cosciente della distanza che mi separa dalla reale condizione delle cose di cui tratto e che la mia interrogazione posta come “circolo ermeneutico” potrà essere ritenuta per alcuni, senza ombra di dubbio agli eruditi, discutibile e inadeguata, prossima al
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Impilare pietre... Impilare parole... In qualche modo, l’introduzione a questa pubblicazione è stata stesa e, proprio nello stenderla, mi sono ritrovato di fronte al fatto, prima, e alle parole, poi: impilare pietre. Come a dire che mi sono trovato nel “sé”, ovvero nell’insieme di tutto ciò che mi si rappresenta nella mente, con l’oggetto, che è l’artefatto, il muro in pietra che ho preso come atto di unificazione in questo tentativo di attivazione pensierosa. Il taccuino, e l’incontro con Prabel e con l’uomo reale non identificato, è avvenuto, la memoria che mi rappresenta è attivamente in movimento e mi spinge ad ascoltare il canto delle pietre impilate, che, se sono riuscito a comprenderle, dovrei poterle tradurre in un canto di parola. Ho assegnato a questa pietra, alla pietra compenetrata con il gesto dell’umano, un valore che si tramuta in vita in simbiosi con l’essenzialità propria del gesto necessario, che, ancora una volta, si ritrova in quella sorta di realtà ingenua che unifica l’insieme delle relazioni, dispiegate nel campo del luogo ambientale: lo spazio vitale della povertà montanara, quell’oggettività del soggetto, che si è rappresentato in quelle azioni che il pensiero di oggi definisce «primitivo, prelogico, che non è altro che la logica pratica, la prassi». (P. Bourdieu).
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Sono consapevole della distanza che mi separa dalla pratica, dalle condizioni temporali della pratica, dell’uomo reale non identificato, ciò nonostante mi sono assegnato il compito di penetrare questa pratica per provare a riportarla, nella mediazione mente-corpo, all’essenza delle cose del mondo agibili e praticabili nell’immanenza. Guardo alle pietre impilate: ho guardato alle pietre impilate: ho velocemente schizzato a disegno le pietre impilate: proverò ad impilare parole, che guardano pietre. Ho toccato le pietre impilate: ho pensato alle pietre impilate, mentre le schizzavo sul taccuino: proverò ad impilare parole, che hanno ascoltato pietre. Ogni pietra porta con sé il gesto dell’uomo che l’ha posata, e il gesto contiene lo spazio e il tempo nel suo movimento di trasformazione. Qualsiasi trasformazione fatta dall’uomo contiene, infatti, il tempo e lo spazio della trasformazione (un mondo storico). Dunque, cosa possono avere di diverso queste pietre, di cui vado tanto a raccontare? Innanzitutto queste pietre non provengono da un progetto, ma da un gesto (ricerca,selezione, messa in opera), dalla prassi unificante e unificata al gesto: la pietra e il gesto sono, in questo contesto, un’unica realtà diveniente, l’immanenza del gesto è l’immanenza della pietra. Per questo, di fronte a quelle pietre, ad ognuna di quelle pietre, si è levato dal mio cuore il canto dell’ esserci tutto in sé, come se ciascuna pietra, come si dice nello Zen, fosse un “unico tra cielo e terra” e allo stesso tempo la non identità dell’identità; così che le pietre del “non identificato”, dovendo in qualche misura trascendere la contingenza, divengono “tutti i luoghi”, aperta pagina
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Taccuino Prabel
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