Henri Lefebvre
a cura di Guido Borelli
ELEMENTI DI RITMANALISI Introduzione alla conoscenza dei ritmi
Il ritmanalista fa appello a tutti i suoi sensi. Attinge al suo respiro, alla circolazione del suo sangue, ai battiti del suo cuore e alla pronuncia del suo discorso come punti di riferimento. Senza privilegiare nessuna di queste sensazioni nella percezione dei ritmi. Pensa con il suo corpo, non nell’astratto, ma nella temporalità vissuta. Non tralascia nulla.
Indice
08 Introduzione alla traduzione italiana di Élements de rythmanalyse Guido Borelli 37 Nota del traduttore 38 Le projet rythmanalytique 51 Saggio di ritmanalisi delle città mediterranee ELEMENTI DI RITMANALISI 69 Henrisques Prefazione di René Lourau 75 Introduzione alla Ritmanalisi 76 Capitolo 1 La critica della cosa 93 Capitolo 2 Il ritmanalista: un ritratto previsionale
102 Capitolo 3 Visto dalla finestra 115 Capitolo 4 Addestramento (Dressage) 123 Capitolo 5 La giornata mediatica 129 Capitolo 6 La manipolazione del tempo 135 Capitolo 7 La musica e i ritmi 146 Conclusioni 150 Movimento regressivo-progressivo della ritmanalisi. Postfazione alla traduzione italiana di Élements de rythmanalyse Remi Hess 182 Riferimenti bibliografici 186 Biografie
«Succedono tante cose in un condotto dell’aria di Harlem. Si sentono litigi, si sente odore di cena, si sente la gente che fa l’amore. Si sentono pettegolezzi intimi che vagano. Si sente la radio. Un condotto dell’aria è un grande altoparlante. Vedi il bucato del tuo vicino. Si sentono i cani del custode. L’antenna dell’uomo al piano di sopra cade e ti rompe la finestra. Si sente odore di caffè. Una cosa meravigliosa, quell’odore. Un condotto dell’aria contiene ogni tipo di contrasto. Un ragazzo sta cucinando pesce secco con riso e un altro ragazzo ha un grande tacchino. Il tipo con la moglie del pesce è un ottimo cuoco, ma la moglie del tipo con il tacchino sta facendo un lavoro triste. Senti la gente pregare, combattere, russare [...] Ho provato a mettere tutto questo in Harlem Air Shaft1». (Duke Ellington, 1944, The New Yorker) «Il musicologo Alex Ross spiega che, intorno al 1900, al pubblico della musica classica non era più consentito gridare, mangiare e chiacchierare durante i concerti. Lo spettatore era tenuto a sedere immobile e ad ascoltare assorto e concentrato. Ross suggerisce che questo fosse un modo per tenere il volgo lontano dalle nuove sale sinfoniche e dai teatri lirici. (Immagino si desse per scontato che le classi inferiori fossero intrinsecamente rumorose) [...] Forse uno degli effetti sperati era quello di separare il corpo dalla mente: per considerare seria una cosa, nessuno deve ancheggiare [...] Una demarcazione così netta è più che altro un costrutto intellettuale e sociale. La musica seria, in quest’ottica, viene fruita e apprezzata solo dal collo in su. Le parti al di sotto sono socialmente e moralmente sospette» (David Byrne, 2013, Come funziona la musica) Il ritmanalista si mette «all’ascolto», ma non ode soltanto delle parole, dei discorsi, dei rumori e dei suoni; egli è in grado di ascoltare una casa, una strada, una città come si ascolta una sinfonia o un’opera. Il ritmanalista cerca di capire come è composta questa musica, chi è che la suona e per chi. (H. Lefebvre, 1992, Élements de rythmanalyse)
Henri Lefebvre nella sua abitazione di rue Rambuteau 30, insieme a Catherine Règulier. Parigi, 25 maggio 1979.
Introduzione alla traduzione italiana di Élements de rythmanalyse Guido Borelli
1. Il giardino segreto di Lefebvre Durante la sua lunga e movimentata vita, Henri Lefebvre (Hagetmau, 1901- Navarrenx, 1991) ha scritto più di sessanta libri sui temi della filosofia, della vita quotidiana, della sociologia (rurale prima e urbana dopo), dello Stato e – naturalmente – del marxismo. Oltre a ciò, Lefebvre si è occupato del pensiero di Nietzsche e dell’opera di alcuni pensatori e scrittori francesi del passato: Descartes, Rabelais, Musset, Pignon e Diderot. Ha poi dato alle stampe tre lavori teatrali brevi2, un volume sulla pittura di Édouard Pignon, un romanzo intitolato Le mauvais temps (scritto sotto il nome di Henriette Valet, sua prima moglie) e un libro geografico-turistico sull’amata Germania (a cura dal fotografo Martin Hurlimann). Tra tutte queste cose, egli ha trovato il tempo di occuparsi anche dell’ascesa di Hitler al potere, di sessuologia, della Comune di Parigi del 1871, dei movimenti del Maggio del 1968 e della critica dell’urbanistica di Le Corbusier a Pessac. Questa varietà di interessi si ritrova in una sterminata quantità di saggi su riviste che coprono un arco temporale lungo di più di sessanta anni. 8
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Prefazione
Il primo saggio scritto da Lefebvre, uscì sul numero 5/6 della rivista parigina di ispirazione surrealista Philosophies nel 1925 e si intitolava: “Positions d’attaque et de défense du nouveau mysticisme”. In quel saggio, il ventiquattrenne Lefebvre, fresco di laurea in filosofia alla Sorbona, criticava l’idealismo colpevole di “tenere a bada il mondo”, sosteneva che l’esistenza è un dato di fatto con il quale è impossibile non confrontarsi e affermava che la vita è un’avventura che deve essere vissuta pienamente. Élements de rythmanalyse, il libro che qui proponiamo in traduzione italiana – pubblicato sessantasette anni dopo e da molti considerato il suo quarto volume sul tema della vita quotidiana3 – è, invece, la sua ultima opera letteraria. Significativamente, Kofman e Lebas (1996, p. 30) osservano che con Élements de rythmanalyse, Lefebvre “chiude il cerchio” delle sue preoccupazioni giovanili come membro del gruppo dei Philosophies, concentrandosi sulla descrizione fenomenologica del rapporto tra il corpo, i suoi ritmi e lo spazio circostante. Si tratta di una relazione che, durante tutti gli anni intercorsi, era rimasta latente (o quantomeno irrisolta). Solo apparentemente, perché in realtà, come scrive René Lourau4 (cfr, infra, p. 69), nella sua bella introduzione all’edizione francese di questo libro, la ritmanalisi è stata «il giardino segreto» di Lefebvre: «jardin cerrado para muchos» (Lorca) (ibid,). I fondamenti di Élements de rythmanalyse si delinearono per la prima volta nel secondo volume de La critique de la vie quotidienne (Lefebvre, 1961). Qui Lefebvre utilizzò il termine ritmologia, annunciando la necessità di una metodologia critica sul tempo sociale della società industriale capitalista attraverso lo studio del conflitto tra le forme lineari e cicliche del tempo5. Nonostante il termine ritmologia sembrasse più appropriato a nominare un progetto scientifico basato su studi empirici, Lefebvre preferì in seguito utilizzare il termine ritmanalisi, mutuandolo da Gaston Bachelard (cfr, infra, par. 2). Nel secondo 9
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Elementi di ritmanalisi
volume della Critica Lefebvre definisce la sua sociologia come una teoria critica radicale6: nelle sue intenzioni la conoscenza critica della crescente alienazione della vita quotidiana moderna deve alimentare una teoria della prassi che permetta di accompagnare (o, quando possibile, innescare) una rivoluzione nella vita quotidiana. L’analisi dei ritmi diviene quindi parte costitutiva di questo programma di ricerca che si pone l’obiettivo di «studia(re) la persistenza dei tempi ritmici nel tempo lineare, quello della società moderna» (Lefebvre, 1961, tr. it., 1977, p. 60, enfasi originale). Un accenno alla ritmanalisi è poi presente in Vers une architecture de la jouissance (1973; 2014), il manoscritto scritto per l’ex studente e amico spagnolo Mario Gaviria7. Lefebvre ritornò in seguito sul concetto di ritmanalisi nella sua opus magnum sullo spazio: La production de l’espace (1974). In quel volume egli immaginò che la ritmanalisi, in virtù della propria maggiore concretezza, efficacia e della sua maggiore prossimità alla pedagogia dell’appropriazione (intesa come appropriazione del corpo come pratica spaziale), avrebbe potuto completare o, addirittura, rimpiazzare la psicoanalisi. Nel terzo volume de La critique de la vie quotidienne (ibid., p. 129), si trova la celebre frase, ripresa da Lourau nella sua introduzione (cfr, infra, p. 69): «quando i marxisti si sono occupati dei ritmi, li hanno considerati esclusivamente in funzione del lavoro», seguita dai limiti che Lefebvre rileva a partire da tale constatazione: «fin dall’inizio dell’organizzazione industriale, c’è una mutua e improvvisa interferenza tra processi ritmici vitali e operazioni lineari. Questo prefigura processi complessi e non supporta la tesi di una transizione diretta dai ritmi di lavoro pratici ai ritmi estetici della musica, della danza, dell’architettura e così via. Il problema generale è la spazializzazione dei processi temporali». (ibid.)
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Fu nel 1985, in un saggio intitolato: Le project rythmabalitique (cfr, infra), che Lefebvre anticipò esplicitamente i contenuti di questo volume. Ciò pose alcuni problemi agli editori che – preoccupati dal dover pubblicare un trattato che annunciava di voler mettere insieme i ritmi, i tempi, gli spazi, la poesia, la musica, la filosofia, la vita quotidiana e la città – esitavano a farsi carico del manoscritto, temendo che i contenuti non fossero all’altezza della produzione lefebvriana. Fu grazie all’intercessione di René Lourau, che Élements de rythmanalyse uscì postumo per le Éditions Syllepse nel 1992. Il libro portava la firma congiunta di Lefebvre e di Catherine Régulier (la sua ultima moglie), dopo che sullo stesso tema i due autori avevano dato alle stampe i saggi intitolati: “Le projet rythmanalitique”, pubblicato nel 1985 sul numero 41 (pp. 191-199) della rivista Communications e “Essai de rythmanalyse des villes Méditerranéennes”, pubblicato nel 1986 sul numero 37 della rivista Peuples Méditerranéens (pp. 5-16) 8. Dopo la traduzione inglese del 2004 per l’editore Continuum International, la traduzione italiana di Élements de rythmanalyse si propone sia come apporto alla recente (ri)scoperta in ambito italiano9 di uno dei più acuti pensatori (critici) marxisti contemporanei, sia come contributo per la comprensione dei legami che intercorrono tra il tempo, lo spazio e la vita quotidiana per mezzo dell’analisi dei ritmi biologici, psicologici e sociali. L’interesse per le tesi lefebvriane sui ritmi si fonda sul fatto di essere esposte attraverso un linguaggio relativamente chiaro – anche se alcuni studiosi lamentano la stringatezza dei contenuti, al limite del lapidario (Revol, 2015) – e dei riferimenti utili a un vasto insieme di studiosi: architetti, urbanisti, sociologi, designer, geografi, psicologi, antropologi. Sotto questo riguardo, Élements de rythmanalyse è un libro che punta al superamento delle discipline esistenti. L’autore stesso, nella pagina di apertura, non fa nulla per dissimularne l’alterità: «questo piccolo libro 11
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non nasconde la sua ambizione. Propone niente di meno che fondare una scienza, un nuovo campo di conoscenza: l’analisi dei ritmi; con conseguenze pratiche» (cfr, infra, p. 75).
2. La genealogia della ritmanalisi: durata, tempo sociale, momenti e le soleil crucifié Se per Lefebvre l’intenzione di analizzare i ritmi è frutto di una lunga maturazione, allora alcuni riferimenti concettuali sono necessari per stabilirne la genealogia. La prima fonte di ispirazione è stata senza dubbio l’opera del filosofo francese Gaston Bachelard. Il termine ritmanalisi (rythmanalyse), infatti, non è stato inventato da Lefebvre. Ma neppure da Bachelard. Il primo a utilizzarlo fu lo psicologo sperimentale portoghese Lúcio Alberto Pinheiro dos Santos, rifugiatosi in Brasile nel 1927 per fuggire dalla dittatura del generale Carmona. Pinheiro dos Santos scrisse nel 1931 il saggio intitolato: A ritmanalise, per una inesistente rivista edita dalla altrettanto immaginaria Sociedade de Psicologia e Filosofia di Rio de Janeiro. Il saggio sarebbe sicuramente caduto nell’oblio, se l’autore non lo avesse inviato al filosofo francese Gaston Bachelard, che ne fu entusiasta e decise di utilizzarlo ampiamente nel capitolo conclusivo del suo libro La dialectique de la durée10 (1950, ed. or., 1936, tr. it., 2010). Tuttavia, come riferisce Baptista (2010), il manoscritto di Pinheiro dos Santos non è mai stato ritrovato, per cui ciò che ci resta è l’utilizzo del concetto di ritmanalisi fatto da Bachelard. Ne La dialectique de la durée, Bachelard si pone l’obiettivo di comprendere la complessità della vita attraverso la critica del concetto bergsoniano di durata11. Per Bachelard la vita è composta da una pluralità di durate, ognuna delle quali ha il proprio ritmo, dei collegamenti e delle relazioni con le altre durate. Poiché ciascuna di queste pluralità deve la propria 12
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stabilità a complicate forme di accordo (o, talvolta, di discordanza) tra i ritmi materiali, biologi o psicologici di un individuo, la ritmanalisi si propone come una (nuova) componente delle scienze psicologiche, al pari della psicoanalisi. Lo scopo della ritmanalisi è quindi: «guarire l’anima sofferente – soprattutto l’anima che soffre del tempo, dello spleen» (Bachelard, 1950; tr. it., 2010, p. 55). Per Bachelard, attraverso una vita ritmica, è possibile liberare l’anima da false permanenze, da durate mal fatte, riorganizzandola nel tempo nello spazio. La ritmanalisi «cerca opportunità di ritmo ovunque. È convinta che i ritmi naturali corrispondano o possano facilmente sovrapporsi, l’uno all’altro. In questo modo, ci avverte del pericolo di vivere nel momento sbagliato, segnalandoci il bisogno fondamentale della dialettica temporale» (ibid., p. 357). La ritmanalisi proposta da Bachelard si concentra sull’analisi dei ritmi “più appropriati” per realizzare uno stato mentale-emozionale capace di animare la vita attraverso la leggerezza della libertà intellettuale. È rassicurante, spesso poetica: il riposo come “diritto del pensiero” può essere illuminato, spiritualizzato, poetizzato, vivendo diversità temporali ben regolate. Lefebvre ha letto Bachelard come un romantico che si fa scienziato o sociologo per interpretare le forme di alienazione che erodono la poetica delle persone comuni. Questa interpretazione dell’esperienza poetica nel quotidiano porta Lefebvre molto vicino al pensiero di Bachelard. Ciò che lo distingue è il mantenimento di un focus critico che collega le questioni poetiche a quelle scientifiche della teoria critica (Revol, 2015, pp. 214-215). La seconda fonte di ispirazione Lefebvre la mutuò dal proprio mentore, il sociologo russo-francese Georges Gurvitch12. Per Gurvitch, la società come realtà temporale è sia un oggetto, sia un soggetto in continuo divenire: è il prodotto di tutte le coscienze e le memorie combinate che emergono dall’incrocio 13
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infinito di istanze da ricordare e da anticipare. Su queste basi egli fondò una sociologia “dinamica” che si opponeva a quella “statica”, rea di mistificare troppo spesso la coscienza sociologica, di ignorare la totalità del progresso e di dimenticare la “comunità prometeica” (Farruggia, 1999). Per Gurvitch il tempo è sempre all’opera nella vita sociale, ma in vari modi e seguendo ritmi diversi: i tempi della vita e della morte, della conoscenza e dell’ignoranza, del riconoscimento e della negazione, della celebrazione e dell’oblio. Da Gurvitch Lefebvre mutuò la definizione di “tempo sociale” che si poneva in aperta rottura con l’idea classica di tempo unico e omogeneo, pensato come un a priori della vita collettiva. Ciò gli fu utile per precisare ulteriormente sia la convinzione che il tempo non è solamente tempo mentale, ma anche sociale, biologico, fisico, cosmico, lineare e ciclico, sia la relazione dialettica tra il tempo lineare e il tempo ciclico. La terza fonte di ispirazione Lefebvre la derivò dalla teoria dei momenti che iniziò a elaborare a partire dai primi anni Venti del secolo scorso. Per Lefebvre i momenti sono quegli stati di intensa esperienza nella vita quotidiana che offrono la possibilità di una critica del quotidiano stesso: si tratta di esperienze relative a forti sensazioni di disgusto, di intenso piacere, di panico, di gioia, ecc. I momenti generano le premesse per una vita quotidiana diversa e, allo stesso, tempo infrangono il continuum del presente. Così li descrive Lefebvre nella sua autobiografia La somme et le reste (1959, ed. 2009, p. 246): «un momento si relaziona alla vita intera; include tutti i tempi vissuti (… ma) ciò nonostante, ne è un frammento parziale. Un lento cammino che sfocia in una luminosità, in uno shock, una semi-comprensione dopo la quale ciò che sino allora era semplicemente percepito o compreso, diviene tema di riflessione, senza tuttavia esaurire la propria fecondità. Il momento ha la sua memoria, la propria formazione e maturazione; si condensa intorno a un’immagine centrale che esiste, ma sparisce nella vita spontanea [...] Questo 14
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evento mette in luce retrospettivamente una grande parte della realtà, e [al contempo] il tempo che a esso conduce. Sorpassandolo. Si prolunga indefinitamente. Ciò prende tempo, molto tempo: il tempo [per] intero non si può tenere13». Lefebvre fa risalire la propria consapevolezza dell’esistenza dei momenti a partire da un moto di rivolta e di orrore contro la religione bigotta che ammorbava Navarrenx, il paese della sua famiglia materna, dove il giovane Henri trascorreva le vacanze estive coltivando un profondo disgusto e disprezzo per «un borgo di commercianti e artigiani privi di fascino» (Lefebvre, 2009, p. 243, ed. or. 1958). Intorno agli anni 1919-20 egli si rese conto che, oltre ai malesseri postadolescenziali, il conformismo e l’ordine morale imposti dalla borghesia cattolica emergente nell’immediato dopoguerra, erano un motivo valido per giustificare la rivolta. Per rappresentare l’esigenza irrinunciabile di questa pulsione rivoluzionaria, Lefebvre utilizzò un’immagine mitologica: le soleil crucifié. Nelle sue lunghe passeggiate estive nella Vallée du Gave d’Oloron, egli era rimasto incuriosito dai singolari crocefissi situati agli incroci dei camminamenti. Questi crocefissi portavano all’incrocio delle braccia un disco: Lefebvre aveva notato la singolarità di queste croci, senza tuttavia dare loro particolare importanza. In effetti, il giovane filosofo si ricordava di avere distrattamente sentito o letto da qualche parte che quei dischi rappresentavano gli strumenti della passione di Cristo: la corona di spine o le lance dei soldati romani, inscritte in quei cerchi. Un giorno ebbe una sorta di vu jàdé14: «Quel giorno, seduto sullo zoccolo della croce, un’idea che senza dubbio maturavo da tanto tempo mi afferrò. Mi alzai bruscamente e guardai la croce sopra la mia testa: “hanno crocefisso il sole! Hanno crocefisso il sole!”. Mi allontanai con orrore da quel luogo, da quell’oggetto. Ma l’immagine che mi era per la prima volta apparsa con chiarezza dopo che 15
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avevo per tante volte percorso quel sentiero, doveva continuare il proprio cammino [...] Il sole inchiodato sulla croce del supplizio era la giovinezza, la mia [...] Giurai a me stesso di estirpare i chiodi mortali, di liberare il principe solare, di bruciare la croce della morte. Ma, nello stesso tempo, una nuova curiosità mi afferrava. Chi furono dunque questi uomini – i miei antenati – che portarono a compimento questa azione, che realizzarono questo simbolo grandioso e tragico e lo collocarono – loro, oscuri contadini – agli incroci dei sentieri? Perché? Quando?» (ibid., p. 245). Per Lefebvre, i momenti – intesi come esperienze differenziali nella vita quotidiana – ci illuminano nella comprensione degli stati di alienazione in cui ci ha precipitati la società capitalista. Per quanto riguarda gli stati di alienazione, egli non ha risparmia neppure la religione (nella fattispecie: quella cattolica che egli percepiva come bigotta e retrograda in seno alla sua famiglia materna). Il capitolo quinto del primo volume de la Critica della vita quotidiana (1947, tr. it., pp. 233-262) si intitola: “Note scritte una domenica nella campagna francese” ed è un vero e proprio diario della vita quotidiana in un piccolo paese del Béarn (regione di cui Lefebvre era originario) nell’immediato secondo dopoguerra. Questo capitolo è molto citato dagli studiosi, per via della feroce redde rationem di Lefebvre nei confronti della chiesa cattolica15, colpevole – al pari del feticismo economico – di produrre alienazione nelle vite degli umili credenti: «la sua potenza le viene dal fatto che penetra nella vita quotidiana [...] una tecnica psicologica e morale d’una finezza e d’una precisione estreme» (ibid., p. 260, enfasi originale). Poiché Lefebvre assume dai Manoscritti economico filosofici di Marx (1848) il concetto di alienazione come centrale per critica della vita quotidiana, possiamo assumere che se la teoria dei momenti rappresenta per Lefebvre il fondamento metafisico 16
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per la critica del quotidiano, la teoria dei ritmi la completa proponendosi come il suo fondamento scientifico-metodologico.
3. Il corpo, il tempo e lo spazio Come abbiamo visto (cfr, infra,, nota 5), la ritmanalisi si fa strada nel pensiero di Lefebvre come un concetto necessario per dirimere l’intreccio tra i ritmi lineari e quelli ciclici generato dal modo di produzione capitalista. Il tempo lineare è divenuto egemone nel capitalismo perché – è opinione di Lefebvre – è stato trasformato in un’entità astratta, necessaria unicamente per misurare il valore di scambio inerente al processo produttivo: «il tempo è denaro» (Moore, 2013, p. 73). Il tempo lineare del capitalismo promette innovazione e progresso, ma offre solo monotonia e noia in cambio. Su questo punto Lefebvre mantiene una distinzione cruciale tra ritmo e ripetizione. I ritmi preservano le differenze all’interno dei loro cicli ricorrenti: un’alba o un tramonto sono sempre unici, sebbene si ripetano ogni giorno. I ritmi non cancellano la possibilità del desiderio e della scoperta: la fame e la sete appaiono con sfumature sempre diverse. I ritmi lineari, invece, annullano tutte le differenze nel tentativo di rendere il tempo omogeneo, equivalente e intercambiabile: l’identità formale e materiale di un ciclo lavorativo è precisamente riconoscibile ripetitiva e identica a se stessa e altrettanto generativa di spossatezza e accidia. Il compito della ritmanalisi nella moderna società capitalista consiste nell’attrezzare uno strumento critico – una metodologia – per l’analisi del dominio del tempo lineare su quello ciclico. Per Lefebvre, nonostante l’egemonia del tempo lineare, ci sono sempre delle forze – più o meno residuali – che si oppongono alla capacità del capitale di colonizzare completamente la vita quotidiana. Se il qualitativo è virtualmente scomparso a favore del quantitativo, Lefebvre insiste sul fatto che è 17
Élements de rythmanalyse è l’ultimo di sei volumi sul tema della vita quotidiana scritti da Henri Lefebvre nell’arco di più di mezzo secolo. In questo libro, pubblicato postumo nel 1992, un anno dopo la sua scomparsa, Lefebvre si concentra sulla descrizione del rapporto tra il corpo, i suoi ritmi e lo spazio circostante, sulla produzione di una metodologia per l’analisi del dominio del tempo lineare su quello ciclico nella società capitalista, e indica le basi metodologiche per un progetto di critica della vita quotidiana radicalmente diverso da qualsiasi studio sulla vita quotidiana. La ritmanalisi non è una metodologia “rigorosa” perché fonda i propri principi costitutivi sull’astrazione e sulla soggettività del ricercatore. Per Lefebvre, tutto quello che le metodologie consolidate di ricerca considerano come requisiti fondamentali – la pretesa di oggettività nell’analisi, la non partigianeria del ricercatore – e sulle quali le scienze sociali hanno tratto legittimazione nell’ultimo secolo e mezzo, rappresenta, invece, un limite fatale che spesso conduce il ricercatore e la sua ricerca di fronte al celebre aforisma hegeliano: «ciò che è noto non per questo è conosciuto».
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