Emmanuel Maignan e Francesco Borromini

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INDICE


07 Premessa Agostino De Rosa 13 Francesco Borromini e Padre Emmanuel Maignan 29 Le statue del promemoria scientifico, personificazioni dell’ordine naturale 38 Photurgia e ottica 67 Borromini, lo scalpello ottico e il punto di vista della luce 80 Photurgia, phonurgia e vacuo: osservare il suono attraverso la luce 118 Conferme e tradimenti nella ricostruzione digitale di un’architettura immaginata 133 Una pianta per due facciate 148 Il promemoria di Emanuel Maignan: analisi puntuale APPARATI 256 Appendice Trascrizione della lettera di Francesco Borromini indirizzata al card.le Camillo Pamphilj 258 Riferimenti bibliografici


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Premessa Agostino De Rosa

Il volume che il lettore ha fra le sue mani è il risultato di un lungo lavoro di scavo e di ricerca che l’autore, Alessio Bortot, ha condotto nel corso di circa un triennio, esplorando archivi, rinvenendo disegni, traducendo testi desueti e, alla fine, creando un corpus critico e iconografico originale su uno dei progetti immaginati, e mai costruiti, più misteriosi ed affascinanti della storia dell’architettura e forse, bisognerebbe aggiungere, anche della storia della scienza. Si tratta infatti di un febbrile lavoro che ha coinvolto l’autore sulle tracce di un progetto vagheggiato, discusso e sognato da due delle menti più ingegnose del XVII secolo, Francesco Borromini (1599 – 1667) e Emmanuel Maignan (1601 – 1676): quello di una villa scientifica. L’uno, architetto italiano/ticinese, l’altro, frate Minimo e matematico francese: entrambi distanti come formazione, ma vicini nella loro curiosità di sondare il confine affascinante, ma labile e assai pericoloso, soprattutto in quegli anni, tra arte e scienza, tra fede e ragione. Borromini è noto ai più come padre del Barocco romano, e alle sue opere è sicuramente legato il volto di una parte importante della città eterna (si pensi a San Carlo alle Quattro Fontane, a Sant’Ivo alla Sapienza o all’Oratorio dei Filippini, 7


Agostino De Rosa

solo per citarne alcune sue architetture celeberrime). Fu persona schiva, come ricordano i suoi biografi, in primis Filippo Baldinucci (1624 – 1697), geloso del suo sapere al punto da ordinare il rogo dei suoi disegni progettuali alla sua morte, avvenuta per sua stessa mano, in un estremo gesto anch’esso barocco. La fama di Padre Maignan è invece ristretta ad un limitato circolo di studiosi (se escludiamo i suoi trattati religiosi), specialisti in astrolabica e nella pittura anamorfica, essendo sue rispettivamente le meridiane catottriche di Trinità dei Monti e di Palazzo Spada (e di altre, in terra francese, forse perdute per sempre) e una delle due anamorfosi gemelle presenti sempre nel convento pinciano di Roma, segnatamente quella ritraente San Francesco di Paola in preghiera. Uomo schivo e dedito a studi religiosi e scientifici, concluse la sua vita lontano dai riflettori delle corti europee, preferendo spegnersi nella sua città natale, Tolosa. Entrambi nelle loro opere, testuali o decorative che fossero, mostrarono un comune interesse verso un’area della ricerca estetica, che fu anche e soprattutto filosofica e scientifica, in cui il Barocco si mostrò presago della nostra modernità: il coinvolgimento del fruitore che da osservatore passivo della creazione artistica, ora veniva investito dalla responsabilità di partecipare alla decrittazione dell’opera d’arte, muovendosi in essa, trovando strategie percettive, venendo illuso e disilluso continuamente, mettendo così alla prova i propri sensi, in una continua vertigine cartesiana. Sia l’architettura di Borromini che le opere proto-proiettive di Maignan mostrano questa continua tensione che travalica il loro evo, tracciando le direttrici di un movimento estetico che dura tutt’oggi, in cui le certezze cadevano, i principi fino ad allora creduti inamovibili iniziavano a sfaldarsi, per cedere il passo al “nuovo” che il metodo scientifico dimostrava vieppiù certificato. Il volano dell’incontro tra questi due liberi pensatori fu il Cardinale Giovanni Battista Pamphilj (15741655), salito al soglio pontificio col nome di Innocenzo X (dal 8


Premessa

1644 al 1655), che immaginò di combinare le competenze spaziali di Borromini, con l’immaginazione scientifica di Maignan nel progetto di una grandiosa residenza destinata al nipote Camillo, villa Doria Pamphilj (Roma). L’attuale edificio che porta quel nome non rispecchia il progetto dei due che, invece, è “raccontato” da due disegni – uno borrominiano e l’altro attribuito a Virgilio Spada, ed oggi conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma –, che forniscono alcune importanti informazioni sulla sua configurazione architettonica; e da un promemoria (Mathematica Pamphilianos Hortos Exornans) che elenca il numero e il genere di meraviglie scientifiche che Maignan avrebbe ideato come apparato decorativo interno. Completa il quadro delle fonti una lettera scritta dallo stesso Borromini al cardinale Pamphilj. Si tratta di pochi spunti, difronte ai quali i più si sarebbero arresi all’evidenza di un What if?. Alessio Bortot ha invece avuto il coraggio di tentare l’impossibile, dando corpo e sostanza, non solo digitale ma anche fisica, al progetto di questa villa scientifica, entrando nella mente e nel cuore dei suoi due progettisti: un movimento empatico nei loro confronti che lo ha condotto a risultati notevoli, sia sul piano critico, che su quello rappresentativo. L’articolazione del testo mostra, in un climax crescente, le rigorose premesse scientifiche dalle quali l’autore è partito, ricostruendo la storia non ancora scritta di questo capolavoro mancato; per poi procedere alla ricostruzione, in ambiente digitale, sia dell’edifico che delle mirabilia in esso ospitate, secondo il programma conservato preso gli archivi vaticani. Il risultato è stupefacente, anche per le plurime competenze che esso ha richiesto e con le quali Alessio Bortot si è dovuto misurare: l’ottica, la catottrica, la diottrica (le muse ancillari della prospettiva, secondo lo stesso Maignan), e soprattutto la prospettiva medesima (nella sua declinazione più eversiva, quella anamorfica); ma anche l’acustica, la meccanica e l’idraulica. Tutti “saperi” riconducibili all’orizzonte scientifico seicentesco, 9


Agostino De Rosa

correttamente inquadrati in quel doppio movimento tra res cogitans e res extensa postulato da Renato Cartesio, di cui il progetto sembra farsi eco. Questa villa scientifica così diventa un laboratorio dove possono essere a fuoco alcuni aspetti dell’estetica barocca, ma anche del comune orizzonte gnoseologico e logico che la geometria e il disegno assunsero in quei magnifici anni: il trattato di gnomonica redatto da Emmanuel Maignan (Perspectiva Horaria, Roma 1648) sembra esserne il perfetto cantore, celebrando al centro del suo frontespizio proprio l’arte e la scienza della rappresentazione di scorcio. E così le opere pregresse all’incarico del Borromini già costituivano garanzia di una sintonia di intenti, rivolte com’erano all’esaltazione del dato configurativo, agli esperimenti di tensione e compressione percettiva dello spazio ottenute mercé l’aiuto di una geometria che sapeva farsi, precocemente per i tempi, topologia. La scelta del Cardinale Pamphilj non credo dunque sia stata casuale: scegliere due personalità come Borromini e Maignan significava avere un preciso quadro strategico, teso a dimostrare la circolarità delle scienze, e la loro suprema dipendenza dal primato dell’ottica che tutto teneva. Esercitare un controllo su tutto l’insieme di questi riferimenti scientifici e creativi ha implicato da parte di Alessio Bortot l’assunzione di una serie di scelte non banali, vista l’esiguità dei documenti originali disponibili, come si accennava: esse però non sono state epifanie del klinàmen del momento, ma frutto di ponderate riflessioni in cui la rappresentazione si è fatta al contempo strumento e matrice generativa delle soluzioni formali riconducibili alle intenzioni originali dei due autori. A mio parere, Alessio Bortot è divenuto co-progettista di questa versione di villa Doria Pamphilj, accanto a Borromini e Maignan, dimostrando a quali risultati possa aspirare il combinato disposto della storia dei metodi di rappresentazione (materia sempre più negletta nelle nostre università) e della modellazione digitale: si tratta di ambiti totalmente disciplinari, rispetto 10


Premessa

all’area scientifica del Disegno, che però traggono energia dalla pratica della loro contaminazione con altre aree di studio, sempre più specialistiche e raffinate. Le ricostruzioni eidomatiche prodotte da Bortot presentano inoltre la rara sfraghìs di chi impiega il mezzo digitale facendo risuonare l’anima analogica del disegno: la sensibilità dimostrata dall’autore nelle scelte grafiche, e nel ruolo esemplificativo che esse assumono a corredo del testo scritto, rendono comprensibili materie oscure anche ai non specialisti. Questa sensibilità – rivolta tanto alla tecnica quanto all’arte – è stata raggiunta dall’autore con anni di appassionata ricerca e di rigoroso approfondimento delle tematiche della rappresentazione e della sua storia: questo caso studio, per anni rimasto un piccolo buco nero nella storia dell’architettura, non sarebbe riemerso all’attenzione della critica senza quelle competenze. Il testo di Bortot inoltre mostra come questa villa, insieme ad altre opere coeve, si inquadri in una storia parallela, se non esoterica che pertiene alla “città eterna”: una sorta di ulteriore testimonianza, se ce ne fosse bisogno, che accanto alla città di Romolo, esistette (e ancora esiste, secondo Valerio Mattioli) un’altra città immaginifica, quella di Remo (Remoria), la cui storia fu scritta in modo crittografico ed ermetico da opere perturbanti come quella protagonista di questo volume. Questo libro documenta dunque non solo uno sforzo filologico e storico-critico, ma esprime anche un atto creativo, senza il quale la conoscenza non avrebbe senso. Sarebbe solo un atto meramente tassonomico e analitico: tra le pagine che leggerete invece, mi pare di scorgere un fuoco che brucia.

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Alessio Bortot

20. A. Kircher, Phonurgia Nova (1673), p. 100: strumenti di comunicazione acustica all’interno di architetture.

21. E. Maignan, Cursus Philosophicus (2° ed., 1673), pagina non numerate. 94


Photurgia, phonurgia e vacuo: osservare il suono attraverso la luce

pagine il Minimo dubita dell’effettiva originalità dell’invenzione di Morland, affermando che circa venticinque anni prima egli stesso, assieme a Kircher, ebbe modo di leggere in un «pervetusto codice»33, conservato nella biblioteca vaticana, di un device molto simile alla tuba vocalis, ben noto già ai tempi di Alessando Magno (356-323 a.C.), il quale ne venne a conoscenza grazie al suo maestro Aristotele. Maignan riporta poi una citazione biblica nella quale sarebbe possibile ravvisare la memoria di un simile strumento, “audivi post me vocem magnam tamquam tubae”, lacerto ripreso dall’Apocalisse di San Giovanni nel quale la potenza della voce divina risuona maestosa come fosse emessa da una tromba. Il terzo punto della sua critica fa riferimento a un passo dall’opera Britannia (Londra 1586) di William Camden (1551-1623) nella quale viene menzionato un apparato definito tubus aereus, ovvero un condotto interno a delle mura difensive britanniche con la funzione di mettere in comunicazione i soldati, per diffondere la notizia di un eventuale attacco nemico34. Nonostante tutto, Morland continuerà a detenere il “brevetto” della “Tuba Stentorophonica” tanto che negli anni successivi inizierà a produrre e vendere il megafono, con ogni probabilità per impieghi in ambito militare. Sappiamo che questa questione della “tuba amplificante” portò Maignan ad interessarsi agli effetti prodotti dal vento in rapporto alla velocità di propagazione del suono, come sperimentato da Mersenne nella cittadina di Vincennes in Francia. Le figure dalla 17 alla 21, [21] riportate in chiusura del volume del 1673, risultano significative per la capacità di rappresentare il suono in associazione all’aria immessa nella tromba. La relazione tra i due elementi, assimilati nel loro comportamento a rette (vettori), viene spiegata attraverso gli angoli di incidenza e quindi di rimbalzo (riflessione) di queste sulle superfici interne della tuba. Più nel dettaglio, le figure 19 e 21 illustrano, in doppia proiezione, il fenomeno in esame attraverso una successione 95


Alessio Bortot

22. K. Schott, Technica curiosa (1663), p.203: raffigurazione degli esperimenti condotti nel Convento di Trinità dei Monti sull’esistenza del vuoto.

23. E. Maignan, Cursus Philosophicus (2° ed., 1673): apparato per la dimostrazione dell’esistenza del vuoto. 96


Photurgia, phonurgia e vacuo: osservare il suono attraverso la luce

continua di coni coassiali le cui generatrici vengono determinate dalle onde sonore e le cui falde si reiterano nella cavità secondo una regola geometrica riconducibile agli studi sulle sezioni coniche. La relazione tra aria e suono non era ignota al Minimo, se consideriamo gli esperimenti da lui condotti qualche decennio prima sull’esistenza del vuoto. Nel capitolo XX del Cursus Philosophicus titolata De motu ex metu, ut dicitur, vacui35 Maignan descrive gli esperimenti condotti assieme a Gasparo Berti (1600-1643) nel convento di Trinità dei Monti nell’ultimo periodo del suo soggiorno romano. L’esperimento viene riportato e illustrato anche da Kaspar Schot nella sua opera Technica curiosa36 (Norimberga 1664), nella sezione dedicata agli Experimenti in Italia exibiti historia ex P. Emanuele Magnano, [22] mentre la raffigurazione dell’apparato è fornita dallo stesso Maignan nelle ultime pagine del Cursus [23]. L’esperimento in sostanza era volto all’indagine sull’esistenza del vuoto e alla misurazione dell’eventuale peso dell’aria. Come è noto, la prova ineluttabile di tali principi fisici viene attribuita ad Evangelista Torricelli (1608-1647), grazie alla dimostrazione conosciuta come “esperimento barometrico” che condusse a Firenze nel 1644: in sintesi egli giunse alla conclusione che il livello del mercurio contenuto in un tubo, tappato ad un’estremità e immerso rovesciato in una vaschetta contenente lo stesso fluido, si abbassava solo parzialmente poichè controbilanciato dalla pressione esercitata dell’aria sulla superficie del mercurio nella vaschetta; notò infine che tale fenomeno variava in relazione alla temperatura dell’aria esterna. Espressioni quali natura abhorret vacuum, horror vacui, and fuga vacui iniziarono ad apparire in epoca medievale, ciononostante l’effettiva esistenza del vuoto era stata dibattuta fin dai tempi antichi. La Filosofia Scolastica, nel tentativo di conciliare i dogmi cattolici con la filosofia aristotelica, spiegò alcuni fenomeni fisici legati al comportamento dei fluidi, non 97


Alessio Bortot

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Una pianta per due facciate

Pagina a fianco: 35. Ricostruzione digitale del progetto per villa Pamphilj: analisi della pianta e delle due soluzioni di facciata, (elaborazione digitale dell’autore).

36. Ricostruzione digitale del progetto per villa Pamphilj: modello 3D della soluzione di facciata 2, assonometria isometrica, (elaborazione digitale dell’autore). 37. Ricostruzione digitale del progetto per villa Pamphilj: modello 3D della soluzione di facciata 1, assonometria isometrica, (elaborazione digitale dell’autore). 135


Alessio Bortot

38. Confronto tra la soluzione di facciata 1 proposta nel documento originale di Borromini e la sua ricostruzione digitale, (elaborazione digitale dell’autore).

39. Confronto tra la soluzione di facciata 2 proposta nel documento originale di Borromini e la sua ricostruzione digitale, (elaborazione digitale dell’autore). 136


Una pianta per due facciate

geometrali delle rette nascenti dall’intersezione di ciascuna coppia di semi-cilindri mutuamente ortogonali. Per facilitare la lettura delle due opzioni, il disegno borrominiano è stato scomposto e affiancato alle rielaborazioni 3D preliminari, in modo tale da fornirne un’immagine complessiva. Le differenze più significative si apprezzano nell’ordine superiore: in generale la soluzione di sinistra, che per comodità chiameremo 1 [38], conferisce alla villa un aspetto più raccolto e intimistico, con tetti a falda a coprire gli ambienti perimetrali, mentre la parte centrale risulta interessata da un corpo centrale rettangolare a cui vengono arrotondati gli spigoli o, addirittura, a pianta ellittica. Nelle vicinanze di questi arrotondamenti, si nota inoltre la presenza di due piccole terrazze presumibilmente comunicanti tramite un camminamento posto davanti al grande volume. Le superfici di tale elemento vengono abbellite con figure, si suppone in altorilievo, inserite all’interno di grandi riquadri che conferiscono continuità ai fori delle finestre. Questo volume acquisisce poi la funzione di tamburo, a sostegno di una cupola, anch’essa forse a base ellittica, movimentata da nervature che continuano le linee delle paraste del corpo sottostante. Ad un primo sguardo e dal punto di vista strettamente volumetrico, la soluzione 1 non si discosta poi di molto da una tipologia rinascimentale che vide la sua massima espressione, ad esempio, in Villa Capra del Palladio. La soluzione di destra che definiamo 2 [39], mostra una tipologia di villa che si apre maggiormente al paesaggio e quindi al giardino circostante: le coperture a falda infatti vengono sostituite da grandi terrazze che presumibilmente interessano in tutta la loro estensione i lati est e ovest della villa. Al livello superiore, lo spazio occupato dalla cupola viene sostituito da un’ulteriore terrazza al cui centro troviamo una sorta di lanterna a base ottagonale, a sua volta coperta con una piccola cupola. Come nella soluzione precedente, un volume centrale si staglia nella composizione: in 137



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