A cura di Elena Svalduz, Stefano Zaggia
DANIELE CALABI
L’architetto e la città di Padova nel secondo dopoguerra
ISBN 978-88-6242-943-6
Prima edizione maggio 2024
© LetteraVentidue Edizioni
© Elena Svalduz, Stefano Zaggia
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A cura di Elena Svalduz, Stefano Zaggia
DANIELE CALABI
L’architetto e la città di Padova nel secondo dopoguerra
Fotografie di Alessandra Chemollo
Presentazioni
Gilberto Muraro / Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Monica Salvadori / Università degli studi di Padova
Giuseppe, Fiorenza e Davide Cappochin / Fondazione Barbara Cappochin
Elena Svalduz, Stefano Zaggia
Introduzione
Alessandra Chemollo
Calabi oggi
Donatella Calabi
Un filo rosso tra Storia e Memoria
Guido Zucconi
Le città di Daniele Calabi
Anat Falbel
Daniele Calabi nello spazio in-between tra relazioni umane e culturali
Stefano Zaggia
Città, università, architettura: Daniele Calabi e Padova nel dopoguerra
Elena Svalduz
«Altius non tollendi»: gli edifici multipiano di Daniele Calabi a Padova
Martina Massaro
Referenze fotografiche 168 186 198 208 216 226 235 329 334
Daniele Calabi e l’architettura a bassa densità a Padova
Maria Cecilia Lovato, Chiara Marin
«In perfetta concordanza con l’architettura»: gli interventi artistici nelle cliniche universitarie di Calabi e Brunetta
Giuliana Tomasella
Spazio come azione: Sergio Bettini legge
Daniele Calabi
Gianmario Guidarelli
Le scale della progettazione: architettura e costruzione in Daniele Calabi
Claudio Caramel
Restaurare il contemporaneo?
Edoardo Narne
6x12,5x26: la dimensione umana della costruzione
Itinerario storico tra i progetti per Padova
Daniele Calabi
Biografia
Case d’abitazione in via Alicorno, Padova.
Edificio ad appartamenti e albergo in via Ospedale, Padova.
Edificio ad appartamenti e albergo in via Ospedale, Padova.
Casa dei professori in via Falloppio, Padova. Casa dei professori in via Falloppio, Padova. Casa dei professori in via Falloppio, Padova.Città, università, architettura:
Daniele Calabi e Padova nel dopoguerra
Stefano Zaggia
La Padova che Daniele Calabi incontrò al momento del rientro alle soglie degli anni Cinquanta del Novecento era una città connotata da una situazione certo difficile ma in cui iniziavano a manifestarsi i primi fermenti di ripresa, dopo le distruzioni e i danni inferti dalla guerra non solo alle infrastrutture materiali1. La prospettiva del ritorno derivava anche dalla possibilità di ristabilire i contatti con un ambiente nel quale nel periodo prima della guerra, tra il 1933 e 1938, aveva avuto modo di intrecciare intensi rapporti culturali sia con l’entourage che ruotava attorno all’università, allora investita da un intenso fervore costruttivo e progettuale determinato dall’ingente finanziamento del IV Consorzio, sia con il mondo professionale italiano2. Assunto come tecnico nel quadro delle realizzazioni dei cantieri per il rinnovamento edilizio universitario, nonché progettista incaricato della realizzazione dell’importante Osservatorio astrofisico di Asiago, ma anche assistente volontario di Renato Fabbrichesi, docente di Architettura tecnica presso la Scuola di Ingegneria, erede della cultura progettuale introdotta da Daniele Donghi, e esperto in architettura ospedaliera e direttore dell’Istituto di Architettura della Scuola di Ingegneria3
Si apriva dunque una stagione nuova, quella degli anni Cinquanta, decisiva per la trasformazione radicale e l’accelerata modernizzazione cittadina la quale s’innervava su premesse di sviluppo urbanistico ed economico, in parte contraddittorie e oggetto di un serrato dibattito anche a livello nazionale, adottate nei decenni tra i due conflitti mondiali. L’élite cittadina nell’avvio della fase post ricostruzione si sentiva in qualche modo portatrice di una visione in cui Padova doveva porsi al centro del motore dello sviluppo regionale. Centrali in questo contesto furono le figure del sindaco Cesare Crescente e del rettore Guido Ferro, alla guida per due decenni delle rispettive istituzioni4. È in questo frangente di forte volontà di rinnovamento e di sviluppo che si fa strada, in modo forse velleitario, il motto riferito alla città come la «Milano del Veneto»5 quasi a voler ribadire, non
Fig. 5. Clinica pediatrica, Padova; foto storica del cantiere, 1954 (ADCVe).
Fig. 6. Clinica pediatrica, Padova; foto storica della facciata sud, 1956 (AGAPd).
Nelle scarne parole emerge però la cifra stilistica dell’opera e soprattutto l’uso del tecnica laterizia per il rivestimento in questo caso mattoni «pressati e risabbiati», forniti da una storica azienda: la Gregorj di Treviso25. La documentazione di cantiere testimonia la cura attenta e precisa che Calabi dedica alla tecnica costruttiva, sentita come snodo fondamentale del “fare architettura“: una nota da lui inserita in qualità di direttore del cantiere nel «giornale dei lavori», alla data del 9 settembre del 1954, richiamava l’attenzione della ditta: «chiedo all’impresa maggiore accuratezza nell’esecuzione delle murature a faccia vista: indico vari punti che debbono essere rifatti o corretti; chiedo più esatta corrispondenza dei corsi e dei piani, più accurata scelta dei mattoni, più precisa stilatura della connessione, nella continuazione del lavoro»26 [Figg. 5, 6].
Nel frattempo i lavori per la compilazione del Piano Regolatore proseguivano, sfociando infine in una prima approvazione da parte del Consiglio Comunale nel maggio del 1954. Piccinato espose le idee contenute nella proposta sottolineando alcuni aspetti generali della sua concezione per Padova, proponendo uno «schema aperto e stellare [...] la città “interna” (ossia la città più vecchia, compresa nel giro delle mura e la sua più immediata espansione fino alla stazione) viene a conservare il suo carattere edilizio e i suoi problemi vengono a guadagnare in chiarezza»27. L’approvazione, passaggio obbligato, non sancì l’attivazione del PRG dovranno seguire altri anni di discussioni, controdeduzioni per giungere nel 1957 all’adozione definitiva. Calabi fu coinvolto direttamente nelle procedure amministrativa dell’iter approvativo, tanto che venne nominato dalla Giunta Comunale, nel 1954, in una commissione incaricata di esaminare i ricorsi e le osservazioni al Piano Regolatore a cui poi vennero assegnati anche compiti propositivi28
Il clima culturale di Padova negli anni Cinquanta, ad una più attenta osservazione, come ricordato da alcuni testimoni diretti, giovani al tempo, come ad esempio Paolo Ceccarelli29, si caratterizzava per un certo fermento e attenzione che ambiva ad un orizzonte più ampio rispetto alla circoscritta realtà di quella che, adottando una felice intuizione di Angelo Ventura, possiamo definire una «inquieta metropoli di periferia»30. Nel contesto della cultura architettonica assume pertanto rilievo un’iniziativa che vedeva il coinvolgimento di affermati architetti, giovani neo laureati o di ancora studenti. Mi riferisco all’Associazione Padovana per l’Architettura moderna (APAM), che vide partecipe attivo Daniele Calabi.
«Altius non tollendi»: gli edifici multipiano di Daniele Calabi a PadovaElena Svalduz
Preludio padovano: «il lavoro interrotto» verso nuovi cantieri
Il 12 novembre 1947, giorno d’apertura del nuovo anno accademico, Daniele Calabi e «la sposa, Ornella» si recano a casa di Carlo Anti a Padova: «vengono dal Brasile, ammalati di nostalgia per l’Italia»1 scrive Anti nei suoi diari. Come aveva dichiarato nelle varie lettere di “raccomandazione” risalenti a una decina d’anni prima2, egli afferma di apprezzare Calabi, «uomo di grande ingegno», al quale racconta la cerimonia d’inaugurazione dell’osservatorio astrofisico di Asiago. Fiore all’occhiello della libido aedificandi che lo aveva caratterizzato in veste di rettore, pronto alla compiacenza e affermando di commuoversi, indica l’opera come la sua «creatura del cuore». È ben noto, tuttavia, come a quella «retorica celebrazione» tenutasi il 27 maggio 1942 nel terzo centenario della morte di Galileo, alla presenza di autorità politiche, religiose e accademiche, il nome del progettista, Daniele Calabi, venne completamente occultato3.
Quella di Anti è l’unica testimonianza relativa a Padova circa il viaggio esplorativo compiuto nell’autunno del 1947 dai giovani sposi per sondare le possibilità di ristabilirsi in Italia4. Non sappiamo dove si siano recati e chi, oltre ad Anti, abbiano visitato: quasi certamente l’amico e compagno di studi Antonio Salce. Possiamo immaginarli a braccetto, Ornella e Daniele, come nelle foto che li ritraggono nel giorno delle nozze celebrate durante l’esilio [Fig. 1], a passeggio sotto i portici di una città che, per quanto colpita dalle bombe, esprimeva pur sempre quella «bellezza pacata e tranquilla» che Luigi Piccinato, nella fase di più intensa trasformazione, sentirà di dover salvaguardare5. Poi lungo il Piovego a verificare lo stato d’avanzamento dei cantieri nel «quartiere» degli istituti, che il giovane Daniele aveva frequentato come studente e contribuito a modificare nel quadro delle attività sostenute dal quarto Consorzio edilizio; e ad accertarsi di cosa fosse accaduto del suo progetto per la clinica neurologica, uno degli edifici completati dopo la sua partenza in Brasile, assieme a quelli rimasti sulla carta
Fig. 6. Casa dei professori in via Falloppio, Padova; veduta del sito con ipotesi di inserimento del volume, primavera 1951 (AGAPd).
sud, è una sorta di triangolo urbano allungato, servito da un’arteria di scorrimento, via Falloppio, e una più interna, via Sant’Eufemia, che si addentra in un tessuto all’epoca “suburbano”, caratterizzato da ampi giardini. Il sito offre di per sé l’opportunità di vagliare uno dei temi più cari a Calabi: quello della relazione figurativa dell’edificio nello spazio-ambiente. Nelle case multipiano affacciate, come attestano le immagini dei primi anni Cinquanta, su un panorama urbano in trasformazione l’esperienza visiva specie dai “piani alti” viene sottoposta a molteplici sollecitazioni, saldamente ancorata a punti di riferimento storici (Santa Giustina/il Santo/il Duomo da via Vescovado)49. Ciò vale non solo per i «traguardi visivi», lontani o ravvicinati, tema riaffermato nel 1956 nei progetti per il nuovo ospedale civile50, ma anche per la progressiva scoperta di un’architettura che si apre via via agli occhi dell’osservatore, dove le « inclinazioni» delle facciate, attentamente studiate come nell’angolo acuto lungo via Falloppio, attenuano l’ingombro visuale del nuovo edificio. Nello spazio ristretto a disposizione, questo finirà per apparire «meno incombente»51 . Non solo dunque la soluzione planimetrica, come in altri casi52, è dettata dalle condizioni del sito, stretto tra l’edificio adibito a docce pubbliche e le preesistenze storiche, in particolare palazzo Mocenigo, allora di proprietà Rova e Fabbro, ma anche quella planivolumetrica. Ridotta da nove a sette piani, questa viene verificata attraverso una lunga serie di studi per via di fotomontaggio e analisi diretta, che evidenziano i fronti mutevoli dell’edificio. Calabi dimostra
inoltre di saper adattare il progetto alle critiche cui viene via via sopposto. Mentre l’iter di progettazione è in corso, infatti, l’allora soprintendente Ferdinando Forlati esprime la sua contrarietà per un intervento che considera invasivo rispetto al contiguo palazzo Mocenigo53: in particolare rispetto al giardino con due altissime magnolie «verso la strada camionabile» e due grandi platani, uno dei quali «costituisce un esemplare davvero magnifico». Secondo Forlati il complesso insistente nell’area di progetto, che visita assieme all’assessore Lanfranco Zancan54, riveste «un carattere storico e paesistico che non può in nessuna misura venire alterato, essendo protetto dalla legge». Egli fa partire la pratica per l’imposizione del vincolo sulle proprietà Rova e Fabbro (i due blocchi di palazzo Mocenigo)55, ridotto in seguito a una limitata porzione di mappale su intervento del nuovo soprintendente, Fausto Franco, più volte sollecitato in merito. Per scongiurare la battuta d’arresto, con i lavori già in ritardo di un anno e con il rischio di sospensione del credito assegnato, si attivano infatti sia Anti che Trabucchi in rappresentanza degli «uomini di cultura»56. Particolarmente interessante, tra la ricca documentazione reperita nell’archivio della Soprintendenza, è la relazione presentata a difesa della «casa sotto il platano» dall’allora presidente della cooperativa, il 22 settembre 195257. Possiamo leggervi in controluce il pensiero dell’architetto: il nuovo edificio, che apparirà come «una casa fiorita, immersa nel verde» non comprometterà né le piante del giardino, né i platani; osserverà la distanza di almeno dodici metri dal fronte
Fig. 7. Casa dei professori in via Falloppio, Padova; veduta del sito con ipotesi di inserimento del volume, primavera 1951 (AGAPd).
Progetti non realizzati
Dieci case a schiera in via Sammicheli, CEDPI, Padova; tavola di progetto, prospetto e pianta, 1951 (CSAC).
Casa Calabi in via Alicorno, Padova; tavola di progetto, sezione, prospetti, 1952 (AGCPd).
Architetture a bassa densità
Edificio ad appartamenti in via Vescovado, Padova; tavola di progetto, sezione, 1952 (AGCPd).
Edifici multipiano
Clinica pediatrica, Padova; schizzo di studio per la tessitura muraria del prospetto ovest, 1952 (AGAPd).
Architettura per la cura
Area ospedaliera, Padova: foto storica del plastico del primo progetto, 1952 (AGAPd).
Area ospedaliera, Padova: foto storica del plastico del primo progetto, 1952 (AGAPd).
Daniele Calabi (1906-1964) è una peculiare figura di progettista nel contesto della cultura architettonica italiana del Novecento.
“Silenzi parlanti”, le sue opere racchiudono una complessità ancora poco indagata.
Il libro mette in luce una stagione particolarmente intensa della sua attività, svoltasi a Padova nel decennio tra il 1950 e il 1960. Una serie contributi di diversi autori offre una rilettura delle opere di Calabi nel contesto di una città in corso di modernizzazione, senza dimenticare l’esperienza dell’esilio in Brasile indotta dell’applicazione delle leggi razziali. Una “frattura” drammatica, solo in parte ricomposta dalle esperienze progettuali e di vita. Padova, accogliendo le novità importate dal Brasile, diventa la città a più alta densità di architetture realizzate da Calabi.
Il volume è arricchito da un ampio repertorio di immagini e disegni inediti e da un contributo fotografico di Alessandra Chemollo.
€ 35