L'esattezza di Jacobsen

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Direzione e cura Mauro Marzo Comitato scientifico Bruno Messina Luca Ortelli Antonio Tejedor Cabrera


06. Collana Figure Brevi saggi di carattere monografico su architetti e artisti del passato e del presente. Gli autori sono architetti impegnati nel progetto e nell'insegnamento del progetto. I saggi intrecciano corrispondenze tra architetti e artisti lontani nello spazio e nel tempo, narrano quelle “affinitĂ di spirito in relazione alle formeâ€? su cui Henri Focillon ha scritto pagine memorabili.


ISBN 978-88-6242-225-3 Prima edizione italiana luglio 2017 © LetteraVentidue Edizioni © Renato Capozzi Per le illustrazioni © Giancarlo Carnevale: pp. 52, 62 (in basso), 103 © Pier Giuseppe Fedele: pp. 24, 25, 50 © Marina Montuori: pp. 56-57, 62 (in alto) © Roberto Serino: pp. 20, 21 Come si sa la riproduzione, anche parziale, è vietata. L'editore si augura che avendo contenuto il costo del volume al minimo i lettori siano stimolati ad acquistare una copia del libro piuttosto che spendere una somma quasi analoga per fare delle fotocopie. Anche perché il formato tascabile della collana è un invito a portare sempre con sé qualcosa da leggere, mentre ci si sposta durante la giornata. Cosa piuttosto scomoda se si pensa a un plico di fotocopie. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico: Francesco Trovato Ridisegni critici: Manuela Antoniciello, Claudia Sansò Finito di stampare nel mese di luglio 2017 LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni


Renato Capozzi

L’esattezza di

Jacobsen


Indice ***


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Perché Jacobsen 19

In Danimarca 49

Le “architetture esatte” 69

La consacrazione internazionale 93

L’esattezza come obiettivo 105

Bibliografia 108

Biografia


PerchĂŠ Jacobsen ***


M

olti anni fa, animato da belle speranze e da una grande passione per l’architettura moderna, intrapresi alcuni viaggi nei paesi nordici per interesse verso la cultura architettonica che li connota, in un difficile equilibrio fra tradizione, classicismo raffinato e flagrante modernità. Il mio interesse di allora si rivolgeva alla lezione di Erik Gunnar Asplund e in particolare a quella di Arne Jacobsen, oggetto di questo saggio. Una figura più volte perlustrata nei miei studi successivi che confermava, con una certa coerenza, quel “punto di vista orientato e razionale sull’architettura” che aveva avuto in Mies van der Rohe il suo caposcuola e, tra i suoi protagonisti, Eero Saarinen, Geir Grung, Charles Ormond Eames, Egon Eiermann, Sep Ruf, Edward Ludwig, Myron Goldsmith, Craig Ellwood. Credo che il lavoro paziente di Jacobsen, la sua mitezza, l’amore per la precisione della costruzione e la ricerca della proporzione adeguata rappresentino, soprattutto oggi, indispensabili insegnamenti e modi necessari della composizione formale e figurale dell’architettura e caratteri che, in qualche misura, ogni volta ho provato a risondare nei miei progetti, studi e ricerche. Per la prima volta ho incrociato le opere di Jacobsen, da giovane architetto da poco laureato, nell’estate del 2000 in un viaggio di studio condiviso con miei colleghi e amici. Eravamo in quattro, due coppie affiatate. L’itinerario programmato, ma non troppo, prevedeva l’attraversamento di tre paesi, Svezia, Norvegia e 9


In Danimarca ***


D

ue furono le prime opere incontrate nel viaggio di diciasette anni fa a Copenaghen: la Stelling Hus del 1934 e la sede della Jesperen del 1953. Due opere distanti nel tempo che chiudevano il cerchio della sua ricerca, opere francamente moderne che avevano superato, nel linguaggio e nella figurazione, i suoi esordi debitori alla tradizione locale e caratterizzati da alcuni etimi classicisti ancora acerbi. Entrambe distillavano un linguaggio scarno e una rara perfezione esecutiva, entrambe erano collocate in una condizione urbana: più centrale e convenzionale la prima, più aperta la seconda. Ma da dove proveniva tanta maestria, tanta capacità di misura e controllo tecnico, tanto nitore? Per capire questa evoluzione dovevamo andare indietro e un poco avanti: bisognava vedere i famosi municipi (Rådhusene), prima Århus del 1937 e Søllerød del 1939 e poi Rødovre del 1954. Århus, il primo dei suoi edifici pubblici di un certo impegno, esito di un concorso molto travagliato che costrinse all’aggiunta della torre, era la versione danese dell’ampliamento del Municipio di Göteborg visto pochi giorni prima. Søllerød era un’innovazione di quel principio, Rødovre una vera e propria rivoluzione nella direzione di un purismo formale e di un ferreo controllo proporzionale che sarà poi la marca distintiva di Jacobsen. Un tema analogo per due soluzioni alternative che usavano la sintassi additiva – tre corpi in sequenza e due slittati – e una terza che rendeva la paratassi assoluta: volumi distinti e staccati aperti alla natura. 19


Ă…rhus, Municipio, particolare della torre, 1937.


In alto: Århus, Municipio, 1937. In basso: Århus, Municipio, interno, 1937.


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Edifici per uffici [4] Copenhagen, Stelling Hus, 1934.

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Edifici per uffici [5] Copenhagen, Sede della Jesperen, 1953.

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Le “architetture esatte� ***


N

ella vasta produzione danese, dagli edifici per uffici ai municipi, dalle residenze private e collettive ai quartieri, dalle scuole alle fabbriche, emergono alcuni capolavori che trattengono meglio di altri l’idea di Esattezza che lentamente si sta tentando di mettere a fuoco. Ancora quel viaggio… A Copenaghen ci avvicinammo a due edifici molto diversi che, prima della sosta a Rødovre – che ci aveva “svelato” la Biblioteca civica – avevamo solo intravisto: il SAS Royal Hotel e la Banca di Danimarca. La Biblioteca ci apparve nella sua presenza discreta alle spalle del Municipio. Si trattava di un terso parallelepipedo nero di granito norvegese su cui affiora un grande tetto bianco svasato e svettante. Eravamo di fronte a un’architettura di prima grandezza che, combinando il tipo della casa a patio con l’aula, sintetizza la domesticità dei patii delle case e delle scuole con la precisione costruttiva e proporzionale delle fabbriche, ritrovando, nella bianca copertura rastremata sui bordi e sorretta da sole quattro colonne, un richiamo alla purezza del riparo asplundiano o degli atri tetrastili delle domus in area mediterranea. Quel semplice recinto, un rettangolo aureo di raffinate proporzioni planimetriche e altimetriche, posto tra il campo, il municipio e la lama delle case collettive, tende a proporre, assieme agli altri, una nuova centralità nell’allora, come ora, dispersa “città in estensione”1. Un tema interscalare, quello delle 1. Cfr. G. Samonà, La città in estensione, conferenza tenuta presso la Facoltà di

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Rødovre, Biblioteca, patio e copertura, 1961-69.


centralità nella periferia diffusa, del rapporto necessario con lo spazio naturale nell’ipotesi della “città aperta” che per la sua rilevanza ancora oggi attraversa le nostre ricerche. Da allora, nei miei progetti, ho sempre provato a tendere, senza mai riuscire a raggiungerla, a quella sua elementare purezza, a quel rapporto topologico tra edifici, a quelle raffinate proporzioni tra le forme e gli elementi che rappresentano il tratto distintivo di un’idea di architettura e di un’idea di città che riesce ad aprirsi alla natura e allo spazio vuoto tra oggetti assunti come elementi e materiali specifici della forma urbana. Uno spazio topologico in cui, come avverte Cacciari, «il vuoto non è il nulla, il niente, il vuoto è la condizione base del mondo, come noi lo conosciamo, lo percepiamo: se si può costruire il mondo è perché non fa ostruzione, perché c’è spazio, è vuoto»2. Quel piccolo ma assoluto capolavoro del 1961-1969 (realizzato ben 12 anni dopo il Municipio) inoltre ci aprì gli occhi sulla raffinata sensibilità di Jacobsen per la costruzione e per il senso “naturale” delle proporzioni. Una ricerca sapiente, annunciata nel SAS del 1956-1961 e definitivamente compiuta nella Banca di Danimarca del 1966-1978. La mole del SAS si vede sempre da lontano ma non Architettura di Palermo il 25 maggio 1976, Stampatori tipolitografi associati, Palermo 1976. 2. Affermazione di Massimo Cacciari citata in: V. Pezza, voce “Vuoto”, in Id., Misura e forma del territorio storico, in Id. La costa orientale di Napoli, Electa, Milano 2002, ora in Id., Scritti per l’architettura della città, a cura di C. Orfeo, Franco Angeli, Milano 2012.

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Copenaghen, Royal Hotel SAS, 1956-61.


domina il paesaggio nonostante i suoi 70 metri e 22 piani. Aveva, allora, qualcosa di familiare; ricordava la Lever House di Gordon Bunshaft dei SOM e molte costruzioni facenti parte del “Piano delle cinque dita”; ma c’era qualcosa di molto diverso. Erano diverse le proporzioni, erano diversi i colori dei vetri, la posizione della torre rispetto al basamento e poi c’era una strana linea nera che la solcava sin sotto il coronamento. Di profilo si presenta come una T rovescia con il basamento scuro, inciso da una lunga finestra a nastro, sollevato dalla strada per consentire l’arretramento della parete vetrata d’ingresso. Uno di quei casi, per citare Le Corbusier, in cui «la verticale suggella il senso dell’orizzontale»3. Sul fronte la torre si allontana dal bordo fino quasi a smaterializzarsi e confondersi col cielo chiarissimo di quelle latitudini, simile ad alcune atmosfere ritratte da Luigi Ghirri, eccezione fatta per quella misteriosa e nettissima fenditura scura. Il basamento si articola in due parti distinte: il terminal a corte coperta, una sorta di lichthofe, e l’atrio prezioso dell’albergo. La lobby assume il principio dell’ipostilo diradato al centro per far posto alla grande scala elicoidale – l’unica protagonista che l’abita – su cui, quasi inspiegabilmente, poggia la torre. Ancora una scala “appesa a tiranti” come a Rødovre e come farà, in maniera 3. Devo il ricordo di questa espressione di LC al caro amico Gustavo Adolfo Carabajal che ringrazio. Cfr. Le Corbusier, Precisazioni sullo stato attuale dell'architettura e dell’urbanistica, a cura di F. Tentori. Laterza, Bari 1979, pp 93-95, cit. in S. Maffioletti, La città verticale. Il grattacielo, ruolo urbano e composizione, Cluva, Venezia 1990, p. 139.

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[22] Rødrove, Biblioteca, 1961-69.

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[23] Copenaghen, Banca di Danimarca, 1966-78.

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Biografia Arne Jacobsen nasce a Copenaghen l’11 febbraio del 1902. È un bambino prodigio, disegna da autodidatta paesaggi, fiori, piante con la tecnica ad acquerello. Compie i suoi studi superiori alla scuola tecnica di Ahlefeldtsgade dove si diploma nel 1924. Nello stesso anno viene ammesso alla Scuola di Architettura presso l’Accademia Reale di Belle Arti e, sotto la guida di Kay Fisker, Ivar Bentsen e Kaj Gottlob, consegue il diploma nel 1927 con il progetto di un centro turistico a Klampenborg. Durante gli studi viaggia in Italia e in Francia ove conosce il lavoro di Le Corbusier, lavora con Fisker per il Padiglione Danese per l’Esposizione Universale di Parigi del 1925 e nella stessa esposizione vince la medaglia d’argento per il progetto di una sedia. Nel 1927, dopo un viaggio a Berlino dove conosce le architetture di Gropius e Mies, si sposa con Marie Jelstrup con la quale avrà due figli, Johan e Niels, e s’inscrive all’albo degli architetti di Copenaghen. Nel 1928 vince la medaglia d’oro per il progetto di un museo nazionale sempre a Klampenborg e nell’anno seguente apre il suo studio a Copenaghen. Nel 1929 realizza con Lassen una “casa per il futuro” riscuotendo molte attenzioni. Nel 1930 vince una borsa di ricerca per l’Accademia di Belle Arti e nel 1936 riceve la medaglia Eckersberg. Nel 1943, dopo l’invasione nazista e a causa della sua origine ebraica, si rese esule, sino alla fine della guerra, in Svezia collaborando con E.G. Asplund ad alcuni suoi lavori; nello stesso anno sposerà in seconde nozze Joanna Møller. Nel 1954 riceve il premio onorario dell’Esposizione Internazionale di Arte e Architettura di San Paolo del Brasile per l’edificio Massey-Harris. Dal 1955 (e sino alla morte nel 1971) è membro del Consigli Accademico danese. Nel 1956, dopo l’assegnazione della medaglia C. F. Hansen, diviene professore dell’Accademia Reale di Danimarca dove ha insegnato sino al 1965. Negli anni tra 1957 e il 1971 riceve innumerevoli medaglie, premi, riconoscimenti e affiliazioni a prestigiose accademie 108


come il “Gran Prix” alla XI Triennale di Milano la sedia FH 4130; membro del jury dell’appena istituito “Wood Prizie” di Danimarca per l’architettura (1958); “Gran Prix International du Comité de l’Architecture d’Ajourd’hui” (1961); medaglia “Principe Eugenio” dalla Federazione degli architetti svedesi e membro onorario dell’AIA (1962); Fritz SchumacherPreis di Amburgo e RIBA Bronze Medal e Membro onorario corrispondente del Royal Institute of British Architect (1963); membro dell’Akademie der Künst di Berlino (1964) e dell’Accademia Nazionale di San Luca di Roma (1965); dottorato onorario dell’Oxford University (1966) e della University of Strathclyde di Glasgow (1968); Medaglia d’oro “Pio Manzu” e “Die Plakette der Akademie der Freien Künst” di Amburgo (1969); vince il “Wood Prize”(1970); riceve la “Medaille d’or” dall’Académie d’Architecture de France (1971). Il 24 marzo del 1971 muore a Copenaghen all’età di 69 anni.

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