Una casa tra due pini

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INDICE CONTENTS 07 Tre mappe e l’inizio di un viaggio Three maps and the beginning of a journey 15 Ossature e bunker, piccolo album di parte Frameworks and bunkers, a small portfolio 37 Ritratto di un antenato: casa sull’isola Portraits of ancestors: houses on the island 45 Il volto del protagonista: la casa tra i due pini The protagonist’s face: the house between two pine trees 99 Istantanea di un discendente: basamenti su rocce Snapshot of a descendant: plinths on rocks 107 Identikit di un pronipote: cluster mediterraneo Identikit of a great-grandson: the Mediterranean Village 114 Note Endnotes


Elaborazione materica su un frammento mappale di Al Idrisi. Textured work on a fragment of Al Idrisi’s map.


Un pomeriggio di tre anni fa, un mio amico, famoso architetto milanese, mi telefona dicendomi: “Cherubino, sono troppo lontano dal Golfo di Gaeta e seguire questo progetto mi risulterebbe troppo difficile. Un celebre immunologo tedesco vorrebbe trasformare in una casa uno scheletro in cemento su di una collina con una vista molto bella che inquadra persino le isole Pontine. Io ho pensato di proporre il tuo nome”. Ringrazio molto per questa inattesa opportunità e, quando mi giunge la prima mail del mio potenziale cliente, aumenta la curiosità per questa inusuale occasione: le foto non dicono molto, si tratta della solita ossatura cementizia, una delle tante che gli ambientalisti odiano e che invece ho sempre guardato senza preconcetti. Osservo le immagini sul monitor con Simona – mia moglie – che, come al solito, avrebbe trasformato in un progetto i miei schizzi. Intanto lo schermo ci mostrava solo una piccola pianta catastale e tre o quattro scatti centrati sull’oggetto lasciando il paesaggio circostante imprigionato dentro l’obiettivo della macchina fotografica.

TRE MAPPE E L’INIZIO DI UN VIAGGIO THREE MAPS AND THE BEGINNING OF A JOURNEY One afternoon three years ago, a friend of mine, a well-known architect from Milan, called me: “Cherubino, a famous German immunologist asked me to transform a concrete skeleton into a house on a hill with an amazing view that reaches the Pontine islands. But I don’t think I can work on this project ‒ the Gulf of Gaeta is too far from Milan, so I thought about you for the job”. I thanked him for the unexpected opportunity, and got even more curious about this unusual occasion when I received the first email message from my potential client: the pictures he sent did not give away much apart from the usual concrete skeleton, a structure that many environmentalists hate and I try to consider without preconceptions. I looked at the pictures with my wife Simona who usually turns my sketches into designs. In the meantime, the computer screen only revealed a small cadastral map and three or four images of the object, while the surrounding landscape was largely left out. I remember I immediately said: I believe this will be an extraordinary opportunity for me to conduct a theoretical research with a tangible result. It would be nice to 7



Non sono mai stato dalla parte di chi, per un semplice preconcetto, odia lo scheletro di cemento armato, considerandolo il maggior indiziato del degrado paesaggistico. Vedo l’ossatura cementizia come un’armonia segreta, un’essenzialità proporzionale, una potenzialità di forma insita nell’architettura di oggi. La vedo come il maggior responsabile della persistenza del trilite nell’architettura contemporanea. Sappiamo, inoltre, che il telaio è una forma replicabile, una configurazione e un sistema che ammette l’uguaglianza e la leggera imperfezione, la regola e l’eccezione. Non è un caso che, dal Tempio greco alle opere di Sol Lewitt, il suo schema si sia sempre ripetuto incontrando un innegabile successo. All’inizio del secolo scorso anche l’ossatura Dom-Ino, sublimazione dello spazio intelaiato dovuta all’immaginazione di Le Corbusier, produsse, nella sua più bella e poetica applicazione, un vero e proprio monumento alla Mediterraneità. La diga abitata di Algeri, è una delle immagini più forti del Novecento, una delle sue più belle prospettive: è netta come un telaio che ospita una immensa molteplicità di

OSSATURE E BUNKER, PICCOLO ALBUM FRAMEWORKS AND BUNKERS, A SMALL PORTFOLIO I have never agreed with those who, based on pure bias, condemn reinforced concrete skeletons as the main culprits for the dereliction of landscape. I see a secret harmony in concrete frameworks, a purity of proportions, a potential of form inherent in today’s architecture. We also know that the framework is a repeatable structure, a layout and a system that admits both equality and slight imperfections, both rule and exception. That explains the undeniable success of its scheme, repeated ever since the Greek temple to Sol Lewitt’s works. At the beginning of the twentieth century, the framework of Dom-Ino, a sublimation of framed space imagined by Le Corbusier, produced a most beautiful and poetic iteration of, and a true monument to, Mediterranean architecture. The inhabited dam of Algiers is one of the strongest images of the twentieth century, one of its most magnificent views: it is as sharp as a framework that embraces an endless multiplicity of signs, languages, settlement models, plastic diversities. For many years I have been fascinated by how Peter Eisenman recreated Dom-ino’s 15


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La Casa tra due Pini, l’ingresso. The House between two pine trees, entrance. 44


Dopo quella visita inattesa alle case capresi, finalmente arrivò il momento di confrontarsi con il sito del nuovo progetto che i nostri committenti – soddisfatti del risultato della perlustrazione tiberiana – nel frattempo ci avevano richiesto. Loro venivano dalla Germania e l’appuntamento era sul sito, a Itri, una gradevole cittadina del basso Lazio segnata da un corso fluviale, un antico castello e soprattutto un possente sistema di ponti. Per noi si trattava, da Napoli, di percorrere la via Domiziana, una degradatissima direttrice costiera verso Nord, attraversare il Garigliano, raggiungere prima Formia, poi Gaeta, e passato il tumulo di Cicerone e le gole di Itri, salire su di una collina. Raggiunta l’ultima pendenza già si vedevano con chiarezza i Golfi di Sperlonga e Gaeta. Di solito siamo abituati alla persistenza dello scheletro cementizio come prima opzione insediativa dell’Ager Campanus, dove l’ossatura non ha coperchio, immaginando di poter proseguire all’infinito. Con Simona continuavamo a vedere diverse intelaiature grigie anche nel basso Lazio senza far caso a una cosa che non era affatto un dettaglio.

IL VOLTO DEL PROTAGONISTA: LA CASA TRA I DUE PINI THE PROTAGONIST’S FACE: THE HOUSE BETWEEN TWO PINE TREES After the unexpected visit to the houses in Capri, I finally had to approach the site of the new design that our clients ‒ who were happy with the result of the survey in Tiber’s land ‒ had commissioned in the meantime. They flew from Germany to meet us at the site, in Itri, a pleasant town in southern Latium with a river, an old castle and an impressive system of bridges. Coming from Naples, we travelled along the Domitian way, a run-down northbound coastal road and, after crossing the Garigliano river past Cicero’s tomb and the gorges of Itri, drove up a hill. After the last slope, we came to see the gulfs of Sperlonga and Gaeta clearly in front of us. We are used to the ubiquitous concrete skeleton as the primary settlement option in the Ager Campanus where frameworks are kept roofless to let buildings rise up indefinitely. I and Simona saw there was plenty of grey frameworks even in southern Latium, but at first failed to notice what was a far from trivial detail. Every unfinished reinforced concrete structure had a roof. An elementary roof, rough 45


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Il telaio in calcestruzzo come oggetto in mostra nello spazio del soggiorno con la cucina a vista. La scala del rustico in travertino ed aframosia si confronta con l’ultima parete arancione della casa.

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The concrete framework as an object on display in the living room with the kitchen island. The connection between the travertine and afromosia wood stair and the house’s last orange wall.

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La casa al crepuscolo. The house at dusk.

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