Fabrizio Chella
distorsioni climatiche una logica che cambia la forma del volume vuoto
55 Collana Alleli / Research Comitato scientifico Edoardo Dotto Nicola Flora Antonella Greco Bruno Messina Stefano Munarin Giorgio Peghin I volumi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a procedura di peer-review
ISBN 978-88-6242-444-8 Prima edizione Settembre 2020 © LetteraVentidue Edizioni © Fabrizio Chella – ZEDAPLUS architetti È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fossero stati commessi errori o omissioni riguardo ai copyright delle illustrazioni, saremo lieti di correggerli nella prossima ristampa. Progetto grafico: Raffaello Buccheri LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia
indice
UOMO TERRA ARCHITETTURA Prefazione di Carlo Pozzi
6
premessa
10
distorsioni climatiche
22
volumi vuoti
34
distorsioni latenti
52
NEL RITMO DELLA NATURA Erica Scalcione
60
prospettive termiche
64
deformazioni luminose
74
deformazioni permanenti. luce e spazio
80
deformazioni fisiologiche
94
spazio e prolunghe sensoriali
100
appunti da una pandemia contemporanea
108
un'introduzione al distanziamento climatico
112
RIDURRE LE DISTANZE
118
APPARATI
124
Postfazione di Domenico Potenza
Monografie - Articoli - Progetti e realizzazioni - Concorsi - Premi
UOMO TERRA ARCHITETTURA
prefazione di Carlo Pozzi
Carlo Pozzi è Professore Ordinario in Progettazione Architettonica nel Dipartimento di Architettura di Pescara (Università “G. D'Annunzio” di Chieti e Pescara); svolge ricerche nel Dipartimento di Architettura, di cui è stato direttore dal 2012 al 2014. Negli ultimi anni ha costituito il Laboratorio Città Informale, applicando didattica e progetto alla rigenerazione urbana di favelas brasiliane e dello slum di Kibera (Nairobi). È responsabile delle convenzioni internazionali tra Università di Chieti, l'Università Orientale dell'Uruguay a Montevideo, la University of Florida a Gainesville (USA), la Escola da Cidade a San Paolo (Brasile), la University of Nairobi (Kenya). Ha pubblicato numerosi saggi, e molti dei suoi progetti sono stati pubblicati nelle principali riviste specializzate.
distorsioni climatiche
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prefazione
L’affermazione che più identifica la tematica di questa pubblicazione descrive l’architettura attraverso il vuoto: le relazioni tra le cose, le relazioni tra le case, i rapporti tra pieni e vuoti aiutano a definire questo punto di vista. In un libro che riafferma con autorevolezza la crisi globale dovuta ai cambiamenti climatici in corso, si individua un possibile strumento per una risposta adeguata e urgente: il «volume vuoto». Il disordine climatico è motivato da varie cause che non staremo qui a elencare: quella più legata alla costruzione dell’architettura dal secondo novecento a oggi è la pretesa di avere a ogni latitudine un clima artificiale, creando prospettive di sviluppo non più sostenibile. L’indifferenza di queste architetture, potenti e talvolta imponenti, ai cicli naturali è stata la sua forza ma oggi ne costituisce indubbiamente anche «i piedi di argilla». La reazione a questa indifferenza può condurre con facilità a una tendenza a forme di nostalgia del passato, per esempio di quelle architetture di pietra e di adobe che hanno preceduto l’era del cemento armato: si rischia un atteggiamento fondamentalista, poco progressivo e che rischia di non dare indicazioni per il futuro. Viceversa l’architettura bio-climatica riprende elementi della tradizione storica tipici di aree con clima estremo, come i camini del vento iraniani, e li reinterpreta all’interno del progetto contemporaneo: un esempio italiano interessante in tal senso è stata la realizzazione in Maremma della Cantina Collemassari su progetto di Edoardo Milesi. Lo slogan, spesso abusato e reso inoffensivo, di una architettura «a misura d’uomo» vede elementi scientifici di base nelle analisi del bioritmo umano e del metabolismo corporeo, elementi che gli architetti hanno il compito di rimettere al centro del progetto. In questo senso va costruita una nuova relazione tra paesaggio meteorologico esterno e paesaggio termico interno all’edificio: è l’occasione per rendere visibili le forze immateriali della natura dentro l’architettura, una specie di nuovo Rinascimento climatico. Non è detto che si debba partire da zero o necessariamente da alcune esperienze del mondo antico: esiste un bagaglio di esempi del Moderno che, in particolare sulla valorizzazione della luce naturale negli spazi interni, vanno dalle biblioteche di Alvar Aalto, al Kimbell Art Museum di Louis Kahn, ma anche alcune architetture contemporanee di Steven Holl
volumi vuoti
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fabrizio chella
Come già detto in precedenza, superata la fase eroica dell’architettura moderna con la sua massima espressione nell’International Style, molti architetti hanno riportato al centro delle proprie strategie progettuali temi come luogo, clima, sole, natura, uomo. Nelle opere di questo periodo realizzate dai grandi maestri del moderno, è evidente la ricerca climatica per la definizione di soluzioni progettuali il cui primo obiettivo era il benessere degli abitanti. «Eppure Carlo Pozzi, [...] ha mostrato, con questo libro, molto correttamente l’approccio e l’attenzione di Le Corbusier alle problematiche climatiche in grado di guidare molte scelte formali e compositive del Movimento Moderno. Pratica a poco a poco sbiadita nel Post Modernismo e ora dall’abuso di facili tecnologie. Una tappa intermedia, quella del Movimento Moderno, tra la sapienza antica, acquisita dalla forte pressione della natura, una ottusa e troppo diffusa fiducia nei dispositivi tecnologici dei nostri tempi e una auspicata e necessaria riappropriazione della tecnica intesa non come macchinario temporaneo, ma come machine à penser, come strumento e materiale per costruire nella natura con la quale dobbiamo tornare a fare i conti»15.
15 Milesi E. (2015), Postfazione al testo di Pozzi C. (2015), Il clima come materiale da costruzione e altri scritti su Le Corbusier, Libria, Melfi. distorsioni climatiche
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volumi vuoti
In
un momento di confusione climatica, senza la certezza dell’esistenza di limiti fisici identificabili e quantificabili, un nuovo linguaggio architettonico, che possa relazionare l’architettura alle dimensioni biologiche dell’uomo, nasce dalla consapevolezza che l’applicazione di metodologie climatiche, lungo l’iter progettuale, porti all’interpretazione della realtà in senso oggettivo. Individuare questi parametri, analizzarli e progettarli, fissa le giuste relazioni di dipendenza tra lo spazio costruito e i limiti fisici ambientali, rendendo l’architettura un sistema tale da (ri)definire il giusto rapporto fisico tra gli spazi di vita ed il clima. Troppo spesso, l’attuale metodo di progettazione dei luoghi segue un approccio quasi esclusivamente estetico, dove concetti come leggerezza, assenza di massa e uso delle tecnologie artificiali per il condizionamento degli ambienti, risultano figli di uno stile internazionale che ha poco rispetto del luogo geografico di riferimento.
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fabrizio chella
volumi vuoti
Percezione sensoriale dello spazio. Queste immagini sono tratte da “Visioni termiche”, ricerca sviluppata da ZEDAPLUS architetti. L’obiettivo è la rappresentazione fisiologica di spazi significativi di alcune città, una visione dei luoghi che è possibile percepire solo attraverso i sensi.
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distorsioni latenti
Le molteplici culture ambientali, sociali, politiche ed economiche che caratterizzano le tante aree geografiche del pianeta, evidenziano come un unico modello di sviluppo uguale per tutti, tendenza che ha caratterizzato gli ultimi decenni, sia fallimentare. I mutamenti climatici danno vita a fenomeni meteorologici che si presentano in modo del tutto casuale in luoghi dove non è previsto si debbano manifestare in quel momento. Per Freud, il contenuto latente del sogno è l’insieme di elementi profondi che non giungono alla coscienza del sognatore se non distorti e mascherati; allo stesso modo, l’architettura dovrebbe distorcere, in modo latente, la percezione del luogo, mascherando la materia e rendendo visibili le sensazioni. Oggi, per affrontare problemi ambientali, sociali, politici ed economici, dobbiamo abbandonare il concetto che un’unica utopia per l’intero globo possa proporre un unico modello di sviluppo capace di riassumere in sé tutte le problematiche che caratterizzano una determinata area geografica. Parafrasando Paul Klee «[...] non è sufficiente riprodurre ciò che è visibile, ma la vera sfida è rendere visibile ciò che non sempre lo è» (Paul Klee, 1920). La luce, l’aria, il caldo sono forze specifiche di un luogo che, spesso invisibili, determinano l’esperienza sensoriale di quel luogo, traducibile in una sequenza razionale di reazioni da parte dell’uomo. Il tentativo di rendere visibili le forze climatiche della natura dovrebbe essere il fine dell’architettura contemporanea. Le forze climatiche sono in stretto contatto con i sensi: è sufficiente che un evento climatico entri in contatto con il corpo perché si manifesti una sensazione. «Un paesaggio invisibile condiziona quello visibile»22. Il clima è l’ingrediente di cui si nutre l’architettura e dal quale dovrebbe scaturire la forma. L’architettura deve asciugarsi di contenuti talvolta superficiali e diventare un oggetto talmente semplice da modificare l’interpretazione consueta di percezione puramente materiale. Se in una visione consueta la percezione dello spazio è un concetto puramente materiale, progettare uno spazio architettonico come evento di forze invisibili porterebbe alla progettazione di un luogo percepibile attraverso l’esperienza sensoriale, generando «[...] forme sensibili rivolte alla
22 Calvino I. (1993), Le città invisibili, Arnaldo Mondadori Editore, Milano. 54
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Klein Y. (1958). Progetto per un’architettura dell’aria.
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deformazioni permanenti
Double Light Pipe_Ventilated ZEDAPLUS architetti Nel progetto DLP_V, l’utilizzo di un dispositivo tecnologico per il trasporto della luce naturale all’interno di luoghi privi di affaccio diretto verso l’esterno, è stata l’occasione per sperimentare il concetto di deformazione climatica della materia sottoposta all’azione della luce naturale. DLP_V è un sistema brevettato di ZEDAPLUS architetti e consiste in una lampada solare innovativa alimentata da luce naturale. La lampada è pensata come un catalizzatore del mondo naturale che penetra all’interno degli spazi di vita in modo indiretto regolando la vita dell’uomo in armonia con i fattori naturali esterni. Più che illuminare lo spazio, DLP_V ha come obiettivo quello di generare un paesaggio termico naturale confinato, una sorta di eden interno in cui l’uomo può denudarsi fisicamente e fisiologicamente. DLP_V è un sistema che mette in relazione i due lati della percezione umana: una misurabile e l’altra fisiologica: è una lampada fisiologica che stimola i sensi nel rispetto dei cicli naturali della natura. DLP_V è un sistema di captazione e trasporto della luce naturale formato da due tubi concentrici a sezione variabile, uno con superficie trasparente e l’altro con superficie riflettente. La luce naturale viene captata all’esterno e distribuita negli spazi attraverso la colonna centrale. La particolare struttura della colonna garantisce l’illuminazione non solo dell’ambiente dove la lampada è installata ma anche di un eventuale ambiente sottostante. Grazie alla combinazione di elementi coassiali la lampada, oltre ad illuminare genera anche un efficace ventilazione naturale. La luce naturale e la ventilazione naturale generano all’interno degli ambienti le condizioni ideali per la crescita di piante che possono migliorare l’ossigenazione degli spazi e la qualità ambientale degli ambienti di vita. Il sistema è così composto: • Tubo interno – è un tubo opaco rivestito sia esternamente che internamente di materiale altamente riflettente, così da funzionare sia da estrattore della luce, per il locale di passaggio, e sia da condotto riflettente per illuminare il locale ipogeo; 84
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DLP-V. La luce come generatrice di un paesaggio termico naturale confinato.
Processo di configurazione spaziale luce/natura: definizione del volume vuoto.
RIDURRE LE DISTANZE
postfazione di Domenico Potenza
Domenico Potenza, laureato e dottorato in architettura a Pescara, dove insegna Progettazione Architettonica presso il Dipartimento di Architettura e quello di Ingegneria e Geologia dell’Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara. È stato visiting professor presso l’NJIT di Newark e la Scuola di Architettura di Montreal, attualmente è visiting professor presso la Escola da Cidade di Sao Paulo in Brasile. Ha partecipato a numerosi concorsi di Architettura nazionali ed internazionali. Ha preso parte, in qualità di docente, a molti Seminari Internazionali e Workshop di Progettazione Architettonica e Urbana. I suoi lavori ed i suoi scritti sono pubblicati in libri e riviste di settore ed esposti in mostre sia in Italia che all’estero.
Purtroppo è solo in momenti come questi, causa la pandemia in corso, che ci rendiamo conto, tutti, di essere più sensibili ai problemi dell’abitare il pianeta. Solo quando la tragedia si manifesta in tutta la sua gravità si torna a pensare che avremmo potuto fare qualcosa per evitarla. Racconto tutto questo unicamente perché Il contributo che Fabrizio Chella ci offre, è tutto speso in questa direzione; nel provare a ridurre la distanza tra la tragedia, sempre in agguato, ed un suo possibile rimedio. Una distanza che ci sembra troppo spesso incolmabile, quando ormai la violenza del fenomeno dilaga in tutta la sua drammaticità. OnePeopleOnePlanet, non ne abbiamo uno di riserva e, quella distanza, in qualche modo dobbiamo provare a ridurla. Pubblicazioni come questa aiutano a farlo, soprattutto quando riescono ad allargare gli orizzonti della comprensione e ad ampliare la platea dei soggetti interessati, o responsabili, del problema. La distanza che Fabrizio Chella ci invita a ridurre, in questo caso specifico, è quella tra la dimensione tecnica del costruire per abitare e l’espressione dell’esito che queta produce; purtroppo siamo troppo poco consapevoli del come si fa (o del come si dovrebbe fare), ma molto interessati al distorsioni climatiche
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postfazione
Pescara, 22 aprile 2020, mai come oggi poteva essere giorno migliore per iniziare a scrivere queste note di commento al lavoro di Fabrizio Chella. Come ogni anno, infatti, ricorre in questa data la Giornata Mondiale della Terra. #OnePeopleOnePlanet è l’hashtag che promuove le iniziative della maratona multimediale, per celebrare il cinquantesimo Earth Day delle Nazioni Unite. Mentre riordino le idee sui contenuti della pubblicazione, mi passano davanti le immagini viste in rete, di una promozione pubblicità che invita tutti noi a riflettere sui cambiamenti climatici in corso: davanti ad una casa avvolta completamente da fiamme, una tranquilla coppia di giovani sposi saluta i figli che si apprestano ad uscire per andare a scuola e, assolutamente incuranti del fuoco che ormai li avvolge, rientrano nell’abitazione come nulla fosse. Una testimonianza cruda ma estremamente esemplificativa di quanto sia a noi vicina la distruzione del pianeta e di quanto invece sia lontana la sua presa di coscienza. Intanto scorrono i titoli di coda, sulle note di let’s your love be know degli U2 con la voce struggente di Bono Vox che ci invita a far conoscere il nostro amore.
I «volumi vuoti» possono diventare un piccolo tassello per riflettere e lavorare a una ricostruzione del rapporto uomo-terra-architettura. L’affermazione che più identifica la tematica di questa pubblicazione descrive l’architettura attraverso il «vuoto»: si riafferma con autorevolezza la crisi globale dovuta ai cambiamenti climatici in corso, si individua un possibile strumento per una risposta adeguata e urgente, il «volume vuoto». Se per l’architettura del secondo novecento l’indifferenza ai cicli naturali è stato un punto di forza, oggi ne evidenzia tutte le debolezze. Da questo va costruita una nuova relazione tra paesaggio meteorologico esterno e paesaggio termico interno all’edificio: è l’occasione per rendere visibili le forze immateriali della natura dentro l’architettura, una specie di nuovo Rinascimento climatico.
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