

Indice
PARTE PRIMA
La complessità del profilo culturale e professionale
Prefazione
Cleto Morelli e la “Scuola di Roma”
Introduzione
La coerenza di un intellettuale del territorio
L’architettura
I concorsi di architettura
L’edilizia scolastica
Il sodalizio con Giuseppe Campos Venuti
La progettazione a scala urbana. Spazio, spirito e… musica
Il concorso per il quartiere “Spine Bianche” a Matera
Dai quartieri dell’Ina-Casa ai piani della 167. Le altre esperienze
I piani particolareggiati per il recupero della città esistente
La gestione urbana. Tra utopia e realtà
Sulla riforma urbanistica
Il senso profondo della storia. Uno storico per il recupero dei centri storici
Il dibattito sui centri storici
La Variante al PRG per la disciplina particolareggiata del centro storico di Imola
L’urbanista impegnato. L’architetto del territorio
Il PRG di Modena. L’urbanistica sociale. Gli standard urbanistici
Il PRG di Imola. Il riformismo maturo
La pianificazione delle risorse. I Piani Territoriali di Coordinamento Comprensoriale
Le Proiezioni Territoriali del Progetto ’80
L’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Le “direttrici di sviluppo”
L’impegno nelle zone terremotate dell’Irpinia
La pianificazione paesistica degli anni Ottanta
Gli anni Novanta e la pianificazione territoriale
PARTE SECONDA
Cronistoria
PARTE TERZA
Testimonianze
PARTE QUARTA Apparati
L’architetto dei trasporti. L’approccio interdisciplinare
Le Proiezioni territoriali del progetto ’80 e gli studi “verticali” sui trasporti
L’assetto infrastrutturale dei Friuli-Venezia Giulia. Il Sistema
portuale integrato dell’Alto Adriatico
Il Piano Integrato dei Trasporti e delle Vie di Comunicazione (PRIT) della Regione Emilia e Romagna
Il Piano Generale dei Trasporti
L’attività didattica
Il percorso e i passaggi evolutivi
Nascita e formazione
Gli anni Cinquanta. L’ingegnere e l’architetto. Lo studio
Anversa, Belardelli, Morelli
Gli anni Sessanta. L’esperienza emiliana. Il “soggetto collettivo”
Gli anni Settanta. Trasporti e assetto del territorio
La Pianificazione nelle Regioni del Mezzogiorno e l’impegno didattico. Il CIRE
Gli anni Ottanta e Novanta. La maturità
Gli ultimi anni di vita.“Re Artù. L’amaro segreto”
Cesare Baccarini
Francesco Crupi
Franco Del Signore
Luisa Preden
Andrea Saba
Regesto delle opere
Attività didattica
Gli scritti. Selezione tematica del regesto
Fonti delle immagini
Sitografia
Ringraziamenti
Cleto Morelli e la “Scuola di Roma”
di Laura Ricci
Questo volume costituisce un importante contributo per comprendere il pensiero e l’opera di uno dei maggiori protagonisti dell’architettura e dell’urbanistica italiana del Novecento, offrendo una panoramica esaustiva della sua poliedrica produzione scientifica portata avanti in quasi 60 anni di attività, ma anche l’occasione per ribadire il ruolo civico ed etico (L. Ricci, 2022) da attribuire all’urbanistica e alla pianificazione del territorio, nel contesto delle grandi sfide della contemporaneità.
Uno sforzo affrontato con rigore analitico e dedizione dall’Autore, che trova diretta rispondenza nelle attività di ricerca e di sperimentazione, di disseminazione e di formazione che il Dipartimento di Pianificazione, Design, Tecnologia dell’Architettura (PDTA) svolge quale interprete proattivo e propulsivo delle istanze sociali, culturali, economiche e politiche contemporanee, rendendo operativi alcuni obiettivi del Progetto culturale che costituisce il motivo ispiratore del suo processo di sviluppo e di valorizzazione.
Un racconto quanto mai necessario per capire più da vicino le radici culturali entro cui affondano alcune delle migliori esperienze dell’urbanistica italiana del secolo scorso, anticipatrici di tendenze che diventeranno cruciali nel dibattito disciplinare degli anni successivi, in un tentativo di rilettura e attualizzazione che fa luce nel passato, gettando un ponte verso il futuro, sostanziando, attraverso l’approfondimento storico, anche uno dei compiti più alti della ricerca scientifica. Morelli si forma nell’ambiente della cosiddetta “Scuola di Roma”1 incardinata sugli insegnamenti di maestri quali Luigi Piccinato, Ludovico Quaroni, Mario Ridolfi e Bruno Zevi, a contatto con personalità che, negli anni seguenti, godranno di grande visibilità nel panorama nazionale e internazionale quali Giuseppe Campos Venuti,
Carlo Aymonino e Luisa Anversa, con i quali condividerà idee, progetti ed esperienze che saranno fondamentali nel suo percorso di “intellettuale del territorio”. La vastità dell’opera di Cleto Morelli, che spazia dall’architettura, all’urbanistica, al paesaggio, al territorio, riflette il periodo storico entro cui essa si sviluppa, connotato da profonde trasformazioni territoriali, urbanistiche ed economiche, e dal cambiamento del sistema dei valori e dei modelli di comportamento della popolazione (L. Ricci, 2014) che condurranno verso nuove istanze sociali e al ripensamento degli approcci per il governo della città e del territorio.
A partire dagli Sessanta, Morelli sarà, infatti, uno dei protagonisti del processo di rinnovamento culturale che investe l’urbanistica e la pianificazione del territorio, venendo a far parte, con Osvaldo Piacentini e Giuseppe Campos Venuti, di quel “soggetto collettivo” che incomincia a riflettere su alcuni nodi tematici che assumeranno un ruolo importante nell’agenda politica nazionale e di un ciclo culturale nuovo, fondato sulla necessità di riconoscere l’integrazione decisionale tra tecnici e politici (G. Campos Venuti, 1967), di coordinare programmazione economica e assetto del territorio, di mettere in campo un welfare urbano finalizzato a garantire a tutte le comunità insediate i diritti fondamentali alla salute, all’istruzione, alla casa, all’ambiente, alla mobilità pubblica e, più ingenerale, alla città (L. Ricci, 2020); di alimentare, attraverso la sperimentazione sul campo, il processo di riforma urbanistica nella convinzione che essa «ha bisogno di intrecciare strettamente e reciprocamente la legge e il piano» (G. Campos Venuti, 1991).
Principi che troveranno piena attuazione in alcuni importanti piani urbanistici comunali come il PRG di Modena (1965) elaborato con l’obiettivo dichiarato di «suggerire procedimenti attuativi tali da prefigurare gli effetti positivi di una nuova legislazione» (L. Airaldi, G. Campos Venuti, Caire, C. Morelli, A. Tosi, 1965) anticipando alcuni degli indirizzi poi confluiti nel DI 1444/1968 sugli standard urbanistici. Partecipe, fin dagli inizi, dell’ideologia urbanistica del riformismo, in una prospettiva che affronta su basi metodologico-sperimentali innovative la complessità del rapporto economia e territorio, ambiente e sviluppo, negli anni Settanta Morelli contribuisce all’elaborazione di importanti esperienze di pianificazione a scala intercomunale che avranno il merito di affrontare, per prime, le problematiche connesse alla “questione ecologico-ambientale” posta al centro, negli anni successivi, del dibattito pubblico. Il connotato multidisciplinare e interscalare dell’opera di Cleto Morelli, che poggia su una concezione comprensiva e polisemica, emerge con forza anche dalla partecipazione ad alcuni lavori che costituiscono pioneristiche esperienze di pianificazione territoriale e paesistica come il Progetto 80 (1967), il Piano di Assetto Territoriale della Regione Basilicata (19741976), il Piano Territoriale Paesistico della provincia di Brescia (1986), lo Schema di Piano Territoriale Infraregionale della provincia di Bologna (1987), il Piano Territoriale di Coordinamento della provincia di Brescia (1998).
Tuttavia, il tratto distintivo della produzione scientifica di Cleto Morelli che ne fa un caso peculiare, è da ricercare nel suo impegno nell’elaborazione di
L’architettura
Gli edifici organici rappresentano la forza e la leggerezza della tela del ragno; sono edifici definiti dalla luce, creati avendo in mente l’ambiente, radicati nella terra.
Frank Lloyd Wright, 1939
Cleto Morelli inizia la propria attività professionale e culturale frequentando attivamente l’ambiente colto della cosiddetta “scuola di Roma”1 nata sotto l’influenza della pittura neorealista di Mario Mafai, Toti Scialoja e Renato Guttuso a contatto con un gruppo di giovani architetti tra i quali spiccano personalità come Luisa Anversa Ferretti, Carlo Aymonino, Giuseppe Campos Venuti, Sergio Lenci e Piero Moroni che, opponendosi fermamente alla retorica mussoliniana dell’architettura di Marcello Piacentini e Arnaldo Foschini, operano nei versanti dell’urbanistica e della architettura apportando significativi contributi allo sviluppo del rapporto tra i due campi disciplinari. Agli inizi degli anni Cinquanta alcuni di loro (Carlo Aymonino, Carlo Melograni, Carlo Chiarini, Mario Fiorentino, Piero Maria Lugli, Michele Valori), hanno la possibilità di prendere parte dell’opera di maestri come Ludovico Quaroni e Mario Ridolfi che proprio in quel periodo stanno realizzando il quartiere Ina-Casa Tiburtino uno dei manifesti più importanti del Neorealismo architettonico, corrente del più ampio Razionalismo italiano.
I primi lavori di Morelli, elaborati in collaborazione, risentono, dunque, del particolare clima culturale che si respira nella Capitale in bilico tra la tensione per il moderno e la nostalgia verso connotazioni regionali e vernacolari tipiche



FIE. Unità residenziale via Tuscolana. Prospettiva e Planimetria generale. Unità residenziale via Tuscolana e Ostia. Casa alta prospetto.
6-8 → L. Anversa, C. Aymonino, S. Lenci, C. Morelli, P. Moroni (1953).

32 → (1958). Palazzo di Giustizia Dell’Aquila. Inquadramento generale con l’indicazione delle soluzioni planimetriche proposte. Prospettiva.

33 → L. Anversa, G. Belardelli, C. Morelli (1966). Concorso nazionale per il Palazzo di Giustizia di Terni. A sinistra, pianta del piano terreno e prospetto su corso del popolo. A destra, foto dell’edificio realizzato.
La progettazione a scala urbana.
Spazio, spirito e… musica
Lacomposizione spaziale dei quartieri di Morelli è sempre legata all’invenzione del sito; i vari edifici creano isole che riproducono la complessità della vita urbana ripristinando attraverso l’architettura l’ermeneutica stessa della società. Artifici continuamente interrotti ma concatenati da una pluralità di regole e riferimenti, i nuovi insediamenti aspirano a creare le condizioni di indipendenza dal milieu urbano pur mantenendo solidi legami con esso. Le strutture insediative improntate ad un funzionalismo più vasto di quello puramente tecnico trovano infatti fondamento nella matrice pittorica dell’astrattismo di Piet Mondrian. Scrive Mondrian, «nella composizione si esprime l’immutabile (lo spirituale) per mezzo della linea retta o dei piani di non colore (nero, bianco, grigio), mentre il mutevole (il naturale) si esprime per mezzo dei piani di colore e del ritmo».
Come per Mondrian il tentativo di ricercare nell’equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici, il modo di «arrivare più vicino possibile alla verità estraendo ogni cosa da essa, fino a raggiungere le fondamenta» (Mondrian, 1914), in Morelli l’astrazione artistica permeata dalla forte spiritualità delle opere di Mondrian, costituisce il tramite attraverso cui arte e tecnica si fondono per garantire ai nuovi insediamenti armonia e quel giusto equilibrio tra spazi aperti e luoghi della residenza, tra costruito e non costruito. Spazio e spirito, dunque, lo stesso approccio che aveva consentito a Gerrit Rietveld di realizzare la trasposizione tridimensionale di un quadro di Mondrian per molti il simbolo di De Stijl: la sedia rosso e blu. Come per Mondrian anche per Morelli partecipe di questa concezione è l’ascolto della musica jazz alla quale si era subito avvicinato sotto l’influenza del padre musicista e nella quale aveva scorto quegli elementi quali il ritmo, la melodia
e l’improvvisazione che eserciteranno una grande influenza su tutta la sua opera.
Morelli apprende velocemente anche la lezione di Le Corbusier per il quale architettura e musica sono le forme espressive delle geometrie dello spazio e del tempo1. Nelle strutture spaziali dell’architettura e in quelle amplificate dell’urbanistica Morelli ricerca la sintesi di forme, volumi e sonorità, il tramite di un orizzonte immateriale che lo accompagnerà per tutta la vita.
Morelli affronta la progettazione dei quartieri avvalendosi di una solida base disciplinare che trova fondamento nelle teorizzazioni maturate in Europa alla fine del XIX secolo sul tema della progettazione di nuovi insediamenti “a misura d’uomo” completamente immersi nel verde, le cosiddette “garden city”2, seguendo gli sviluppi successivi promossi da Raymond Unwyn e Lewis Mumford nella realizzazione delle prime New Towns inglesi.
Morelli approfondisce, in particolare, lo studio del nuovo modello di progettazione basato sulla “pianificazione separata del traffico” sperimentato alla fine degli anni Venti a Radburn nel New Jersey. I principi cardine della Radburn planning sono la progettazione separata della mobilità per autoveicoli e pedoni a cui corrisponde un’attenta progettazione delle abitazioni dotate di accesso separato per pedoni e automobili. Il tessuto connettivo costituito dal sistema dei percorsi pedonali, molto spesso intervallati da ponti e sottopassi, per impedire commistioni tra le varie modalità di spostamento, serve a collegare le abitazioni con il sistema dei servizi mentre la trama viaria automobilistica posta ad anello
intorno all’area di intervento presenta degli assi di distribuzione interni a “cul de sac”. Quasi sempre la zona centrale dell’insediamento viene destinata a parco pubblico e, cosa più rivoluzionaria, le abitazioni che tradizionalmente affacciano sul fronte strada vengono disposte verso l’interno lungo le vie di penetrazione.
Nel secondo dopoguerra questo modello di pianificazione adottato dai CIAM fu proposto da Le Corbusier nella progettazione di Chandigarh capitale del Punjab in India ma trova applicazioni anche in alcune New Towns inglesi come Basildon, Coventry, Cumbernauld, Hook, Northampton, Stevenage e Wrexham. Morelli ne interpreta le enormi potenzialità proponendo interessanti chiavi di lettura dei processi evolutivi. Morelli sviluppa anche il tema della “cellula elementare della città”, com’è noto affrontato per la prima volta da Clarence Perry per il Regional Plan di New York del 1929, ponendo l’accento, sulla necessità di rispettare l’organizzazione dei quartieri in “unità di vicinato” (neighborhood units)3 generalmente disposti intorno ad aree per servizi pubblici, collegate alla città da un efficiente sistema di trasporto ed immersi in un sistema di aree verdi che funge da elemento di connessione tra le diverse parti. La concezione della rete di spazi aperti si collega idealmente alla vasta tradizione statunitense e nord-europea dei Piani di Amsterdam, Copenaghen, Stoccolma e Boston mentre il rapporto con la campagna, nelle sue diverse declinazioni, diventa il tema fondamentale per il controllo della forma urbana.
Morelli predilige strutture insediative semplici basate su una griglia ortogonale rigida ma aperta, elemento
L’urbanista impegnato.
L’architetto del territorio
…è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.
Italo Calvino, 1972
L’urbanistica non è un problema a sé, ma uno dei tanti aspetti dell’unico vero problema che è la vita dell’uomo. Da allora ci siamo convinti che non è possibile affrontare frammentariamente la soluzione di un problema particolare, se simultaneamente non si cerca anche la soluzione di tutti gli altri.
Osvaldo Piacentini, Eugenio Salvarani, 1947
La città non può essere lasciata al libero gioco dei promotori dei costruttori, dei tecnocrati, dei politici deculturati, in un mercato votato al massimo profitto. Una tale complessità vivente richiede di essere pensata e ripensata. Un pensiero ripensato deve nutrirsi di conoscenze storiche, economiche, ecologiche, sociologiche.
Edgar Morin, 2012
Sicuramente Morelli verrà ricordato soprattutto come urbanista, protagonista di quella stagione definita da Giuseppe Campos Venuti Urbanistica riformista che, all’inizio degli anni Sessanta, fu allo stesso tempo causa ed effetto del mutato atteggiamento delle amministrazioni pubbliche dei comuni dell’Emilia-Romagna verso i problemi della pianificazione. Un progetto di trasformazione politica, economica e sociale che ribadiva la necessità di promuovere riforme strutturali come mezzo per realizzare alcuni obiettivi fondamentali all’interno di un sistema capitalistico (Campos Venuti, 1981). Partecipe di questo progetto, l’urbanistica riformista, si sviluppa dopo la mancata Riforma voluta dal Ministro Sullo che tanto sostegno aveva avuto sia in ambito culturale che politico proprio perché, quella sconfitta, determinò un rinnovato interesse e lo stimolo per approfondire alcuni temi quali la rendita urbana e il regime immobiliare oligopolistico che divennero anche i simboli di una battaglia politica e culturale. «L’urbanistica riformista, cioè l’imposizione al mercato immobiliare di regole che garantiscano gli interessi della collettività senza soffocare l’iniziativa imprenditoriale» (Campos Venuti, 1991) vive nell’impegno culturale del Movimento moderno partecipando alle battaglie per un rinnovamento legislativo nella convinzione «che la maturazione della Riforma ha bisogno di intrecciare strettamente e reciprocamente la legge e il piano» (Campos Venuti, 1997), le influenze politiche e culturali con le acquisizioni tecniche.
I riferimenti disciplinari che informano l’azione di tecnici e urbanisti vanno ricercati in alcune esperienze di pianificazione connotate da un elevato grado
di innovazione teorico-disciplinare portati avanti soprattutto in alcune aree del nord Europa che peraltro hanno grande visibilità nelle pagine della rivista Urbanistica dell’INU che in questo periodo esercita anche una forte influenza sulle azioni di indirizzo e di coordinamento delle scelte politiche in materia di pianificazione urbanistica e territoriale. Il Piano di Amsterdam elaborato tra il 1929 è il 1932 da Van Eesteren e Van Lohuisen, il Piano Copenaghen detto anche “Piano delle cinque dita” elaborato nel 1948 da Rasmussen e il Piano per la regione di Stoccolma elaborato nel 1952 da Markelius e Sidenbladh, diventano il riferimento guida, la chiave interpretativa per promuovere un approccio nuovo ai problemi della città e del territorio. Alcuni degli indirizzi strategici di questi strumenti di pianificazione quali, il contenimento dell’espansione, la riduzione del consumo di suolo, l’integrazione/specializzazione dei diversi tipi di reti e nodi di trasporto pubblici e privati, la gerarchizzazione della rete stradale, la specializzazione funzionale delle destinazioni d’uso, l’alta dotazione di verde e servizi pubblici, la previsione di una rete infrastrutturale di collegamento tra le nuove aree di trasformazione e il resto della città, saranno posti al centro della nuova strategia urbanistica.
In particolare, il piano di sviluppo regionale detto “a mano aperta” di Copenaghen imperniato sul trasporto ferroviario che subordina la realizzazione delle nuove previsioni alla realizzazione della metropolitana indirizzando la struttura radiocentrica della città sugli assi del trasporto pubblico in modo da impedirgli di evolvere in una periferia indifferenziata1, costituisce

urbanistici. In questa occasione, oltre al contributo alla formulazione degli obiettivi e delle metodologie di Piano, Morelli cura proprio la problematica dei servizi «tradotta in standard urbanistici» (Morelli, 1987).
Scrive Morelli: «il PRG di Modena ha costituito il primo esempio della modificazione strutturale della pianificazione urbanistica. Infatti, in esso per la prima volta si affrontano i temi della specificazione dello zoning e si determinano gli standard urbanistici. Il modo di risoluzione di queste problematiche verrà recepito integralmente nella Legge 765/19675. Il PRG di Modena si segnala infine per altri contenuti strutturali: la forma aperta del piano, contro lo sviluppo nodo-lineare tendenziale delle città emiliane, la profondità dei cunei di verde inseriti nel tessuto urbano, il drastico contenimento degli indici di fabbricabilità, ecc.» (Morelli, 1995).
«Il progetto del nuovo PRG (1965) prevedeva una densità territoriale media di 145 abitanti per ettaro con indici di fabbricazione fondiari di 2 mc/mq nelle zone di completamento, di 3,5 mc/mq nelle nuove zone di
88 → L. Airaldi, G. Campos Venuti, Cooperativa architetti Reggio Emilia, C. Morelli, A. Tosi (1965). Comune di Modena. Piano Regolatore Generale. Schema delle principali scelte di Piano.
Nella pagina a fianco
89 → L. Airaldi, G. Campos Venuti, Cooperativa architetti Reggio Emilia, C. Morelli, A. Tosi (1965). Comune di Modena. Piano Regolatore Generale.
espansione (in gran parte controllate dal PEEP) e di 5,5 mc/mq nelle zone direzionali. I servizi sono stati proporzionati nella misura di circa 50 mq per abitante per le sole attrezzature urbane e di quartiere. Il verde, previsto con abbondanza in ogni zona, si incuneava fino al centro storico nel cuore della città» (Piacentini, 1983).
Scriverà qualche anno più tardi Giuseppe Campos Venuti, «nel 1965 il Comune di Modena adottava […] un piano regolatore che riservava ai servizi pubblici 50 metri quadrati per abitante, un terzo dei quali destinati alle attrezzature di quartiere. Ancora una volta l’esempio fu seguito da altre amministrazioni ed ebbe nel 1968 una sanzione legislativa nazionale, con la quale si stabiliva la dotazione minima di servizi previsti dai piani urbanistici, in 18 metri quadrati per abitante destinati alle attrezzature di quartiere e altrettanto per le attrezzature di tipo urbano» (Campos Venuti, 1978). Il Piano di Modena affronta per primo la problematica ambientale allora del tutto assente negli strumenti urbanistici, non solo attraverso il drastico ridimensionamento delle previsioni del PRG del 1958 e la
Cleto Morelli. L’architettura e l’urbanistica di un intellettuale del territorio

208 140 → Cleto Morelli al Convegno “L’urbanistica nella Mitteleuropa. Gorizia, 1970.
Cleto Morelli. L’architettura e l’urbanistica di un intellettuale del territorio

PARTE TERZA
→ Cesare Baccarini
→ Francesco Crupi
→ Franco Del Signore
→ Luisa Preden
→ Andrea Saba
Testimonianze
* Avvocato, assessore all’urbanistica e all’edilizia del comune di Imola (1964-1975). Tra il 1980 e il 1985 è stato assessore ai trasporti della Regione EmiliaRomagna.
Cesare Baccarini*1
Vent’anni di rapporti di lavoro, altrettanti di calda amicizia: ho avuto la fortuna di incontrare la prima volta l’Ing. Cleto Morelli all’inizio del 1965 e il nostro rapporto non si è mai interrotto. Nel novembre 1964 io ero stato eletto consigliere comunale a Imola e poi assessore all’urbanistica e all’edilizia (incarico mantenuto fino al luglio 1975). Lui faceva parte del gruppo di tecnici che doveva apprestare gli studi preliminari per una variante generale al piano regolatore in vigore dal 1952; gruppo che fu insediato dal Sindaco il 19 di febbraio 1965 e nell’occasione mi presentò spiegando che sarebbe stato mio compito dirigerlo per conto della Giunta.
Per capire quanto mi sia stato prezioso l’incontro con Morelli e col prof. Giuseppe Campos Venuti, che poi guidò il lavoro del gruppo, devo fare una premessa. A quel tempo, di urbanistica, io non sapevo quasi niente: avevo 26 anni, studi di giurisprudenza a Bologna, alla prima esperienza amministrativa e pubblica: prima dell’incarico in Giunta solo la partecipazione al Comitato di Gestione della Biblioteca comunale, un attivo impegno organizzativo nel Circolo del Cinema e il coordinamento per il Comune di una fortunata stagione teatrale aperta da uno spettacolo di Dario Fo e Franca Rane. Come mai, allora l’incarico
all’urbanistica? Da cinque anni partecipavo attivamente alla vita politica locale come responsabile culturale della Federazione del PCI, e da un po’ di tempo, un nostro sofferto dibattito riguardava il futuro della città e del suo circondario. Un territorio (sette comuni, con circa 90 mila abitanti) che era stato attraversato e devastato dal fronte nei sette mesi dell’inverno ‘44-45, con la città a soli sei chilometri dalla prima linea. Le campagne ne uscirono distrutte, minate, spopolate; i centri urbani con oltre la metà degli edifici ridotti a macerie o inagibili; le struttura produttive e i servizi azzerati. Gli anni che seguirono furono di convulsa ricostruzione per ripristinare accettabili condizioni di vita. E in questa fase, la fuga dalle campagne produsse una forte pressione tesa a rendere fabbricabili i terreni collocati lungo la via Emilia, principale asse viario del territorio finendo per congestionarli. In quei 20 anni che avevano generato in Italia il boom economico, da noi era mancato, e mancava ancora, non solo un’idea organica di uso del territorio, ma anche un progetto in grado di ispirarlo; era tempo, perciò, di guardare oltre la concitata fase post bellica per progettare una qualità nuova dello sviluppo che fosse in grado di governarne le sofferenze.
Imola contava una prevalente economia agricola imperniata su piccole aziende generalmente attive nelle produzioni più dinamiche, ma non mancavano aree ancora prive di elettricità (specie in collina) e dotate di precari servizi. Un modesto tessuto industriale faceva perno su una tribolata azienda di stato, la Cogne: nata nel 1937 per produrre proiettili da mortaio: dopo essere scesa da 2.500 a 800 addetti, cercava faticosamente un futuro nel meccano-tessile. Attorno alla Cogne tre fornaci, una ceramica, alcune cooperative legate all’edilizia e 185 piccole imprese private con più di 5 dipendenti (in molti casi promosse dai dipendenti che la Cogne aveva espulso).
Insomma: un tessuto prevalentemente artigianale, impegnato nei più disparati settori merceologici, carente di servizi ma in molti casi, se assistito, propenso a crescere. In questo contesto, la più rilevante fonte di occupazione era costituita dalla sanità: a parte l’ospedale civile di zona, una sanità dequalificata e senza futuro. Con un sanatorio Inps per Tbc che gli antibiotici rendevano superfluo, due grandi manicomi e quattro cliniche psichiatriche pubbliche per custodire pazienti di tre province: Bologna, Ravenna e Forlì (Rimini compresa).
Le amministrazioni comunali stavano realizzando nelle aree agricole massicci investimenti finanziati dai fondi FEOGA (europei) per i servizi: elettricità, acquedotti rurali, metanizzazione. A Imola il Comune aveva varato un programma di interventi sulla scuola: dai nidi alle superiori. Ma era palese l’esigenza di una svolta supportata da un organico progetto di sviluppo economico e sociale,
definito su base intercomunale (come stava facendo il comprensorio di Bologna) e sorretto da una nuova pianificazione territoriale; una pianificazione che coordinasse il piano regolatore di Imola coi piani regolatori o di fabbricazione degli altri sette comuni. E soprattutto si avvertiva il bisogno di disegnare una nuova identità socioeconomica del territorio, coerente col modello di sviluppo regionale che andava delineandosi per scelta politica autonoma dei territori. Cosciente del fatto che si dovesse anche rivoluzionare la cultura su cui basarlo, il sindaco di Imola Amedeo Ruggi aveva voluto al suo fianco in questo cammino un giovane che non avesse condizionanti legami professionali col tessuto che bisognava radicalmente trasformare. Per questo motivo scelse il sottoscritto. Il gruppo tecnico che la Giunta aveva incaricato per giungere alla definizione del piano intercomunale (e col quale dovevo lavorare) era formato dagli urbanisti: Giuseppe Campos Venuti, Leonardo Benevolo, Carlo Melograni, Cleto Morelli, Pier Luigi Giordani e Alessandro Tutino con la collaborazione tecnica dell’architetto Antonio Bonomi; dall’economista Mirio Allione e dal sociologo Paolo Guidicini della scuola di Ardigò di Bologna. Un gruppo, come si vede, di altissimo profilo. Nella riunione di insediamento si definirono le ricerche preliminari alla definizione del piano intercomunale a cui rapportare successivamente gli strumenti di pianificazione di ciascun comune. Per tali ricerche fu messo al lavoro l’Ufficio Statistico del Comune di Imola, appena costituito, mentre Alessandro Tutino fu incaricato di coordinare i lavori per il piano
* Economista, professore universitario, tra gli altri incarichi è stato presidente dello IASM Istituto per l’Assistenza allo Sviluppo del Mezzogiorno dal 1983 al 1992. Fondatore e direttore della rivista Economia e Territorio.
Andrea Saba*1
Siamo stati amici per quasi quaranta anni. Si diventa amici per molte vie. Ma l’inizio della nostra amicizia ha un chiaro fondamento scientifico: l’idea della necessità di una collaborazione fra urbanistica ed economia. La multidisciplinarietà è una delle componenti di base della ricerca scientifica in qualunque campo e molti risultati di grande importanza derivano dalla interazione fra diverse vie scientifiche.
Negli anni Settanta urbanistica ed economia si muovevano indipendentemente nella loro sfera, ma un gruppo di urbanisti, Cleto Morelli, Baldo De’ Rossi, Gabriele Scimeni ed altri, si resero conto che la sovrapposizione fra le due discipline avrebbe potuto avere sviluppi molto interessanti. Baldo De’ Rossi mi chiese di tenere una serie di conversazioni sui principi della scienza economica ai suoi studenti di estimo nella facoltà di Architettura di Valle Giulia. Ero molto giovane e da poco Paolo Sylos Labini, mio maestro ed amico, mi aveva chiamato a Roma con un incarico di Economia Applicata nella Facoltà di Scienze Statistiche. La proposta era nuova e perciò stimolante, essendomi laureato al Cambridge-King’s College, la interdisciplinarità mi era abbastanza familiare. Nel college tutti gli studenti vivono insieme
ed è inevitabile, anzi stimola, il fatto che discutano insieme delle loro esperienze. Inoltre, in particolare al King’s, erano ospiti e vivevano con noi, illustri glorie della scienza e dell’arte britanniche come Henry Moore e Forrester, quindi, il dialogo fra arte e scienza veniva favorito in ogni suo aspetto.
Nel dicembre del 1974 venne organizzato un convegno dei docenti della facoltà di architettura e di ingegneria e mi si chiese di tenere una relazione. Il periodo era appena successivo alla crisi del petrolio del 1973 che aveva precipitato l’Italia in una penuria di carburante – si ricorderanno le “meravigliose domeniche” della Roma senza auto, che ci consentirono di vedere la città più bella del mondo senza l’invasione automobilistica -. L’inflazione viaggiava verso il 20% e questo aveva indotto i professori di estimo a chiedere l’opinione di un economista. Seguirono una serie di lezioni accanto al corso di estimo.
La serie di lezioni ebbe successo e soprattutto interessò più che il corso di Estimo, quello di Urbanistica. Creammo allora una sede di incontro e di scambio di idee ed informazioni sulle due discipline. In quelle occasioni, a Cleto e a me, che nel frattempo eravamo stati presi da reciproca simpatia, venne l’idea di
fondare una rivista, per la prima volta in Italia, che trattasse l’intersezione della scienza economica con l’urbanistica.
La riunione si tenne nella sede dei Parioli nello studio di Baldo De’ Rossi. L’atmosfera era di grande allegria che andava crescendo. La ricerca scientifica, il progredire nella conoscenza generano una gioia genuina che è una delle cose più piacevoli per chi ha scelto la via della ricerca scientifica. Scoprivamo una serie di punti di contatto e di interconnessione fra economia e urbanistica. In particolare, fra Cleto e me si stabilì una straordinaria intesa basata sulla simpatia, ma innervata da un crescente interesse per la sua attività professionale di urbanista di alto livello legata ai settori della mia attività di ricerca sui distretti industriali allora agli inizi in Italia.
Dopo una lunga discussione, all’ora di cena, data l’euforia, decidemmo di non andare al ristorante, ma di ritornare ai vecchi tempi di quando Cleto e Baldo erano studenti e mandammo il segretario Mario a comprare un vassoio di supplì. Il vassoio era enorme e il vino buono e abbondante e così nacque la rivista “Economia e Territorio” che fu la prima in Italia a stabilire, in modo sistematico, un percorso di analisi interdisciplinare fra economia e urbanistica. Io fui incaricato di essere il direttore, e di fatto, Cleto divenne il direttore per la parte urbanistica.
La forma grafica era molto elegante e curata; ma il gruppo di architetti era, a mio avviso, un poco troppo finalizzato alla pura forma della rivista. Del resto, essendo architetti e italiani, la cura formale estetica rischia di essere sempre
prevalente. Ma io avevo assorbito i canoni inglesi – che in parte sono simili a quelli sardi – in cui la sostanza deve sempre prevalere sulla forma, ed allora, stanco delle lunghe discussioni sulla linea grafica, portai un numero dell’Economic Journal, la rivista più autorevole del mondo, e feci notare quanto fosse decisamente e volontariamente brutta. E’ un vezzo tutto britannico adottare forme estreme di low profile per le cose realmente importanti. “Economia e Territorio” rimase bella graficamente, ma anche di alto livello come contenuti. Collaborarono i migliori urbanisti, da Scimemi a Campos Venuti ed autorevoli economisti come Saraceno, Sylos Labini, Ruffolo ed altri.
Poi, con l’amicizia fra le famiglie, Giovanna e Cleto divennero amici carissimi. Stavamo spesso insieme specie a Medane, la splendida villa, opera di Baldassarre Peruzzi il più grande architetto del rinascimento senese. Ma il maggior piacere che arricchiva il soggiorno tra le crete senesi, erano le conversazioni intorno alla architettura rinascimentale. Cleto amava la magnificenza della creatività umana ed aveva un modo di rendere viva la descrizione di un’opera in cui si fondeva la precisione dell’ingegnere con il gusto artistico dell’architetto.
I fine settimana a Medane, con gruppi di amici, vagando per la meravigliosa Toscana spiegata da un cicerone eccezionale come Cleto sono stati uno dei piaceri più profondi della nostra esistenza. L’amicizia in questo modo si arricchiva di contenuti culturali e scientifici come è raro possa accadere. Una volta invitammo a Medane Wassily Leontief e la
