10 Collana Alleli / Project Comitato scientifico Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa) Emilio Faroldi (ICAR 12, Milano) Nicola Flora (ICAR 16, Napoli) Antonella Greco (ICAR 18, Roma) Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa) Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia) Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari) ISBN 978-88-6242-468-4 Prima edizione Settembre 2020 © LetteraVentidue Edizioni © Fabrizio Foti, Luigi Pellegrino © Peppe Maisto per le fotografie da p. 68 a p. 143 È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Book design: Francesco Trovato LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa www.letteraventidue.com
Indice
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Premessa
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La piccola casa rurale Gianfranco Gianfriddo
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La masseria a struttura del territorio. Le Case Musso a Palazzolo Acreide Luigi Pellegrino
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Dalla masseria fortificata alla villa: evoluzione di un sistema insediativo nel territorio di Palazzolo Acreide Bruno Messina
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Il “pittoresco� quale cifra del paesaggio ibleo Fabrizio Foti
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Le case Francesco Cellini
70 86 102 118
Casa BF di Luigi Pellegrino Casa G di Gianfranco Gianfriddo Casa CM di Bruno Messina Casa MP di Fabrizio Foti
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Postfazione alle fotografie Con la distanza del tempo che ne deforma la memoria Peppe Maisto
Premessa
Abitare il contado. La casa nella costruzione del paesaggio ibleo
Costruire per, abitare produrre villeggiare… contemplare. Nel corso del XIX secolo il territorio ibleo è sottoposto a un forte insediamento antropico che ne modifica la struttura e ne trasforma definitivamente l’immagine; le campagne si popolano passando da luogo di mera produzione e capitalizzazione a condizione di conforto riposo piacere (il territorio muta in paesaggio, da strumento a concetto, idea). Le ragioni storiche vanno rintracciate nel lungo processo di trasformazione della proprietà fondiaria e del regime agrario che affonda le radici nell’istituto dell’enfiteusi – che negli Iblei ha avuto tutta una sua particolare declinazione – e proprio nell’ottocento matura le occasioni per divenire fenomeno alla vasta scala capace di strutturare, rivoluzionandolo, il territorio (non diverso dal processo che nel ‘400 e ‘500 aveva trasformato il paesaggio toscano – e che trova nelle ville medicee il punto di arrivo di una concezione etica ed estetica –, e nel ‘500 e ‘600 quello veneto – di cui le ville palladiane rappresentano una minima parte per quanto altamente significativa –). Palazzolo Acreide con il suo vasto contado, ripercuotendosi all’intorno territoriale che si estende verso Siracusa da un lato, fino a Canicattini, e dall’altro verso Buccheri fino all’altipiano del Monte Lauro, rappresenta un raro esempio per quantità e qualità dei manufatti che hanno contribuito a questa potente trasformazione. La casa, nelle diverse forme e misure – potremmo, con buona pace, definirli tipi – con cui si palesa, rappresenta l’elemento primo e cardine di questo palinsesto, lo strumento con il
quale si insedia, regima, struttura, trasforma il territorio fino a renderlo domestico, paesaggio appunto. Dalla casa minima, alla masseria, alla villa, evolvendosi il modo e le possibilità dello “stare nel contado” si evolve e trasforma la sua stessa struttura e l’idea che vi è sottesa fino a giungere a una condizione che potremmo definire di “modernità”. Costruire per abitare, villeggiare, contemplare; oggi. Il palinsesto naturale, e la sapiente modifica ad opera dell’uomo perpetratasi per oltre un secolo a cavallo fra il XIX e XX secolo, fanno del paesaggio dell’alta valle dell’Anapo che fa perno intorno a Palazzolo Acreide uno dei più peculiari ed attrattivi proprio per quanto concerne la dimensione abitativa. Al perpetrarsi di una tradizione autoctona, legata ancora alle esigenze produttive da un lato e di villeggiatura estiva dall’altro, si vanno sommando nuove attitudini dovute all’abitare diffuso tipico della contemporaneità e a diversificate esigenze turistiche a varie scale. Si recupera il patrimonio esistente e si costruiscono nuove case. Si è chiamati a rinnovare quel lungo insistito lavoro di trasformazione del contado in paesaggio rispondendo alle mutate esigenze abitative. Cambiano misure assolute e scale relative di intervento ma non muta il processo sotteso, l’idea che fa della casa – dell’abitare – lo strumento primo di insediamento, rifondazione, riformulazione di un nuovo immaginario del paesaggio. Si è voluto quindi affiancare, a un lavoro di ricerca sulle matrici Premessa
tipologiche e gli esiti formali che ne sono scaturiti nel tempo, un differente ma altrettanto e più efficace strumento di ricerca che è la sperimentazione sul campo, il lavoro di progetto e costruzione di architetture contemporanee che abbiano come tema l’abitare nel contado. Si è posto l’accento – e in prospettiva storica e in chiave attuale – sul costruire, convinti che questa sia la cifra distintiva del nostro mestiere, di architetti e didatti dell’architettura (una cifra, peraltro, che ha sempre distinto la Scuola di Architettura di Siracusa nel panorama contemporaneo). «L’essenza del costruire è il “far abitare”. Il tratto essenziale del costruire è l’edificare luoghi mediante il disporre i loro spazi. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. Pensiamo per un momento a una casa contadina della Foresta Nera, che due secoli fa un abitare rustico ancora costruiva. […] Ciò che ha costruito questa dimora è un mestiere che, nato esso stesso dall’abitare, usa ancora dei suoi strumenti e delle sue impalcature come di cose. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire. Il richiamo alla casa contadina della Foresta Nera non vuol dire affatto che noi dovremmo e potremmo tornare a costruire case come quella, ma intende illustrare, con l’esempio di un abitare del passato, in che senso esso fosse capace di costruire».1
1. M. Heidegger, Costruire abitare pensare, in: Saggi e discorsi, ed. italiana a cura di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1976, pp. 107-108).
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Dalla masseria fortificata alla villa: evoluzione di un sistema insediativo nel territorio di Palazzolo Acreide Bruno Messina
Masseria Zocco in contrada Nicastro
Il processo di trasformazione del territorio ibleo inizia nella prima metà del XIX secolo con la costruzione delle masserie fortificate, veri e propri sistemi di controllo produttivo del latifondo. Si tratta di strutture a corte con magazzini per lo stoccaggio della produzione agricola e ambienti per la residenza del proprietario e dei mezzadri. Questo modello insediativo vede, nel corso dell’ottocento, un progressivo prevalere del ruolo della residenza che assume un carattere sempre più rappresentativo e autonomo dalle funzioni legate all’agricoltura: un’evoluzione della masseria fortificata in villa che dura circa un secolo e determina un sistema diffuso su tutto il territorio ibleo, analogo in qualche misura al processo che nel quattrocento aveva trasformato il paesaggio toscano e quello veneto dal cinquecento in poi. Il tema della villa, dalle sue origini al XX secolo, è stato oggetto di uno studio esemplare di James Ackerman1 che fissa, con la chiarezza propria degli studiosi di cultura anglosassone, una serie di questioni rilevanti. In primis: la villa è un edificio progettato per sorgere in campagna e pensato per soddisfare l’esigenza di riposo del suo proprietario. Ciò che la distingue dalla struttura tradizionale della casa colonica è il carattere di svago e un linguaggio più rappresentativo e moderno. Seconda questione: la villa è sempre legata allo sviluppo urbano, vi è quindi un rapporto di complementarietà tra la villa, intesa quale luogo dell’otium, e la città, centro delle attività economiche e lavorative. Questa opposizione 36 > 37
Masseria Zocco in contrada Nicastro, planimetria e corte (a fianco)
Bruno Messina, Dalla masseria fortificata alla villa
costituisce, secondo lo storico statunitense, il fondamento stesso dell’ideologia della villa. Un terzo tema riguarda poi l’individuazione di due tipologie: la prima di forma cubica e compatta, l’altra aperta e articolata. La villa compatta è espressione del contrasto tra natura e artificio, mentre quella articolata si integra con la sua disposizione organica all’irregolarità delle forme naturali. La riflessione di Ackerman fornisce utili paradigmi per un’analisi dell’evoluzione della masseria fortificata nell’area iblea, un fenomeno che inizia nella prima metà dell’ottocento e si conclude negli anni trenta del secolo scorso, riflettendo una radicale trasformazione sociale avvenuta in Sicilia tra la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo. La ricostruzione successiva al terremoto del 1693, espressione del potere politico del clero e delle famiglie dell’aristocrazia terriera siciliana, avvia una trasformazione epocale in tutto il Val di Noto. Dopo l’abolizione del latifondo, sancita dalla Costituzione del 1812, i feudi vengono frazionati e acquisiti, attraverso l’istituto dell’enfiteusi perpetua, da una nuova classe alto borghese che mette in atto una gestione più razionale e produttiva del territorio. Questo fenomeno economico dà un nuovo impulso alla rinascita dei centri minori iblei, già iniziata dopo il terremoto2. La nuova borghesia, nobilitatasi dopo la fine del XVII secolo, reinveste i proventi derivanti dalla produzione agricola nella costruzione e ristrutturazione delle residenze di città e nell’edificazione delle masserie fortificate3. Una stessa idea di decoro caratterizza le fabbriche 38 > 39
In alto: Villa Messina a Bibbinello A destra e nella pagina a fianco: Villa del barone Messina a Bibbinello
Fabrizio Foti, Il “pittoresco” quale cifra del paesaggio ibleo
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Il “pittoresco” quale cifra del paesaggio ibleo Fabrizio Foti
Prima di andare a letto don Fabrizio si fermò un momento sul balconcino dello spogliatoio. Il giardino dormiva sprofondato nell’ombra, sotto; nell’aria inerte gli alberi sembravano di piombo fuso; dal campanile incombente giungeva il sibilo fiabesco dei gufi. Il cielo era sgombro di nuvole: quelle che avevano salutato a sera e se ne erano andate chissà dove, verso paesi molto meno colpevoli, nei cui riguardi la collera divina aveva decretato condanna minore. Le stelle apparivano torbide ed i loro raggi faticavano a penetrare la coltre di afa. L’anima del principe si slanciò verso di loro, verso le intangibili, le irraggiungibili, quelle che donavano gioia senza poter nulla pretendere in cambio […] “Esse sono le sole pure, le sole persone per bene”, pensò, con le sue formule mondane. “Chi pensa a preoccuparsi della dote delle Pleiadi, della carriera politica di Sirio, delle attitudini all’alcova di Vega?1 In queste parole di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, tratte da Il Gattopardo, lo sguardo del principe Fabrizio di Salina indugia, dal balconcino privato della sua residenza di Donnafugata, nell’osservazione del paesaggio al crepuscolo. Lo sguardo del principe è attirato dalle stelle, in uno “slancio” verso l’intangibile e l’irraggiungibile. Negli occhi di don Fabrizio non c’è alcun interesse strumentale, non c’è un tornaconto materiale, né la preoccupazione di dover controllare e sorvegliare il proprio dominio agricolo. In quell’atto dell’osservare c’è solo un disinteressato – ma ispirato – momento di totale contemplazione. Quello del principe è un guardare con alterità. 52 > 53
Il sentire poetico del contemplare la natura nel “corso degli astri”, in quell’istante narrato da Tomasi di Lampedusa, è un fatto culturale che cambia radicalmente il rapporto tra l’uomo e il mondo che lo circonda. Un cambiamento di cognizione che, in poesia, muove i suoi primi netti passi dall’Ascesa del Monte Ventoso di Francesco Petrarca del 1336, celebre episodio letterario in cui si avverte l’origine di una condizione inedita e moderna del rapporto tra uomo e natura: la presa di coscienza che nell’atto del guardare per guardare – del guardare disinteressato – c’è l’abbandono al piacere del contemplare la natura come scena2. Questo modo di guardare proiettando lo sguardo “oltre”, in una distanza che svincola il motivo del guardare dal semplice controllare e presidiare, produce immediatamente due fenomeni: una proiezione visiva del pensiero verso il manifestarsi del mondo e, contestualmente, una proiezione opposta, un rovesciamento introspettivo del pensiero, su sé stessi e sulla propria condizione, che sembra superare il momentaneo “trascurar sé stessi” delle parole di Sant’Agostino, citate nei versi di Petrarca. Questo guardare in avanti - per il puramente contemplare - e in sé per interrogarsi sulla propria esistenza, produce una consapevolezza dell’uomo come soggetto estraneo alla natura che innesca la necessità di trovare e tracciare una propria misura nel mondo, trasformando la natura stessa. Una consapevolezza, questa, ben più antica dei versi di Petrarca, che segna l’avvio della storia occidentale ed europea del paesaggio. Una storia destinata a cambiare le sorti dell’arte e
dell’architettura, fino a determinare un radicale cambiamento dei territori. La contemplazione del paesaggio, dunque, stimola una proiezione introspettiva: un interrogarsi sulla propria individuale condizione e, quindi, induce a «[…] una soggettività che riflette su sé stessa e che guarda il mondo per interrogarsi sulla propria interiorità.»3. Quel bisogno di interiorità si formalizza e trova sostanza nella traduzione della realtà in scenario che completa la necessità dell’uomo di circondarsi di interni, di ripari dalla natura stessa. Questo bisogno è insito nell’uomo, che solo in questo modo riesce a vivere nel mondo: decodificando la realtà in un’idea soggettiva e traducendola in un’elaborazione astrattiva, entrambe frutto della percezione. L’uomo è un fabbricatore di cultura: egli traduce la natura in un artefatto, frutto del pensiero, che è l’esito del bisogno di conformazione alle proprie esigenze di sostentamento, nell’atto agricolo, e di protezione nell’abitare. Grazie alla propria attitudine mentale e visiva per l’astrazione e per la metafisica – dunque per lo sguardo pittorico sul reale – l’uomo manipola la natura secondo un proprio innato bisogno di domesticità, che riconosciamo anche nel rappresentare e nel produrre immagini della natura. Ciò che l’uomo comprende, nel tempo, è come far coincidere bisogni e attitudini, nell’affrontare la natura, in una sola strategia che è insita nella costruzione dell’artificio. Tale artificio segna, da una parte, la presa di possesso dello spazio
Fabrizio Foti, Il “pittoresco” quale cifra del paesaggio ibleo
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