I deserti non sono vuoti

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DESCAMINO

Direzione Scientifica

Antonio di Campli

Camillo Boano

Comitato Scientifico

Francesco Chiodelli, Università di Torino

Ana Maria Durán Calisto, Yale University

Samia Henni, McGill University

Catalina Mejía Moreno, Central Saint Martins, University of the Arts London

ISBN 978-88-6242-905-4

Prima edizione italiana marzo 2024

© 2022 Trustees of Columbia University (New York)

© 2024 LetteraVentidue Edizioni

© Samia Henni

© Testi e immagini: rispettivi autori

I deserti non sono vuoti, a cura di Samia Henni, è una versione ridotta dell’originale Deserts Are Not Empty pubblicato nel 2022 dalla Columbia Books on Architecture and the City e distribuito dalla Columbia University Press (New York - Stati Uniti) e tradotta in italiano da Antonio di Campli e Camillo Boano.

La pubblicazione originale del 2022 era composta da contributi di Saphiya Abu AlMaati, Menna Agha, Asaiel Al Saeed, Aseel AlYaqoub, Yousef Awaad Hussein, Ariella Aïsha Azoulay, Danika Cooper, Brahim El Guabli, Timothy Hyde, Jill Jarvis, Bongani Kona, Dalal Musaed Alsayer, Observatoire des armements, Francisco E. Robles, Paulo Tavares, Alla Vronskaya e XqSu. La prima edizione è stata prodotta attraverso l’Ufficio del Preside, Amale Andraos e l’Ufficio delle Pubblicazioni della Columbia University

GSAPP, ed è stato in parte sostenuto dal Preston Thomas Memorial Lecture Series Fund del Dipartimento di Architettura della Cornell University

Nella versione in italiano I deserti non sono vuoti, non tutti i contributi sono stati tradotti ed è stato incluso il capitolo di MariaLuisa Palumbo, non presente nell’edizione inglese.

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa.

Progetto grafico Gaetano Salemi

Impaginazione Federica Panebianco

Foto di copertina © Bruno Barrillot, Observatoire des armements, 2007

Finito di stampare nel mese di marzo 2024

presso Priulla Print, Palermo

LetteraVentidue Edizioni Srl

via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa, Italy

www.letteraventidue.com

A CURA DI SAMIA HENNI

I DESERTI NON SONO VUOTI

EDIZIONE E TRADUZIONE ITALIANA

A CURA DI ANTONIO DI CAMPLI E CAMILLO BOANO

CONTRIBUTI DI ARIELLA AÏSHA AZOULAY, DANIKA COOPER, DALAL MUSAED ALSAYER, MARIALUISA PALUMBO, PAULO TAVARES, XQSU

INDICE

LA LETTURA MIGLIORE È LA LETTURA INCERTA
DI CAMPLI, CAMILLO BOANO CONTRO I REGIMI DEL VUOTO SAMIA HENNI
DUNE, I RIBELLI, E LA STAGIONE TURISTICA MARIALUISA PALUMBO EFFETTO DESERTO IMPERIALE – LA PALESTINA È LÌ, DOVE È SEMPRE STATA ARIELLA AÏSHA AZOULAY OVUNQUE, NEGLI STATI UNITI: ARAMCO HOUSING NEL DESERTO DELL’ARABIA SAUDITA DALAL MUSAED ALSAYER DISEGNARE DESERTI, CREARE MONDI DANIKA COOPER LA POLITICA COLONIALE-MODERNA DELLA DESERTIFICAZIONE PAULO TAVARES VIA TERRA C’È POCO TEMPO PER SOGNARE XQSU 6 20 36 58 84 124 150 178
ANTONIO
LE

CONTRO I REGIMI DEL VUOTO

INTRODUZIONE
SAMIA HENNI

Iltermine “deserto” indica un complesso insieme di immagini, immaginari, climi, paesaggi, spazi e storie. I territori dei deserti caldi e freddi incarnano varie forme di sfruttamento antropico, come l’espropriazione coloniale, l’estrazione di risorse e l’occupazione civile e militare. Eppure, tra i luoghi comuni più diffusi sul deserto c’è l’idea che “i deserti siano vuoti”, che “il deserto sia privo di vita” o che “nel deserto non ci sia proprio nulla”. Questa concezione fuorviante del deserto è servita a legittimarne processi di trasformazione, di manipolazione, di tossificazione e di distruzione. Attraverso questo stereotipo, ad esempio, l’esercito francese ha giustificato la scelta di utilizzare il Sahara algerino, allora territorio colonizzato dalla Francia, come luogo di test nucleari per le prime bombe atomiche francesi, tra il 1960 e il 1966. Secondo il generale Charles Ailleret, capo del programma nucleare francese, il Sahara era «una terra di sete e di paura, di cui si diceva che fosse assente qualsiasi forma di vita»; la parte di deserto designata era caratterizzata dalla «totale assenza di vita animale e vegetale»1.

Contrariamente a questo immaginario, il Sahara non è privo di vita. I territori desertici, che comprendono circa un terzo della superficie terrestre, ospitano vite umane, non umane, biologiche e microbiologiche. Essi sostengono forme di esistenza sedentarie, nomadi, animali, vegetali e minerali. Anche se la presenza di vita nei territori desertici può sembrare evidente, ancora oggi si ripetono e si leggono sempre gli stessi vecchi luoghi comuni coloniali. Questo perché le soggettività industrializzate e gli enti volti all’avvio di politiche di sfruttamento sono costantemente alla ricerca, bisognose di individuare, cosiddetti luoghi “vuoti” da “riempire” attraverso l’occupazione, l’estrazione, lo sfruttamento minerario, l’innesco di pratiche di produzione e di accumulazione. Questi meccanismi sono spesso intrecciati con forme implicite o esplicite di colonialità e di tossicità, che si traducono nella razzializzazione, nell’alterazione, nel danneggiamento o nella distruzione degli ambienti di vita, naturali e antropici, presenti nel deserto.

1. Ailleret Charles, L’aventure atomique française: Comment naquit la force de frappe. Souvenirs et réflexions, Paris: Editions Bernard Grasset, 1968: 229. Traduzione dell’autrice. Testo originale: «Pays de la soife et de la peur, d’où toute vie était réputée absente dans les espaces immenses qui séparent Reggane de Tessalit».

20 • 21 SAMIA HENNI
Scarti. Residui di lavorazioni. Foto: Bruno Barrillot, Observatoire des armements, 2007. Scarti. Materiali ferrosi. Foto: Bruno Barrillot, Observatoire des armements, 2007.
I DESERTI NON SONO VUOTI DESCAMINO 03
“L’Italia inaugura il primo itinerario turistico Sahariano: Tripoli-Gadames”, in L’Italia Coloniale. Supplemento mensile de L’Illustrazione Italiana, n. 12, dicembre 1934.

da Tripoli a Gadames «combinato con grandi attrattive di escursioni e caccie a mezzo di un autobus Fiat, idoneamente attrezzato a tale percorso», nel 1934 questo itinerario viene rilanciato con enfasi48. Le pagine de L’Italia Coloniale esaltano adesso non soltanto l’enorme riduzione dei tempi di percorrenza ma soprattutto le straordinarie novità in termini di comfort e tecnologie disponibili durante il viaggio attraverso il deserto: «Si tratta di un viaggio che in due giorni ci condurrà in mezzo al Sahara Libico, nella favolosa Gadames. Le macchine che sono state adibite a questo servizio, rappresento quanto di più moderno la tecnica automobilistica ha fino ad oggi prodotto. Tetto e pareti sono rivestite di materiali isolanti per ridurre al minimo le trasmissione del calore; le ampie finestre, oltre normali tendine ed ai vetri sono munite di persiane in alluminio. Un bar è a disposizione dei viaggiatori, i quali possono sorbire the e bibite in eleganti stoviglie, comodamente seduti nelle poltrone, sugli appositi tavolinetti. Vicino a ciascuno dei 18 posti c’è una presa per innestare la cuffia della radio, poiché a bordo vi è una magnifica stazione radio ricevente trasmittente costruita dalla Regia Aeronautica. La macchina ha anche un salottino da gioco. Non basta. Questo mobile albergo destinato ad attraversare il nostro deserto sahariano ha anche una sua elegante e completa toletta. Due giorni di viaggio in queste vetture non rappresentano una grande fatica. Fino a pochi anni fa non si poteva neanche pensare di poter viaggiare per il deserto con tanti agi e, diciamolo pure, lussi»49.

La “favolosa Gadames” ed il “nostro deserto” restano così quasi sullo sfondo della doppia pagina della rivista dedicata al nuovo itinerario, perché la notizia e la vera attrazione è qui il mezzo di trasporto avveniristico capace di trasformare l’attraversamento del deserto in una comoda, elegante ed avveniristica passeggiata.

Le pagine dell’opuscolo “Libia Itinerari” prodotto nel 1935 dal Commissariato per il turismo in Libia, l’organismo fondato nel 1933 e proprio nel 1935 sostituito da Balbo con l’Ente turistico alberghiero della Libia (ETAL), la compresenza di profili di città che si specchiano sul mare,

48. Alle Porte del Sahara in Autobus, in «L’Italia Coloniale. Supplemento mensile de L’Illustrazione Italiana», marzo 1929, p. 46.

49. L’Italia inaugura il primo itinerario turistico Sahariano: Tripoli-Gadames, in «L’Italia Coloniale. Supplemento mensile de L’Illustrazione Italiana», dicembre 1934.

54 • 55 LE DUNE, I RIBELLI, E LA STAGIONE TURISTICA MARIALUISA PALUMBO

EFFETTO DESERTO IMPERIALE –

LA PALESTINA È LÌ, DOVE È SEMPRE STATA

ARIELLA AÏSHA AZOULAY

Cara Samia, ci ho provato, ma non sono riuscita a trovare una poesia che trasmettesse il significato del deserto imperiale come lo intendo io. Mi è venuto in mente, però, che quando mi avete invitato a partecipare alle Preston Thomas Memorial Lectures Into the Desert: Questions of Coloniality and Toxicity, ero tornata a Khirbet Khizeh, un romanzo breve pubblicato nel 1949, pochi mesi dopo la dichiarazione dello Stato di Israele, quando tutto cominciò a essere definito come “israeliano”1. ll libro è stato scritto da S. Yizhar, un soldato “israeliano” che era tra coloro che hanno espulso i palestinesi dalla loro patria e che è diventato un noto scrittore in Israele. Ho preso un estratto del suo romanzo e l’ho scomposto in frasi separate, creando un inventario del saccheggio. Se riecheggia una poesia, è perché, nella condizione imperiale, il saccheggio dà origine alla Repubblica delle Lettere. Il romanzo introduce i lettori a ciò che intendo quando parlo di produzione “dell’effetto deserto imperiale”: un’impresa che trasforma i mondi in luoghi desertici in cui diversi attori possono partecipare al processo di fioritura del deserto. La produzione del deserto è un’impresa industriale che richiede la partecipazione di molti attori che ricoprono identità e ruoli diversi. Far fiorire le cose all’interno di questi deserti fabbricati non è una metafora, ma un’operazione industriale, una struttura narrativa, una trama storica del settler colonialism2. Non sono riuscita a trovare il testo da cui ho tenuto la mia conferenza iniziale, ma ho trovato invece una favola. A volte i testi si perdono per far emergere le favole, per trasmettere la morale di una storia di genocidio che è stata raccontata troppe volte nel corso dei decenni. I ricordi sopiti che ho ereditato dai miei antenati ancora sepolti in Algeria, confermano che questa favola non era poi così diversa da quella che descrive la conquista dell’Algeria. Ho cercato di non dimenticare i numerosi personaggi coinvolti. L’ordine in cui compaiono non riflette la loro importanza. Come spesso accade nelle favole, i nomi propri non sono necessari. L’individualità di una persona deve essere intesa come secondaria rispetto alla sua posizione, alla sua occupazione

1. The 2020 Preston Thomas Memorial Lectures, intitolate “Into the Desert: Questions of Coloniality and Toxicity” sono state coordinate da Samia Henni tra l’ottobre ed il novembre 2020 presso il Dipartimento di Architettura della Cornell University. Per maggiori dettagli vedere https://aap. cornell.edu/news-events/desert-questions-coloniality-and-toxicity.

2. Lasciamo il termine in inglese dal momento che la versione letterale in italiano, “colonialismo di insediamento”, appare poco chiara (NdT).

58 • 59 ARIELLA AÏSHA AZOULAY

ha coinciso con il servizio militare, con l’ordine di espellere i palestinesi dalle loro terre e di negarne il ritorno. Lo scrittore, condividendo con il lettore del suo romanzo la formulazione di tale ordine, ne ricorda in realtà uno reale: «Ordine operativo numero 40, scopo: espulsione dei rifugiati arabi da questi villaggi e impedire il loro ritorno distruggendo i villaggi»15. In questo ordine reale, i palestinesi sono già definiti ‘rifugiati’ prima di essere espulsi. Yizhar non può negare che fossero ‘abitanti’ e così ricorda l’ordine ricevuto: anche la clausola successiva, ancora più degna di nota, che diceva esplicitamente: «radunate gli abitanti dell’area che si estende dal punto X (vedi mappa allegata) al punto Y (vedi la stessa mappa) – caricateli sui trasporti e portateli oltre le nostre linee; fate saltare in aria le case di pietra e bruciate le capanne»16. Dato che non sono mai stati ‘infiltrati’, ma piuttosto rimpatriati – e secondo il diritto internazionale ‘rifugiati’ – i Palestinesi hanno continuato a tornare; hanno continuato a cercare di raggiungere casa, di trovare rifugio altrove in Palestina, di coltivare la loro terra e di trasgredire la legge israeliana che era stata imposta sulla loro terra. Anche quando non ci sono riusciti, hanno rifiutato di riconoscersi nei ruoli assegnati loro dallo Stato – ruoli che sostengono che non sono più della Palestina, che la loro presenza in Palestina è una minaccia esterna, che il loro spostamento (anche all’interno della Palestina) rafforza la zona cuscinetto che impedisce alle ‘entità incompatibili’ o ai ‘popoli antagonisti’ di entrare in contatto tra loro al di là dei ruoli assegnati loro dal romanzo del soldato.

Ingegnerizzare il futuro

Con gli ordini militari, i documenti di dichiarazione e i piani, il tempo è stato invertito, ingannando coloro i cui sensi erano in sintonia con la terra. La fioritura è sempre preceduta dalla produzione di un deserto ‘fatto fiorire’. I militanti sionisti non avevano ancora fatto fiorire il deserto – il Naqab – quando fu proclamata la dichiarazione nel maggio 1948. I sionisti avevano costruito solo diciannove piccoli

15. L’ordine militare è stato pubblicato in ebraico su un sito web dedicato a S. Yizhar: Si veda lusiml, “The Deportation Involves Gravel”, S. Yizhar Returns (blog), 18 novembre 2019, https:// sreturns.wordpress.com/2019/11/18/%D7%94%D7%92%D7%99%D7%A8%D7%95%D7%A9%D7%9E%D7%97%D7%99%D7%A8%D7%91%D7%AA-%D7%97%D7%A6%D7%90%D7%A5.

16. Yizhar, Khirbet Khizeh, 8-9.

I DESERTI NON SONO VUOTI DESCAMINO 03
Un palestinese, suo figlio e un asino vengono fermati dai soldati mentre tentano di tornare alle loro case poco dopo essere stati espulsi. Danika Cooper, Deserto di Sonora. Ibridazioni, 2021. Danika Cooper, (Conquista delle) terre indigene / (Creazione degli) Stati Uniti, 2021.

I DESERTI NON SONO VUOTI

EDIZIONE E TRADUZIONE ITALIANA A CURA DI ANTONIO DI CAMPLI E CAMILLO BOANO

CONTRIBUTI DI ARIELLA AÏSHA AZOULAY, DANIKA COOPER, DALAL MUSAED ALSAYER, MARIALUISA PALUMBO, PAULO TAVARES, XQSU

I Deserti non sono vuoti si occupa di processi di costruzione e di distruzione che si sono verificati in vari deserti nell’ultimo secolo. Questo libro non offre né una storia degli approcci affettivi e romantici ai deserti, né si occupa dell’analisi di pratiche spaziali, filosofiche o artistiche ad essi connesse. Cerca invece di esaminare e cogliere il senso di politiche e di pratiche coloniali volti al “riempimento” e controllo di territori, spazi e atmosfere del deserto, promosse da stati nazionali, da imprese e da istituzioni moderne. Obiettivo è disvelare politiche di rappresentazione, di estrazione, di migrazione forzata, rendere leggibili, spazialmente, dinamiche della colonialità e della produzione di regimi di razzializzazione.

18,00 €
A CURA DI SAMIA HENNI
9 788862 429054

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