Oltre la dismissione Strategie di recupero per tessuti e manufatti industriali
Giulia Setti
30 Collana Alleli / Research Comitato scientifico Edoardo Dotto Nicola Flora Antonella Greco Bruno Messina Stefano Munarin Giorgio Peghin I volumi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a procedura di peer-review
ISBN 978-88-6242-336-6 Prima edizione Ottobre 2018 © LetteraVentidue Edizioni © Giulia Setti © Ilaria Valente (prefazione) © Cristina Bianchetti (postfazione) © Roberto Conte (fotografie): copertina, pp. 6, 10, 20-21, 70-71, 124-125, 186-187, 194 È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Book design: Raffaello Buccheri LetteraVentidue Edizioni Srl Via L. Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italy Web www.letteraventidue.com Facebook LetteraVentidue Edizioni Twitter @letteraventidue Instagram letteraventidue_edizioni
Giulia Setti
Oltre la dismissione Strategie di recupero per tessuti e manufatti industriali
Prefazione di Ilaria Valente Postfazione di Cristina Bianchetti Saggio fotografico di Roberto Conte
A Enzo e Iolanda, le mie radici
“Oltre la dismissione” è il racconto di una ricerca, di un’esperienza di studio e di crescita personale, è il frutto di confronti, condivisioni, ripensamenti e aggiustamenti. Non sarebbe stato possibile senza il sostegno di colleghi e amici con i quali ho parlato e discusso di questi temi nel corso degli ultimi cinque anni. Vorrei ringraziare Ilaria Valente per il prezioso aiuto durante lo sviluppo di questa ricerca e per il continuo supporto negli anni successivi; per avermi permesso di sperimentare e costruire un percorso fatto di incertezze e cambiamenti, di ricostruzioni e avanzamenti. La ringrazio per la passione con la quale insegna e pratica l’architettura e che ha saputo trasmettermi. Un ringraziamento particolare e sentito va a Cristina Bianchetti per aver supportato con entusiasmo questo lavoro, per le riflessioni e le lunghe discussioni che hanno arricchito la ricerca. Ringrazio, inoltre, Vittorio Gregotti, Carlo Olmo e Oriol Bohigas per l’interesse mostrato verso i temi trattati dalla ricerca e per le interviste concesse che hanno arricchito questo lavoro. Ringrazio Giangiacomo d’Ardia per i preziosi e attenti consigli sul lavoro di ricerca, per avermi insegnato a guardare con occhi diversi l’architettura e il mondo. Ringrazio Laurent Salomon e Nathalie Régnier-Kagan per avermi sostenuto e supportato nei mesi di lavoro trascorsi a Parigi. Ringrazio Alessandro Rocca per avermi fatto guardare a questo lavoro da una diversa prospettiva e per avermi dato idee e spunti per migliorarlo. Ringrazio Roberto Conte per aver creduto in questo progetto, per il suo incontenibile e sincero entusiasmo, per aver condiviso con me i suoi lavori e la sua passione per i luoghi industriali.
Indice
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Oltre la dismissione. Un percorso di ricerca attraverso il progetto Prefazione di Ilaria Valente Introduzione 1. Dismissioni. Cambiamento delle condizioni 1.1 > La costruzione del problema della dismissione negli anni Ottanta 1.2 > La dismissione: progetto urbano e riusi produttivi 1.3 > Dialoghi intorno alla dismissione: Vittorio Gregotti, Carlo Olmo, Oriol Bohigas 2. La fabbrica come manufatto 2.1 > Sguardo critico al fenomeno e scenari contemporanei 2.2 > Architetture industriali: modificazione e recupero 2.3 > Restituire rovine industriali: strumenti di intervento 3. Spazio produttivo come risorsa progettuale 3.1 > Restituire spazi della produzione: luoghi e processi 3.2 > Tessuti industriali. Aubervilliers, Parigi 3.3 > Architetture industriali. Officine Trasformatori Elettrici, Bergamo 4. Aperture e nuovi scenari 4.1 > Oltre la dismissione
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Il riarticolarsi delle relazioni tra cittĂ e produzione Postfazione di Cristina Bianchetti
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Bibliografia
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Spogliatoio di una miniera abbandonata nella Ruhr, Germania, 2010. © Roberto Conte
Oltre la dismissione. Un percorso di ricerca attraverso il progetto Prefazione di Ilaria Valente*
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* Politecnico di Milano - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani.
PREFAZIONE
Il libro di Giulia Setti assume una problematica centrale per la progettazione architettonica e urbana contemporanea: la dismissione industriale, ragione e motore di significativi interventi di riqualificazione urbana e di progetti architettonici sviluppati, in particolare in Europa, negli ultimi trent’anni. È posto il tema del mutare nel tempo delle forme di dismissione industriale e, dunque, della necessità di “riattrezzare la cultura del progetto” a fronte delle odierne, e mutate, condizioni di produzione e riproduzione urbana. Muovendo dunque dalla constatazione della coesistenza e del modificarsi diacronico di “ampie forme di dismissione industriale” che si innestano su morfologie urbane e insediative differenziate, l’autrice lavora sul doppio binario del confronto e della valutazione degli strumenti che il progetto architettonico e urbano si è dato nello scorcio degli ultimi trenta anni, particolarmente in Europa, rispetto al mutare degli obiettivi da raggiungere e delle risorse architettoniche, urbane e ambientali in campo. In primo luogo viene avanzata una valutazione critica dei progetti degli anni Ottanta, ovvero di quella stagione del “progetto urbano”, secondo la definizione di Oriol Bohigas, di cui si incomincia oggi, nella cultura disciplinare, a tracciare un bilancio, essendo gli esiti ormai consolidati. In questo senso il lavoro di ricerca di Giulia Setti sviluppa in modo originale la discussione sulla nozione di “vuoto urbano”, nella letteratura degli anni Ottanta e Novanta,
Aldo Rossi, nuovo terminal autocuccette a Milano San Cristoforo, 1983, progetto parzialmente realizzato. Š Eredi Aldo Rossi, courtesy Fondazione Aldo Rossi
relazione tra le parti. Ciò che sembra mancare è una metodologia di intervento per le architetture industriali contemporanee, la grande scala della fabbrica viene assunta e tradotta in spazi urbani che mantengono quella misura, pur accogliendo funzioni differenti. Accanto agli spazi destinati alla ricerca, al terziario e a nuove forme di produzione, la Bicocca ospita anche un complesso di residenze e un denso sistema di spazi pubblici; percorrendo gli spazi urbani, ormai consolidati, del vecchio tessuto industriale, si ha una sensazione di una vastità figlia della dimensione industriale, la cui declinazione in spazio aperto e pubblico appare quanto mai difficile. Il progetto Bicocca è espressione del complesso rapporto tra storia, tempo e progetto, è un progetto legato alle memorie dello spazio industriale che costituiscono la struttura sottesa del principio utilizzato. Il ricordo di ciò che questo luogo è stato permane, si può dire che: «il complesso della Bicocca costituisce un vero testo architettonico-urbanistico. Un testo fatto di pieni e di vuoti proprio come un testo scritto è fatto di parole e di silenzi»16.
16. Tadini Emilio, Introduzione, in “La Bicocca abitata, I quaderni della Bicocca”, Skira, Milano, 2000, p. 8. 17. Gregotti Associati, Progetto Bicocca, in “Casabella”, n. 626, settembre 1995, p. 24.
45 DISMISSIONI. CAMBIAMENTO DELLE CONDIZIONI
Rispetto al caso della Città Olimpica a Barcellona sono evidenti differenze di contesto tra le due aree, nonché alcune similitudini. Il recupero delle strutture industriali della Pirelli si colloca ai bordi della città consolidata e richiede una «forte immagine urbana»17 che si relaziona con il carattere industriale del luogo ed è capace di colmare un vuoto di senso. Al contrario, la riconversione del fronte mare a Barcellona è un intervento legato ad un grande evento, che lavora sullo spazio pubblico quale motore centrale, demolendo le strutture industriali esistenti e, di fatto, agendo in un tempo breve, opposto alla lunga durata teorizzata dal progetto Bicocca. A Barcellona si è lavorato sia per innesti e interventi puntuali, controllati attraverso progetti urbani a scale diverse, sia per grandi superfici i cui suoli si sono resi disponibili. A Milano, al contrario, la riconversione delle Industrie Pirelli ha seguito una logica diversa: dare coerenza ad un disegno urbano unitario attraverso la sensibilità architettonica delle parti che lo componevano, inserendo funzioni a scala metropolitana nel tessuto urbano esistente. Nel contesto spagnolo si coglie una netta separazione tra la stesura del progetto urbano complessivo e la realizzazione dei singoli edifici, poi assegnati ciascuno ad un diverso architetto. Il lavoro sul quartiere Bicocca è stato concepito, invece, come un gesto unico ed unitario, nel quale un solo gruppo di architetti si è occupato delle diverse fasi di intervento. All’interno della trasformazione dell’ex Pirelli acquista fascino e monumentalità la nuova sede del gruppo, emblema del recupero di un oggetto simbolo della produzione industriale. La nuova sede Pirelli, infatti, sorge intorno alla torre di raffreddamento conservata quale memoria e frammento dell’insediamento industriale. L’involucro che la racchiude sottolinea il
Headquarters Pirelli, la torre di raffreddamento, Milano 2010. Š Pino Musi
2. Il caso di Aubervilliers (Parigi, distretto di Saint Denis, oltre la cintura del boulevard Périphérique) risulta di grande interesse proprio per le forme di degrado e di dismissione che sono in atto; si tratta della dismissione di tessuti industriali e produttivi che ha assunto una scala territoriale, dove pezzi di tessuto si spengono. Si interviene con processi di riuso interstiziali e frammentati che cercano di ridare forma a tessuti gravemente danneggiati, anche nelle reti energetiche e infrastrutturali che li innervano. 3. Il caso della Valle Seriana rappresenta caratteri ancora diversi della dismissione, in questo contesto, la dismissione interessa manufatti imponenti, grandi fabbriche, il cui abbandono trasforma questi oggetti in rovine su cui appare difficile intervenire recuperando o modificandone i caratteri.
57 DISMISSIONI. CAMBIAMENTO DELLE CONDIZIONI
non siano nemmeno così sconvolgenti. Se si guarda il problema di Sesto San Giovanni, di cui parlavamo prima, lì ci sono dei costi di recupero e bonifica dei tessuti che superano il possibile utile, ci sono dei costi spaventosi per rendere ancora praticabile quel suolo. Il caso di Aubervilliers, a cui lei fa riferimento2, e i processi di degrado presenti su quei suoli si scontrano anche con una politica che è stata fatta per molti anni, che dà responsabilità al Movimento Moderno, una politica che valorizzava la separazione delle funzioni all’interno delle città; oggi le cose sono cambiate, da una quarantina d’anni stiamo rivendendo questo tipo di posizioni. Si può benissimo pensare, invece, che la commistione rappresenti una ricchezza molto importante, questa ricchezza si scontra con il fatto che, in questo momento, c’è una giusta, ma anche molto ideologica, passione per la difesa dell’ambente che va benissimo, ma che è diventata un po’ un’ideologia. Però il problema esiste, io credo che una relativa politica della mescolanza tra funzioni sia una cosa, nei limiti del possibile, positiva. Certo non si può pensare di mettere delle strutture industriali come quelle che di Taranto, questo lo capiamo benissimo, però molte altre sì. Poi probabilmente, ma lo dico con molta prudenza, perché non è il mio mestiere, una prospettiva possibile, per quanto riguarda l’Europa, è puntare sull’industria di media e piccola taglia, l’industria d’invenzione, l’industria con un numero limitato di persone occupate, molto automatizzata, con tutti i problemi che derivano da questo perché il numero di persone che si può impiegare è molto più basso. Una delle crisi fondamentali, non solo dell’Europa, è che probabilmente la relazione tra la necessità di prodotto e il numero di persone che lo producono non funziona più, il numero delle persone è diventato troppo basso. Allora il problema è come impiegare questa forza lavoro, si occupano tutti di servizi? Si occupano tutti di fare economia monetaria? È impossibile, è un bel problema aperto. Il secondo caso di cui mi parla, quello della Valle Seriana3, è un caso molto interessante, pone degli interrogativi legati alla scala e al tipo di dispersioni presenti sul territorio. La dispersione del tessuto bergamasco è molto diversa, ad esempio, dalla dispersione che è avvenuta in Veneto; in Veneto la dispersione, non solo degli aspetti produttivi, ma anche del commercio, legato a queste tipologie, è stata assolutamente distruttiva nei confronti di tutto il territorio, è un fenomeno spaventoso. Perché non si sa più dove finiscono i paesi, entrano uno nell’altro e per questo diventa impossibile regolarne i confini, sono in
OLTRE LA DISMISSIONE
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Complesso siderurgico di Magnitogorsk, Russia, 2016. © Roberto Conte
2 La fabbrica come manufatto
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DISMISSIONI. CAMBIAMENTO DELLE CONDIZIONI
Officine Trasformatori Elettrici, Bergamo. Vista degli spazi interni in abbandono. @ PhD International Summer School Bergamo 2011
significa pensare a nuove forme di uso degli stessi attraverso un processo di intervento graduale, una vera e propria forma di “riabilitazione”.
12. Jullien François, Le trasformazioni silenziose, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010, p. 22. 13. Ivi, p. 25. 14. Gregotti Vittorio, Modificazione, in “Casabella”, Architettura come modificazione, n. 498-499, 1984, pp. 2-7. 15. Ivi, p. 2. 16. Ibidem.
77 LA FABBRICA COME MANUFATTO
Le ricerche condotte negli ultimi anni hanno dimostrato come sia immaginabile, e non utopico, ripensare ai tessuti e ai manufatti in dismissione volgendo lo sguardo ai vuoti esistenti, agli spazi interstiziali tra strutture edificate e suolo. Le modificazioni che interessano i manufatti industriali, nonché i territori dispersi e i vuoti delle città, sono necessariamente «trasformazioni silenziose»12, la trasformazione in quanto passaggio da uno stato all’altro della materia rappresenta un punto di cambiamento delle condizioni esistenti ed una variazione di stato della materia. Parlare di trasformazioni silenziose nei processi di riconversione industriale significa mettere in evidenza il carattere minuto e interstiziale che interessa questi interventi; l’accezione può essere utilizzata, inoltre, per descrivere un sistema di operazioni legate al lavoro sul costruito esistente sul quale si opera “in silenzio” appunto, rispettando le tracce e i segni esistenti. La trasformazione, come abbiamo visto, richiama il tema della modificazione, da François Jullien messo in relazione con il concetto di continuazione: «è grazie alla modificazione che il processo [di trasformazione] intrapreso non si esaurisce ma, rinnovandosi per mezzo di essa, può continuare»13. Esiste una correlazione stringente tra la teoria sulla modificazione studiata da Vittorio Gregotti e Bernardo Secchi14 e le trasformazioni silenziose descritte da Jullien; le stesse riflessioni di François Jullien descrivono, con altri termini, quanto già Vittorio Gregotti e Bernando Secchi sostenevano all’inizio degli anni Ottanta. Il processo di modificazione costituisce, infatti, uno «strumento concettuale che presiede alla progettazione dell’architettura»15; secondo Gregotti la modificazione dell’esistente avviene grazie allo sviluppo parallelo della «nozione di appartenenza» la quale «articola l’interesse per la storia della disciplina nella sua continuità, l’idea di luogo, di materiale come fondamento del progetto […]»16. Nel corso degli ultimi anni, il dibattito architettonico italiano ed europeo ha cercato di agire attraverso interventi discreti in grado di modificare i contesti in oggetto, rinunciando all’imposizione di un “disegno urbano” rigidamente determinato, oggi irrealizzabile. A valle di ciò, si vogliono raccontare alcune esperienze-pilota legate a progetti misurati di recupero o di riconversione di tessuti in dismissione. Il primo di questi riguarda il progetto/ricerca sulla città
Strategie di intervento sui manufatti industriali: traccia, inclusione, stratificazione, innesto, svuotamento, estensione. Elaborazione grafica dell’autore.
3. Southworth Michael, Andriello Vincenzo (a cura di), Kevin Lynch. Deperire. Rifiuti e spreco di uomini e città, Cuen, Napoli, 1992, p. 232. 4. Fabian Lorenzo, Giannotti Emanuel, Viganò Paola, Recyclig city. Lifecycles, Embodied Energy, Inclusion, Giavedoni, Pordenone, 2012, p. 17. 5. De Certeau Michel, L’invenzione del quotidiano, op. cit., p. 283.
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“produttivo” accoglie un più vasto ambito di sperimentazioni legate alla possibilità di fornire beni materiali e immateriali alla città; è un’accezione estesa quella che definisce lo spazio della produzione, sempre più utilizzata per descrive luoghi in cui nuove forme di industria si integrano e declinano rispetto a funzioni diverse presenti. Si è descritta la costruzione teorica dei processi di densificazione e consolidamento di luoghi in dismissione, riconoscendo come la trasformazione non si dia mai in senso assoluto, ma con gradi diversi di intensità. Manifestando, inoltre, come il consolidamento e la densificazione di parti del tessuto possano avvenire solo in seguito a processi di rarefazione necessari per liberare da strutture obsolete che hanno terminato il loro ciclo di vita. L’abbandono, che interessa le forme industriali di cui ci occuperemo, è spesso parte di una condizione più estesa di declino, di cui i manufatti costituiscono l’espressione puntuale. «L’area in declino potrebbe concentrare le zone di abbandono e di conservazione, in modo che i servizi possano venir ritirati selettivamente e le aree in uso possano mantenere i loro abituali livelli di manutenzione ed attività. La “densificazione” – la ben nota accumulazione di nuovi appartamenti e di superfetazioni sui retri dei lotti, può ora cedere il posto alla “rarefazione”, ripulitura e alleggerimento del tessuto urbano»3. Le parole di Kevin Lynch descrivono la possibilità di gestire il declino e l’abbandono dei luoghi introducendo processi di rarefazione e sottrazione ove questi siano necessari. La costruzione di una tassonomia di possibili processi di riuso e riciclo di manufatti industriali appare necessaria per indagare i diversi gradi di intensità relativi a processi di modificazione; il lavoro di indagine cerca di individuare strategie operative che attraversino gradi diversi di densificazione, intervenendo con stratificazioni, addizioni, sovrascritture, innesti e gradi di rarefazione, dunque, operando con sottrazioni e demolizioni. Se pensiamo alla città come «risorsa rinnovabile»4, ogni discontinuità o variazione si sovrascrive e si determina come parte di una sequenza di processi che interagiscono reciprocamente. I tessuti produttivi che si inseriscono nel paesaggio, e determinano nuove forme di integrazione con la città e l’abitato, sono caratterizzati da continue complesse discontinuità di usi, spazi e tempi che li definiscono. Riprendendo le riflessioni di De Certeau sul rapporto tra spazio e tempo, si afferma come: «Questi tempi costruiti attraverso il discorso appaiono, nella realtà, spezzati e accidentati»5. Il tempo accidentato descrive i processi di dismissione industriale attuali, evidenzia come sui manufatti in dismissione si possano cogliere gli esiti di contrazioni e discontinuità, di gradi differenti di abbandono attraverso i quali leggere le azioni modificative da compiere. I territori della dispersione presentano, oltre a tempi discontinui e accidentati, anche
OLTRE LA DISMISSIONE
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Il progetto di riqualificazione del Magazzino 19 delle ex “Officine Reggiane” in Tecnopolo di ricerca industriale28 a Reggio Emilia costituisce un importante tassello nella presa di coscienza delle possibilità trasformative insite nello spazio industriale. In particolare, l’idea che lo spazio dell’industria possa modificare i propri caratteri per accogliere nuove strutture produttive, in questo caso destinate alla ricerca, stabilisce una nuova stagione del recupero, quella cioè capace di rendere lo spazio industriale ancora luogo di produzione. Le “Officine Meccaniche Reggiane” hanno costituito un punto di riferimento nella storia industriale della città di Reggio Emilia, uno spazio industriale capace di segnare la storia e la memoria del luogo. Il processo di riciclo si è da subito confrontato con la necessità di capire cosa conservare della struttura industriale archeologica e cosa eliminare, in particolare, il Magazzino 19, che era stato un’ex fonderia, costituiva una delle più importanti tracce storiche dell’intero complesso industriale. La modificazione dello spazio in dismissione in un centro di ricerca per l’università consente di immaginare questi cambiamenti e di ripensare all’industria come ad un contenitore in grado di trasformare le precedenti forme di produzione industriale, legate alle Officine Reggiane, in nuove forme di produzione di ricerca. Il progetto lavora densificando lo spazio compreso all’interno dello scheletro industriale e attuando una serie di innesti di volumi autonomi che accoglieranno gli spazi di ricerca, al contempo, una serie di demolizioni parziali hanno permesso di mantenere la struttura dell’edificio eliminando la
28. Il progetto realizzato da Andrea Oliva e dal suo studio “cittarchitettura” per il complesso delle ex Officine Reggiane rappresenta un importante momento di riflessione sui processi di riconversione di strutture industriali per la città di Reggio Emilia. Progetto descritto anche in: www.cittaarchitettura.it/andrea_oliva/progetti/tecnopolo.htm, si veda anche Technocenter for the industrial research – Requalification of the warehouse 19, ex Officine Reggiane, in Architecture and Archaeologies of the Production Landscapes, in “IUAV giornale dell’università”, n. 119, ottobre 2012, p. 5.
29. De Certeau Michel, L’invenzione del quotidiano, op. cit., p. 283.
121 LA FABBRICA COME MANUFATTO
vecchia copertura. I volumi che si innestano sulla struttura esistente sono in legno e vengono giustapposti creando un sistema variato di pieni e vuoti che organizzano l’ampia luce interna, moduli autonomi dal punto di vista energetico e ad alta efficienza che consentono flessibilità e permettono di conservare l’immagine simbolica del manufatto. L’utilizzo di moduli in legno ha permesso di immaginare in sede di progetto, diverse condizioni di densificazione e differenti configurazioni spaziali date da maggiori o minori densità di cellule che si andavano ad innestare. Interessante è l’approccio che lo studio cittaarchitettura porta avanti nella declinazione del nuovo volume produttivo, la memoria è vista come traccia che porta alla conservazione della struttura originaria. La memoria è declinata anche come struttura e architettura: come struttura in quanto la copertura viene rimossa e sostituita mantenendo gli stessi caratteri e lavorando per sottrazioni di parti necessarie all’ingresso della luce; infine, memoria come architettura dal momento che i nuovi innesti volumetrici si relazionano con il sedime esistente definendo un misurato rapporto tra nuovo ed esistente. I processi di dismissione e riconversione descritti mostrano come l’intervento sull’esistente in stato di degrado o abbandono possa portare allo sviluppo di strategie di densificazione e rarefazione del costruito che si danno con differenti intensità e in tempi diversi. La dismissione, così come il riuso, sono fenomeni ciclici nei quali il tempo agisce con modi diversi, consolidando, dove possibile i tessuti e permettendo di demolire per liberare il suolo. I tessuti urbani e industriali non mostrano più un solo tempo di costruzione o abbandono, ma fasi diverse che si compenetrano e che interagiscono reciprocamente. Come già sottolineato in precedenza, Michel De Certeau descrive come “tempo accidentato”29 il tempo che interessa luoghi che non possono essere pianificati o nei quali l’imprevisto può modificarne il carattere.
Processi di riconversione nella Strijp-S, Eindhoven, 2017. Š Giulia Setti
3.1
Restituire spazi della produzione: luoghi e processi
«Sostanza primaria di tale composizione, il bisogno viene così prodotto dal sistema suddividendolo. E ogni unità è netta come una cifra. Non solo, ma l’insoddisfazione che definisce ciascun bisogno richiede e giustifica anticipatamente la costruzione che lo combina con altri»1
A
1. De Certeau Michel, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2010, p. 281.
127 SPAZIO PRODUTTIVO COME RISORSA PROGETTUALE
ll’inizio di questo racconto mi sono trovata spesso a riflettere sul significato e sul ruolo che le trasformazioni e i riusi avevano prodotto sulle strutture industriali, in particolare i luoghi del lavoro, la fabbrica o il capannone, hanno rappresentato condensatori di usi, memorie, valori, poteri. Ed era proprio l’uso ciò che mi interessava di più, per comprendere come una modificazione spaziale dell’oggetto architettonico potesse avere importanti relazioni con le variazioni d’uso della struttura. I recinti industriali abbandonati richiedono di riflettere su bisogni e necessità della società e dei suoi abitanti per individuare in cosa trasformare ciò che appare desolatamente vuoto. Inizialmente un gran numero di casi eccellenti e noti hanno modificato lo spazio industriale in strutture e luoghi per l’esposizione o la cultura, si pensi alla trasformazione di una ex centrale elettrica nella Tate Modern a Londra, caso paradigmatico dei cambiamenti d’uso in corso alla fine degli anni Novanta. Dopo aver constatato come questo processo in corso fosse, in parte, già superato, si è cercato di leggere parallelamente sia nuovi modi di restituire lo spazio industriale alla città sia diversi linguaggi di trascrizione di tali modificazioni. L’idea di considerare lo spazio industriale come “spazio ancora produttivo” nasce dall’individuazione di un cambiamento radicale nell’economia, nei servizi e nell’organizzazione delle imprese. La crisi ha disgregato e minato le forme più tradizionali di industria e di produzione, lasciando territori e manufatti danneggiati o in rovina; accanto a questo, le forme di produzione hanno modificato i loro caratteri in seguito all’avvento di processi e strumenti tecnologici sempre più all’avanguardia che hanno reso il lavoro flessibile e non più strettamente legato ad un luogo fisico specifico. Ciò ha permesso di pensare agli spazi industriali come contenitori liberi e capaci di ospitare queste differenti declinazioni della produzione, che sostituisce all’industria pesante spazi per la produzione di beni immateriali, luoghi di ricerca, spazi in condivisione per la crescita e lo sviluppo di piccole imprese. È quanto mostrano, infatti, i casi già illustrati dove il carattere del sedime industriale appare così forte da favorire progetti che possano accogliere ancora spazi della produzione, seppur diversi da quelli precedenti. Se si pensa al Tecnopolo ricerca a Reggio Emilia si può ben cogliere questo aspetto messo in luce dalla ricerca, lo spazio industriale permane nella memoria della sua struttura aprendosi o, per meglio dire, densificandosi attraverso l’inserimento di una serie di cellule in legno per lo sviluppo di attività di ricerca industriale.
Aubervilliers, misure degli spazi e dei tessuti industriali. Elaborazione grafica dell’autore.
3. Katz Cécile, Territoire d’usines, Créaphis, Paris, 2003, p. 13. 4. Daumas Maurice, L’archéologie industrielle en France, R. Laffont, Paris, 1980, p. 23. 5. Katz Cécile, Territoire d’usines, op. cit., p. 15.
145 SPAZIO PRODUTTIVO COME RISORSA PROGETTUALE
compagnie ferroviarie, che decidono di costruire le Chemin de Fer Industriel. La costruzione dei nuovi tracciati ferrati consente una migliore efficienza nel trasporto e nella circolazione delle merci a prezzi ridotti. L’impianto morfologico dei tessuti industriali risente della conformazione e dell’avvento della struttura ferroviaria, gli edifici esistenti vengono in parte attraversati o parzialmente demoliti a seguito della costruzione della ferrovia. Le letture interpretative mostrano come il tessuto di Aubervilliers e Saint Denis si sia progressivamente densificato grazie alla presenza dell’industria che, dai bordi della piana, innerva il tessuto libero per gradi successivi. Il tessuto viene descritto attraverso diverse soglie storiche che ne colgono anche le misure, le crescenti labilità, le discontinuità che segneranno poi i caratteri della dismissione odierna. In seguito alla grande depressione, la ripresa della produzione rilancia il settore industriale dei quartieri di Saint Denis e Aubervilliers, strutturando stabilmente l’impianto morfologico di questi luoghi. La costruzione della ferrovia porta a raggiungere la «soglia di saturazione»3 dei tessuti, quali la Plaine Saint-Denis, e la necessità di espandere gli impianti industriali lungo il tracciato ferroviario, verso La Corneuve, Bobigny e Le Bourget. «Il est difficile de déterminer la coupure entre la période d’intégration du monument industriel dans le paysage préexistant et celle du remodelage de ce paysage par la prédominance de la structure usinière»4 sostiene Maurice Daumas. In questo senso, emerge la necessità di comprendere in che misura la forma dei tessuti può essere influenzata dalla presenza dell’industria, si passa da un’integrazione armonica tra industria e paesaggio, alla predominanza degli impianti produttivi che rimodellano la struttura urbana. Dalla fine del secolo fino al 1930 il sistema di elementi industriali si impone sulla struttura urbana, generalmente posta al margine dell’agglomerazione stessa, come nel caso di Saint Denis. Spesso, si tratta di un gruppo omogeneo di fabbriche che sorgono in un luogo a seguito della convergenza di un’impresa o di una serie di imprese, che presentano tipi di produzione simili. L’esplosione dell’industrializzazione ha trasformato le banlieue da villaggi ad agglomerati produttivi altamente specializzati, nuove zone urbanizzate sono state costruite modificando le strutture consolidate esistenti. L’architettura degli spazi industriali inizia ad assumere un ruolo sempre più importante, se le prime forme di spazi industriali richiamavano i modelli classici, al contrario, in seguito si assiste alla determinazione di un lessico compositivo autonomo che darà forma a tipi e strutture riconoscibili. Si può notare come l’industrializzazione abbia radicalmente modificato la forma dei tessuti consolidati dei villaggi e dei comuni interessati da questo fenomeno. «La déindustrialisation, elle aussi, transforme le paysage, entraînant des friches et des démolitions et une déqualification de certains quartiers»5.
SEZIONE 1 / Rarefazione - Densificazione 1. Infrastrutturazione energetica 2. “Produttivo su produttivo”: insediamento di nuove forme di produzione industriale 3. Aprire la fabbrica: attività di commercio e mercato agricolo 4. Riusi temporanei: nuovi spazi pubblici per la città
Stato di fatto
Strategia: 50% demolizione + 50% conservazione
Strategia: densificazione Scenario: infrastrutturazione energetica
Impianti per produzione energetica
Scavo, suolo pubblico Produzione energia, attività produttive
Sistema costruito
Sistema dei vuoti
Strutture residenziali Spazi per commercio di quartiere
RICOSTRUIRE SCENARI Sezione 2 Scenario possibile di modificazione
In alto Sezione longitudinale del manufatto, possibili riconversioni. Schizzo di progetto dell’autore. In basso Vista del sistema di shed in copertura. @ Giulia Setti
175 SPAZIO PRODUTTIVO COME RISORSA PROGETTUALE
Una prima serie di letture interpretative sintetiche aiutano a mettere in luce la natura e la tipologia degli spazi che compongono il tessuto urbano di Bergamo e il suo rapporto con l’industria; si coglie una profonda commistione tra spazi edificati e tessuti industriali che sorgono lungo l’asse ferroviario. L’industria lambisce lo spazio urbano della città: è uno scheletro abbandonato all’interno del tessuto consolidato, che rimane in attesa di essere riconvertito. Non si tratta di un’estensione omogenea di capannoni industriali, quanto di una serie di imponenti oggetti, memorie di una produzione industriale ormai scomparsa, che sono sorti in stretta prossimità ai centri urbani. Per tali ragioni, le dismissioni che interessano il contesto della Valle Seriana, appaiono radicalmente diverse a ciò che sta coinvolgendo il contesto francese di Aubervilliers. Cambia sia la scala dei fenomeni di dismissione, sia lo sguardo sui processi di trasformazione; se ad Aubervilliers si riconosce la necessità di lavorare attraverso processi di consolidamento e rarefazione riconnettendo suoli compromessi, feriti e lacerati, qui si tratta di ricostruire la relazione tra il manufatto ed il suo intorno più ravvicinato. Si evidenzia come l’industria determini una misura differente rispetto al tessuto urbano più minuto, l’imponenza degli impianti industriali costituisce, spesso, un limite ed un vincolo ai processi di trasformazione. È possibile conservare l’impronta della fabbrica pur costruendo nuove misure, più minute, in grado di organizzare lo spazio industriale e convertendolo per accogliere nuove forme di produzione? Quanto la misura può costituire uno strumento operativo importante nei processi di riuso industriale? Inoltre, la dismissione che interessa il precedente caso di Aubervilliers e Saint Denis può essere letta come una forma di dismissione territoriale che, per estensione e grado di obsolescenza dei tessuti, costituisce una profonda lacerazione nel tessuto costruito. Al contrario, il caso della OTE mostra come la dismissione si concentri sul manufatto, alla scala architettonica, coinvolgendo l’immediato contesto, ma configurandosi come un problema che richiama interventi rapidi e puntuali necessari per la riconversione. Serve ripensare alle “forme dell’oggetto industriale” nonché alle funzioni che vi andranno ad essere inserite; nel corso della sperimentazione progettuale condotta nel 2011, sono stati immaginati possibili riusi industriali di spazi del lavoro, oggi in dismissione, in grado di mantenere il loro carattere produttivo, continuando ad essere luoghi del lavoro, anche a seguito di processi di modificazione. La flessibilità dei manufatti industriali, le ampie luci delle navate consentono di attuare interventi di trasformazione in grado di dare un nuovo ciclo di vita a tali oggetti. L’abbandono non è più visto come momento conclusivo nella vita di un manufatto architettonico, quanto più come fase da superare e da cui trarre nuovi linguaggi e suggestioni. Lo sviluppo della città di Bergamo mostra la relazione tra la costruzione e il consolidamento del tessuto urbano e la crescita del sistema ferroviario su cui l’industria OTE, ma non solo, si colloca. Alla base dell’intervento progettuale condotto sta la volontà di costruire e determinare forme di integrazione tra la città e l’industria che appaiono, al momento, nettamente separate, nonché
In alto Sezione trasversale al manufatto industriale che mostra il sistema possibile di innesti e stratificazioni. Elaborazione grafica dell’autore. In basso Schizzo di progetto dell’autore.
Stato di fatto e stato di progetto: demolizioni parziali e sottrazioni previste per la struttura. Elaborazione grafica dell’autore.
OLTRE LA DISMISSIONE
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Centrale termoelettrica Rajghat di New Delhi, India, 2014. © Roberto Conte
Il riarticolarsi delle relazioni tra città e produzione Postfazione di Cristina Bianchetti*
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* Politecnico di Torino – Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio.
POSTFAZIONE
Nelle pagine precedenti si sviluppa un lungo e articolato discorso sui processi di dismissione industriale e sui modi con i quali essi sono stati fronteggiati dall’indagine progettuale. Si può dire che la dismissione configuri un tema ricorrente, negli studi urbani italiani, almeno dagli anni Ottanta, quando quasi con stupore ci si accorge che situazioni di abbandono e sospensione incominciano ad essere numerose e ben riconoscibili anche nel nostro paese. Vengono allora proposti censimenti, repertori, progetti. Se ne discute molto. Dopo quasi quaranta anni che ne è di quel tema? Che ne è degli orientamenti progettuali, delle descrizioni e dei racconti che ha generato? Il libro di Giulia Setti, aprendo ad uno scenario europeo, aiuta a formulare domande di questo tipo. A riflettere sulle circostanze che si sono date e sui modi con le quali sono state fronteggiate. Mi sembra che possa essere di qualche utilità, chiudere la riflessione che l’autrice propone, chiedendosi come raccontare oggi il rapporto tra produzione e città. “Oltre la dismissione”, come recita il titolo del libro. L’ipotesi dalla quale parto è che la produzione non costruisca lo scenario che crediamo: un ambiente profondamente elaborato, razionale, efficiente. Ma una sovrapposizione di processi poco ordinati con implicazioni spaziali multiple e spesso contraddittorie. Entro questa sovrapposizione si collocano i processi di dismissione industriale, intrecciati con molti altri. È sempre stato così.
Cosa significa occuparsi, oggi, di dismissioni industriali? Quali relazioni possono esistere tra i processi di abbandono industriale e le modificazioni che stanno interessando i tessuti urbani? “Oltre la dismissioneâ€? porta a riflettere e a interrogarsi sul ruolo che gli spazi industriali in dismissione possono assumere nelle cittĂ contemporanee e sulle possibili strategie di riuso.
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