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Life (my life) La donna é mobile! ...ed io mi sento mobiliere! laDonnaèMobile! Una Rivoluzione Mater Matuta,Bona Dea e Mme De Pompadour Il Bauhaus e la nascita della moderna professione del designer Ricamo Ready-Made e processo della mancanza Chi ha visto Coco nel Trocadero? Charlotte Perriand il nido dell’uomo e dell’albero che lo ospiterà Maria che passa per strada Barbie Frankenstein & Cinderella Procedure Questione di snack e coccole L’era della donna No Future! No Future for you! Donne du du du! Donne nel design Donne del design
Life (my life)
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cosa strana quella di voler scrivere, dopo aver finito una ricerca, le vere motivazioni di natura fisiologica e sentimentale che ti hanno spinto ad intraprendere una avventura in una direzione piuttosto che in un’altra. Una pericolosa direzione, in questo frangente, quella di voler parlare delle Donne del Design, ma che, nel mio caso, come per quasi tutto ciò di cui mi sono occupato nel mio lavoro, viene fuori in maniera naturale, quasi fosse una conseguenza biologica, che irrompe ad un certo punto della mia vita e invade quella regione della passione che si alimenta voracemente di una certa fisiologia della genuinità dei sentimenti. Ed è proprio questa passione, forse, ad allontanarti dalla consapevolezza e dall’inutile pregiudizio di aver compiuto una invasione di campo. Perché magari non hai mai visto le linee del fuori campo e coloro che le hanno tracciate. Dunque ti avvii, baldanzoso, lungo una strada che sviluppa traiettorie irte di ostacoli, morbidi ed eleganti, qualche volta invece di sottili suggerimenti a smettere di percorrere territori che ti saranno ostili, o ancora di velate minacce che tutte insieme producono folkloristici risentimenti, che sono tanto più inquietanti quando provengono da toste figure amiche. Figure che avevo, in qualche misura, sempre immaginato al mio fianco, un giorno, in una campagna che le avrebbe viste come protagoniste assolute ed indiscusse nella realizzazione, senza remore o tensione alcuna, di
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La donna é mobile! ...ed io mi sento mobiliere!
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aDonnaèMobile!..... ed io mi sento mobiliere! È stato il Principe Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, meglio noto come Antonio De Curtis, in arte “Totò”, a suggerirmi, attraverso l’adozione di una delle sue innumerevoli e pungenti battute, proveniente da un frammento del film “Un turco napoletano”(1958) di Mario Mattoli, le traiettorie possibili di questa ricerca. Il grande Totò. Nella sua battuta, piccante, allusiva, penetrante e mai offensiva, sono presenti, a mio avviso, tutte le tracce per poter perseguire e meglio delineare, uno sviluppo così prepotente ed incontenibile, come quello che ha caratterizzato la storia delle proposte creative elaborate da tutte quelle donne che, negli ultimi due secoli abbiamo visto impegnate nella professione del design e che io ho indicato come le “Donne del Design”. In fondo, bisogna dire che la frase del Principe, vive e si sviluppa su molteplici piani di interesse e genera molteplici piani di comprensione: innanzitutto, a mio avviso, è un omaggio alla bellezza femminile, con le sue peculiarità e connotazioni caratteristiche, portatrice dichiarata e prepotente di tutti quei valori legati ad una cultura della diversità tra i due sessi, divenuta oggi, finalmente, risorsa, beneficio, valore e non più argomento di discriminazione sociale e culturale; è inoltre un invito perpetuo all’azione, al continuo fare, magari procedendo con piccoli interventi, senza mai mollare la presa, con sensibilità e delicatezza, ma anche con grande determinazione, tutte
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Coco Chanel
come ella stessa dirà più volte, a causa di un marito scriteriato e vagabondo che, con il pretesto di esercitare il mestiere del venditore ambulante, passa la quasi totalità delle sue giornate lontano da casa, per farvi ritorno qualche giorno al mese, ed esercitare la propria feroce autorità sui quattro componenti del nucleo familiare. Ed è proprio in uno di questi episodi che la piccola Gabrielle assiste ad una vera e propria violenza sessuale del padre, nei confronti della madre, inerme e restia a concedersi. È anche lì che impara a praticare il freddo atteggiamento della distanza, allevando ed allenando quella feroce e funzionale capacità di poter odiare, od azzerare le passioni, che
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le resterà addosso per il resto della sua vita. Sulla scia di due desideri precisi, quelli di procurarsi una quantità notevole di alcool e di donne, il padre sistema l’intera famiglia presso una squallida locanda a Brive, impegnando la moglie nei lavori di sguattera all’interno dei locali. Ella poi vi morirà a causa della tubercolosi. Ed è ancora una volta la piccola Gabrielle ad assisterla, a correre a chiamare aiuto alla locanda, a correre dal medico, a non proferire parola alcuna, accorgendosi, prima di ogni altro, della dipartita della madre. Quel giorno insomma, muore la Gabrielle bambina e da quella tragica stanza buia di Brive-la-Gaillarde, viene fuori una donna. Poi vi sono gli anni della scuola, ospite, non
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Chi ha visto Coco nel Trocadero?
Charlotte Perriand il nido dell’uomo e dell’albero che lo ospiterà
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e donne, che durante il primo conflitto mondiale, avevano stoicamente sostituito in fabbrica gli uomini, impegnati al fronte, iniziarono così a conquistare una serie di diritti, tra questi, vollero vedere rispettato proprio quello al lavoro, cui non avrebbero, chiaramente, più rinunciato. Consapevoli comunque, della serie di critiche e di difficoltà cui sarebbero andate incontro, nell’esercizio spasmodico di una libertà, che avrebbe messo in campo le energie necessarie a questo nuovo stile di vita, equivalente all’impegno simultaneo e quotidiano di tre donne, che dovevano adesso, in maniera inevitabile, confluire in un’unica entità fisica. Si trattava, in pratica, di dover andare al lavoro, occuparsi dei bambini al loro ritorno a casa, della gestione del focolare domestico, tra cui vi rientrava, ovviamente, l’esercizio di una oculata distrazione/ intrattenimento/animazione nei confronti del capofamiglia. Se proviamo a compiere una comparazione tra la vita all’interno delle mura domestiche in quegli anni, con i nostri giorni, ne verranno fuori degli elementi di sicura disperazione e di profondo sconforto per chiunque. Ma accadde proprio in quegli anni che -ed è un paradosso!- ad opera della serie d'intuizioni di alcuni uomini, che capirono presto che il percorso da intraprendere per una migliore evoluzione dell’esercizio delle pratiche legate alla domesticità, era legato a filo doppio ad una nuova
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Maria che passa per strada
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uesta è la frase che accompagna la storia di una compagnia tessile finlandese che dal 1950, sino ad oggi, ha alternato successi e sfortune e che in questi decenni invece gode di ottima salute. Fondata da Armi Ratia, costretta, la leggenda vuole, a doversi mettere in società con il marito, perché diversamente nessuna banca le avrebbe fatto credito, con un’abile operazione di reclutamento di un folto gruppo di designer, cui venne affidato il compito di elaborare proposte innovative e stravaganti, riuscì a mettere alle corde un intero universo dell’abitare, costituito da elementi, spesso sin troppo rigorosi, in cui si trovavano, costrette ed assediate, le donne degli anni '50. Ciò passava attraverso l'invenzione di tessuti colorati, vestiti confortevoli e informali, pensati in esclusiva per Marimekko, nome che tradotto in italiano suona un po' come Maria che passa per strada. Insomma, per la ragazza della porta accanto. Ma, in questo caso, la ragazza della porta accanto è ben nota alle cronache internazionali. I paparazzi, si sa, scattano fotografie, accanendosi dietro a future first lady, ma nessuno avrebbe potuto immaginare che proprio una signora amante dell'alta moda parigina come Jacqueline Kennedy, potesse indirettamente affermare negli USA questo stile. Con uno dei sette abiti creati dai designer finlandesi, comperati da un grossista di Cape Code per far da contrappunto alla signora Nixon, Jacqueline finisce diritta sulla copertina di Sports Illustrated nel
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Nanna Ditzel, Children’s ToadStool, Kolds Savvær, 1960
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Nanna & Jorgen Ditzel, Egg Chair, prima per R Wengler, poi per Bonacina, 1959
di Studi per l'Architettura (MSA), e nel 1946 con il marito Pietro Maria Bardi, si trasferisce definitivamente in Brasile, luogo che sceglie come propria terra. Architettura, design, scenografia, museografia, cinema, attività editoriale e didattica, sono i settori in cui opera. Di particolare interesse è ritenuto, a mio avviso, anche il lavoro di Nanna Ditzel, designer danese, nata a Copenhagen nel 1923, formatasi dapprima come ebanista presso la Scuola di Arti e Mestieri e l'Accademia Reale di Belle Arti di Copenaghen e successivamente laureatasi in Progettazione di Mobili nel 1946. Fonda il proprio studio di progettazione con Jørgen Ditzel nello stesso anno e continua a lavorare nel settore del design fino a poco prima della sua morte, avvenuta a Copenaghen nel giugno 2005. Fin dall'inizio della sua carriera è sempre stata attratta da materiali nuovi e performativi come la fibra di vetro, vimini e gommapiuma e dalle applicazioni possibili in numerosi ambiti, quali ebanisteria, gioielli, stoviglie, le arti applicate e del tessile e da nuove tecniche di riproduzione. Tra i suoi progetti per la produzione in serie, vi sono gioielli per Georg Jensen, tessuti per Kvadrat e mobili per Fredericia, Kvist, Getama e altri. Nanna Ditzel ha esposto a livello internazionale ad Amsterdam, Berlino, New York, Vienna, Londra, Stoccolma, Milano, Glasgow, Manchester, Reykjavik, Parigi e a livello nazionale in Danimarca, ricevendo numerosi premi internazionali tra cui, nel
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1990, la Medaglia d'Oro al Salone Internazionale del Mobile Design Competition, in Giappone, per il suo banco per due Fredericia e tra le altre cose, è stata Royal Designer ed eletta parlamentare, dalla Royal Society of Arts a Londra nel 1996. Nel secondo dopoguerra enormi conquiste vengono fatte nella direzione dell’ottenimento di determinati standard qualitativi atti a migliorare le condizioni di vita degli individui, specie in Europa. Così, in un arco di tempo estremamente ridotto, si assiste alla nascita di una eccezionale, efficiente e versatile industria del mobile, prima quasi inesistente, che mette in atto tutta una serie di procedimenti che consentono, come dicevo, di poter ottenere obiettivi prima impensabili, riscontrabili nella serie di indicatori contenuti negli elementi delle produzioni, quali praticità d’uso, economia, e buon gusto. La verità è contenuta, in una serie di mutazioni che investono il mercato in questo periodo storico, novità che perlopiù provengono da un enorme processo di rinnovamento in atto nel sistema industriale, che ha le sue radici in una nuova e radicale concezione economica, che adesso non deve più far fronte alle emergenze del dopoguerra. I designer, investiti da una forza evidente e vistosa, contenuta nella ripresa economica, affrontano il problema di creare un processo di rinnovamento del sistema industriale, creando così modelli e forme di consumo, che subito divengono indicatori di un diverso modo di concepire la vita ed il soddisfacimento dei suoi bisogni. Emergono dunque, prepotenti, tutta una serie di bisogni, raccontati adesso attraverso il piacere della forma e della Maria che passa per strada
chirurgia estetica (spesso preventiva) punta a mettere a proprio agio donne di tutte le età su sandali vertiginosamente alti e di tutto il resto, cercando invece, nel patrimonio genetico costitutivo dell’essere femminile le risorse necessarie alla messa in atto di modelli nuovi. Aerobica,lampada, nutrizione, tutte le stazioni della via crucis.(…)significa che ti bevi il pranzo a base di frullati reintegratori sei volte al giorno sul lavandino della cucina direttamente dal frullatore. da Invisible Monster, Chuck Palahniuk, Mondadori Combattere allora, a mio avviso, questa idea tragica della femminilità, questo scodinzolare continuo mostrando il mostrabile, che aliena lo spettatore e dissolve la dignità personale di ogni donna, specie se sostenuto da un’unica ossessione, quella di intervenire continuamente sul proprio corpo e sulle proprie rughe, contribuendo alla definizione di un modello estremamente frustrante. Cara, dice, in momenti come questi aiuta immaginare se stessi come un divano o un giornale, qualcosa fatto da tanta altra gente ma non per durare in eterno. da Invisible Monster, Chuck Palahniuk, Mondadori Tale questione, ovviamente investe persino le donne della cosiddetta terza o quarta età, quella regione della nostra esistenza in cui ci si dovrebbe rilassare e dedicare esclusivamente ai tanto agognati interessi personali, negati invece dall’inesistenza cronica di un efficace politica del welfare, e da una pressione abnorme del nascente business imperniato sulla crescente fascia
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di anziani, specie nei paesi occidentali, che si arroga il diritto di gestirne il tempo ed il danaro. Ma ciò, non per restituirne degli individui in buona salute fisica e mentale o individui più attivi e dunque più attraenti, ma soltanto per poter restituire loro visibilità ...ed Evie comincia a raccontarmi di una sua idea per un remake di Cenerentola , solo che gli uccellini e gli animaletti, invece di farle il vestito, le fanno una plastica. da Invisible Monster, Chuck Palahniuk, Mondadori Sofferenze legate tutte perlopiù ad una struttura molto tradizionale delle aspettative. Per le donne, ad esempio, un insuccesso in ambito lavorativo non viene vissuto come una tragedia, perché esse posseggono maggiore capacità nei confronti degli uomini a dirottare o frammentare i loro interessi, sono la maggioranza tra i lettori di libri, tra i frequentatori di eventi espositivi, tra i viaggiatori, ma un insuccesso nella propria vita sentimentale o la conduzione di un rapporto non appagante con il proprio partner, la mancanza di affetti consolidati, di figli, ne rende la vita più dolorosa e difficile da gestire. C’è chi passa almeno 1/4 della propria vita alle prese con rasoi e cerette per depilarsi, e chi invece soffre della mancanza di peli pubici, tanto da richiedere il trapianto. C’è chi senza peli si sente nuda e troppo esposta, e chi, alla ricerca della vagina perfetta, la presta, ehm, si presta a sfilate di design e acconciature del pelo pubico come quelle nel video. Preferite la vagina effetto fiamma o quella da? Il design della vagina: acconciature per il pelo pubico pubblicato: venerdì 17 luglio 2009 da Missunderstanding in: Erotismo Sex Hacks Sex&Sexy Video Bodycare.
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Andrea La Rocca, Moira Superstar, 2006
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Il Bauhaus
l’insieme di tante piccole espressioni, che chiamiamo oggetti, disegni, esperienze e amori”. (Miriam Mirri). È convinta, con piglio battagliero ed ostinazione cieca, che il valore di un prodotto risieda nel pensiero che lo ha fatto nascere, lavorando per sottrazione, cercando di togliere, piuttosto che aggiungere, utilizzando il magico ingrediente dell’ironia con sapiente e certosino dosaggio, con lo scopo di poter generare oggetti che possano farci sorridere o in qualche modo riflettere. Queste le pratiche sostanziali contenute nel Pasetti- pensiero. La designer, sempre attratta dall’interazione tra le persone e gli oggetti, sostiene che il successo di un prodotto lo si possa collaudare attraverso il feroce parametro d’osservazione di un processo indotto di sintesi, “La sintesi fa di un prodotto un prodotto onesto, che è solo quello che è, nient’altro. Questa osservazione mi suggerisce cosa indagare, e cosa disegnare…è solo un piccolo intervento il mio: il buon esito della ricerca sta nel pensiero che lo sostiene. A seconda della tipologia e del committente
cerco di comunicare un ricordo, un’azione, una possibilità”. (Alessandra Pasetti) Dice che questa pratica non sempre le riesce, anzi aggiunge, quasi mai, ma a volte funziona come per il tavolino Antonietta per Pianca, o il segnaposto per Koziol, o ancora, la collezione Voici Per Da Nido a Guscio. (www.defrag.it ) Ineke Hans invece, crea oggetti per tutti i settori, dall’arredamento alla gioielleria, giocando con il rapporto inquieto ed inquietante che esiste fra l’oggetto e l’individuo, mescolando in modo anticonvenzionale nuovi e vecchi sistemi produttivi. Molti dei suoi progetti fanno già parte delle collezioni di importanti musei come il Musée des Arts Décoratives di Parigi e il Victoria and Albert Museum di Londra, oltre ad avere vinto numerosi premi internazionali. È una donna con le idee molto chiare. Basta vederla, conoscerla, per non avere dubbi in merito. È fortemente convinta, come la mia amica Ilia D’Emilio, designer in forza allo studio Lissoni, proveniente da una famiglia/azienda che si muove nel settore delle forniture e dei complementi d’arredo da circa cinquant’anni
Miriam Mirri, Ciotola per cani, Alessi, © Ph Archivio Alessi, 2009
Miriam Mirri, Ciotola per gatti, Alessi, © Ph Archivio Alessi, 2002
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e che ha ricevuto nel 2009 il Compasso d’Oro (lo zio Tito, per la precisione, vero inossidabile mito nel settore del retail, e primo rivenditore a ricevere il prestigioso premio dell’ADI nella cinquantennale storia dell’associazione), che la motivazione per cui donna si sia affacciata da poco tempo al complicato mondo degli oggetti e delle loro implicazioni nel nostro modus vivendi, sia trascurabile. Puntano entrambe l’accento sulla professionalità, quale unica discriminante e non si mostrano affatto entusiaste in merito alle discussioni uomo vs donna, asserendo serenamente che il futuro bisogna costruirlo insieme, nella condivisione dei saperi. Profeta dei profeti, rutilante come suo solito, Philippe Starck un anno addietro ha dichiarato che il futuro è donna, nei corsi di design in ambito internazionale si registra una netta prevalenza delle studentesse, ma questo dato non coincide poi con i riferimenti proporzionali in merito alla questione occupazionale. La Hans e la D’Emilio, non credono alla favoletta che dipinge le donne come creature meno ambiziose, ma credono e ripetono che è la bravura la vera discriminante, a loro piace osservare il comportamento quotidiano delle persone, le modalità con cui realizzano cose prevedibili e cose inaspettate, cercando di mettere a fuoco i punti di conflitto, cioè tutte quelle situazioni in cui le cose non vanno proprio per il verso giusto… E considerandolo dunque un buon Miriam Mirri, Lieto, statuina in porcellana, Alessi, © Ph Archivio Alessi, 2007
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punto di partenza. Altri progetti nascono dai materiali o dalla tecnica che vengono proposte, altri ancora da una storia, utilizzando gli strumenti caratteristici della filosofia del design il più delle volte per cercare di raggiungere, per quanto possibile, una verità. Attraverso il loro lavoro, il loro pensiero, sottolineano la insostenibile traiettoria prodotta dall’era del consumo, che ci ha costretti a vivere in un mondo colmo di oggetti e di arredi, e la assoluta indisponibilità dell’esercizio dell’atto creativo nei confronti di elementi, siano essi prodotti o servizi, che potevano essere prodotti già venti anni addietro, quale elementi aggiunti di una addizione spontanea ed incontrollata, che per germinazione a talea tende un feroce e continuo assedio al pianeta. “Attualmente mi piace davvero lavorare su prodotti complessi, elementi modulari, multifunzionali che siano belli sia dal lato A che dal lato B. Sono interessata all’utilizzo di nuovi materiali e nuove tecniche. Mi piacerebbe lavorare a un grande progetto d’arredamento d’ufficio o a un progetto in cui sperimentare un nuovo materiale portandolo fino all’estremo limite”. (Ineke Hans). Ciò delinea un nuovo orizzonte di senso nel design contemporaneo, lontano dal significato posseduto 100 anni addietro, quando il design era sempre attento al contesto, adesso ciò che ha senso nasce spesso dal confortante rifugio della innovazione tecnologica, Donne du du du!
Grazie all'impiego del ricamo e di materiali innovativi e moderni, ed all'estrema attenzione per i dettagli e le finiture delle cuciture, la sedia ambisce a rappresentare in modo simbolico l'alta moda delle sedute. Questo è anche il motivo per cui la forma e la base della sedia si ispirano effettivamente alla forma dei manichini in tessuto comunemente utilizzati nelle sartorie per il confezionamento di abiti su misura. Non è solo un altro pezzo di arredamento nelle nostre case, ma una presenza femminile regale, ostinata, brusca ed energica, così recita la didascalia dell’azienda. Lavora e sogna a Lubiana, in Slovenia, in una città che ama per i suoi alti standard di vita, ed è la natura ad ispirarla, quando fa surf negli spot istriani o quando corre per i parchi cittadini, senza produrre mai alcuno schizzo, ma solo serie di appunti, indecifrabili per gli altri. Grazie alla generazione di una serie di prodotti a spiccata sensibilità disegnati per Moooi, quali, la linea 5 O clock, tavoli e sedie in legno rivestiti di skai decorato con rose rosa da servizio da thè inglese, ha esteso i confini del design, portandone i segni di una ispirazione proveniente da molto lontano o dagli ambiti più disparati. Le poesie di Sylvia Plath o i romanzi di Virginia Woolf, ad esempio. “Gli arredi che scegliamo sono come gli abiti. Esprimono la nostra personalità” (Nika Nika Zupanc, Lolita lamp, Moooi, 2008
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Zupank). Il parametro della leggerezza assume invece pericolose connotazioni, ed una inquietante deriva, tra quei santoni dell’architettura che vengono continuamente corteggiati ed arruolati in qualità di designer, dal folto stuolo di aziende, in coda e pazienti e succubi della bramosia riverberante e delle proiezioni sugli innalzamenti delle vendite generate alla risonanza dei mistici brand. Queste archistar, e nel nostro caso specifico, queste Doll’s , abituate ad un serrato e continuo confronto diretto, nel loro lavoro, nella loro quotidianità, con una scorta considerevole di forze sociali, abituate a muoversi in un ambito rigido in cui la sopravvivenza è figlia soltanto del compromesso, chiamati a produrre la loro performance in un ambito applicativo più libero, più dinamico, dotato di maggiore mobilità, come quello del design, incappano spesso nella trappola della questione formale, che cede il passo alla facile seduzione dell’uso della disciplina che meglio di altre si occupa della cultura quotidiana, quale mezzo d’espressione. Tra le file di questa enclave, vi troviamo a pieni voti una vera e propria autorità: Zaha Hadid. La Zaha Doll, transfrontaliera per vocazione, dopo aver trasformato l’architettura in un evento effimero e fugace ed aver dato visibilità allo spirito del tempo, ha condotto una vera e propria mirata operazione di
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Nika Zupanc, Homework Chair, La femme et la maison, 2011
frantumazione dei confini tra le discipline, dapprima complementari, dell’architettura e del design, dove spesso struttura e forma si fondono per dare vita ad un’unica entità recitante. Ma l’operazione sensibile esercitata dalla Nostra Signora delle Doll’s, interprete dell’invisibile nascosto tra le pieghe della società attraverso i preziosi ed insostituibili parametri dell’intuizione e dell’ispirazione, mediante i quali legge la quotidianità, diviene sempre sempre sempre operazione di esclusivo esercizio acrobatico, imperniato tutto sulla questione formale. Ma il design non è in grado di alimentare questo massacro, ed il designer sono convinto che debba esercitare la funzione, insostituibile nella nostra società, di strumento, cercando di evitare, nello sviluppo di ogni processo creativo di puntare ad una determinata forma esteriore (Munari docet!), ma ad un conglomerato di idee, che all’inizio del
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processo di progettazione non possono essere espresse mediante un’idea di forma, ma soltanto con delle parole. Il design tutto è permeato dall’esercizio di questo processo continuo, in cui non esistono concetti di forma facilmente trasferibili, ed è dopo qualche tempo che cominciano a prendere forma delle immagini che, nel migliore dei casi cederà poi il passo ad una componente non più verbale, ma che a causa delle anticipazioni contenute nel proprio patrimonio genetico, aprirà le porte alla pratica seducente e misteriosa, magica, della lettura tra le righe. Amo molto, in tal senso, il lavoro di Constance Guisset, che già dai suoi primi prototipi rivela uno spirito non addomesticato, ma che spesso, per la loro ingegnosità riescono a conferire una frazione magica al design, le sue creazioni ci rivelano la vita segreta dei nostri oggetti quotidiani, mettendo in atto spesso un irresistibile elemento di sorpresa. Il gruppo di designer svedesi Front, al secolo: Anna Lindgren, Katja Savstrom, Sofia Lagerkvist, Charlotte von der Lancken, lavora come una squadra dove tutti i membri sono coinvolti nell’eclettico processo che investe il design, la cui storia è spesso rintracciabile ed inscritta nelle fattezze del prodotto stesso. Il loro percorso di esplorazione messo in atto in questo processo, coinvolge le convenzioni e le aspettative o in ultima analisi, il materiale di cui è composto l’oggetto. Le opere delle Front comprendono una serie di prodotti realizzati attraverso l’analisi delle matrici iconiche di esseri umani ed animali, giochi di computer con prodotti virtuali e mutevoli, pezzi di mobilio disegnati direttamente nello spazio, oggetti toccati per caso e una collezione di mobili magici, come una lampada che lievita, ed una cassettiera che fa scomparire il contenuto al suo interno. Molte designer Donne du du du!
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1. Katrin Greiling, No time bracelet, Design house Stockholm, 2007 2. Ineke Hans, Black Gold, 2002 3. Inga Sempè, Matali Crasset, Francoise Azambourg, Big-Game, Moustache 4. Inga Sempè, Matali Crasset, Francoise Azambourg, Big-Game, Moustache 5. Front, Horse lamp, moooi, 2006 6. Monica Graffeo, Letto Steps, Lago 2008 7. Nipa Doshi, My Beautiful Backside, Moroso, 2008 8. Carlotte de Bevilacqua, Pad & Una Lights, Danese + Artemide, 2010 9. Terry Pecora e Elisa Gargan, Feeding bottle cow, Viceversa 10. Kresse Wesling, Fire hose bag Elvis & Kresse 11. Konstantin Grcic, May Day table lamp,Flos
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1. Ingegerd R책man, Zvizz black vase, Orrefors, 2004 2. Ineke Hans, Sugar candy mountain, Cor Unum, 2007 3. Ilaria Marelli, Branch, Coro, 2009 4. Genevieve Gauckler, Hip graphic design for a cosmetic brand, 2005 5. Nika Zupanc, Mrs. Dalloway, Gorenje, 2009 6. Paola Navone, Euphoria, Eumenes 7. Hyun Sun Park, Folding Chair, BMH showroom 8. Hyun Sun Park, Folding Chair (dettaglio), BMH showroom, 9. Alessandra Pasetti, Antonietta, Pianca, 2008 10. Patricia Urquiola, Husk, B&B Italia, 2011 11. Paola Lenti, tappeto Spin, Paola Lenti, 2010
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