ISBN 978-88-6242-059-4 Prima edizione Novembre 2012 © 2012, LetteraVentidue Edizioni © 2012, Riccardo Miselli Tutti i diritti riservati È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare. Book design: NEOSTUDIO / Raffaello Buccheri (Officina22) Foto di copertina e alle pagine 13, 26, 28, 30, 34, 38, 39, 42, 43, 46, 47, 50, 51, 60: Anna Positano – www.theredbird.org Rielaborazioni grafiche dei lavori degli studenti: Matteo Brizio, Chiara Giolito, Silvia Torterolo LetteraVentidue Edizioni S.r.l. www.letteraventidue.com Via Luigi Spagna, 50 L 96100 Siracusa, Italy
INDICE
Gianluca Peluffo Riccardo Miselli
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Genova. La forma del cielo Introduzione
DESCRIZIONI Eleonora Burlando
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Abitare in-stabile. Una riflessione sulla flessibilità come elemento di sostenibilità nel progetto della residenza seriale
Riccardo Miselli
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L’immagine del reale. L’attualità della lezione di L.C. Daneri nei quartieri INA-Casa
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Aperture di Credito Principi del tapullo Campioni di parsimonia. Un invito all’esplorazione della città compatta San Benigno 2.1
ESPLORAZIONI Nicola Lunardi | Gosplan Francesco Forni | Sooffice Elisa Cagelli, Davide Servente | Grooppo.org Danilo Cupioli, Silvia Rizzo | 2xlrm TRASFORMAZIONI INTERSEZIONI Alessandro Cambi | -Scape Alice Gardini, Nicola Gibertini | GGA architetti Guido Incerti | nEmoGruppo Paolo Iotti | Iotti + Pavarani architetti Marcello Marchesini | MDU architetti Francesco Messina | Bodàr SOSTITUZIONI
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.... Zabriskie Point is everywhere .... Tra i gelati e le bandiere
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Interazione analogica Frammenti di urbanità Architettura è collisione Il valore dell’irrisolutezza
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Genova. La forma del cielo Gianluca Peluffo Vi capiterà di trovare il Santo Graal. Verde smeraldo, proditoriamente rotto in un incauto trasporto napoleonico, lo scoverete nei sotterranei della Cattedrale di San Lorenzo, protetto da una delle opere di architettura più importanti del dopoguerra, il Museo del Tesoro di Franco Albini. Un interno nero, uterino e ipogeo, che assomiglia a questa città per parti, misteriosa, che, altrettanto misteriosamente, sembra svolgere un percorso interiore di ricerca di qualcosa di dimenticato, di rimosso. Tutte le sue innovazioni, le opere, soprattutto pubbliche, che l’hanno trasformata negli ultimi anni, ma anche tutti gli interventi che, coraggiosamente, si sono susseguiti nei secoli sembrano proprio interpretare e costruire questo percorso interiore. Così, se di mare, di viaggio e di commercio si deve parlare, allora il mare che entra nella città come un fiordo non è solamente il mare dei Sud del mondo (Africa, Sud America, Medio ed Estremo Oriente) ma anche dei Nord del mondo, il Baltico, il mare olandese, quello inglese, le maestranze lombarde, le finanze olandesi e londinesi. Questa contemporaneità, di Nord e di Sud, è evidente muovendosi cinematograficamente all’interno della città, scoprendo all’improvviso edifici che, ristrutturati di recente, sembrano inseguire un’immagine algida, sobriamente neoclassica, cromaticamente immaginata per un’area di vetro del Nord, e girando l’angolo ecco il suq, tipicamente nordafricano, il centro storico, dove si incrociano caffettani e donne e uomini vestiti con eleganza di gusto anglosassone, entrando nei locali sempre del centro storico, di tendenza nella loro perfetta trasandatezza, ascoltando i soliti odori e suoni misti del Sud, fìno al sitar che chiude Genova per noi di Paolo Conte. È la luce a tentare di unificare questi mondi, quando, al tramonto, di notte, all’alba, sembra evidenziarsi una città di Sironi, con i toni dei marroni, dei grigi. L’altra opposizione che nasce come conseguenza evidente di questa prima coabitazione Nord-Sud è quella interno-esterno, dove a quest’esterno così evidentemente fatto di molteplicità di mari e di anime, si oppone un’interiorità quasi immobile, al di fuori del tempo, di luoghi con persone assenti, «che non si girano» (Montale), di famiglie che crescono lente e al loro interno mantenendosi intatte per secoli, di interni incredibilmente ricchi e chiusi, incondivisibili. Una città che non ha spazi pubblici, non ha luoghi di filtro fra il mondo privato (interno) e quello pubblico (esterno); via Garibaldi, una delle vie più ricche e rivoluzionarie nella storia urbana europea, è composta di blocchi di edifici privati che nascondono, al loro interno, una incredibile sequenza di spazi, praticamente privi di contatto con lo spazio del pubblico, assente e quindi indifferente. Oppure pensiamo allo sforzo di trasformare il fronte mare portuale in una realtà ludico-turistica, 5
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Introduzione Riccardo Miselli Il volume raccoglie gli spunti metodologici, i contributi più significativi nonché una selezione degli esiti progettuali sviluppati all’interno del laboratorio di progettazione 2 della Facoltà di Architettura di Genova, da me condotto per gli anni accademici 2010-2011 e 2011-2012 con il prezioso contributo di Eleonora Burlando, Matteo Brizio, Francesco Forni e Anna Positano, avente come obiettivo quello di avvicinare gli studenti – ai quali è principalmente rivolto questo lavoro – ai temi connessi al progetto della residenza collettiva in relazione alla città contemporanea. Le riflessioni qui raccolte si riallacciano ad una serie di considerazioni elaborate a partire dal 2002, grazie alle esperienze maturate al seguito di Franz Prati, tanto in qualità di relatore, con Alessandro Valenti, della tesi di dottorato intitolata Verso nuovi repertori. Dalla configurazione del linguaggio moderno alla composizione del testo contemporaneo, quanto collaborando all’interno dei suoi laboratori di progettazione incentrati principalmente sul rapporto tra l’architettura, la città ed il paesaggio. Lo spirito con il quale è stato impostato il laboratorio è stato quello di assumere il tema della residenza collettiva quale pretesto per introdurre e coinvolgere gli studenti all’interno di una più ampia riflessione sull’attuale condizione della città, nella riconosciuta ed indiscussa necessità di operare una revisione disciplinare a fronte della particolare condizione che connota il nostro momento storico. Quanto sta accadendo oggi è tema ampiamente documentato, e le cause di questa situazione sono delineate tanto nel testo del filosofo francese Michel Serres dal titolo Temps des crises (ed. italiana Tempo di crisi, Bollati Boringhieri, 2006) ed identificate principalmente nell’asincronia tra le istituzioni e la comunità a fronte di cambiamenti avvenuti dal dopoguerra ad oggi in diversi settori tra cui l’agricoltura, i mezzi di trasporto, la salute, la demografia, le connessioni e i conflitti, quanto in quello del geografo britannico David Harvey dal titolo The condition of postmodernity (ed. italiana La crisi della modernità, Il Saggiatore, 2010), che pare ricondurre le cause strutturali della condizione attuale alla mutata esperienza del tempo e dello spazio vissuta a cavallo degli anni ottanta, dove le nuove tecnologie hanno di fatto prodotto una radicale contrazione delle distanze amplificando la rapidità degli spostamenti fisici ed informatici. E’ quanto mai evidente che l’architettura, nell’era di internet, non sia esclusa da questo stato di crisi, dove all’effettiva ed inebriante possibilità di reperimento, condivisione e riproduzione di immagini come dati, dal carattere leggero, transitorio 9
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potrebbero invece emergere nuove energie progettuali capaci di individuare direzioni operative di un qualche interesse. Nella periodicità in cui queste situazioni si ripropongono, segnando ciclicamente episodi importanti di rinnovamento, potremmo trovare un antecedente significativo per i temi trattati nella ricostruzione dell’Italia post-bellica attuata attraverso il famoso piano INA-Casa, occasione nella quale molti progettisti di rilievo nel panorama architettonico nazionale si confrontarono trovando, in numerose occasioni, inedite alternative tanto alla posizione storicista quanto a quella dell’utopia tecnologica. Come ben noto, il piano Fanfani del 19493 è stato un evento dalla portata eccezionale sia in termini quantitativi, avendo coperto già nei primi anni ‘50 il 25% della produzione edilizia italiana, sia dal punto di vista disciplinare, offrendo una sperimentazione saldamente collocata all’interno del filone autoctono della modernità italiana (di cui costituisce uno dei prodotti più tipici ed originali) e connettendosi in un rapporto di stretta continuità con le esperienze di inizio novecento. Gli esiti INA-Casa, proprio per la loro valenza, alimentarono un ampio dibattito su quello che è diventato uno dei temi più trattati e discussi dell’architettura italiana dal dopoguerra ad oggi. Ad una fertile pubblicistica dell’epoca si sono susseguite nel tempo ripetute occasioni di analisi e rilettura delle tappe più significative del fenomeno, talvolta nell’intenzione di riscattare un episodio particolare, talaltra nella verifica della corrispondenza tra quest’ultimo e la dimensione sociale dei suoi abitanti. Se da un lato i tratti distintivi della produzione INA-Casa sono stati generalmente omogenei, come diretta conseguenza della centralità della Gestione e della univocità della strategia architettonica suggerita, dall’altro possiamo affermare che – escludendo sporadici episodi in cui lo spirito vernacolare ha preso il sopravvento o in altre situazioni aderenti a modelli più europei – il complesso dei quartieri realizzati si presenta come un’eclettica e multiforme risposta a quel bisogno di semplicità e di neo-realismo che investe, nel clima della ricostruzione, la cultura italiana. Le scelte operate dagli architetti dell’epoca, seppur orientate dal manuale dal titolo Suggerimenti, norme e schemi per la elaborazione e presentazione dei progetti4, si posero in continuità con il recente passato razionalista, rinnovato dal punto di vista linguistico e strumentale, e i suoi codici – internazionalmente condivisi – furono ibridati, consumati e fatti propri, coniugandosi e contaminandosi con le specificità istantanee del momento. Si è avviata in quel modo una proficua stagione di sperimentazione sul contesto, necessariamente, in quegli anni, povero, marginale e artigianale, dove applicare quella straordinaria massa di ricerche tipologiche e metodologiche maturate 27
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nell’isolamento e nella stasi produttiva bellica, tanto nota da un lato per aver messo in campo un ardimentoso ma del tutto funzionale rapporto tra forma e struttura, e dall’altro per aver indagato il concetto di urbanità. All’interno di questo quadro è ben evidente come in alcuni casi l’idea di città – e con questa i temi del tessuto, del tracciato e della piazza – sia stata un chiaro riferimento costitutivo (basti pensare ai quartieri romani d’eccellenza, uno dei quali, il Tiburtino, fu definito proprio da uno dei suoi autori, Quaroni, con l’epiteto di ‘Città dei barocchi’), mentre in situazioni dalle connotazioni contestuali più complesse e di difficile interpretazione i modelli di riferimento consolidati siano stati messi in discussione, proponendo in alcune occasioni – proprio quale risposta a quella condizione di difficoltà – interessanti ed inediti stratagemmi insediativi. Tra questi, un esempio emblematico è sicuramente quello rappresentato dai tre quartieri INA-Casa realizzati da Luigi Carlo Daneri a Genova, nei quali l’architetto ha dovuto misurarsi – ogni volta in maniera differente – con un territorio difficile, generalmente costretto tra l’orografia dell’appennino e l’orizzonte mediterraneo e che, proprio a causa della sua morfologia complessa, non appariva fertile di ampi spazi liberi dove inserire nuove espansioni quanto piuttosto dotato di esigui tasselli compressi tra i tessuti densamente edificati e i tracciati delle infrastrutture che in maniera talvolta dirompente l’attraversano. In questi tre interventi, progettati e realizzati tra il 1950 e il 1957, possiamo riconoscere alcuni temi progettuali comuni, tipici della formazione razionalista dell’autore, e che sono stati poi sviluppati nel tempo, quali, ad esempio, una raffinata modulazione degli spazi di soglia tra interno ed esterno, finendo spesso per diventare esso stesso elemento di connotazione espressiva dell’insieme, una particolare sensibilità nel considerare il rapporto che lega la struttura portante ai materiali di rivestimento utilizzati nell’ottica di facilitarne la reperibilità, le modalità costruttive e la condivisione sociale, oltreché un’ampia indagine sulla varietà tipologica delle singole unità abitative. Oltre alle risposte fornite attorno a questi temi, di indubbio interesse, la lezione di maggiore attualità di Daneri è probabilmente da ricercarsi nelle scelte dispositive delle volumetrie nel luogo: nell’impossibilità di riprodurre all’interno di quei preziosi frammenti di paesaggio una qualche condizione di urbanità condivisa, la scelta attuata – che può apparire rivoluzionaria nell’esito formale raggiunto ma che, invece, risulta frutto di una continuità metodologica di matrice razionale – fu quella di mettere in campo stratagemmi in grado di qualificare, valorizzare e soprattutto identificare in maniera univoca e specifica quei luoghi, altrimenti destinati a perdersi nell’estetica indifferente della periferia. 29
Campioni di parsimonia. Un invito all’esplorazione della città compatta Elisa Cagelli, Davide Servente, Grooppo.org Esistono edifici, spazi pubblici, infrastrutture, parti di città che non compaiono sulle guide turistiche ma appartengono a quel costruito ordinario che compone la maggior parte delle nostre città: architetture spontanee senza un padre conosciuto, frutto della destrezza dell’uomo e del contesto che occupano. Architetture che non destano alcun interesse da parte del frettoloso visitatore ed invisibili a quelle persone che quei luoghi abitano. Si possono notare solo con un occhio attento, quello dell’esploratore che decide di perdersi nelle trame della città e di seguirne i ritmi. Spesso sono proprio queste architetture a raccontare di più di un luogo rispetto a tanti edifici blasonati che fanno bella mostra di sé sulle cartoline. Il territorio di Genova, fortemente urbanizzato, presenta una carenza strutturale di suoli che determina la riorganizzazione della città per addizione senza alcun margine di ampliamento. La difficile morfologia, con cui la città si confronta da sempre, vincola l’uso degli spazi e impone regole insediative rigide. Le soluzioni adottate per ricavare superficie edificabile, spontaneamente e non, sono un esempio dell’ingegno che la città adopera per sfruttare al massimo le proprie potenzialità, una parsimonia nata dalla contingenza e divenuta regola insediativa. Non semplici giustapposizioni di elementi e funzioni, ma vere e proprie compenetrazioni dove ogni parte partecipa al funzionamento del sistema e ne trae giovamento. A Genova non è un’eccezione parcheggiare sul tetto degli edifici ed avere l’ingresso principale al sesto piano. Vedere infrastrutture, quali ponti e terrapieni ferroviari, che ospitano attività terziarie. Muri di contenimento che sorreggono risalite ed orti urbani. Incontrare chiese che poggiano su negozi o residenze. La città propone già oggi un repertorio di soluzioni urbane per un uso più equo, concentrato e funzionale della città. Questi edifici complessi dovrebbero essere portati come esempio nel dibattito sulla crescita della città in tempi di crisi, tracciando indirizzi e suggerendo nuovi modelli organizzativi. Inseguendo il ritorno ad un modello di città compatta, emerge il riaffermarsi della prassi del costruire sul costruito, per delineare e rendere attuabile una strategia che metta in relazione lo sviluppo della città e il riutilizzo dell’esistente. Il meccanismo che permette alla città di evolversi è insito nella città stessa, la sua forma è il risultato della somma di elementi differenti che ne regolano lo sviluppo e il mutare delle funzioni. Adattare, innestare, aggiungere, riempire e trasformare: nel succedersi degli eventi nulla va perduto e il costruito diventa il principale materiale da cui il nuovo trae origine e su cui si fonda. 48
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1. centro sportivo - residenza / 2. insegna - impalcatura / 3. tetto - negozio / 4. chiesa - shopping mall / 5. monumento - ristorante / 6. ascensore pubblico - belvedere / 7. muro - officina / 8. residenza - parcheggio / 9. uffici - villa 49
VIALE BERNABĂ’ BREA Luca Corolla Stefania Minguzzi Alice Zunino