56 Collana Alleli / Research Comitato scientifico Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa) Nicola Flora (ICAR 16, Napoli) Antonella Greco (ICAR 18, Roma) Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa) Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia) Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari) I volumi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a procedura di peer-review
ISBN 978-88-6242-427-1 Prima edizione italiana Giugno 2020 © LetteraVentidue Edizioni © Adriano Dessì È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Ove non diversamente indicato i testi appartengono ad entrambi gli autori LetteraVentidue Edizioni Srl via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa, Italy www.letteraventidue.com
Materie dell’architettura a cura di
Adriano DessĂŹ premessa di
Francesco Cacciatore testi di
A. Sanna | C. Atzeni | A. DessĂŹ | F. Marras R. Sanna | C. Sirigu | E. Colomo | G. Congiu A. Del Sordo | G. Dettori | J. Friedrich | S. Lissia S. Mameli | M. Melis | A. Mistretta | L. Noli A. Pau | N. Pittau | G. Sanna
4>5
...a Luca
È stato inevitabile, dopo il 29 Giugno dello scorso anno, quasi a conclusione di questo testo, dedicarlo a Luca Noli, uno dei suoi autori più entusiasti che, quella mattina, prestissimo, ha perso la vita in un terribile incidente. La sua tesi portava come titolo “vuoti”, titolo da me fortemente criticato fino ad un minuto prima della discussione e da lui, altrettanto tenacemente – come era suo solito fare – difeso. Titolo che trova una profonda giustificazione, almeno per me, solo oggi. Sono tanti infatti i vuoti creati dalla scomparsa di Luca che ci costringe ad assumere toni che non avremmo voluto, ben distanti dall’entusiasmo e dalla passione che hanno mosso, quasi per la sua totalità, questo progetto. La nostra scuola, ora, mi appare uno di quei vuoti. L’energia dei più giovani, degli altri autori di questo libro e di tutti i compagni di viaggio in architettura di Luca, lo colmeranno, col tempo. Non sarà facile, non per me almeno. Questa è una delle poche utilità, se così può essere cinicamente chiamata, della morte di Luca: la crescente consapevolezza che questa scuola sia
ben più di una scuola, sia costituita da legami che vanno ben oltre quelli della didattica e dell’apprendimento e che, come tutte le scuole, è fatta di studenti che passano e di studenti che vi abitano ma che le tracce di ognuno sono indelebili e contribuiscono a darle forma e identità. La scuola è ormai pervasiva, si vive fianco a fianco e anche se ci sono muri che separano, ci si incontra costantemente, ci si cerca. Ho ancora molto forte la sensazione di aver perso un amico, un piccolo fratello, uno di famiglia insomma; forse, non ci si dovrebbe sentire così quando si perde uno studente. E tuttavia la nostra scuola non può perdere i suoi abitanti – Luca era uno di questi, uno dei più vivi. Gli feci questo discorso, durante un caldo pomeriggio poco più di due anni fa, costringendolo a saltare una lezione, nelle scalette di via Corte d’Appello, davanti ad un caffè, uno dei suoi spazi più amati, un altro dei suoi vuoti. Cagliari in quel momento gli stava stretta, era affascinato dall’idea di un’esperienza internazionale, che gli avrebbe consentito di cambiare vita, oltre che studi – «voglio avere l’opportunità di lavorare ai tavoli con un cinese, un brasiliano…» – mi disse, voleva portare con sé alcuni suoi compagni, soprattutto Aldo. Gli parlai invece della necessità di continuare a
costruirla, questa scuola, e della necessità di uno come lui, della sua energia, del suo carisma, della sua qualità, entrando indebitamente ed egoisticamente nella sua dimensione privata. Gli dissi che doveva istruire e aiutare le matricole, supportare noi docenti. Non credevo l’avessi convinto. Aveva sposato la causa della nostra scuola per almeno altri due anni, con questa esaltante parentesi madrilena che non è riuscito, purtroppo, neppure ad aprire. Ha amato la scuola di Architettura di Cagliari, la città e i suoi “vuoti” più di tutti – uno dei pochi a condurre, in modo del tutto originale alla triennale, una tesi di analisi urbana – ha amato quella Cagliari che non è riuscito ad abbandonare e che l’ha, in solitudine ma non senza clamori, violentemente inghiottito. In fine, il mio profondo rammarico e grande peso di non avergli consentito di vedere questo libro, pubblicato con molti ritardi, per la costruzione del quale si è invece sempre mostrato puntuale e reattivo, tra i primi ad aderire al progetto, a rivedere i vecchi testi e a correggere i disegni, con l’entusiasmo della prima ora; spero solo che ci credesse ancora. *** Dedicartelo, Luca, è povera e illusoria consolazione, ma sento che ci riavvicina a te.
INDICE 8 Materie dell’architettura in tredici tesi. Introduzione Adriano Dessì 14 Sul cominciare e sul finire. Osservazioni sull’ingresso e sull’uscita dal percorso di studi in architettura Francesco Cacciatore 22 Da principio, i principi. Note sull’insegnamento del progetto di architettura Antonello Sanna, Carlo Atzeni
QUATTRO MATERIE DELL’ARCHITETTURA Alcuni precetti teorici 32 Dentro la materia. Il foglio bianco, la linea, la materia Adriano Dessì 42 Architettura minima. Declinazioni di significato dall’oggetto allo spazio Roberto Sanna 48 Architettura infra-struttura. Leggere tra le linee del paesaggio Francesco Marras 54 Architettura simbiotica. Dinamiche e processi di trasformazione Claudio Sirigu 6>7
2
MATERIE E LUOGHI Le tesi
64 Capanna in falasco
136 Rose Marie Eggmann
Architettura minima
Figure
Michela Melis
Sara Lissia
72 Su Anzu
146 Panopticon
Architettura minima
Architettura che osserva
Giovanna Dettori
Jessica Friedrich
82 Opticon
156 Ferrovia opera di paesaggio
Architettura Osservata
Paesaggi lineari
Aldo Mistretta
Gabriele Sanna
92 Vuoti
166 Attraverso il recinto
Architettura minima
Architettura minima
Luca Noli
Antonio Pau
106 Architettura materia locale
176 Basement
Architettura minima
Architettura minima
Stefano Mameli
Angelica Del Sordo
116 Vie d’acqua
186 Architetture a tempo
Paesaggi lineari
Architettura minima
Giacomo Congiu
Enrica Colomo
126 Re-local Paesaggi lineari
Nicola Pittau
Materie dell’architettura in tredici tesi Introduzione
8>9
Adriano Dessì
L’
esigenza contingente di seguire il lavoro di tredici tesi di laurea in Scienze dell’Architettura1, ovvero a conclusione di quel triennio nel quale lo studente intraprende – e non certo completa – il complesso percorso di formazione dell’architetto, ha permesso la costruzione di un piccolo “laboratorio” semplicemente fondato sullo studio comune e la condivisione di alcune linee tematiche dell’architettura e sulla restituzione individuale di una di esse attraverso le singole esperienze curriculari. Tale circostanza ha condotto ad almeno due riflessioni. La prima è che, nonostante il percorso triennale induca alla ricostruzione, come lavoro finale, di un percorso curriculare, una sorta di “profilo ragionato” o “critico” attraverso cui il candidato si presenta ad una commissione e ad una comunità, il desiderio di approfondire temi che non si possono naturalmente trattare nel tempo compresso di un triennio, per altro ancora molto connotato dall’insegnamento dei “fondamenti” e con una decisa impronta multidisciplinare, è senz’altro crescente. O almeno è crescente la necessità di rileggere il proprio itinerario formativo dentro un quadro teorico più solido, consapevole e, appunto, maturo. La seconda è invece strettamente legata alle tematiche affrontate, scelte non in modo retrospettivo ma di prospettiva, ovvero nell’ottica, invece contraria alla ricostruzione curriculare, di una formazione incompiuta e che si “attrezza” per un sapere più complesso, quale è quello dell’architetto e che si “prepara” al progetto. In tale ragionamento e interpretazione, la tesi è lo strumento attraverso cui gli studenti-architetti rivedono le esperienze autoriali e l’evoluzione dell’architettura nella storia per comprendere
quali architetti incominciano ad essere e a quale idea di architettura appartengono; ma soprattutto riguardano ai luoghi, ai loro luoghi, riformulando con occhi diversi un giudizio sul proprio territorio, sul loro paesaggio, la loro città, il loro villaggio, la loro casa. Hanno cioè acquisito strumenti diversi, legati al progetto di architettura, che consentono loro di esprimere una posizione culturale, seppur talvolta dai contorni ancora sfumati, del loro habitat. Questo è importante nella logica di una nuova cultura trasformativa dei luoghi che deve ancora costruirsi in Sardegna. È utile soffermarsi su questo secondo punto perché mentre il primo è tutto interno alla scuola, ovvero al nostro modo di interpretarla in ragione di una necessità e di un desiderio, il secondo attiene all’importante ruolo di rinnovamento che il giovane architetto può giocare nelle trasformazioni del territorio sul duplice piano culturale-operativo. In questo senso il lavoro delle tesi nasconde un peso rilevantissimo soprattutto quando, come in questo caso, gli architetti condividono un’idea di lavoro da proporre unitariamente e, pur attraverso le naturali differenze, con obiettivi comuni più generali. Con queste tesi non ci si presenta soltanto come architetti, ma si vuole “parlare di architettura” e il momento della discussione aperta, in tal senso, benché importantissimo, può non essere sufficiente ad esprimerne le ragioni e le complessità che le sottendono. Per questo è opportuno pubblicarle, per il loro stesso significato scientifico di “tesi”, importante nella formazione quanto quello operativo di “progetto”, che gli studenti affronteranno nel loro percorso magistrale2 e poi nel “mestiere”. In tale impostazione la tesi costituisce quindi un supporto teorico al progetto, un primo lavoro preparatorio, attraverso la costruzione di una coscienza critica fondata sulla descrizione ragionata, il ridisegno e lo studio analitico dei luoghi, ovvero sugli approfondimenti teorici e autoriali. Le tematiche affrontate non sono certamente semplici, come detto, probabilmente le si affronta ancora parzialmente e certamente non in modo esaustivo. Tuttavia lo sforzo di legare temi peculiari dell’architettura, lo spazio aperto, l’infrastruttura storica, l’architettura di piccola scala, il processo costruttivo e auto costruttivo dell’architettura, l’architettura come dispositivo percettivo, alla propria, breve esperienza di progettisti dentro una scuola, si connota di un certo valore “universale”. 10 > 11
L’altra difficoltà – ma anche opportunità e utilità – risiede proprio nella definizione e nella costruzione stessa del lavoro condiviso e nell’individuazione di tematiche comuni, simile ad un’organizzazione per “collane”, che conferiscono ulteriore senso e arricchiscono l’approfondimento scientifico che sta alla base di questa idea di tesi. Provo a esporre di seguito questa organizzazione, esplicitando i temi generali che, secondo una formula nomenclatoria, sono riassunti sinteticamente. La sintesi di queste descrizioni talvolta è a svantaggio della complessità e della diversità che si nasconde nell’insieme delle tredici tesi, ma è totalmente volta alla ricerca di temi “generali” e ha rappresentato, inizialmente, un primo piano di lettura comparativa e interpretativa di una certa utilità tra i lavori. Queste tematiche sono: Panopticon/L’architettura che osserva. Su questa tematica ricadono quelle esperienze di progetto, indagate nella storia dell’architettura e nell’esperienza dell’architettura contemporanea, nelle quali l’architettura, spesso svuotata da ogni utilità più contingente, permane come oggetto di osservazione preferenziale del contesto esterno, sia esso un paesaggio, uno spazio urbano, un monumento o un’altra architettura. A partire dalla figura del panopticon, l’edificio “che osserva tutto” fino ai “miradores” del paesaggismo contemporaneo, passando per l’interpretazione voyeuristica dell’uomo lecurbusieriano3, si esplora un percorso teorico e si rileggono alcuni progetti nell’intento di restituire uno specifico compito dell’architettura nella storia, quella di osservare. Promenade Architecturale/L’architettura osservata. In questa tematica sono comprese quelle esperienze architettoniche, al contrario tutte interne all’architettura, che la interpretano come spazio “peripatetico”, come dispositivo rivelatore delle sue parti e dei suoi elementi fondamentali. In tale famiglia di progetti, quindi, l’architettura coincide con l’oggetto osservato sia nella sua collocazione ambientale e nel rapporto tra le parti (dispositio) sia nella sua stessa logica spaziale interna (distributio). Per questo esistono spazi specifici interni ed esterni all’oggetto preposti a questa osservazione, le “promenades”, e assume rilievo l’opticon, l’osservatore, che si muove in questi spazi secondo logiche Adriano Dessì, Materie dell’Architettura - Introduzione
Da principio, i princÏpi Note sull’insegnamento del progetto di architettura
22 > 23
Antonello Sanna, Carlo Atzeni
Più si osserva più si vedrà Louis I. Kahn
I
l mondo accademico nel suo insieme ha sviluppato un atteggiamento critico piuttosto marcato nei confronti dei lavori scientifici che incorporano le esperienze didattiche o che comunque ne prendono le mosse. Si tratta di una posizione talvolta legittimata da esiti poco approfonditi a cui sono giunti alcuni lavori sui prodotti dei laboratori o delle tesi di laurea; ma sul piano epistemologico, negare alla radice la legittimità scientifica di una ricerca utile e profonda sulle attività formative significa ignorare riferimenti ormai assodati sul valore esplorativo e conoscitivo del progetto1. Nelle scuole di Architettura, in particolare, la centralità del progetto è legata ad una moderna concezione della permeabilità continua tra ricerca e formazione e ad una feconda applicazione di uno dei principi più consolidati di una didattica contemporanea efficace e proiettiva, quell’“imparare facendo” che sempre più Scuole iscrivono nelle loro dichiarazioni di principi e di intenti. Come è noto, infatti, è proprio la programmatica e inseparabile relazione tra ricerca ed alta formazione che contraddistingue ab origine l’Università. E la centralità della Tesi nel percorso accademico dell’architetto in formazione, lo speciale investimento comune di docenti e allievi – e persino la stessa accentuata ritualità della Laurea nella sua espressione finale – costituiscono un punto di riferimento che si riverbera non solo sul percorso professionale degli allievi, ma che alimenta e sostanzia l’avanzamento della ricerca scientifica nel suo insieme. Per gli aspiranti architetti il lavoro di fine carriera è momento
116 > 117
Vie d’acqua Paesaggi Lineari
Il presente lavoro si pone come obbiettivo di costruire una base di conoscenza e di indicazioni e linee guida per le vie d’acqua del territorio metropolitano di Cagliari, attraverso lo strumento del ridisegno e della costruzione di scenari di progetto. Il sistema delle vie d’acqua della città di Cagliari costituisce un’importante forma di interazione tra uomo e natura che modella topograficamente la città. Questo sistema “totalmente antropizzato” ha trasformato profondamente l’area sul piano idrologico e geomorfologico, portando nel corso dei secoli al mutare della percezione del paesaggio nella comunità e nel singolo individuo, all’interno di un processo ancora attivo tutt’ora. La dimensione fisica e topografica delle vie d’acqua costruisce una rete di gestione del territorio che agisce linearmente, costruendo un paesaggio lineare fortemente strutturato sul reticolo che da una parte sancisce una non-attraversabilità delle sue sponde, rappresentando una barriera fisica, dall’altra diventa un elemento da percorrere che collega parti di città. La fisionomia di questo luogo, oggettiva e misurabile, diventa identità quando essa stessa è generata dalla percezione, soggettiva, dell’individuo. Quando ogni elemento percepito dal singolo individuo è condiviso nella comunità, esso diventa
Giacomo Congiu, Vie d’acqua, Paesaggi Lineari
proprietà intrinseca del paesaggio: diventa “iconema”1. In tal senso, vediamo nelle vie d’acqua di Cagliari il valore di “iconema” per il paesaggio urbano. Secondo la definizione di Eugenio Turri gli iconemi sono “le unità elementari della percezione che sommate con altre in combinazione, formano l’immagine complessiva di un paese”2. Il paesaggio è quindi la sintesi sommatoria di una moltitudine di unità, elementi le cui caratteristiche rimandano ad una singolarità riconoscibile che può essere culturale, artistica o storica. Essi sono la proiezione della nostra maniera di percepire, proiezione a sua volta della nostra coscienza e cultura. Lo studio ripercorre alcune tappe dell’evoluzione storica del sistema delle vie d’acqua legate al Molentargius, riflette sulla sua riconoscibilità come iconema urbano dal grande valore paesaggistico, e prova ad interpretare come tali evoluzioni e le configurazioni attuali possano prendere forma attraverso l’intervento contemporaneo, mostrando alcune modalità di possibile azione e la costruzione di possibili scenari. Le saline del Molentargius-Poetto, tra Cagliari e Quartu Sant’Elena, sono state il luogo storico della nascita e dello sviluppo di una vera e propria industria ecologica prima di qualsiasi altra forma
126 > 127
Re-local Paesaggi Lineari
Se si guarda al paesaggio nella contemporaneità, dove risulta impossibile scindere la naturalità dallo spazio antropico, immediatamente ci accorgiamo di essere circondati da una enorme quantità di spazi “indecisi” 1 e contraddittori nei quali, nonostante sia evidente il passaggio dell’attività umana nella storia, risulta difficile riconoscere un significato nel nostro tempo a causa dello stato di abbandono. Questi spazi presentano una configurazione di paesaggio definibile come residuo che, come spiega Gilles Clement nel Manifesto del Terzo paesaggio, è il derivato dell’abbandono di un terreno precedentemente sfruttato dall’attività dell’uomo2, il quale ne ha necessariamente mutato la condizione originaria e di conseguenza la struttura fisica. Questa attività può essere di diversa natura, può derivare dalla città, dall’industria o dal turismo, ma anche da impieghi rurali; così può essere residuo un comparto urbano dismesso quanto una landa priva di colture. Possiamo quindi attribuire questo concetto sia a spazi a condizione prevalentemente naturale che antropica e conseguentemente a tutti quelli appartenenti ad una condizione intermedia come le aree periurbane, nelle quali la difficoltà di identificazione della vocazione del suolo, tra urbano e rurale, porta ad una densificazione dei residui.
Nicola Pittau, Re-local, Paesaggi Lineari
In ambito rurale occupano i rilievi non compatibili con le macchine agricole, nonché tutti gli spazi di risulta di quei segni che organizzano il territorio, quali i confini dei campi, i bordi dei canali, le banchine stradali, ecc… In ambito urbano, invece, corrispondono a terreni in attesa di una destinazione o aree la cui costruzione è sospesa per ragioni finanziarie o politiche. In entrambi i casi, derivando dell’abbandono, il residuo evolve rapidamente verso un paesaggio secondario caratterizzato da una forte dinamicità, nel quale si alternano continuamente nuove specie; per questo motivo esso rappresenta uno spazio solitamente eterogeneo e caotico, un ecosistema instabile a scarso endemismo per via delle continue mutazioni. Queste aree, a causa dei lunghi sfasamenti temporali, da una parte vengono coinvolte da processi di ri-naturalizzazione, ricoprendosi di un manto vegetativo incolto che rappresenta una ricchezza ecologica e un rifugio della diversità3, dall’altra da processi di dismissione e deperimento delle strutture e dei manufatti abbandonati, che lentamente si trasformano in ruderi e tracce indefinite. Di conseguenza il residuo si connota solitamente come un paesaggio ad alta entropia nel quale si avverte l’assenza di un senso comune delle cose, che si presentano come un insieme di fatti disgiunti e privi di un