La memoria invece dell’Architettura Quattro case a memoria Firenze, settembre 1977
Il mio lavoro per molti anni è stato d’Architettura. Ho disegnato, letto, guardato, costruito (molto poco). Ho descritto con le parole e coi segni molte architetture. Ho provato a ricordarne quattro. Si sono semplificati i rapporti dimensionali, sono scomparsi i dettagli, ho dimenticato la struttura e i materiali. Riportate sul foglio le architetture non avevano più nulla in comune con le architetture di carta da cui erano partite. Le ho ricostruite in refrattario e le ho fatte cuocere. Poi le ho avvolte in panni bianchi legati con lacci e le ho protette, una per una, in cassette di legno. La prima riproduce un’urna greca a forma di casa trovata ad Argos. La seconda è una casa che ho disegnato quando avevo cinque anni. La terza è una casa progettata quando ancora credevo molto nel fare architettura. La quarta è una casa che ho costruito proprio quando pensavo di non far più architettura.
Memory instead of Architecture Four houses by heart Florence, september 1977
Doing architecture has been for many years my work. I have drawn, read, looked at, built (very little). I have described with words and signs many architectures. I have tried to remember four of them. The dimensional relationships have become simpler, the details have disappeared, I have forgotten the structure and the materials. Brought again on paper, the architectures had nothing in common with the paper architecture from which they had stemmed. I have rebuilt them in refractory clay and I have baked them. Then, I have wrapped them in white shrouds tied with strings and have placed them, one by one, inside small wooden cases in order to protect them. The first one reproduces a grecian urn in the shape of a house found at Argos. The second one is a house I drew when I was five. The third one is a house planned when I still firmly believed in doing architecture. The last one is a house I built when I thought I would not do architecture any longer.
a cura di / edited by Marco Navarra con / with Claudia Cosentino, Dario Felice, Antonio Rizzo
Linea d’ombra
1978-1984: Adolfo Natalini tra il Superstudio e l’Architettura
Shadow line
1978-1984: Adolfo Natalini between the Superstudio and Architecture
Questa pubblicazione è stata realizzata su carta ecologica certificata FSC Printed on environmentally friendly FSC certified
ISBN 978-88-6242-107-2 Prima edizione Novembre 2013 First edition November 2013 © 2013 LetteraVentidue Edizioni © 2013 Marco Navarra © 2013 SDS di Architettura - Siracusa © 2013 foto e testi: rispettivi autori © 2013 photos and texts: their authors È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare. No part of this book may be reproduced or transmitted in any form or by any means (electronic or mechanical, including photocopying, recording or any information retrieval system) without permission in writing form. Trascrizione registrazione / Transcription of the interview registration: Simone Toninato con/with Michael Marturano Revisione testo intervista / Revision of the interview text: Claudia Cosentino Elaborazione disegni per trascrizioni / Processing of drawings for transcription: Claudia Cosentino, Dario Felice, Alessio Marino, Paolo Mercorillo Elaborazione disegni per "4 modelli memoria" / Processing of drawings for "4 models by heart": Lucia Circo, Luisa Coppolino, Fiorella Ruggero Realizzazione modelli per "4 modelli memoria" / Realization of "4 models by heart": Claudia Cosentino, Salvatore Interlandi Traduzioni / Translations: Bianca Maria Curti (p. 16-p. 23, p. 98-p. 112); Valeria Polopoli (p. 1-p. 2, p. 32-p. 41, p. 42-p. 46, p. 175) Progetto grafico / Book design: Francesco Trovato, Raffaello Buccheri, Antonio Rizzo Finito di stampare nel mese di Novembre 2013 presso lo Stabilimento Tipolitografico Priulla S.r.l. (Palermo) per conto di LetteraVentidue Edizioni S.r.l. www.letteraventidue.com Via Luigi Spagna, 50 L 96100 Siracusa, Italy
@letteraventidue LetteraVentidue Edizioni
2
“La memoria invece”. Tre mostre allo studio Franca Pisani / Adolfo Natalini, 1978
16
Terre di confine. Un racconto di formazione / Marco Navarra
24
Trascrizioni / Dario Felice
32
Quattro modelli a memoria / Claudia Cosentino
34
Collezione. Selezione critica di disegni inediti / Antonio Rizzo
42
Progetti di passaggio / Adolfo Natalini
49
Paesaggi istantanei / Peppe Maisto
81
Sulla soglia. Un dialogo / Marco Navarra incontra Adolfo Natalini, 2013
112
“Note in margine al Römerberg Project”. I quaderni bianchi n.10, 1979 / a cura di Adolfo Natalini - Superstudio
161
Appendice / Claudia Cosentino - Antonio Rizzo
Indice Index
2
“Memory instead”. Tre mostre allo studio Franca Pisani / Adolfo Natalini, 1978
16
Borderlands. A coming-to-age tale / Marco Navarra
24
Transcriptions / Dario Felice
32
Four models by heart / Claudia Cosentino
34
Collection. Critical selection of unpublished sketches / Antonio Rizzo
42
Transition works / Adolfo Natalini
49
Instant landscapes / Peppe Maisto
81
On the threshold. A dialogue / Marco Navarra meets Adolfo Natalini, 2013
112
“Note in margine al Römerberg Project”. The white notebook n.10, 1979 / edited by Adolfo Natalini - Superstudio
161
Addendum / Claudia Cosentino - Antonio Rizzo
Terre di confine Un racconto di formazione Marco Navarra
Borderlands A coming-to-age tale
16
1 Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Einaudi, Torino 1970, pp. 102-103. 2. In questa occasione viene pubblicato il catalogo “La memoria invece”. Tre mostre allo Studio Franca Pisani, Firenze maggio 1978. Una selezione di pagine sono state usate come prologo a questo volume.
I suoi agnati d’Eltino, o del Tino, non pesavano nel suo contegno se non come lontane cause, d’un povero effetto; di cui da un pezzo si sono al tutto dimenticate le cause: come, sul suo cognome, i vecchi cippi del camposanto fuori le mura, sparito. E demolite le mura. Così accadde, nei vicoli delle città, che d’un paracarro imprevisto ci si chieda la cagione: ed è, tra superstiti muri, un reliquato di smarrite cagioni. Forse quella correttezza così umana ed inutile, e un po’ triste, era un modo non d’oggi, che veniva di lontano.1 Carlo Emilio Gadda
1. A memoria Nel 1978 quattro modelli di casa costruiti a memoria in argilla refrattaria vengono avvolti in sudari bianchi e sepolti dentro casse di legno. L’architettura diventa un oggetto memorabile, “un reliquato di smarrite cagioni” che, conservato dentro un’urna sacra, proietta a futura memoria contingenze presenti. L’istallazione, che Natalini espone allo Studio Franca Pisani di Firenze2, si nutre del rito e del tempo di costruzione: modellazione e cottura dell’argilla, taglio e cucito delle stoffe, taglio e assemblaggio del legno. L’ostensione su un tavolo coperto di bende bianche con accanto un quaderno aperto intessuto di segni richiama la tensione tra la finitezza della costruzione e l’indeterminazione del disegno.
1. Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Einaudi, Turin 1970, pp. 102-103, published in English under the title “Acquainted with Grief”. A twofold message is conveyed by this short passage written in the usual author’s absolutely personal style. On one side there is plurilinguism, i.e. the capacity of Gadda’s language to hold together learned Italian and dialects, literary language and down-home way of talking; on the other side there is derision of History with a capital “H” that often forcedly reconstructs causes and reasons of facts that actually are casual and reasonless.
I suoi agnati d’Eltino, o del Tino, non pesavano nel suo contegno se non come lontane cause, d’un povero effetto; di cui da un pezzo si sono al tutto dimenticate le cause: come, sul suo cognome, i vecchi cippi del camposanto fuori le mura, sparito. E demolite le mura. Così accadde, nei vicoli delle città, che d’un paracarro imprevisto ci si chieda la cagione: ed è, tra superstiti muri, un reliquato di smarrite cagioni. Forse quella correttezza così umana ed inutile, e un po’ triste, era un modo non d’oggi, che veniva di lontano.1 Carlo Emilio Gadda
2. The catalogue La memoria invece. Tre mostre allo Studio Franca Pisani (Memory Instead. Three Exhibitions at Studio Franca Pisani), Florence, May 1978, was published on this occasion. Pages have been used as a foreword to this book.
1. For posterity In 1978 four house models were built for posterity in refractory clay, wrapped in white shrouds, placed inside wooden cases and buried. Architecture becomes a memorable object, a “remainder of forgotten causes” that, kept into a sacred urn, projects current contingencies in the future for posterity. Natalini’s installation on display at Studio Franca Pisani in Florence2 is nurtured with the rituals and times of construction: modelling and baking clay, cutting and sewing fabrics, and cutting and assembling wood. The ostention on a table laden with white bandages with close to it an open notebook festooned with signs recalls the tension between the finiteness of construction and the indetermination of the drawing.
Collezione
Selezione critica di disegni inediti Antonio Rizzo
Collection
Critical selection of unpublished sketches
34
Paesaggi istantanei Peppe Maisto
Instant landscapes
49
Zola Predosa (BO) 44°29’18’’N 11°13’E – 74 m.a.s.l. October 25, 2013 – h 9:14/11:31 a.m —— temperature 14,6 °C humidity 68% wind NNE 11 Km/h
Alzate Brianza (CO) 45°46’0’’N 9°11’0’’E – 341 m.a.s.l. October 27, 2013 – h 1:30/3:04 p.m. —— temperature 10,2 °C humidity 36% wind SO 6 Km/h
Marco Navarra incontra
Adolfo Natalini Marco Navarra meets
Adolfo Natalini
Studio al Salviatino – Firenze 18 ottobre 2013 – h 16,30/19,00 8 novembre 2013 – 16,00/18,30
Il Salviatino è una terra di mezzo, dove il piano su cui è costruita Firenze s’impenna e sale verso Fiesole con un brusco passaggio. Appena all’inizio di una dritta salita con grandi platani su un lato si apre lo studio di Adolfo Natalini. Ma per arrivarvi bisogna passare piegati in una stretta porticina. Una volta dentro solidi mobili di legno chiaro e grandi quadri sulle pareti illuminati dalla campagna.
MN: Nel libro “Figure di pietra” c’è un tentativo di sistematizzare i temi su cui hai lavorato tra ’78 all’84. I titoli dei cinque capitoli –“I luoghi”, “Gli elementi”, “Le figure”, “La costruzione”, “Il tempo e la memoria”– sintetizzano le sperimentazione che stavi facendo in quegli anni ma anche la proiezione di quello che volevi fare.
AN: “Figure di pietra” è l’unico libro che ho scritto. Se oggi dovessi riscrivere un libro di questo genere, cosa che non mi riuscirebbe assolutamente, la parte centrale sarebbe dedicata alla costruzione, perché quello che ho fatto dalla metà degli anni 80 in poi è stata soprattutto una riflessione sul costruire. Ho lavorato su alcune città storiche italiane Ferrara, Bergamo, Vicenza, Rimini, piccole capitali con un passato fantastico. Il lavoro in luoghi più lontani, la Germania e l’Olanda, mi ha costretto a un esercizio di modestia e a un lungo apprendimento, cercando di comprendere il più possibile culture diverse dalla mia. Ho cercato di imparare una lingua locale che non era solo l’idioma ma era molto altro: le tradizioni, le storie, l’arte del costruire, cercando di acquisire le capacità tecniche di quelle società.
Il titolo “Figure di pietra” è quasi un ossimoro che mette in tensione due mondi: le figure, con il loro richiamo al racconto e alla scrittura, e la pietra direttamente legata alla pratica del costruire.
“Figure di Pietra” è costruito su alcuni artifici retorici, a partire proprio dal titolo. C’è una storia buffa a proposito: mia moglie, madrelingua, traducendo il testo, mi ripeteva che il titolo scelto, in inglese, aveva poco senso. In effetti, il libro gioca molto su figure retoriche. C’è un intero capitolo, le figure, che parla appunto della retorica.
Nella premessa c’è una nota metodologica in cui dici che “il progetto di architettura cerca di comprendere la maggiore quantità possibile di dati significanti, assume poi la responsabilità di sceglierne alcuni come generatori e lavorando su questi sia razionalmente che poeticamente (potrei dire intuitivamente per non spaventare nessuno) corre infine il rischio di ogni creazione.” Cosa pensi oggi di questa definizione?
È una visione del progetto che penso di avere ancora, nonostante abbia acquisito altri strumenti e cognizioni per cui ritengo di non poter più assumermi rischi. Il lavoro d’architettura impegna una tale quantità di tempo, di energie, di denaro e di vite umane che il rischio deve essere ridotto al minimo e questo vuol dire rinunciare alla sperimentazione inutile per concentrarsi sull’indispensabile. Non mi interessa cercare l’originalità, come spesso accade nell’architettura contemporanea, ma tutt’al più l’originarietà: un modo per tornare alle radici delle nostre esperienze, nel tentativo di far coincidere la memoria individuale con quella collettiva.
Ritieni che questo atteggiamento possa dare risposte anche alle rapide mutazioni di questi anni? Considera ad esempio i nuovi strumenti digitali e il mondo del web che, come nuove protesi umane, stanno modificando radicalmente la cultura materiale della nostra società. La ricerca dell’originarietà può dare risposte utili anche a queste nuove trasformazioni?
Secondo me sì. Il bisogno di un ritorno alle origini c’è per tutti. Ognuno di noi ha delle pulsioni nascoste che affondano le radici in un passato plurimillenario. Progettare e costruire un’architettura oggi vuol dire avere coscienza di tutte le possibilità tecniche che abbiamo a disposizione per poterle usare quando sono necessarie. Spesso ho l’impressione che oggi qualsiasi costruzione viene affrontata come se dovesse essere una stazione spaziale da mandare sulla luna. Non è così, non c’è un grande bisogno di sofisticazione o di modernità.
L’architetto come rabdomante Note in margine al Römerberg Project I quaderni bianchi n.10, 1979
Michelangelo trovava la statua nel blocco di marmo. La scultura come arte del togliere il superfluo. Forse l’architettura è già nei luoghi: dobbiamo solo ritrovarla. La bacchetta del rabdomante vibra indicando la direzione dell’acqua o vibra poiché immette acqua nella vena sotterranea? Le radici del progetto sono nei libri e nell’architettura, sono nel luogo e nella memoria dei molti che in questo luogo hanno agito. Il progetto è architettura parlante, raccontando l’architettura in forma di libro.
The architect as water-diviner Note in margine al Römerberg Project White notebook n.10, 1979
Michelangelo found his sculpture within blocks of marble. Sculpture as the art of removing the superfluous. Perhaps architecture already exists in places: we only have to find it. Does the water-diviner’s rod vibrate indicating the direction of water, or does it inject the water into the underground stream? The project has its roots in books and architecture, in places and in the memories of the many who have acted out their lives in each place. The project is architecture that speaks, telling of architecture in the form of book.