Paesaggi Aperti è un progetto di ricerca dell’Istituto Nazionale di Architettura IN/Arch e IN/Arch Sicilia vincitore del bando FRES “Fondo per la ricerca in campo economico e sociale” annualità 2021 e 2022 - Decreto Direttoriale n. 2863 del 1 dicembre 2021, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca | Domanda FRES2021_0000009 | Codice CUP: I53C23002210001
Gli autori hanno partecipato pariteticamente all’impostazione del volume. La responsabilità del lavoro sulla Sicilia Occidentale e su Danilo Dolci è di Lucia Pierro, la responsabilità del lavoro sulla Sicilia Orientale e della restante parte del volume è di Mariagrazia Leonardi.
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in nessuna forma e con nessun mezzo senza esplicita autorizzazione. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyright delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa.
Progetto grafico: Francesco Trovato
Immagine di copertina: Lucia Pierro
LetteraVentidue Edizioni S.r.l.
Via Luigi Spagna, 50P 96100 Siracusa
www.letteraventidue.com
Paesaggi Aperti
comunicazione
partecipazione
empowerment delle comunità
Lucia Pierro
Mariagrazia Leonardi
Prefazione
Andrea Margaritelli
Paesaggi Aperti: Ricerca e Azione
Introduzione
Mariagrazia Leonardi
Paesaggi Aperti per costruire comunità
Lucia Pierro
Provare a rimpastare sabbia e sogni
Amico Dolci
La città esistente è la città futura
Mosè Ricci
Paesaggi Aperti per una giustizia ambientale e culturale
Beatrice Fumarola
I casi studio
Paesaggi Aperti per Abitare Favara
Lucia Pierro
Favara. Appunti per rigenerare luoghi e comunità
Giovanni Fiamingo
A Platform for Change per Paesaggi Aperti
Andrea Bartoli
Paesaggi Aperti per Antico Corso a Catania
Mariagrazia Leonardi
Terra. Piazza Montessori a Catania
Giovanni Fiamingo
San Berillo è Catania.
L’esperienza del Laboratorio di “Analisi sociologica e metodi per la progettazione del territorio”
Carlo Colloca, Valentina Pantaleo, Natalia Cocuzza
Antonio Presti: educare alla bellezza a Librino, Catania
Mariagrazia Leonardi, Antonio Presti
Palermo: Paesaggi Aperti alla comunità
Lucia Pierro, Marco Scarpinato
Paesaggi Aperti: riflessioni, e confronto nelle città di Ragusa, Enna e Siracusa
Ignazio Lutri, Maurizio Caudullo
Conclusioni e Prospettive
Mariagrazia Leonardi, Lucia Pierro
Profili Biografici
Credits Partner e collaboratori
Prefazione
Andrea Margaritelli
L’Istituto Nazionale di Architettura porta inciso nel proprio DNA, a partire dal suo atto di nascita siglato da Bruno Zevi nel 1959, il riconoscimento primario del valore sociale dell’Architettura1.
Paesaggi Aperti, vincitore del bando FRES - Fondo per la Ricerca in campo Economico e Sociale finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca2, è un progetto culturale di largo respiro che ha reso tangibile questo principio, e che nel 2024 ha scelto come protagonista il territorio della Sicilia, nel centenario della nascita di Danilo Dolci, emblema di una militanza attiva, insieme tecnico-organizzativa e spirituale.
Danilo Dolci dimostrò con i fatti il valore di parole chiave quali partecipazione attiva dal basso e coinvolgimento delle comunità nei processi che generano qualità dell’architettura, dell’urbanistica, del paesaggio, e dunque qualità della vita.
Bruno Zevi era particolarmente legato alla sua persona e al suo pensiero, è coniò per lui una delle definizioni al tempo stesso più sintetiche ed efficaci, riconoscendogli con ammirazione la qualifica di “architetto di uomini”. Meritano in particolare di essere recuperati e riletti alcuni suoi brani in cui la figura di Danilo Dolci offre a Zevi lo spunto per riflessioni sofferte, quanto ancora oggi attualissime, sul ruolo e senso profondo dell’Architettura.
Tra questi: «Evitiamo il pericolo di creare un mito di comodo per liquidarlo. Basta dire: “è un essere superiore, un apostolo, un eroe” per sottintendere: “noi, con lui, non c’entriamo”. Si tratta invece di un architetto, come noi, che ha optato per una via alternativa senza la quale l’architettura scade nel mestierantismo avaro, perde ogni forza di “profezia”, ogni ruolo di promozione civile, diviene un mezzo sconsolato per campare magari agiatamente, ma privi di felicità»3.
«Ebbene, Danilo Dolci rappresenta una rivoluzione nel dopoguerra, e troppo pochi ne comprendono le finalità. Hanno paura di constatare la frattura tra contenuti e forme, tra case e abitanti, tra arte e società, di acquistare un nuovo polo di riferimento umano e sociale, un’esperienza mediata ma preziosa e quasi indispensabile, che può dare imprevedibili frutti nella creazione di un nuovo linguaggio, di un’architettura più generosa e feconda»4.
«Osservava Sandro De Feo che in Italia santi e tecnici seguirono quasi sempre strade diverse […] da noi, salvo poche eccezioni, i santi non furono tecnici, e i tecnici rimasero ben lontani dalla santità. Se Danilo Dolci fosse
un santo, dedito essenzialmente all’agitazione e alla protesta, ne avremmo ugualmente sostenuto la lotta, perché, in un paese così disincantato, di santi abbiamo comunque bisogno. Ma l’originalità di Danilo consiste nel fatto che dal terreno della tecnica, in cui ha vissuto fino alla soglia della laurea in architettura, è passato alla via missionaria, e questa lo ha riportato ad interessi tecnici ed organizzativi. Egli dimostra che, nell’ambito di un programma in cui le popolazioni siano soggetto e non più oggetto degli interventi, modificando una coltura agraria o costruendo una piccola industria o una diga, si possono conseguire, con spese assai inferiori, obiettivi irraggiungibili con i piani dall’alto»5
Il progetto di ricerca Paesaggi Aperti ha toccato, nell’arco dell’intero 2024, in maniera larga e profonda, il territorio siciliano. Larga per l’ampiezza della copertura geografica, avendo la manifestazione abbracciato l’intera regione; profonda per l’intensità del coinvolgimento emotivo e la partecipazione dei tanti e diversi strati della popolazione.
Architetti, urbanisti, amministratori pubblici, ma soprattutto cittadini e ragazzi delle scuole si sono ritrovati attorno a una stessa idea democratica della cultura del progetto, attenta alle ricadute sociali e capace di migliorare la qualità della vita delle persone.
Grazie all’impegno corale di tanti membri di IN/Arch Sicilia, guidato dalla generosa perseveranza della presidente Mariagrazia Leonardi, e al sostanziale supporto di istituzioni, ordini professionali e associazioni culturali del territorio, nell’arco di dodici mesi la manifestazione ha saputo attivare una grande quantità di energie umane e mettere a terra semi importanti realizzando diciassette seminari, tre mostre e due workshop di progettazione oltre a una ricca serie di laboratori sociali, fotografici, artistici, alcuni dei quali espressamente rivolti ai bambini. Semi che ora attendono solo di essere coltivati e fatti germogliare.
3. Cfr. Danilo Dolci: la pianificazione dal basso in Editoriali di architettura, Einaudi, Torino, 1979; Zevi Bruno, su Danilo Dolci in “L’Architettura Cronache e Storia”, n. 21, 1957.
4. Cfr. Zevi Bruno, Editoriali di architettura, op. cit.; Zevi Bruno, Danilo Dolci, membro effettivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica in “L’Architettura Cronache e Storia”, n. 23, 1957, Zevi Bruno, Venticinque anni dall’arrivo di Danilo Dolci in Sicilia in “L’Architettura Cronache e Storia”, n. 257, 1977.
5. Cfr. Zevi Bruno, Editoriali di architettura, op. cit. Per approfondimenti cfr. Leder Francesca, Città e territorio: pratiche di autostrutturazione comunitaria nella Sicilia Occidentale. Danilo Dolci e il Centro di Studi e Iniziative sulla piena occupazione (1958-1968) in “Spazi che abilitano”, “Tracce urbane. Rivista Italiana transdisciplinare di studi urbani”, La Sapienza Università di Roma, n. 3, 2018; BottigLieri Lorenzo, Danilo Dolci Architetto: dal Circolo Maieutico alla Città-territorio, 2016, Tesi di laurea magistrale in Architettura Costruzione e Città, Politecnico di Torino, relatore Giuseppe Cinà, https://www.academia.edu/42891315/ Danilo_Dolci_Architetto_dal_Circolo_Maieutico_alla_Citt%C3%A0_Territorio.
Il progetto di ricerca Paesaggi Aperti, ideato e realizzato dall’Istituto Nazionale di Architettura IN/Arch con IN/Arch Sicilia, è stato rivolto a sviluppare un modello multidisciplinare di formazione e trasferimento di conoscenze volto a implementare le “Comunità di patrimonio”, secondo i principi della Convenzione di Faro1, sfruttando la complessa rete di relazioni fisiche, economiche e sociali locali con pratiche collaborative nel paesaggio.
Nel rileggere l’attività che il sociologo Danilo Dolci ha promosso in Sicilia dagli anni Cinquanta in poi, il lavoro di ricerca e azione si è basato su comunicazione, partecipazione ed empowerment delle comunità per proporre attività che esplorano l’attuale condizione sociale della Sicilia anche in considerazione della crisi innescata dalla pandemia. Le condizioni del meridione si sono aggravate con l’emergenza sanitaria Covid-19 che, dal 2020 in poi, ha ulteriormente depauperato un già fragile contesto, devastando lo status economico e sociale dei territori, creando problemi di impoverimento e isolamento sociale con conseguenti risvolti a livello di disaffezione e perdita del senso d’identità e appartenenza soprattutto nelle fasce deboli ed emarginate della popolazione. La Convenzione Europea del Paesaggio definisce all’art.1 il paesaggio come «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni», all’art. 2 cita: «…Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati». Gli elementi fisici, biologici, antropici, sociali, culturali, storici, testimoniali, estetici ed economici fanno dunque parte e definiscono nel loro insieme la nozione di Paesaggio2. Il Paesaggio è quindi “tutti” e “tutto” e appartiene a tutti gli individui che in esso vivono e si riconoscono; costituisce una memoria materiale e immateriale che è l’identità di ciascuno di noi.
Bruno Zevi durante il suo intervento al Convegno “Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura” di Modena sostiene lo sviluppo di “progetti aperti”, frutto di saperi interconnessi e non divisi, di studi aperti e liberi,
multiscalari e multidisciplinari. È necessario “saper vedere l’architettura” e “saper vedere il territorio”3.
Dolci configura un metodo di lavoro che permette l’empowerment di persone generalmente escluse dal potere e dalle decisioni partendo dalla non violenza, dal reciproco apprendimento, dall’autoanalisi popolare e dall’ascolto creativo, che definiscono il metodo “maieutico reciproco” capace di coinvolgere le comunità rendendole soggetto attivo e compartecipe nella definizione di un progetto che investe, al contempo, spazio e società.
Paesaggi Aperti è nato quindi da una visione partecipativa, multidisciplinare e multiscalare, del processo di trasformazione di porzioni di paesaggio urbano periferiche e, o degradate per educare alla bellezza e alla cultura della qualità degli ambienti di vita, nel tentativo di costruire o ricostruire paesaggi da abitare4.
Tra gli obiettivi del progetto vi è stato quello di restituire il senso di identità e di appartenenza attraverso una organica strategia di innovazione sociale, sostenibilità e innesco di strumenti utili alla riattivazione dell’occupazione per l’inclusione con una serie di progetti di rigenerazione innescati da contenuti culturali e sociali, oltre che fisici, dei territori interessati.
Per realizzare le attività è stata quindi creata, e poi alimentata, una rete territoriale partecipata, coinvolgendo i diversi interlocutori sociali presenti e, attivando nuove iniziative virtuose grazie al dialogo, al confronto e allo scambio di buone pratiche.
Ulteriore finalità di Paesaggi Aperti è stata quella di monitorare con eventi periodici lo stato di avanzamento delle attività proposte. Attraverso la realizzazione di molteplici eventi si è voluto infatti costituire l’innesco di un processo di rigenerazione culturale e sociale dei contesti interessati dal progetto nelle diverse province del territorio siciliano. Fondamentale è stato il coinvolgimento di associazioni e stakeholders le cui competenze sono state implementate attraverso la sensibilizzazione verso l’adozione di modelli sostenibili e basati sulla partecipazione. Ulteriore contributo e sostegno è stato fornito dagli enti locali, dalle associazioni e dalle istituzioni (università, ordini professionali, istituti scolastici).
Obiettivo strategico del progetto di ricerca è stato il rafforzamento del tessuto associativo presente nel territorio, che costituisce un presidio per dare continuità alle iniziative.
La forza di Paesaggi Aperti è stata quella di mettere a sistema, in meno di un anno, ventuno partner tra Istituzioni pubbliche e private, Accademie, Università, Associazioni, Fondazioni, Ordini professionali e di collaborare con altre ventisette realtà che, in modo trasversale e multidisciplinare, si occupano di tutela, governo del territorio, di empowerment sociale e culturale, con un lavoro di squadra, messo a sistema da IN/Arch, che ha permesso di individuare, pur nelle evidenti peculiarità dei differenti ambiti di intervento, le strategie di ricerca e azione capaci di stimolare processi di rigenerazione culturale e sociale dei contesti indagati, settando una metodologia operativa inclusiva fondata sul dialogo variamente adattabile a ciascun contesto.
La collaborazione tra i diversi attori territoriali coinvolti costituisce un osservatorio partecipato che potrà essere un utile strumento di ausilio, confronto e monitoraggio nell’ambito del rinnovo degli strumenti pianificatori ai sensi della riforma urbanistica regionale del 2020.
Tra le finalità del progetto vi è stata anche quella di creare un contenitore digitale, una piattaforma web in costante aggiornamento che documenti buone pratiche e sia occasione di confronto e relazione tra soggetti differenti e mezzo di progettazione e comunicazione condivisa. La piattaforma serve anche a divulgare, monitorare e documentare i percorsi svolti5.
Le attività offerte nell’ambito della ricerca hanno cercato di rispondere alla domanda del fragile territorio siciliano di ritrovare la propria identità adattandola al contesto e all’emergenza vissuta con la pandemia con workprojects multidisciplinari che, partendo da una lettura dei bisogni di ciascun territorio analizzato, hanno cercato di sviluppare delle progettualità reali, sostenibili e durature nel tempo, e con interventi seminariali e laboratoriali.
I workshop multidisciplinari hanno consentito una lettura dei caratteri sociali e fisici del territorio con l’obiettivo di condividere una strategia fondata sulla valorizzazione sostenibile delle risorse antropiche e delle risorse fisiche locali (agricole, ambientali, naturalistiche, del patrimonio edilizio esistente).
Gli interventi seminariali e laboratoriali sono stati concepiti in forma partecipativa con gli stakeholders e i potenziali soggetti target del progetto e sono stati a volte accompagnati da mostre, proiezioni o esposizioni a
carattere temporaneo volti ad innescare momenti di riflessione e a favorire il confronto, il dibattito e l’analisi di buone pratiche.
Il progetto si è proposto anche di individuare aree pilota dove compiere una sperimentazione applicativa del percorso di ricerca. Le aree in particolare sono state: Via Reale e il centro storico di Favara, nella Sicilia Occidentale, in provincia di Agrigento, e il Quartiere Antico Corso a Catania per la Sicilia Orientale. Il workshop progettuale “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” ha trattato il tema della rigenerazione del sistema urbano lungo Via Reale nel centro storico della cittadina. Un antico asse oggi degradato, pericolante e quasi inaccessibile per il crollo di gran parte delle abitazioni in abbandono. Un tempo era però una delle principali vie cittadine. Nonostante tutto in questa porzione del centro storico di Favara, permangono le tracce del compatto tessuto connettivo della città antica. Una memoria da rinnovare nel delineare strategie di rigenerazione urbana per riabitare e risignificare i luoghi. Tra le sfide affrontate: il degrado urbano, i cambiamenti climatici, il declino demografico e l’integrazione sociale dei migranti.
Il Quartiere Antico Corso, a Catania, con le sue molteplici stratificazioni, archeologiche, monumentali e sociali, costituisce un terreno di ricerca ed azione per sviluppare pratiche laboratoriali volte a delineare ulteriori visioni urbane rigenerative e inclusive.
Il focus del workshop di rigenerazione urbana è stato lo spazio pubblico che si innesta tra i grandi interventi di ristrutturazione urbana previsti dalla
Catania. San Berillo. Seminario “Paesaggi Aperti per San Berillo” presso “Trame di Quartiere”.
Legge Regionale 13 del 2015 per il quartiere, il verde pubblico, la fruizione delle numerose presenze archeologiche che permangono nell’area, la valorizzazione paesaggistica delle tracce della colata lavica che nel 1669 travolse Catania. Si è intervenuto sui vuoti urbani di grande valenza per gli abitanti, per le loro necessità ricreative, sociali, culturali.
Importanti casi studio a Catania sono stati anche i quartieri di San Berillo e Librino. San Berillo per Paesaggi Aperti è un quartiere emblematico, un quartiere al centro della città dove sembra di stare ai margini. Le associazioni qui impegnate nella riqualificazione urbana e sociale, attive nell’aggregazione, sono ben consapevoli dei disagi della comunità locale e multiculturale che qui vive. Dalla lettura dei luoghi e con il contributo delle analisi sociali, si punta a realizzare proprio in questo quartiere un urban center, una casa della città, un crovevia della rigenerazione.
Il lavoro che la Fondazione Antonio Presti realizza da anni a Librino ha voluto gettare dei semi per le comunità del quartiere educando alla bellezza e donandola agli abitanti attraverso un progetto di empowerment e di rigenerazione urbana partecipativa che sta portando alla creazione di MAGMA, Museo a cielo aperto dell’immagine e dell’arte contemporanea di Librino, che inizia con la Porta della Bellezza realizzata insieme agli abitanti, agli artisti e ai bambini delle scuole, per riqualificare il viadotto della Tangenziale di Catania che attraversa Librino, per poi riprodursi nelle opere fotografiche Il Cantico di Librino che riproducono i volti degli abitanti e nell’ampliamento delle Porte delle Farfalle e della Conoscenza. Una rigenerazione “umana” attraverso l’Arte contemporanea, la Land Art site specific. La collaborazione con Paesaggi Aperti si è accresciuta con i laboratori di progetto sulla “Librino che vorrei” condotti con le scuole del quartiere e con le esperienze laboratoriali artistiche per la valorizzazione dei futuri spazi pubblici e del viadotto della tangenziale di Catania curate dalla Fondazione Antonio Presti. Le attività laboratoriali e di monitoraggio svolte nelle altre provincie siciliane, Palermo, Enna, Ragusa, Siracusa, sono state occasioni di confronto volte a favorire lo sviluppo di future collaborazioni e di nuovi progetti con focus particolari sulla Sicilia.
Una semina, quella di Paesaggi Aperti, che se alimentata può fare germogliare opportunità di crescita delle comunità e dei territori di riferimento.
Note
1. Per la Convenzione di Faro cfr. https://www. coe.int/it/web/venice/faro-convention.
2. Per la Convenzione Europea del Paesaggio cfr. http://www.ecomusei.eu/ecomusei/ wp-content/uploads/2010/05/convenzione_paesaggio.pdf.
3. Cfr. Zevi Bruno, Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura, Canal&Stamperia Editrice, 1999; SaLimei Guendalina,
Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura: un progetto aperto, DIAP PRINT, 2019.
4 eckBo Garrett, Landscape for living, F.W. Dodge Corporation, USA, 1950.
Progettato per valorizzare il patrimonio culturale e le competenze territoriali, Paesaggi Aperti si configura come un’iniziativa multidisciplinare finalizzata all’analisi e alla promozione delle esigenze comunitarie, garantendo un approccio partecipativo e condiviso tra gli attori coinvolti nei processi di pianificazione, trasformazione e gestione dello spazio abitato. Per il raggiungimento di tale obiettivo, si è ritenuto strategico implementare un sistema di comunicazione orientato al riconoscimento del valore storico-relazionale1 derivante dall’interazione tra molteplici identità, narrazioni e tradizioni, la cui espressione si manifesta nelle configurazioni urbane e nella morfologia del paesaggio inteso come «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni»2.
L’intero processo è stato sviluppato anche attraverso un percorso di analisi e reinterpretazione critica dell’esperienza comunitaria promossa in Sicilia da Danilo Dolci a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Tale esperienza, precorrendo un approccio olistico ed ecologico, ha introdotto pratiche di collaborazione e partecipazione attiva, configurando il paesaggio come un sistema complesso di interazione tra elementi antropici e naturali. Questa rilettura ha consentito di approfondire la rilevanza contemporanea di tali modelli operativi, evidenziandone l’applicabilità nei contesti attuali e, in special modo, nelle pratiche di rigenerazione urbana.
Prima di stabilirsi in Sicilia per dedicarsi all’articolato progetto di rinascita comunitaria che, pur muovendo dalla Valle dello Jato, lo porterà a contatto con diversi protagonisti del dibattito politico e culturale nazionale e internazionale, Danilo Dolci ha studiato architettura al Politecnico di Milano decidendo di abbandonare gli studi a pochi passi dalla laurea per raggiungere prima il villaggio comunitario Nomadelfia3 e, successivamente, Trappeto – piccola cittadina in provincia di Palermo – dove si impegna a combattere quelle condizioni di estrema povertà che, alcuni anni prima, aveva
conosciuto giungendo in questi luoghi al seguito del padre che vi lavorava come capostazione.
Uomo di pensiero e azione, Dolci fu sociologo, poeta, educatore e, come lo definì Bruno Zevi, “architetto di uomini”4 e sviluppò una progettualità multilivello, basata su processi di comunicazione e reciproco ascolto con le comunità locali. Il percorso indicato parte quindi dalla consapevolezza che, per contribuire alla trasformazione democratica dei luoghi e della comunità che li abita, occorre sviluppare le potenzialità creative di ciascun individuo. Per questo si è impegnato a promuovere una cultura democratica partendo dall’educazione di adulti e bambini attraverso la “maieutica reciproca”: un metodo basato sulla comunicazione e il reciproco apprendimento.
L’interesse di Dolci per la Sicilia non scaturisce da una consapevolezza esclusivamente politica legata alla cosiddetta “questione meridionale”, ma si inserisce in una prospettiva teorica più ampia, secondo cui la storia è caratterizzata da cicli ricorrenti in cui «i potenti parassitano i più deboli». In risposta a questa dinamica, Dolci avvia un processo di indagine partecipata, interrogando le fasce più marginalizzate della società e sviluppando un metodo di conoscenza diretta dei contesti territoriali e sociali. Tale approccio, inizialmente spontaneo e poi progressivamente strutturato, diventa una componente essenziale della sua azione in Sicilia, un territorio caratterizzato da forti dicotomie – tra luce e ombra, tradizione e innovazione, cultura e disuguaglianza – che ancora oggi rappresenta un campo di sperimentazione privilegiato per l’elaborazione di strategie di riscatto sociale e culturale.
Inizialmente, l’attività intrapresa a Trappeto, in contrada Borgo di Dio, è in continuità con l’esperienza compiuta a Nomadelfia. Anche in questo caso, infatti, Dolci raccoglie un primo gruppo di disagiati del luogo e con loro
costruisce una prima casa-asilo dove assistere e istruire i bambini più poveri del paese. Parallelamente, inizia un’indagine sulle condizioni socio-economiche dell’isola con inchieste e ricerche raccolte in opere radicali e polemiche che lo portano alla ribalta nazionale e internazionale risvegliando interesse e anche odi profondi nei suoi riguardi. Si tratta di opere di denuncia come Fare presto (e bene) perché si muore, Banditi a Partinico, Inchiesta a Palermo e Spreco, scritti in cui l’uso delle storie di vita e del racconto in prima persona serve a indagare e documentare le condizioni degli “ultimi”. In questi lavori l’intreccio tra la biografia, la storia locale e la storia globale restituisce il filo conduttore di un modo di guardare e interpretare il mondo in cui non esistono storie maggiori o minori, sapere aulico e sapere popolare ma dove ciascuna esperienza contribuisce a comporre il mosaico di una realtà complessa. Le indagini condotte da Dolci evidenziano come le criticità del territorio non derivino dalla scarsità di risorse, bensì dalla loro gestione inefficace e dallo “spreco” colpevole che di esse si fa5. In questo contesto, il lavoro di Dolci non si limita a documentare la realtà esistente rappresentando dunque “ciò che è”, ma si orienta verso la costruzione di una prospettiva trasformativa, stimolando la comunità locale a immaginare scenari alternativi e soluzioni inedite volte a definire «ciò che potrebbe essere» e «ciò che non è ancora»6. Emblematica, in tal senso, è l’intuizione emersa durante un incontro collettivo, quando un anziano contadino propose l’idea di un grande bacino di raccolta delle acque piovane, altrimenti disperse in mare. Da questa visione prende forma il progetto condiviso della diga sul fiume Jato, realizzata in soli cinque anni grazie a un’intensa mobilitazione caratterizzata da marce, digiuni e azioni di protesta non violenta, culminate nell’arresto di Dolci con l’accusa di aver promosso uno “sciopero alla rovescia”, ritenuto illegale. Dolci definisce la Diga sullo Jato «leva per il cambiamento strutturale della Sicilia» e, difatti, le battaglie per l’acqua sono la prima grande prova dei risultati ottenibili grazie al processo partecipativo messo in atto in Sicilia. La popolazione locale, fino a prima rassegnata a un futuro di mafia e miseria, si fa promotrice di un processo di riscatto sociale e, parallelamente, il processo
a Dolci ne pubblicizza l’attività richiamando l’attenzione e il sostegno finanziario e morale di numerosi intellettuali e attivisti. Grazie alla difesa sostenuta da Piero Calamandrei il processo solleva l’interesse nazionale e internazionale sulla Sicilia di quegli anni e spinge a interrogarsi sul valore dell’articolo 4 della Costituzione7, mentre il percorso di realizzazione della Diga costituirà una tappa fondamentale per la crescita dell’intera comunità e permetterà a Dolci di avviare una serie di rapporti e collaborazioni destinate incidere sulle future attività.
Nel 1958 Dolci è insignito del “Premio Lenin per la pace” e destina l’intera somma per fondare a Partinico il Centro Studi e Iniziative per la piena occupazione che, avvalendosi anche dell’aiuto economico di sostenitori sparsi tra l’Italia e l’Europa, estende la sua attività nei comuni di Roccamena, Corleone, Menfi, Cammarata e San Giovanni Gemini8. Dolci e i suoi collaboratori lavorano sull’educazione della comunità locale e, nel terreno di Borgo di Dio, accanto alla prima casa-asilo, erigono un capannone di oltre 300 posti, dove, oltre a tenere incontri e assemblee, viene istituita la prima Università Popolare d’Italia. In questo luogo, nel 1968, è costruito il Centro di Formazione per la Pianificazione Organica di Borgo di Dio un complesso architettonico che ospita residenze temporanee, sale per il lavoro, laboratori e un asilo per l’infanzia il cui progetto è affidato all’architetto milanese Giorgio Stockel9, giovane allievo di Bruno Zevi, che proprio da questi viene segnalato a Danilo Dolci come professionista disponibile ad aiutarlo nell’impresa. Il centro ospiterà incontri volti a promuovere lo sviluppo delle comunità attraverso l’organizzazione di laboratori maieutici messi a punto come pratica educativa attiva che coinvolge adulti e bambini, professionisti, intellettuali10 e gente comune, trattandoli allo stesso livello, poiché tutti possono contribuire all’interpretazione della realtà e alla risoluzione del problema indagato. Le peculiarità di questa modalità di coinvolgimento dal basso si esprimono
compiutamente all’indomani del terremoto della Valle del Belice allorquando il Centro si mobilita per le zone terremotate con marce di protesta e digiuni collettivi ed anche attraverso l’elaborazione di un piano di sviluppo e ricostruzione – il “Piano di sviluppo democratico per le zone terremotate” – che, dopo esser stato discusso nelle piazze e strade dei paesi interessati durante i così detti “50 giorni di pressione”, è presentato alle autorità competenti.
Agli inizi degli anni Settanta, la fondazione del Centro educativo sperimentale di Mirto a Partinico costituisce il naturale approdo dell’esperienza di ricerca e azione condotta da Dolci in Sicilia, applicando i temi della partecipazione, della pianificazione dal basso, dell’ascolto e della maieutica reciproca all’educazione scolastica. Il metodo messo a punto da Dolci trova, infatti, una completa applicazione nel processo di realizzazione di questo centro costruito per realizzare – con il coinvolgimento di bambini, ragazzi e famiglie – un’esperienza collettiva di trasformazione delle condizioni sociali, culturali ed economiche del territorio proprio a partire dalla scuola.
L’utopia di Mirto è avviata con l’ambizione di un programma che avrebbe dovuto coinvolgere tutte le fasce di età, contemplando la scuola dell’infanzia, la primaria e la media. Tuttavia, a causa dei problemi economici insorti nel corso della realizzazione, l’esperienza si fermò alla costruzione di uno solo degli edifici programmati. Sin dalla fase ideativa, il Centro educativo di Mirto rappresenta una “scuola di democrazia” per i partecipanti alle riunioni maieutiche11; il primo incontro pubblico si svolge nel Natale del 1970, alla presenza dell’ingegnere Giancarlo Polo e dell’architetto Giovanna Polo-Pericoli, cui è affidata la conduzione del progetto. Seguiranno altri incontri che, supportati da modelli e disegni da discutere con i partecipanti, permettono di registrarne le esigenze raccogliendo suggerimenti utili al perfezionamento
del metodo educativo e del progetto architettonico che acquista la dimensione di una nuova utopia collettiva.
Pur essendo generati nel serrato confronto con la cultura e le specificità locali, i progetti promossi da Dolci sono l’esito di una fitta rete di relazioni con una vasta cultura, di dimensione nazionale e internazionale, la dimensione isolana è, dunque, solo apparentemente “isolata”, periferica e marginale. La Diga sullo Jato, il Borgo di Dio e il Centro Educativo di Mirto testimoniano la capacità di attrarre, all’interno di una dimensione locale, temi e dibattiti di portata internazionale con l’obiettivo di avviare un percorso di riscatto volto a trasformare l’emergenza in risorsa e strumento di progetto del futuro. Quello di Dolci fu un lavoro caratterizzato dalla dimensione sociale e politica di un diverso modo di fare architettura e progettare, un invito a guardare la realtà con “occhi nuovi”, ribaltando l’apparente perifericità in una “diversa centralità” ove i problemi possono diventare risorsa.
Partendo da una realtà apparentemente marginale, periferica e isolata, grazie a un metodo di lavoro basato sul reciproco apprendimento, fu infatti possibile la comunicazione espressioni culturali e specificità locali con forme di cultura di dimensione nazionale ed internazionale. Questo metodo basato sulla partecipazione ha facilitato l’empowerment di comunità spesso escluse dalle decisioni rendendole soggetto attivo e compartecipe nella definizione di un progetto che investe spazio e società.
L’analisi critica dell’esperienza di Danilo Dolci e del suo metodo, fondato sull’ascolto reciproco e sulla comunicazione tra i diversi attori coinvolti nei processi di trasformazione urbana, ha offerto stimoli significativi e un quadro metodologico di riferimento per provare ad intervenire nell’attuale contesto di crisi, sempre più diffusa e pervasiva, che interessa la Sicilia. Questo territorio, grazie alle sue specificità, si configura come un laboratorio privilegiato per la sperimentazione di nuove pratiche di empowerment e partecipazione comunitaria, finalizzate alla costruzione di nuovi Paesaggi Aperti. Tali pratiche mirano a promuovere un approccio basato sull’ascolto attivo e sul cambiamento continuo, elementi essenziali per la vitalità dello spazio e delle comunità che lo abitano e trasformano.
1. Il concetto di valore storico-relazionale, già presente nell’art. 2 della Legge 1089 del 1939 e, successivamente, ampliato con l’introduzione, a partire dal D.P.R. 283/2000 dell’art. 2, comma 1, lettera d) della tutela di beni culturali aventi valore storico-identitario, si esplicita nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio emanato con il D.L. del 22 gennaio 2004 n. 42.
2. Cfr: Convenzione Europea del Paesaggio, siglata nel 2000, art. 1, p. 1, http:// www.convenzioneeuropeapaesaggio.beniculturali.it/ uploads/2010_10_12_11_22_02.pdf).
3. Nomadelfia (il cui significato è “dove la fraternità è legge”) fu fondata da don Zeno Saltini negli anni ’30 del Novecento per ospitare i bambini orfani e abbandonati; a lui si uniscono altri adulti che si offrono di fare da genitori non solo ai propri figli ma anche a questi piccoli ospiti. Nel 1947 l’ormai numeroso gruppo occupa l’ex campo di concentramento di Fossoli vicino Carpi e inizia ad assistere gli orfani di guerra dandosi un’organizzazione simile a quella dei kibbutz e dei falansteri e delineando così un modello di vita ove non esiste la proprietà privata, non si utilizza il denaro e dove la cura di anziani e bambini è condivisa nella comunità. Tra i testi dedicati a Nomadelfia cfr: SgarBoSSa Mario, Don Zeno di Nomadelfia... e poi vinse il sogno, Città Nuova Editrice, Roma 1999 e cammertoni Valeria, Perchè Nomadelfia, Artestampa, Modena 2008.
4. Zevi Bruno, nell’Editoriale Un quesito sui contenuti in architettura, in: “L’Architettura Cronache e Storia”, anno III n. 20, giugno 1947, pp. 76-77, utilizza questa definizione e aggiunge che «si può abbandonare l’architettura per seguire la via giusta di Danilo Dolci». Zevi, sostiene e documenta l’esperienza di Dolci in vario modo e, nell’Editoriale successivo, scrive «si tratta di un architetto come noi, che ha scelto un altro strumento di azione, solo apparentemente remoto; una via dell’architettura che dobbiamo comprendere, aiutare, sentire nostra tra le altre possibili vie, poiché senza di essa l’architettura scade nel mestierantismo avaro, perde ogni senso di “profezia”, ogni impegno di trasformazione civile, diviene mezzo sconsolato per campare magari agiatamente, ma senza felicità» Cfr.: Zevi Bruno, Editoriale, in “L’Architettura Cronache e Storia”, anno III n. 21, luglio 1947 n. 22, pp. 148-149.
5. Spreco è il titolo di una delle più lucide opere d’inchiesta e denuncia di Dolci, in essa l’autore descrive la Sicilia dicendo: «Questa terra è come una delle tante sue bambine nei vicoli dei suoi paesi, bellissime sotto le croste, i capelli scarmigliati, nei cenci sbrindellati: e già s’intravede come tra anni quel volto potrebbe essere nobilmente vivo, ma pure come, in altre condizioni, quel volto potrebbe rinchiudersi patito e quasi incattivito.», doLci daniLo, Spreco. Documenti e inchieste su alcuni aspetti dello spreco bella Sicilia occidentale, Einaudi, Torino, pag. 18, 1960. 6. Dolci sottolinea che, durante uno dei tanti incontri di gruppo, un vecchio contadino ha l’intuizione del grande “bacile” (bacinella in dialetto siciliano) per raccogliere le piogge altrimenti sprecate in mare.
La costruzione della diga, che inizia nel 1963, favorisce altresì la nascita del sindacato degli agricoltori e delle prime cooperative autogestite e cantine sociali nell’area del Belice; parallelamente, le lotte per proteggere il cantiere della diga dalle infiltrazioni mafiose conducono alla creazione del Consorzio Irriguo Jato che riunisce 1.700 soci per gestire l’acqua divenuta finalmente pubblica e strappata dal controllo della mafia. La diga, tuttora attiva con una capacità di 72,5 Mmc, raccoglie acque potabili che sono utilizzate dai comuni di Terrasini, Cinisi e dalla zona occidentale di Palermo.
7. Il processo per occupazione abusiva di suolo pubblico intentato contro Dolci e i contadini a seguito dello “sciopero alla rovescia” fa esplodere un vero e proprio “Caso Dolci” che vede numerosi intellettuali italiani e stranieri schierati in comitati di solidarietà e azioni di protesta, tra gli intellettuali sostenitori si annoverano: Ignazio Silone, Ferruccio Parri, Pratolini, Vittorio Sereni, Alberto Moravia, Federico Fellini, Corrado Cagli, Bruno Zevi, Paolo Sylos Labini, Aldo Capitini e Jean Paul Sartre. Si registrano, inoltre, le interrogazioni parlamentari urgenti da parte dei deputati Li Causi, De Martino e La Malfa. Il processo si tiene dal 24 al 30 marzo 1956 presso il Tribunale di Palermo con la difesa di Piero Calamandrei e le testimonianze spontanee in difesa di Dolci rese da parte di Carlo Levi, Elio Vittorini, Norberto Bobbio e Lucio Lombardo Radice. Dolci e gli altri arrestati saranno scarcerati per il riconoscimento di “moventi di particolare valore morale”. L’iter processuale
8. Tra gli altri volumi, Si veda: maZZoLeni Chiara, Un laboratorio di sviluppo comunitario: il centro per la piena occupazione di Danilo Dolci a Partinico, in: “Urbanistica”, 108 e Schirripa Vincenzo, Borgo di Dio. La Sicilia di Danilo Dolci (1952-1956), Franco Angeli, Milano, 2010
9. Giorgio Stockel (Milano 1938) si laurea in Architettura all’Università La Sapienza nel 1965 e apre il suo studio professionale a Roma. In Sicilia, oltre al progetto di Borgo di Dio, tra il 1979 e il 1980, insieme agli artisti Rocco Falciano ed Ettore de Conciliis, ha curato il progetto del Memoriale di Portella delle Ginestre, opera di land art realizzata nel luogo dove, il primo maggio del 1947, durante una pacifica manifestazione contro il
latifondismo, la banda di Salvatore Giuliano sparò uccidendo uomini, donne e bambini. 10. Ai seminari saranno coinvolti, tra gli altri, intellettuali come Elio Vittorini, Lucio Lombardo Radice, Ernesto Treccani, Antonio Uccello, Eric Fromm, Johan Galtung, Emma Castelnuovo, Clotilde Pontecorvo, Paolo Freire, Lewis Mumford.
11. In doLci Danilo, Chissà se i pesci piangono, Einaudi,Torino, 1973 è riportata una selezione delle trascrizioni dei laboratori maieutici tenuti nel 1972 con i soggetti interessati al futuro centro educativo; dai diversi capitoli degli incontri, che s’intitolano Con le mamme; Con bambini e ragazzi; Con insegnanti nelle scuole locali; Con alcuni padri; Tra i professionisti dell’educazione; ecc., emerge il racconto di una comunità che, immaginando un nuovo modo di fare scuola, prova a costruire il suo futuro.
Seguiamo e partecipiamo con interesse alle iniziative organizzate nell’ambito del progetto Paesaggi Aperti: sia quelle in presenza, dove attraverso la visione e l’ascolto di tanti punti di vista (siano essi persone o luoghi fisici), ci si arricchisce in ambiti nuovi sempre carichi di significati per situazioni e contesti a volte affatto diversi; sia quelle online, a distanza, utilissime ormai per essere “comunque” insieme, anche se a volte impegni e distanze renderebbero impossibile l’“esserci ”.
Essere insieme a voi, dunque, per parlare dell’esperienza partecipativa promossa da Danilo Dolci, di quella metodologia che lentamente, molto lentamente (ma incessantemente) ha contribuito a modificare persone e luoghi di quella parte della Sicilia occidentale – e non solo – è importante, per capirne meglio le ragioni e le modalità. Le ricadute sulla rigenerazione dei territori coinvolti sono tuttora evidenti, nonostante in molti casi l’incuria e la pessima gestione delle nuove infrastrutture abbiano in parte vanificato i successi e le conquiste degli anni precedenti.
Il nostro “Centro per lo Sviluppo Creativo - Danilo Dolci”, da oltre 25 anni ormai, si dedica non tanto alla diffusione della figura e dell’opera del suo fondatore – pur storicamente importante, anche sul piano internazionale, sotto diversi aspetti sociologici, economici, artistici – ma piuttosto alla riproposta di quella metodologia di coinvolgimento della popolazione dal basso che dall’“autoanalisi popolare” degli anni Cinquanta e Sessanta giunge fino alla “struttura maieutica reciproca” degli anni Settanta-Novanta. Danilo e i suoi collaboratori per anni hanno dato voce a persone che nessuno ascoltava, quella moltitudine di “poveri cristi ” che lo Stato italiano bandiva dalla società civile non rispettandone la dignità, non creando occasioni di lavoro, non investendo in beni comuni e mantenendola in uno stato di atavica sudditanza, complice il sistema clientelare-mafioso che ancor oggi persiste, nonostante le ripetute denunce e proteste di persone e organizzazioni coraggiose.
I due principali risultati di queste molteplici attività sono la Diga sul fiume Jato, cioè lo sbarramento in terra che ha generato il lago dell’invaso Poma, e il Centro educativo - Mirto, costruito nella campagna di Partinico. La prima opera, finanziata e iniziata nel 1963 dall’allora Cassa per il Mezzogiorno, è nata su impulso della popolazione locale, a seguito di tante proteste e manifestazioni popolari dei primi anni Sessanta volte a richiedere la costruzione di questa prima grande diga: digiuni, marce, varie iniziative e forme di pressione nonviolenta. Caratteristica fondamentale, infatti, del lavoro sociale di Danilo Dolci e del Centro Studi e Iniziative, è sempre stata quella di partire, insieme alla gente, dall’individuazione dei problemi sofferti, facendoli emergere dalla loro stessa voce, dalla loro esperienza, per poi cercarne insieme le soluzioni.
Un lungo periodo di riunioni, incontri, seminari, ha sempre preceduto la messa in atto di qualsiasi nuova iniziativa; a tutti questi incontri settimanali spesso – in certi periodi anche giornalieri – hanno sempre partecipato i cittadini, la gente semplice di Trappeto e Partinico, insieme alle più grandi personalità del mondo culturale, scientifico e artistico che si trovavano a passare in determinate occasioni attraverso quella realtà1.
Nei primi anni Settanta l’acqua democratica già contribuiva a modificare concretamente le condizioni di vita di quelle zone e di quelle popolazioni; un sano sviluppo dell’agricoltura – non basato quindi sull’industria inquinante, sul petrolio – andava crescendo, con la partecipazione attiva della gente; tante cooperative nascevano contribuendo all’innalzamento sia del reddito economico sia del tessuto sociale. Anche questa, in fondo, è stata una “occasione educativa”, partecipativa, che ha coinvolto tutti nel combinare «sogno, acqua e pietre»2.
Pochi anni dopo, in quello stesso contesto, il Centro Studi, vivendo bene a contatto con la comunità – non solo quella locale, ma pure nazionale e internazionale – si è reso conto che era il momento di approfondire, studiare meglio, le problematiche legate al mondo della Scuola, dell’educazione; in una zona in cui statisticamente era ancora più alto il numero di anni di carcere comminati a persona, piuttosto che quelli di scuola, era necessario ripensare tutto dal fondo: di nuovo, senza ricette preconfezionate, ascoltando le persone.
Appena a ridosso del ’68 era certamente giusto protestare in ogni parte del mondo contro una scuola autoritaria, classista, trasmissiva; ma quante erano le proposte alternative, di qualità? Occorreva quindi sognare, immaginare, inventare insieme una nuova realtà educativa, a cui si aderisse volentieri. Ecco allora che, soprattutto tra il 1971 e il 1972, si sono moltiplicate le occasioni d’incontro, di studio, tra “addetti ai lavori” e non; sono state organizzate tantissime riunioni con le mamme, con i papà, con i più piccoli; poi con i ragazzini delle elementari, su fino alle medie e i licei, interrogando anche le maestre, i professori, ma anche gli artigiani, tutti coloro che a vario titolo potessero dare un contributo nel pensare ad una nuova relazione
educativa. E, fatto non trascurabile, si chiedeva a ciascuno di pensare anche agli spazi più adatti affinché queste modalità potessero esprimersi al meglio. Questa mole di lavoro è raccontata nel libro Chissà se i pesci piangono. Documentazione di un’esperienza educativa3: in esso sono riportate le voci dei bambini e delle bambine, dei ragazzi, delle donne e degli uomini che hanno contribuito con le loro riflessioni a creare le premesse per la costruzione di un nuovo Centro Educativo che tuttora è meta di visitatori da ogni parte del mondo. Lì si è sperimentata approfonditamente la metodologia della maieutica reciproca, in cui ciascuno (giovane o adulto) possa crescere esprimendo la propria personalità in relazione ai propri desideri, confrontandoli con quelli degli altri, e cercando di armonizzarli in un “reciproco adattamento creativo.”
Le molte attività del Centenario della nascita di Danilo Dolci (28 giugno 1924 - 28 giugno 2024), svolte nei mesi scorsi in Sicilia e in gran parte d’Italia – ad esempio a Roma, Napoli, Torino, Lecce, Taranto, Milano, ecc. – hanno messo in luce tantissimi di questi aspetti e della loro validità ai giorni nostri. L’attualità delle metodologie e dei percorsi tracciati riguarda i più diversi ambiti del nostro esistere, a cominciare dal come trasformare i desideri, i bisogni, in progetti:
«La città nuova inizia dove un bambino impara a costruire provando a impastare sabbia e sogni inarrivabili».4
Non è forse un caso che Dolci “architetto”, mai giunto alla laurea per pochi esami, negli anni abbia combinato e trasformato le sue molteplici sensibilità poetiche, visionarie, artistiche, musicali, costruttive, in un complesso di attività che, citando Zevi, avete già definito “architetto di uomini”; mi piace allora segnalare un ultimo testo che abbiamo recentemente contribuito a fare esistere: Il Professore e l’Architetto5 e precisare infine che siamo grati al progetto Paesaggi Aperti per le attenzioni e gli studi dedicati al rapporto tra persone e territori, tra spazi e metodologie, ai paesaggi come apertura alle relazioni e ad un nuovo modo di esistere.
Note
1. Tra i nomi che in vario modo hanno aderito direttamente a queste iniziative troviamo ad esempio Aldo Capitini, Norberto Bobbio, Aldous Huxley, Jean-Paul Sartre, Carlo Levi, Ernesto Treccani, Bruno Zevi, Lucio Lombardo Radice, Erich Fromm e ancora tanti, tanti altri.
2. doLci Danilo, Conversazioni contadine (1962) Il Saggiatore, Milano, 2014.
3. doLci Danilo, Chissà se i pesci piangono (1973) Mesogea, Messina, 2018.
4. doLci Danilo, Il Dio delle zecche Mesogea, 2024.
5. damBroSio Giuseppe (a cura di), Tommaso Fiore, Danilo Dolci, Carteggio 1953-1970, Dante & Descartes, Napoli, 2024.
Orazio Carpenzano, Mosè Ricci, Filippo Spaini. Riqualificazione del sistema pubblico di Corso Trento e Trieste a Lanciano (2018). Presentazione per il Workshop Paesaggi Aperti per Antico Corso a Catania.
La città esistente è la città futura
Mosè Ricci
L’azione simultanea di tre fattori decisivi: le crisi socio-economiche, l’emergenza ambientale e la rivoluzione digitale sta cambiando così profondamente i nostri stili di vita e il modo in cui immaginiamo e desideriamo le solide forme del nostro futuro, che tutto il nostro sapere progettuale ci sembra improvvisamente inadeguato sia come strumento interpretativo della condizione attuale, sia come dispositivo in grado di generare nuove prestazioni ambientali, sociali, economiche e nuova bellezza e felicità negli spazi di vita. La pandemia esalta gli effetti delle crisi e accelera quelli della rivoluzione digitale.
Qual è il destino delle discipline del progetto di architettura, città, paesaggio se oggi – e domani sempre di più – il fulcro dello sviluppo urbano non è più la crescita ma la capacità di resilienza e la qualità ambientale? Quando non la costruzione del nuovo, ma l’abitabilità, l’efficienza e la ri-significazione dell’esistente diventano le questioni centrali della produzione edilizia? Possiamo cogliere l’occasione per affermare una visione dello sviluppo non più “degenerativa” -che prende energia e materiali per produrre beni che diventeranno rifiuti-, ma “rigenerativa” che ricicli energia e materiali e che sia capace di coltivare la natura umana e le sue ricchezze sociali e culturali. In altri termini, è possibile pensare oggi a un nuovo statuto per il progetto dello spazio fisico dei nostri habitat?
Nei tempi moderni il genius loci e il genius saeculi coincidono. Le nuove forme d’arte, della città, dell’architettura e della moda hanno creato l’era. Oggi non è più così. Mentre tutto cambia così velocemente nella rete e nei dispositivi di connessione, nello spazio materiale delle città tutto sembra cambiare molto lentamente o rimanere com’è. Raramente la distanza tra gestalt e zeitgeist è stata così drammatica. Il paradigma che lega l’estetica alla proiezione del tempo è crollato e i progetti che creano nuovo valore per una forma già esistente (quando parafrasando Sullivan e poi Venturi la forma accoglie le performance) propongono il superamento degli ideali di modernità e una nuova estetica dell’esistente. Le crisi economiche e ambientali
aggravate dalla pandemia richiedono una logica progettuale orientata al riciclo e alla rigenerazione e stanno gradualmente consumando interesse per il nuovo. L’infinita possibilità di co-plasmare spazi virtuali in Rete sminuisce l’originalità della ricerca formale e mette in discussione il concetto di autorialità come marchio. Oggi tutto questo appare così poco importante e lontano da un’idea di abitare sicura e felice che ci si potrebbe chiedere se c’è ancora bisogno di architettura in Italia come in tutto il mondo occidentale. «(...) La quasi istantaneità dell’era del software inaugura la svalutazione dello spazio (...) La modernità è finita e lascia il vuoto. La dissoluzione dello spazio solido nella rete e l’eccesso di edifici abbandonati o sottoutilizzati quasi annullano la necessità di specializzazioni funzionali e anche di una nuova costruzione dello spazio fisico»1.
Anche Richard Sennet parla della necessità di un Open Urbanism per una città aperta, soprattutto dopo la pandemia. «Un “urbanesimo aperto” per costruire un ambiente flessibile, non sovradeterminato o del tutto definito a priori, così da conservare i benefici del vivere insieme nelle città ma scongiurarne le minacce più pericolose. Quelle derivanti da virus e malattie, ma anche quelle legate agli effetti dei cambiamenti climatici»2.
La trasformazione della città esistente nella città del futuro, come obiettivo di qualità condivisa per la vita nello spazio abitabile, è un’operazione complessa che prevede competenze, strategie e dispositivi progettuali di tipo nuovo. Si tratta di una sfida che mette in valore l’esistente con dispositivi concettuali che lavorano sullo slittamento del senso e su nuovi cicli di vita per gli habitat. Una sfida che considera il contesto come progetto, il paesaggio come infrastruttura che produce valore ecologico e il futuro della città come un progetto collettivo e non autoriale.
Se la città del futuro è quella che già esiste perché abbiamo costruito troppo e in Italia ci sono almeno 9 milioni di case vuote da riabitare prima di costruirne altre e perché ogni nuovo consumo di suolo ha costi ambientali insostenibili, il ruolo dell’urbanistica è quello di occuparsi dell’esistente più che di organizzare la costruzione e il funzionamento del nuovo. Come alle origini, ma in un contesto completamente cambiato (post-moderno, post-pandemico, …) in cui lo spazio abitabile è saturo e il tempo ha almeno velocità diverse -lungo, quasi fermo, per le questioni che riguardano lo spazio fisico che sembra non cambiare mai nelle sue forme sensibili, velocissimo nella rivoluzione digitale e ineluttabile nella cronologia degli avvenimenti di vita- le discipline del progetto -l’urbanistica, l’architettura e il paesaggio- strettamente integrate in una visione ecologica sono/tornano ad essere strategiche per la cura delle città e delle persone che le abitano. Un ruolo che prevede il progetto di rigenerazione dello spazio fisico esistente come competenza scientifica per garantire condizioni dell’abitare sane, comode e felici in città belle e dove si vive bene. Sembra banale ma non lo è.
È una fase che richiede appunto nuovi punti di vista sul domani (i “paradigmi” di Thomas Khun) e una nuova idea di progetto dello spazio fisico.
La società è per ovvi motivi da sempre interessata alle forme dell’abitare, ma sempre di più la qualità del costruito viene percepita come sostenibilità ambientale, economica, e sociale degli interventi.
I valori estetici restano fondamentali, ma stanno rapidamente mutando e cresce il consenso tra gli attori sociali e tecnici su tre parametri del progetto di rigenerazione dello spazio fisico tra loro non oppositivi, ma integrabili: “prestazione, condivisione sociale e narrazione”. Sono criteri che identificano un atteggiamento progettuale anacronistico nel senso di Agamben, anti-grazioso e popolare. Marcano la necessità di rottura con una concezione dello sviluppo urbano essenzialmente fondata sulla costruzione del nuovo. Sono punti di vista sul senso progetto all’epoca del lungo presente quando il futuro che sognavamo per le città non arriva mai e probabilmente non è più quello che vogliamo e l’esistente sembra l’ultimo contesto di intervento possibile per vivere meglio: il “nuovo patrimonio” nelle città. Non può essere cancellato e necessariamente diventa il materiale da costruzione delle nostre visioni progettuali.
Prestazione vs. Funzione
Il “progetto come prestazione” è il paradigma tecnologico declinato come principio concettuale di estetica operativa. L’architettura di “prestazione” versus l’architettura “che segue la funzione”, significa mettere al centro dell’idea di progetto non l’uso ma il risultato innovativo apprezzabile in termini prevalentemente ecologici, ma non solo. È l’evoluzione contemporanea della “Architettura Avanzata” di Manuel Gausa3. Si tratta di una questione che viene sviluppata a livello urbano -dal Piano di adattamento ai grandi cambiamenti climatici BLUE AP di Bologna, dalle politiche per la smart city a Barcellona, dalla Copenaghen bio-città, solo per citare alcuni esempi-, come alla scala architettonica (basta pensare ai protocolli LEED o CasaClima), a quella del design, o anche alla scala del progetto di processo come fa Carlo Ratti con il suo senseable design lab al MIT.
Condivisione vs. Partecipazione
Il “progetto come azione sociale” riguarda ovviamente oggetti di design, fabbricati come quartieri, spazi pubblici e infrastrutture. Si realizza come obiettivo di emancipazione e spesso attraverso processi di azione progettuale condivisa più che di partecipazione. Generazioni come la mia, di architetti e urbanisti cresciuti negli anni della Beat Generation, hanno sempre subito il fascino delle teorie e delle tecniche della comunicazione partecipativa. Da ignorante della materia ho sempre avuto il sospetto che fosse un sistema molto raffinato per convincere gli altri della bontà e della giustizia delle tue idee. Per fortuna il mondo è cambiato, le pratiche partecipative servono sempre di meno e non c’è alcun bisogno di sciogliere questo dubbio. Ora chiunque può prendere parte a qualsiasi decisione con un clic del mouse. La rete è sempre più open source un progetto si può condividere, si può implementare
e migliorare liberamente. La condivisione rappresenta non solo e non tanto il modo di far autorizzare un’opera dai suoi fruitori, quanto il coinvolgimento diretto dei fruitori nel processo di progettazione e realizzazione dell’opera. Certamente in questo tipo di progetti il concetto tradizionale di autorialità viene messo in discussione dalla condivisione del processo creativo e il processo attuativo è spesso autogestito e hic et nunc. E talvolta, come fanno in Italia i Guerrilla Gardening o Consuelo Nava a Reggio Calabria con il collettivo “Pensando Meridiano”. Il progetto si realizza e anche subito, anticipando in qualche modo i lunghi tempi burocratici delle approvazioni e delle concessioni pubbliche.
Narrazione vs. Descrizione
La rete è iperdescrittiva contiene una massa incontrollabile di informazioni che continuamente vengono rielaborate e sovrapposte. Le possibili descrizioni sono infinite e spesso contraddittorie. La narrazione è un dispositivo interpretativo che stabilisce la necessità delle discipline gestaltiche al tempo della rivoluzione digitale dell’informazione condivisa. Il paradigma del “progetto come narrazione” esprime la necessità di caricare di senso il progetto dell’esistente, di far scoprire con nuovi occhi e con figure più marcate quello che c’è già. In questo quadro il rapporto tra costruito e natura in città assume un ruolo strategico e non sempre scontato. Charles Waldheim scrive nel 2016 che è possibile paragonare le città dopo la modernità al disabitato piranesiano. Un luogo apparentemente informale «dove natura e tracce delle epoche precedenti si compongono in un paesaggio denso di significati e persone»4. Il risultato di questo processo di slittamento dall’estetica del “segno” a quella del “senso” conferisce bellezza ad una nuova forma di città-paesaggio, che è l’unica forma sensibile dell’abitare il mondo fisico al tempo del lungo presente, dove le case possono diventare alberi e la natura è l’infrastruttura principale di collegamento tra le persone e la qualità della vita.
Per l’urbanistica, per l’architettura e per il paesaggio insomma è tempo di cambiare passo. Così come l’urbanistica da scienza dell’espansione urbana diventa scienza della rigenerazione della città esistente, l’architettura si ricicla e lavora sul senso di quel che già c’è, il paesaggio provvede ai servizi eco-sistemici. Va da sé che il paradigma ecologico (adattamento al clima, riciclo, riduzione dell’inquinamento, 0 rifiuti, abbattimento del digital divide ecc.) non genera automaticamente buone architettura o belle città, ma è ormai il punto di vista sul presente e sul domani necessario per progettare uno spazio abitabile sano e felice. Il nostro ruolo politico oggi e per almeno tre generazioni ancora non è quello di chiudersi in una presunta assolutezza della disciplina ma rivalutare le sue radici performative, sociali e di significato considerando l’esistente come materiale da costruzione e – almeno da queste parti del mondo – il Mediterraneo come manuale.
4 Waldheim Charles, Landscape as Urbanism, Princeton University Press, 2016.
Conclusione del progetto a RadicePura, Giarre.
Paesaggi Aperti per una giustizia ambientale e culturale
Beatrice Fumarola
Mai come in questi ultimi anni si è parlato tanto, anche tra i non strettamente addetti ai lavori, di città e di paesaggi, e aggiungerei “era ora!” È arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti, condensare tutto questo dibattere in azioni, favorire procedure semplici ma ragionate, e quindi culturali, che consentano di intervenire sui territori con progetti di qualità, ma per farlo occorre che si riconosca il ruolo fondamentale di chi ha le competenze per farlo: architetti, paesaggisti, urbanisti, sociologi, antropologi, artisti, attori che il progetto Paesaggi Aperti ha coinvolto.
Paesaggi Aperti si inserisce nel solco delle azioni dell’Istituto Nazionale di Architettura che parte da lontano, negli ultimi vent’anni, solo per citarne due: - il progetto di alta formazione “Paesaggi sensibili per una nuova intelligenza ambientale” si proponeva di esplorare le potenzialità generate dall’incontro tra architettura e nuove tecnologie per sperimentare un approccio integrato alla questione energetico-ambientale e a quella dell’intelligenza ambientale, per giungere, come progetto di ricerca, allo sviluppo di un ecosistema ibrido, dove habitat e abitanti potessero co-evolvere, sviluppando insieme le soluzioni abitative più favorevoli all’ecologia globale e al comfort individuale.
- “Architettura Europa Ambienti di vita” è il programma, in corso e in continua implementazione, per la cooperazione euro-comunitaria sulla cultura del progetto, che parte dalla convinzione che le trasformazioni equilibrate degli ambienti di vita sono favorite da visioni ampie, informate alla complessità, orientate ad individuare i reali obiettivi comuni e a riconoscere le diversità sociali, culturali, geografiche come valori essenziali.
Paesaggi Aperti, con il suo obiettivo principale volto all’emancipazione delle comunità locali, ha un significato particolarmente importante in quanto finalizzato anche a “costruire insieme” una domanda consapevole di ambienti di vita di qualità, andando a richiamare quella “maieutica reciproca” dolciana,
azione generosa, lungimirante e democratica. Costruire insieme rende tutti partecipi, richiede la comprensione delle comunità, conoscerne la storia, la cultura, i valori, i punti di forza, i bisogni, le aspirazioni. Comprendendo le comunità, si crea fiducia, si individuano le questioni importanti che influenzano il loro benessere e le possibili opportunità, si individuano le risorse di cui la comunità necessita, interne o esterne, materiali o immateriali, finanziarie (le utilities, ad esempio, che gestiscono i grandi servizi delle reti cittadine – acqua, energia, rifiuti, trasporti – possono avere un ruolo importante).
«Oggi le città, non solo le aree metropolitane, ma anche le città medie, reggono se diviene possibile aprire una nuova stagione di investimenti in beni collettivi di cui le utilities devono essere protagoniste»1.
Non è solo un problema di rigenerazione urbana ma di rigenerazione di una coesione sociale adeguata ai tempi, che tenga conto della denatalità, della gentrificazione, della mobilità accelerata, delle innovazioni tecnologiche, dell’adattamento ai cambiamenti climatici, di opportunità di accrescimento culturale.
Sempre più, nel lessico IN/Arch, alla parola architettura si sta affiancando “ambienti di vita”, certamente più comprensibili ad un pubblico vasto, per la dimensione più ampia, legata a questioni sociali e climatiche, sicuramente più complesse, che valicano i confini di una Regione e di un Paese, con cui questa disciplina deve confrontarsi e dialogare.
Presentazione finale del Progetto Paesaggi Aperti a RadicePura, Giarre.
Rigenerare una porzione di città piccola, media o grande, è rigenerare un ambiente di vita, è un’azione che deve partire da un pensiero, una visione, un progetto. Quest’ultima è la parola chiave che deve coinvolgere competenze che esistono già e che ho già citato. La scala è quella più ampia che riguarda il territorio, che non si limita quindi al singolo edificio da demolire e ricostruire, ma riguarda anche lo spazio pubblico e le connessioni tra il costruito e il non costruito. I disastri provocati dall’estremità degli eventi climatici ci stanno insegnando quanto gli interventi di rigenerazione puntuali non possano prescindere dalla messa in sicurezza e adattamento del territorio, occorre quindi conoscenza dello stato di fatto e, a partire da un piano generale, passare agli interventi urbani.
Paesaggi Aperti per l’emancipazione delle comunità locali ha lanciato semi di consapevolezza, indispensabili nella prosecuzione di azioni future di rigenerazione e sviluppo.
«Non dirò di essere riuscito a cambiare tutto, ma siamo riusciti a portare cambiamento dove il cambiamento sembrava impossibile. Le cose hanno funzionato perché le persone hanno lavorato insieme, cooperando, e lo hanno fatto perché erano sbigottite dal loro stesso potere. La speranza del cambiamento, quando il cambiamento accade, genera altra speranza. Mostrami una città con mille problemi e ti mostrerò 10.000 persone che li possono risolvere». Sostiene Antanas Mockus, sindaco di Bogotà (1995-2003) 2 .
Note
1. Bonomi Aldo, La metamorfosi delle utilities in “Industria delle reti”, ilsole24ore.com/ Microcosmo.
2. Cfr. L’inventivo sindaco di Bogotà, ilpost.it/2015/07/21/
Favara - Sopralluogo nell’area di Via Reale.
Paesaggi Aperti per Abitare Favara
Lucia Pierro
La Sicilia accoglie molteplici luoghi, paesaggi e culture: uno straordinario patrimonio materiale ed immateriale cui fanno da contrappeso altrettanti molteplici ritardi e sprechi di risorse che acuiscono in modo crescente i divari sociali ed economici tra nord e sud del Paese. Agendo all’interno di uno scenario fatto di luce ed ombra, paradigmatico della condizione di molte città del sud Italia, il progetto Paesaggi Aperti si nutre dell’intuizione che proprio quest’isola – grazie alla sua peculiare dimensione mediterranea, isolana ma non isolata, locale ed al contempo globale – può costituire un fertile terreno di prova per tentare di sviluppare delle pratiche di rafforzamento e coinvolgimento delle comunità che, nel rileggere l’esperienza maieutica dolciana, traccino le coordinate per avviare un percorso di rigenerazione urbana ed al contempo sociale. Da questo punto di vista la città di Favara, in provincia di Agrigento, è apparsa un luogo significativo in cui far convergere ricerca ed azione con l’obiettivo di sviluppare pratiche laboratoriali che delineano nuovi paesaggi dell’abitare e peculiari visioni urbane capaci di essere, al contempo, rigenerative, inclusive ed innovative: un interessante “case study” dunque che è stato approfondito attraverso il workshop di rigenerazione urbana “Paesaggi Aperti per Abitare Favara”1.
La condizione di spaesamento e abbandono che accomuna gran parte delle città del sud d’Italia e che è stata ben descritta dal “paesologo” Franco Arminio2 riverbera percorrendo le vie di Favara. La città nuova, soprattutto a causa del diffuso abusivismo, si è infatti sviluppata in maniera selvaggia e incontrollata tanto da poter oggi ospitare ulteriori 60.000 abitanti rispetto ai poco più dei 31.500 abitanti che, in uno scenario di costante e desolante spopolamento, sono stati registrati nel 2023. Mentre la città nuova è cresciuta informe e a dismisura, aree sempre più vaste del centro storico sono state progressivamente abbandonate innescando un processo di degrado e disfacimento la cui gravità è stata acclarata in occasione del tragico crollo3 che portò Favara alla ribalta nazionale.
Favara - Crolli che ribaltano il rapporto tra interno ed esterno.
In alto. Favara - Crolli che generano nuovi spazi urbani.
In basso. Favara - La vegetazione invade i resti del costruito.
Tuttora, nonostante siano trascorsi quindici anni da quel drammatico evento, all’interno del centro storico permangono delle ampie aree degradate e marginalizzate che occorre rigenerare e re-immettere nel ciclo della vita urbana per saldarle a quelle parti del centro storico già investite dal processo di riqualificazione urbana messo in atto dal progetto promosso da Farm Cultural Park che, partendo dal nucleo di Cortile Bentivegna4, è riuscito a propagarsi in altre aree urbane facendosi riconoscere a livello nazionale ed internazionale come un centro propulsore della creatività e dei linguaggi contemporanei.
Focus del workshop di rigenerazione urbana “Paesaggi Aperti per Abitare Favara”, al quale hanno partecipato alcuni progettisti attivi in Sicilia che, pur nelle loro specifiche identità, si sono impegnati a cooperare per approdare ad una visione concertata e multiforme, è stata la rigenerazione del sistema urbano che si snoda lungo Via Reale, uno degli assi del centro storico oggi reso sempre più degradato, pericolante e pressoché inaccessibile dall’abbandono di gran parte delle abitazioni e dai vari crolli che, dopo decenni di incuria, continuano a disfare i resti di quella che fu una delle principali vie cittadine. Nonostante il degrado diffuso Via Reale, come altre parti del centro storico di Favara, preserva un riconoscibile patrimonio di memoria ed una
peculiare organizzazione urbana – tipica del compatto tessuto connettivo della città antica – caratterizzata dalla continuità tra spazio esterno e spazio interno, tra strada, corti e manufatti. Quella offerta da Via Reale è dunque una condizione feconda per delineare nuove strategie di rigenerazione urbana capaci di ri-abitare e ri-significare i luoghi, affrontando in modo sistemico – e con audacia – le sfide del degrado urbano, dei cambiamenti climatici, del declino demografico e dell’integrazione sociale dei migranti. Il processo progettuale delineato per riattivare il sistema di Via Reale è stato, non a caso, sviluppato in sinergia con l’esperienza compiuta all’interno della galleria d’arte diffusa Farm Cultural Park: un esempio di rigenerazione urbana che, partendo dal rilancio di una porzione di centro storico formata da un sistema di cortili interconnessi, coniuga arte, cultura, commercio e intrattenimento e costituendo un sistema per l’arte diffuso sul territorio, una sorta di museo-laboratorio che persegue il modello di una forma di creatività interdisciplinare – oggi sempre più ricorrente nei progetti di fruizione dei beni culturali e nel campo dell’arte contemporanea – che, proprio in Sicilia, può assumere caratteri di interesse poiché, in questo luogo carico segni preesistenti, è possibile intersecare e sovrapporre la dimensione locale con quella globale rendendo ancora più significativa l’offerta culturale5.
L’attività in situ sviluppata durante il workshop di rigenerazione urbana è stata preceduta da un lavoro di documentazione riguardante lo stato
Favara - Progettare l’invasione vegetale.
dell’ambito urbano di Via Reale nelle sue relazioni con la città e da una serie di incontri da remoto volti a condividere le informazioni e prime suggestioni6, nei mesi successivi è stato ulteriormente approfondito ed è stato presentato pubblicamente in una mostra e seminario tenuta al Castello Chiaramontano7. Dal percorso compiuto sono scaturiti degli “appunti” per rigenerare città: una serie di spunti, sollecitazioni e visioni volte ad attivare nuove ulteriori riflessioni attraendo nuovi “stakeholder” e favorendo dinamiche di partecipazione e corresponsabilità che dovrebbero essere alla base della costruzione di nuove comunità. Attraverso una proposta di masterplan flessibile, basato sull’accessibilità e la riattivazione di “porzioni strategiche” capaci di creare un “effetto contagio”, i progettisti invitati al workshop “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” hanno delineato una serie di strategie di “rigenerazione urbana ed umana” volte a realizzare un quartiere capace di rispondere alle
Presentazione dei lavori al Castello Chiaramontano.
In alto. Mostra al Castello Chiaramontano. In basso. Cartoline da Via Reale.
Favara - Masterplan Paesaggi Aperti per Abitare Favara.
esigenze attuali riuscendo, al contempo, ad anticipare ed accogliere le domande future.
La condizione di degrado in cui versa Via Reale, pur essendo drammatica, offre una irrinunciabile occasione per ripensare il centro storico attraverso modalità che non siano esclusivamente quelle del ripristino. Il ribaltamento del confine tra interno ed esterno, reso ancora più evidente dal crollo di alcune facciate che ha “portato alla luce” l’interno delle abitazioni suggerisce delle spazialità impreviste all’interno di un tessuto urbano compatto e invita a «capovolgere la realtà e reagire con il gioco e l’ironia per provare a ricostruire una nuova idea di città dove non sono rimaste che costruzioni abbandonate»8.
Il diradamento causato dai vuoti dei crolli che continuano ad avvicendarsi offre lo spazio per innestare nuove piazze e giardini e rende possibile immaginare una colonizzazione vegetale9 controllata che potrebbe migliorare la qualità dell’insediamento urbano e la sua sostenibilità ambientale. L’incremento della biodiversità, fondamentale per il mantenimento degli equilibri naturali in ambiente urbano, è uno dei principali obiettivi della proposta che persegue la mitigazione dei rischi climatici attraverso la gestione sostenibile delle acque piovane e la riduzione dell’effetto isola di calore. Infine, la proposta mira a promuovere la coesione sociale riattivando Via Reale attraverso la creazione di un sistema di nuovi spazi pubblici all’aperto. Lungo Via Reale è infatti possibile immaginare nuovi paesaggi dell’abitare ove, sviluppando un bilanciato rapporto tra la dimensione antropica e quella naturale, potranno essere accolte nuove forme di comunità.
La proposta mira infatti a risignificare questa porzione urbana delineando una “città giardino” che fiorisce tra i vuoti determinati dai crolli della città vecchia riattivandola mediante un processo di riuso e metabolizzazione che, in un’ottica di sostenibilità globale, include anche le sue componenti fisiche e dunque gli stessi materiali da costruzione. All’interno degli spazi pubblici del centro storico prende così forma un nuovo luogo di relazione con la natura che migliorerà la qualità dell’ambiente urbano mitigando gli effetti del cambiamento climatico e promuovendo una strategia insediativa ecologica, basata sull’uso efficiente delle risorse idriche e sulle pratiche di riforestazione urbana. Negli edifici recuperati si propone invece un mix di funzioni residenziali, sociali, culturali, di commercio e piccolo artigianato. Offrendo una visione sostenibile capace di integrare le molteplici dimensioni naturali, economiche e sociali, la proposta progettuale sviluppata per Via Reale ha inoltre voluto affrontare la sfida della rigenerazione urbana trattando i temi dell’accessibilità e dell’accoglienza di ogni forma di diversità come una risorsa da accogliere e valorizzare per costruire nuovi luoghi e arricchire anche le comunità insediate. Volendo verificare se il metodo maieutico dolciano possa essere effettivamente applicato ai giorni nostri, gli “appunti” per ri-abitare Favara che sono scaturiti dal percorso compiuto dovrebbero essere ulteriormente condivisi con soggetti pubblici e privati e
Paesaggi Aperti per Abitare Favara
Favara - Giardini verdi e blu lungo Via Reale.
Lucia Pierro
Favara - Pergole e vasche d’acqua per definire lo spazio urbano.
Favara - Disegna la tua città.
potenziali “stakeholder” I progetti di coabitazione, scambi culturali e collaborazioni economiche che potranno essere attivati in questo “laboratorio di città” arricchiranno il sistema urbano che si snoda lungo Via Reale facendola diventare un esempio di convivenza armoniosa e solidale tra le molteplici comunità insediate in questa città mediterranea. Per questo, oltre a sviluppare un progetto di dimensione locale, appositamente pensato per Favara, la proposta di rigenerazione elaborata per Via Reale vuole suggerire una visione per il futuro di tante altre città ispirando delle politiche di Governo che promuovano nuove strategie complesse per le grandi sfide della contemporaneità.
Favara - La strada in festa.
1. Il workshop di rigenerazione urbana “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” è stato organizzato da IN/Arch e IN/Arch Sicilia in collaborazione con Farm Cultural Park, capofila del progetto RUF attuato con il PNRR - finanziamento NextGenerationEU gestito dal MiC. Il Workshop si è tenuto a Favara dal 11 al 13 Aprile 2024. L’ideazione del workshop è di Mariagrazia Leonardi e Lucia Pierro ed il Coordinamento di Mariagrazia Leonardi. Le attività del workshop si sono svolte al Palazzo Micciché / Human Forest e con sopralluoghi nelle aree del progetto, sono intervenuti Andrea Bartoli, Florinda Saieva (Farm Cultural Park, Transition For, RUF Regenerative Urban Farming) e Mariagrazia Leonardi (PAESAGGI APERTI, Presidente IN/Arch Sicilia) ed i progettisti invitati: Lillo Giglia (Lillo Giglia Architect); Giovanni Fiamingo, Giovanna Russo, Domenica Benvenga (NextBuild); Salvo Terranova, Giorgia Testa, Arianna Lo Re, Fabrizio Parisi (lineaT studio); Francesco Moncada, Mafalda Rangel (Moncada Rangel); Lucia Pierro (AutonomeForme.Architettura). Sono intervenuti ed hanno seguito i lavori del workshop di rigenerazione urbana anche Antonio Palumbo (Sindaco della Città di Favara) e Rino La Mendola (Presidente Ordine Architetti PPC Agrigento), Miriam Mignemi (Presidente Consiglio comunale Favara). Hanno partecipato ai lavori anche Filippo Romano (Prefetto Agrigento), Giuseppe Guerrera (DARCH Università di Palermo), Luca Lotti (Ecole d’Architecture et de Paysage de Bordeaux), Alberto Biondo (Centro per lo Sviluppo Creativo Danilo Dolci), Martina Palumbo (Fondazione RadicePura), Annalisa Contato (DARCH Università di Palermo) Gianfranco Tuzzolino (Presidente Polo Territoriale Universitario Agrigento, Università di Palermo), Valeria Scavone (DARCH Università di Palermo), Vito Martelliano (DICAR, SDS Architettura Siracusa, Università di Catania), Silvia Covarino (German University Cairo), Graziella Trovato (E.T.S.A. U.P.M. Madrid), Antonio Liotta (Vicesindaco), Nicola Costanza (Presidente SPAB), Giacomo Sorce (Comune di Favara).
2. arminio Franco, Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia, Bari, Laterza, 2008.
3. Dopo il crollo della palazzina di Favara avvenuto il 23 gennaio 2010 causando la morte di due sorelle di 3 e 14 anni, Francesco Montenegro, all’epoca Arcivescovo di Agrigento,
decise polemicamente di non celebrare i funerali in quanto, già all’indomani dell’alluvione di Giampilieri in provincia di Messina, aveva avvertito che non avrebbe celebrato i funerali di eventuali vittime di “disastri annunciati”. Dopo l’evento, l’amministrazione comunale di Favara ha operato la demolizione di alcuni degli edifici pericolanti ma l’estensione di questo fragile tessuto edilizio e la sua condizione di degrado richiede con sempre maggiore urgenza la realizzazione di un deciso intervento di valorizzazione e rigenerazione che, per la sua vasta portata, deve essere attuato in sinergia tra privato e pubblico.
4. Questa sorta di piccola Kasbha siciliana è caratterizzata da un sistema di sette cortili (“U curtigliu d’i’ 7 curtiglia”) su cui prospettano delle piccole abitazioni a due o tre livelli che sono state progressivamente recuperate per iniziativa di Andrea Bartoli e Florinda Saieva creando il parco culturale e turistico contemporaneo di Farm Cultural Park con le sue ulteriori molteplici iniziative che da Favara stanno sempre più estendendosi in Sicilia e sul territorio nazionale.
5. Sul rapporto tra arte contemporanea e rigenerazione del territorio si veda tra gli altri il volume di de Luca Martina, gennari Santori Flaminia, pietromarchi Bartolomeo, trimarchi Michele (a cura di), Creazione Contemporanea. Arte, società e territorio tra pubblico e privato, Luca Sossella Editore, Roma 2004.
6. Il lavoro di documentazione dell’area di Via Reale in relazione con la città di Favara è stato curato dall’architetto Lillo Giglia fondatore dello studio Lillo Giglia Architecture basato a Favara.
7. La Mostra/Presentazione del successivo approfondimento del progetto “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” si è tenuta a Favara 21/30 giugno 2024 presso il Castello Chiaramontano, Piazza Cavour ed è stata organizzata da IN/Arch e IN/Arch Sicilia in collaborazione con l’AIAC, il Comune di Favara e Farm Cultural Park.
8. La citazione di Andrea Bartoli è riportata in pierro Lucia, Farm. Favara 2.0, in “URUK. Overview on Architecture”, n. 01, Ottobre 2010, p. 40-43.
9. Un primo prototipo di colonizzazione vegetale controllata all’interno di un edificio storico è già stato realizzato a Favara con il progetto della “Human Forest” ideata da
Florinda Saieva e Andrea Bartoli e curata da un team multidisciplinare. «Questo primo passo di un più ampio progetto rappresenta il trait d’union tra le esperienze artistiche degli esordi e gli attuali interessi di Farm e ridefinisce confini, significati e immaginario collettivo dello storico edificio trasformandolo in foresta, giungla, luogo mentale e, soprattutto, spazio per la spiritualità Quest’idea della colonizzazione vegetale delle preesistenze era stata teorizzata oltre 30
anni fa, con Antonio Salvato, da Gianni Pirrone, fondatore della Scuola di architettura del paesaggio di Palermo, attraverso lo sviluppo di ricerche e progetti volti alla creazione di un sistema di giardini per riqualificare i ruderi del centro storico di Palermo», cfr. pierro Lucia e Scarpinato Marco, È tempo di festival!, in “Il Giornale dell’Architettura”, 9 settembre 2020 https://ilgiornaledellarchitettura. com/2020/09/09/e-tempo-di-festival/.
Credits
Workshop “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” Favara 11-13 Aprile 2024.
Ideazione: Mariagrazia Leonardi e Lucia Pierro. Coordinamento: Mariagrazia Leonardi. Progettisti invitati: Lillo Giglia; Giovanni Fiamingo, Giovanna Russo, Domenica Benvenga (Nextbuild); Salvo Terranova, Giorgia Testa, Arianna Lo Re (Lineat Studio); Francesco Moncada e Mafalda Rangel (Moncada Rangel); Lucia Pierro (Autonomeforme. Architettura)
Il Workshop “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” è stato organizzato da IN/Arch e IN/
Arch Sicilia in collaborazione con Farm Cultural Park, capofila del progetto RUF attuato con il PNRR - finanziamento NextGenerationEU gestito dal MiC.
La Mostra/Presentazione del successivo approfondimento del progetto “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” si è tenuta a Favara 21/30 giugno 2024 presso il Castello Chiaramontano, Piazza Cavour ed è stata organizzata da IN/Arch e IN/Arch Sicilia in collaborazione con l’AIAC Associazione Italiana di Architettura e Critica; il Comune di Favara e la Farm Cultural Park.
Il crepaccio di Via Reale.
Favara. Appunti per rigenerare luoghi e comunità
Giovanni Fiamingo
L’attuale Via Reale è una ferita aperta nel corpo di Favara. Attraversarla significa esplorare una sorta di crepaccio urbano, mutevole ed articolato, che offre uno scenario al tempo stesso inquietante e surreale.
Inquietante nella sequenza alfabetica di un articolato abaco di edifici crollati, feriti o sezionati, dove la sapienza delle antiche tecniche costruttive, messa a dura prova dall’abbandono antropico, convive oggi impropriamente e pericolosamente con forme spontanee di ri-abitazione, scaturenti da problematiche di integrazione sociale non risolte.
Surreale, invece, nel ribaltamento fisico e percettivo che i frammenti di intimità domestica disvelati dai lacerti edilizi producono sull’antico tracciato viario, trasformandolo in un grande interno urbano; o in una inconsueta opera di Land art urbana.
L’analisi di quel che resta del tessuto edilizio e del circondario, delle sue tipologie e delle caratteristiche morfologiche evidenziano l’impossibilità concettuale di una odierna “ricostruzione” delle unità abitative o del ripristino dell’insieme “com’era e dov’era”.
Problematica si presenta l’ipotesi di una risolutiva tabula rasa, che cancelli d’un sol colpo le criticità e le macerie, ma anche le tracce e la memoria dell’antica Via Reale, per proporre un moderno ridisegno del tessuto urbano.
Incrociando le antiche mappe e ripercorrendo i luoghi all’interno delle nuove dinamiche della cittadina, si è scelta la complessa strada del “mantenimento” dell’esistente, immaginandone la trasformazione pensando al “disastro” come risorsa, quindi come occasione di innesco di spazi e luoghi pubblici e inclusivi. L’intervento, a “volumetria zero”, non insedia nuove o invasive volumetrie ma si orienta verso un “progetto di suolo”.
Un approccio sostenibile tenta di mantenere l’esistente, arricchendolo con nuove e misurate funzioni, e riutilizzando le macerie stesse come materia prima della trasformazione.
Si propone quindi l’inserimento di funzioni strutturalmente inclusive, a completamento della funzione pubblica che il nuovo spazio assumerà. Esse avranno carattere ludico e culturale, ricreative e socializzanti, attraverso l’inserimento di piccole botteghe artigiane, punti di ristoro, case per artisti, luoghi di sosta e di contemplazione del paesaggio, spazi verdi.
Le suggestioni progettuali proposte, utilizzano il sistema di crolli e di vuoti per riorganizzare topograficamente il luogo e inserire modeste volumetrie: dilatando lo stretto snodarsi di Via Reale e creando l’occasione di nuovi punti di vista, o in forma di piccoli slarghi adatti a nuovi e più moderni usi dello spazio pubblico e dell’abitare o, ancora, inserendo nuove presenze arboree. Recuperati gli antichi basolati superstiti, il progetto ridefinisce il suolo con continuità, “accettando” il nuovo andamento topografico e tellurico dello stesso, rimodellando salti di quota e riempimenti da crollo attraverso lo stesso materiale lapideo di spoglio e di recupero.
Il progetto è redatto quasi interamente sul suolo, che si piega, articola e modella per inglobare i nuovi usi, e si avvale essenzialmente di tecniche di “sottrazione” finalizzate al completamento e alla ricostruzione del paesaggio urbano investigato. L’antica materia è a volte rimodellata e riadattata in loco, trovando la propria ragion d’essere nella rilettura e reinterpretazione delle tracce dell’esistente.
Una, tra le molteplici suggestioni, è stata quella della sistemazione dell’area archeologica di Atene attorno all’Acropoli e la risalita al colle di Filopappo di Dimitris Pikionis1. Una seconda è stata: il mito di Anfione e Zeto, dove le pietre del monte Citerone si sovrapponevano spontaneamente le une alle altre, per ricostruire le mura di Tebe, al suono della lira di Anfione.
Note
1. Cfr. FerLenga Alberto, Fertili lasciti L’opera di Dimitris Pikionis e la memoria contemporanea in “Engramma” 159, 2018.
L’asse urbano di Via Reale a Favara.
Via Reale: Ipotesi di progetto – Sezioni.
Casa d’artista.
Favara. Appunti per rigenerare luoghi e comunità
Strade di pietra e orti sospesi lungo Via Reale.
Favara. Lo spazio di lavoro durante il workshop.
A Platform for Change: Farm Cultural Park
Andrea Bartoli
Farm Cultural Park nasce nel 2010 a Favara, da una promessa che ci siamo fatti con mia moglie Florinda: «Non ci lamenteremo di ciò che manca, di ciò che non funziona o che non ci piace. Non aspetteremo che qualcuno cambi la nostra vita, ma agiremo ogni giorno per trasformare Favara per noi stessi, per le nostre figlie Carla e Viola e per la comunità intera». Il progetto ha preso forma in uno degli spazi più suggestivi ma trascurati del centro storico di Favara, il Cortile Bentivegna, oggi conosciuto come i Sette Cortili. Favara, un tempo associata a mafia e degrado, è diventata una piccola capitale mondiale della rigenerazione urbana. Ogni anno, Farm attira studenti e ricercatori delle università di tutto il mondo. Nel 2010, la città offriva solo sei camere in un B&B ed oggi conta oltre 600 posti letto. Farm oggi è un sistema diffuso di centri culturali indipendenti, presenti a Favara, Mazzarino e Palermo, che operano come veri e propri “polmoni urbani”. Questi spazi supportano la crescita della società civile, stimolano la consapevolezza collettiva e attivano dialoghi su temi cruciali, fungendo da catalizzatori per progettare il futuro delle comunità. In pochi anni, Farm Cultural Park è diventato un punto di riferimento per la cultura contemporanea e per la rigenerazione urbana. L’approccio del progetto si basa sull’idea che le città, in particolare i centri storici, possano rinascere non solo attraverso interventi urbanistici, ma anche grazie alla cultura e all’arte. Ed è proprio in questo costante impegno per individuare, discutere e promuovere nuove prospettive architettoniche ed urbane per la nostra comunità che si inquadra il contributo apportato da Farm all’interno del progetto Paesaggi Aperti.
Progetti che trasformano
Uno dei progetti più importanti nati con Farm è “SOU”, la Scuola di Architettura per Bambini, oggi attiva in 29 città italiane. SOU insegna ai più piccoli il valore dell’architettura, stimolando la loro creatività e consapevolezza verso l’ambiente che li circonda. Attraverso attività pratiche e giochi, i
bambini imparano a progettare il loro mondo, sviluppando una cittadinanza attiva e critica. Un altro progetto d’eccellenza è “Prime Minister”, la Scuola di Politica per giovani donne dai 13 ai 19 anni. Questo programma innovativo, diffuso in tutta Italia, forma una nuova generazione di donne consapevoli, preparate a guidare il cambiamento sociale e a costruire una società più equa e inclusiva. A livello internazionale, “Countless Cities”, la Biennale delle Città del Mondo, è tra i progetti più ambiziosi. Ogni due anni, questo evento celebra le città e le loro storie, esplorando le sfide e le trasformazioni urbane contemporanee. È una piattaforma per raccontare storie di rigenerazione, resistenza e innovazione urbana. Inoltre, il “Museo delle Città del Mondo” di prossima apertura a Palermo rafforzerà questo dialogo globale. Non sarà solo un museo, ma un centro di ricerca e un luogo di incontro per immaginare le città del futuro.
L’arte come motore di cambiamento
Farm ha lanciato anche la Quadriennale d’Arte “Abbiamo Tutto Manca il Resto”, che mette in luce l’importanza di portare la cultura fuori dai circuiti tradizionali. Iniziative come questa hanno dato vita a progetti concreti, tra cui il recupero dell’Auditorium Incompiuto di Aragona e il programma Transition For, che affronta temi come l’integrazione e l’accoglienza con un approccio innovativo e consapevole. Farm non è solo un progetto culturale, ma una visione che si traduce in azioni concrete per trasformare le comunità, promuovendo inclusione, partecipazione e dialogo. In questa visione si inserisce anche “Marea”, la nuova fondazione siciliana per l’erogazione di risorse a beneficio dei cittadini, un ulteriore esempio di come dalla cultura possano nascere strumenti concreti per il cambiamento.
Un futuro costruito insieme
Farm Cultural Park continua a essere una piattaforma per il cambiamento, un luogo in cui cultura, architettura e innovazione si intrecciano per migliorare la vita delle persone e rigenerare i territori. Da Favara al mondo, Farm è un laboratorio vivente di speranza e trasformazione.
Introduzione al workshop Paesaggi Aperti per Abitare Favara.
Restituzione degli esiti del workshop da parte dei progettisti invitati.
Il laboratorio sul Quartiere Antico Corso, focus della seconda tappa del progetto Paesaggi Aperti a Catania inizia a marzo con l’evento “Catania Antico Corso – il punto sui progetti”1 coinvolgendo gli stakeholders del processo di trasformazione del quartiere: enti pubblici, enti di ricerca e associazioni in un confronto costruttivo e condiviso sui processi di trasformazione.
A partire dalle testimonianze sul lavoro condotto e ipotizzato dall’architetto Giancarlo De Carlo per i luoghi2 sono state illustrate le ipotesi di rigenerazione sviluppate a seguito delle Legge Regionale 13 del 2015 e in particolare i grandi interventi di ristrutturazione urbanistica in corso di realizzazione a seguito della dismissione dei grandi comparti ospedalieri che gravitano sulla zona ad opera della Regione Sicilia e dell’Università di Catania3.
Il progetto Guida di Giancarlo De Carlo resta ancora oggi in parte un’incompiuta. Nei progetti dell’architetto, era prevista la possibilità di utilizzare il Ponte Battaglia come collegamento con l’Ospedale Vittorio Emanuele (Ex Flora Benedettina), il completamento del Chiostro di Ponente, per il quale il laboratorio di De Carlo aveva lavorato con il paesaggista Ippolito Pizzetti (1987) e con l’architetto Aldo van Eyck (1991), una diversa apertura su piazza Vaccarini, della quale immaginava la riqualificazione, e la restituzione del giardino di via Biblioteca alla città come terzo polmone verde urbano in centro storico dopo la Villa Bellini e la Villetta Pacini4.
Dalla riqualificazione e nuova destinazione d’uso in polo universitario del Monastero dei Benedettini, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, la trasformazione dell’intera area ha subito un brusco arresto, diventando negli ultimi anni oggetto di discussione, studio e una scommessa per dare nuovo volto alla città. Sono incluse in questa visione sistemica anche le aree dell’ex parcheggio AMT e del Bastione degli Infetti, già individuate dall’architetto Giancarlo De Carlo, autore della rigenerazione del Monastero dei Benedettini e rimaste incompiute così come il Giardino di Via Biblioteca, l’intervento su Piazza Vaccarini e il Convento della Purità. Il quartiere potrebbe rappresentare
un forte polo attrattivo, soprattutto se connesso adeguatamente ai trasporti pubblici e se accompagnato dalla ristrutturazione delle aree degli ospedali e dalla loro apertura alla cittadinanza. Su questa strada rientrano i lavori per la costruzione del Museo dell’Etna, al posto dell’Ospedale Vittorio Emanuele. Il progetto, in corso di realizzazione ad opera dello Studio Gucciardini&Magni Architetti, si presenta come un polo culturale e al contempo aggregativo, dove verrà raccontata la storia della città, dato respiro all’Accademia delle Belle Arti e, allo stesso tempo, offerto spazio per il tempo libero5.
I laboratori di analisi e sociali di mappatura dei bisogni della comunità svolti successivamente con il supporto di partner del progetto e degli stakeholders6, sono stati orientati ad alimentare ulteriormente il confronto con la produzione di un documento di sintesi per la realizzazione di un workshop progettuale sugli spazi interstiziali di collegamento ai grandi interventi previsti. Il Quartiere popolare Antico Corso con le sue molteplici stratificazioni, archeologiche, monumentali e sociali, costituisce infatti un’importantissima area del centro storico catanese, un margine urbano, terreno fertile di ricerca ed azione per delineare alcune visioni urbane rigenerative e inclusive. Nasce così il workshop “Paesaggi Aperti per Antico Corso” 7, rivolto al progetto dello spazio pubblico che si innesta tra i grandi interventi di ristrutturazione urbana previsti dalle Legge Regionale 13 del 2015 per il quartiere, al verde pubblico, alla fruizione delle numerose presenze archeologiche che permangono nell’area, alla valorizzazione paesaggistica delle tracce della colata lavica del 1669 presenti nei luoghi8. Lo Studio di dettaglio del Centro Storico (L.R. 13/2015) resta ancora occasione per la rigenerazione urbana dei luoghi nell’ipotesi di ristrutturazione urbanistica delle grandi aree ospedaliere dismesse, che si aggiungono ad altri siti in abbandono, alle aree di interesse archeologico e al percorso paesaggistico delle sciare laviche già ipotizzato da Pierluigi Cervellati nella sua proposta
di Piano Regolatore Generale. Tali aree rappresentano una condizione feconda per delineare strategie di rigenerazione urbana e di empowerment delle comunità capaci di recuperare il senso della memoria dei luoghi affrontando anche le sfide del degrado urbano, del recupero della biodiversità, dell’integrazione intergenerazionale, dell’accessibilità e dell’inclusione sociale.
La Mostra “Paesaggi Aperti per Antico Corso. Tra storia e progetto: tracce per rigenerare comunità”9 tenta di ricostruire, con il supporto degli stakeholders coinvolti, una lettura diacronica del paesaggio urbano della città di Catania a partire dalle sue condizioni più antiche, dallo status antecedente alla colata lavica che travolse la città nel 1669 e al terremoto che la rase al suolo nel 1693. La condizione di città doppia, nel sovrapporsi del layer barocco a quello greco o romano, si legge in particolare in questa porzione di città, oggetto di approfondimento: la Collina di Montevergine, che ricade nel perimetro del Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci.
La sommità della Collina fu il luogo in cui sorse nel 728 a.C., stando alla data tradizionale tramandataci da fonti antiche, l’Acropoli della Katàne greca, centro della vita religiosa e politica, a cui si sovrapposero strutture abitative e viarie della Càtina romana.
L’Antico Corso, focus della mostra, confina a nord con il quartiere San Domenico o Santa Maria La Grande, ad ovest con i quartieri Cava Daniele e Petriera, a sud con San Nicolò l’Arena o Terme dell’Acropoli e ad est con il quartiere Monte Vergine. La sua estensione si sviluppa da nord a sud seguendo la Via Antico Corso, la quale a settentrione del quartiere si immette in Via del Plebiscito, che racchiudeva i più antichi rioni catanesi: questa via infatti delimita in molti punti il quartiere, sito all’interno, e finisce poco dopo più ad est, immettendosi in Via Santa Maddalena10.
Il Quartiere Antico Corso è stato oggetto di numerosi tentativi di trasformazione nel corso dei secoli, riscontrabili nei piani e nei programmi urbanistici illustrati e di alcuni concorsi di idee e di progettazione, che si propongono per costruire, anche se in modo non esaustivo, alcuni appunti sulle occasioni di valorizzazione dei luoghi che non sempre è stato possibile sfruttare. Tra questi vi sono gli esiti del laboratorio Aretè condotto dall’Ordine e dalla Fondazione Architetti PPC della Provincia di Catania con IN/Arch Sicilia nel 2016 sulle aree Antico Corso, Cava Daniele e Petriera.
Il percorso paesaggistico delle sciare laviche valorizzato da Pierluigi Cervellati nella sua proposta di Piano Regolatore Generale conduce ad oltrepassare gli stretti confini del Quartiere per giungere in Piazza Arnaldo Fusinato e da qui in piazza Montessori, oggetto di un concorso di progettazione bandito e portato avanti da IN/Arch Sicilia e dal Comune di Catania nel 2005. Ad esso si affianca un altro potenziale incubatore di attività attualmente in abbandono: l’Ospedale Ferrarotto.
L’instancabile lavoro delle associazioni culturali e di quartiere che operano sui luoghi, tra le quali: Officine Culturali e il Comitato Popolare Antico Corso, continua a divulgare la conoscenza dell’enorme patrimonio culturale,
materiale ed immateriale, e naturalistico presente in queste porzioni di centro storico alle diverse fasce sociali tentando di risvegliare il senso di appartenenza nelle comunità che lo abitano.
Questi luoghi hanno rappresentato per il progetto una importante occasione per delineare strategie di rigenerazione urbana capaci di recuperare il senso della memoria dei luoghi affrontando anche le sfide del degrado urbano, del recupero della biodiversità, dell’integrazione intergenerazionale, dell’accessibilità e dell’inclusione sociale11.
Questo particolare paesaggio urbano, complesso e articolato, è caratterizzato da spazi storicamente connotati e spazi residuali che spesso faticano a dialogare tra loro, per motivi non soltanto di ordine urbanistico e architettonico ma anche sociale. Massimo Pica Ciamarra, nel suo Civilizzare l’urbano (2018) ricorda che lo spazio, flessibile e rispettoso delle necessità dei suoi abitanti, può essere essenzialmente considerato luogo di relazioni12.
Dopo un’attenta analisi del tessuto urbano del quartiere, ricco di stratificazioni storiche, l’attenzione è stata posta su quegli spazi esterni quasi dimenticati ma che hanno una grande valenza per gli abitanti del luogo. Spazi da mettere in relazione.
Una volta definite le aree da riqualificare, al fine di restituire i luoghi agli abitanti del quartiere per le loro necessità ricreative, sociali, culturali, si è cercato di rileggerne le relazioni focalizzando l’attenzione sul sistema delle connessioni sia interne al quartiere sia esterne, anche in riferimento agli spazi più rappresentativi e più facilmente identificabili per le loro qualità architettoniche o per la loro valenza monumentale.
È stata immaginata una infrastruttura leggera che serve da elemento identificatore dei percorsi del complesso tessuto urbano. Un reticolo aereo, sostenuto da semplici supporti verticali, che è contemporaneamente un sistema di illuminazione, di ombreggiatura sia con elementi tessili che con specie vegetali, di irrigazione o nebulizzazione di acqua per giornate eccessivamente calde. Gli abitanti sono chiamati direttamente a gestire e curare le zone di ombreggiatura o il verde, attraverso la stesura di teli schermanti o la cura di pergole vegetali (Jasminum, Wisteria Floribunda, ecc.) sotto i quali ritrovarsi nei momenti di socializzazione. Analogamente per le zone alberate con alberi di alto fusto che variamente si innestano nel sistema generale. Quattro sono le zone di intervento che si è tentato di mettere a sistema. Il primo sistema è quello tra Largo dell’Odeon e le Terme della Rotonda. In questi spazi si propone la visione dell’Odeon dalla quota archeologica. La piazza a nord di via Teatro Greco si immagina in parte scavata, permettendo l’accesso all’area archeologica direttamente dalla stessa attraverso una lenta discesa gradonata. Si realizza così un cono visivo e percettivo orientato sull’Odeon. Da qui, attraverso un sistema di ombreggiature ed elementi puntiformi si ottiene un collegamento tra l’area del teatro e le Terme della Rotonda. Il secondo sistema è quello tra Piazza Idria, Piazza Annibale Riccò e Via Antico Corso. Il progetto prevede la riunificazione delle due piazze
Giuseppe Dato, 1987, Studio di un Piano per Antico Corso. Ipotesi di passeggiata archeologica. Torri, mura, fortificazioni. Permanenze fisiche dopo il terremoto del 1693.
Paesaggi Aperti per Antico Corso. Masterplan di progetto.
Al centro. Paesaggi Aperti per Antico Corso. Sezione del progetto sugli spazi pubblici.
In basso. Paesaggi Aperti per Antico Corso. Particolare della sezione.
Paesaggi Aperti per Antico Corso
Paesaggi Aperti per Antico Corso. Ideogramma di progetto.
immaginando di svuotare una parte di un aggregato edilizio non utilizzato posto tra esse che diventa occasione per la creazione di un’area porticata che, oltre ad essere un luogo ombreggiato, diviene una quinta. L’area viene in buona parte pedonalizzata così come le connessioni con l’area di Piazza Dante. Via Antico Corso viene resa ad unico senso di marcia per le autovetture in modo da utilizzare parte della carreggiata attuale per i soli pedoni. I percorsi pedonali si estendono da Piazza Annibale Riccò sino ad interessare il giardino a ridosso del padiglione moderno dell’ex Ospedale Santo Bambino, lungo via Tindaro che si ipotizza si apra alla città e agli abitanti del quartiere.
Per il terzo sistema di relazioni, che intercorre tra il Bastione degli Infetti, la Torre del Vescovo e Via Plebiscito, si propone di liberare una parte del bastione su via Plebiscito, attraverso la rimozione di alcuni edifici fatiscenti, rendendolo visibile e fisicamente riconoscibile. Il complesso fortificato si riconnette alla Torre del Vescovo attraverso la pedonalizzazione delle aree carrabili che attualmente separano i due monumenti e la dismissione e riconversione dei distributori di benzina che diventano padiglioni a servizio dello spazio pubblico.
Per il sistema tra l’Area AMTS, il Giardino dell’Ex Ospedale Vittorio Emanuele e Piazza Vaccarini si propone l’accesso al quartiere Antico Corso da piazza Montessori, attraverso un percorso verde di attraversamento dell’area AMTS, uno spazio denso di servizi quali parcheggi e la stazione della metropolitana. La vicinanza dell’area dell’AMTS, in cui sarà realizzata la stazione della Metropolitana, alla piazza Annibale Riccò, consente un facile e agevole accesso a tutti coloro che per vari motivi frequentano il quartiere Antico Corso (studenti e docenti delle scuole e dell’Università, turisti e cittadini). Lo spazio del giardino dell’Ex Ospedale Vittorio Emanuele è pensato come un parco urbano permeabile da più parti: da via Plebiscito a nord-ovest (attraverso l’ingresso al Museo dell’Etna in fase di realizzazione), dalle vie Sardo e D. Motta a est e sud, ma anche soprattutto da Piazza Vaccarini a nord-est attraverso la via Osservatorio, per ristabilire così quell’originario rapporto tra Il Monastero dei Benedettini e i suoi antichi giardini posti sulla colata lavica del 1669.
Il lavoro su Antico Corso ha cercato di delineare una modalità di intervento utile ad innescare un processo di rigenerazione culturale e sociale dei luoghi indagati aggiungendo un tassello ai processi di attivazione di un osservatorio partecipato di ausilio, confronto e monitoraggio nell’ambito del rinnovo degli strumenti pianificatori della città di Catania ai sensi della riforma urbanistica regionale del 2020. Il modello di formazione e inclusione, adottato per il progetto pilota, pur partendo dalle specificità dei territori indagati, setta una metodologia operativa variamente adattabile a ciascun contesto.
Paesaggi Aperti per Antico Corso. Schizzi di progetto. In alto da sinistra verso destra: ripensamento del collegamento tra le Terme della Rotonda e l’Odeon; Accesso da Via Plebiscito al Bastione degli Infetti. In basso da sinistra verso destra: ripensamento dello spazio pubblico di fronte all’Ex Ospedale Santo Bambino; riqualificazione delle piazze Riccò e dell’Itria.
Parco Archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci, Catania, Chiesa San Francesco Borgia. Immagini dal workshop Paesaggi Aperti per Antico Corso.
Antico Corso. Sopralluoghi con Abadir, Accademia di Design e Comunicazione, Officine Culturali, Comitato Popolare Antico Corso, Corso di Progettazione e riqualificazione del paesaggio, Di3A, A.A. 2023-24, Università di Catania.
Credits
Workshop
Paesaggi Aperti per Antico Corso 15-19 luglio 2024
Mostra 15-19 luglio 2024
Paesaggi Aperti per Antico Corso. Tra storia e progetto: tracce per rigenerare luoghi e comunità
Ideazione e coordinamento: Mariagrazia Leonardi.
Hanno collaborato alla organizzazione del Workshop: Salvo Castro, Maurizio Caudullo, Giulia Falco, Giuseppe Lanza, Ignazio Lutri, Giuseppe Messina, Mariagrazia Leonardi, Lucia Pierro, Silvia Porcaro, Alessandro Tabuso, Alessia Zimbili.
Organizzazione e allestimento della Mostra a cura di: Giuseppe Lanza, Mariagrazia Leonardi, Ignazio Lutri, Daniele Malfitana, Antonino Mazzaglia, Giuseppe Messina, Lucia Pierro, Silvia Porcaro, Alessia Zimbili.
Il workshop “Paesaggi Aperti per Antico Corso” è organizzato da IN/Arch e IN/Arch Sicilia con la collaborazione dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Catania e la relativa Fondazione, il Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci, Officine Culturali, il Comitato Popolare Antico Corso, il CNR ISPC, DISUM Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Università di Catania, UPM Università Politecnica di Madrid, il Comune di Catania.
1. L’evento del 30 marzo 2024 è stato organizzato con la collaborazione dell’Associazione Officine Culturali, con il supporto dell’Ordine e della Fondazione degli Architetti PPC di Catania e il patrocinio del Comune di Catania.
2. Il pensiero dell’architetto Giancarlo De Carlo è stato testimoniato da Monica Mazzolani (MTA Associati – Giancarlo De Carlo Associati) che con lui lavorò a Catania. Per approfondire: Leonardi Antonino, cantaLe Claudia (a cura di), La gentilezza e la rabbia. 105 lettere di Giancarlo De Carlo sul recupero del Monastero dei Benedettini, Agorà, 2017.
3. Particolare attenzione è stata data al progetto del Museo dell’Etna e dell’Identità siciliana in corso di realizzazione da parte dello Studio Guicciardini&Magni nel padiglione San Marco del dismesso Ospedale Vittorio Emanuele.
4. Cfr. Leonardi Mariagrazia, Giancarlo De Carlo e l’esperienza del Monastero dei Benedettini a Catania, in Il progetto di Architettura come intersezione dei saperi, Atti dell’VIII Forum Proarch, Napoli, 2019.
5. Al termine dell’incontro, una tavola rotonda ha offerto ulteriori spunti di riflessione per una futura pianificazione dell’area, che poi è stata nuovamente oggetto di studio nelle passeggiate conoscitive e nei focus realizzati dal mese di aprile 2024. A prendere parte al confronto conclusivo del 30 marzo sono stati: Paolo La Greca (Professore Ordinario di Urbanistica Università di Catania e Vicesindaco e Assessore all’Urbanistica di Catania), Gaetano Laudani (Genio Civile di Catania), Biagio Bisignani (Direttore Direzione Urbanistica di Catania), Ignazio Lutri (IN/Arch Sicilia), Salvo Castro (Comitato Popolare Antico Corso), Simona Calvagna (Professore Associato Composizione Architettonica e Urbana Università di Catania), Giuseppe Messina (Segretario OAPPC CT), Eleonora Bonanno (Presidente FOAPPC CT), Teresa Graziano (Professore Associato Geografia Economico-Politica Università di Catania) e Claudia Cantale (Ricercatrice dei Processi culturali e comunicativi Università di Catania).
6. Un primo laboratorio fotografico sul quartiere è stato condotto da Paesaggi Aperti in collaborazione con Abadir Accademia di Comunicazione e Design a partire dal mese di aprile all’interno del Master in “Comunicazione visiva e Art Direction”. Le indagini sono
proseguite con l’analisi del paesaggio urbano e delle condizioni del verde in collaborazione con il Di3A dell’Università di Catania e i laboratori sociali sono stati coadiuvati da Officine Culturali e dal Comitato Popolare Antico Corso, partner del progetto.
7. Il workshop “Paesaggi Aperti per Antico Corso”, 15-19 luglio 2024, ideazione e coordinamento: Mariagrazia Leonardi, è organizzato da IN/Arch e IN/Arch Sicilia con la collaborazione dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Catania e la relativa Fondazione, il Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci, Officine Culturali, Comitato popolare Antico Corso, il CNR ISPC, DISUM Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Università di Catania, UPM Università Politecnica di Madrid, il Comune di Catania.
Hanno collaborato alla organizzazione del Workshop: Salvo Castro, Maurizio Caudullo, Giulia Falco, Giuseppe Lanza, Ignazio Lutri, Giuseppe Messina, Mariagrazia Leonardi, Lucia Pierro, Silvia Porcaro, Alessandro Tabuso, Alessia Zimbili.
8. Per approfondimenti sulla storia del paesaggio della città di Catania e del quartiere cfr. amico Vito Mario., Lexicon Topographicum Siculum, Aetnorum Academiae typographio apud d. Joachim Pulejum, Catania, 1757-60; atripaLdi Anna Maria, coSta Mario Edoardo (a cura di), Catania architettura città paesaggio, Mancosu, Roma, 2008; cuSa gentiLe Benedetto, Piano Regolatore pel risanamento e per l’ampliamento della città di Catania, anno MDCCCLXXXVII, De Martinis, Catania, 1994; dato Giuseppe, La città di Catania – Forma e struttura 1693-1833, Officina Edizioni, Roma, 1983; Leanti Arcangiolo, Stato presente della Sicilia, Palermo; pagnano Giuseppe, Flora Benedictina Catanensis, in Il giardino come labirinto della storia – Convegno internazionale Palermo 14-17 aprile 1984
– Raccolta degli Atti, Centro Studi di Storia e Arte dei Giardini, Palermo, 1984.
9. La Mostra “Paesaggi Aperti per Antico Corso. Tra storia e progetto: tracce per rigenerare luoghi e comunità”, 15-19 luglio 2024, ideazione e coordinamento: Mariagrazia Leonardi è organizzata e allestita a cura di: Giuseppe Lanza, Mariagrazia Leonardi, Ignazio
10. Per approfondimenti: maLFitana Daniele, cacciaguerra Gianluca, maZZagLia Antonino (a cura di), Catania, Archeologia e città. Il Progetto OPENCiTy. Banca dati, GIS, WebGIS. Volume I, IBAM-CNR, Catania, 2016; maLFitana Daniele, maZZagLia Antonino (a cura di), Catania. La città antica e quella del futuro. Archeologia, Topografia, Urbanistica per la riqualificazione dello spazio urbano, Roma-Bristol, 2023.
11. Hanno anche contribuito durante le giornate del workshop: Mosè Ricci (Professore Ordinario di Urbanistica, Università La Sapienza di Roma) João Nunes (Paesaggista, Studio PROAP Lisbona), Annalinda Neglia (Professore Associato Architettura del paesaggio, Politecnico di Bari); Bruna Di Palma (Ricercatrice Composizione Architettonica e Urbana Università di Napoli Federico II); Francesco Martinico (Professore Ordinario di Urbanistica Università di Catania); Valeria Scavone (Professore Associato di Urbanistica, Università di Palermo); Maddalena Ferretti (Professore Associato di Composizione Architettonica e urbana Università Politecnica delle Marche); Ignazio Lutri (IN/Arch Sicilia); Veronica Leone (Presidente Ordine Architetti
P.P.C. Provincia di Catania); Eleonora Bonanno (Presidente Fondazione Ordine Architetti
P.P.C. Provincia di Catania); Giuseppe Lanza (Comitato popolare Antico Corso); Giulia Falco (Funzionario Archeologo Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della
Valle dell’Aci; Antonio Condorelli (Dirigente Area Mobilità AMTS Catania S.P.A.); Irene Donatella Aprile (Sovrintendente Beni Culturali e Ambientali Catania); Gaetano Laudani (Ingegnere Capo Genio Civile Catania); Rosario Fresta (Presidente ANCE Catania); Daniele Malfitana (Direttore Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Università di Catania); Antonino Mazzaglia (archeologo CNR); Francesco Mannino (Presidente Officine Culturali); Salvatore Castro (Presidente Comitato Popolare Antico Corso); Graziella Trovato (Professore Associato di Progettazione, ETSAM Università Politecnica Madrid); Maurizio Caudullo (Vice Presidente IN/Arch Sicilia); Salvo Messina (Vice Presidente ANCE Catania); Lucia Pierro (Consigliere IN/ Arch Sicilia); Paolo La Greca (professore Ordinario di Urbanistica, Università di Catania, Vice sindaco della Città di Catania) Biagio Bisignani (Dirigente Ufficio Urbanistica Comune di Catania) e Lara Riguccio (Dirigente Ufficio Verde Comune di Catania); Claudia Cantale (Ricercatrice dei Processi culturali e comunicativi, Università di Catania).
12. Cfr. pica ciamarra Massimo, Civilizzare l’Urbano, 2018 https://www.fondazionemediterraneo.org/images/_Luc/MAGGIO_2018/ TAVOLA%20ROTONDA%20CIVILIZZARE%20 LURBANO/LIBRO_CIVILIZZARE_URBANO_MPC_2018.pdf; cataLano Chiara, Leonardi Mariagrazia, Multidisciplinary approaches to Landscape design, in On sustainable built environment. Between connections and greenery, Palermo University Press, 2022, DOI:10.19229/978-88-5509-446-7/712022.
Giovanni Fiamingo. Piazza Montessori: schizzi di progetto.
Terra. Piazza
Montessori
a Catania
Giovanni Fiamingo
La strategia progettuale
A Catania, sciare affioranti e ritmici basolati lavici raccontano di un antico sodalizio fra Natura e Architettura.
Queste tracce fisiche e culturali del vulcano, inglobate e trascritte nel paesaggio urbano, definiscono i tratti di una più vasta e precisa area culturale, quella ionico-etnea, oggi sopraffatta dai caratteri omologati e omologanti di una modernità sempre più stereotipata e indifferente ai luoghi.
L’invito ad “incrementare la componente naturale”, contenuto nel bando del Concorso Europeo di progettazione “Piazze Botaniche” è stato declinato all’interno di una sperimentazione progettuale integrata e interdisciplinare, estesa a tutte le cinque aree individuate dal bando, che ha proposto una diversa concettualizzazione della Natura, trascrivendo e rappresentando spazialmente le sue componenti più arcaiche e simboliche (aria, acqua, terra e fuoco o luce).
Il progetto per Piazza Montessori, poi risultato vincitore1, era dedicato alla “terra” e affrontava le complesse questioni urbane e paesaggistiche dello spazio urbano attraverso un “progetto di suolo” che non determinava variazioni sostanziali nella viabilità carrabile; eccezion fatta per la pedonalizzazione del suolo antistante la scuola “M.G. Deledda”, che permette la restituzione alla cittadinanza degli importanti resti dell’acquedotto romano; il rapporto con la forte presenza della colata lavica, sul salto di quota adiacente la vicina chiesa; il collegamento pedonale o carrabile con la parte urbana gravitante attorno a Piazza Fusinato. Il recupero delle valenze storiche e paesaggistiche della piazza, insieme alla sua pedonabilità e accessibilità, ha comportato il parziale sacrificio dell’attuale uso come parcheggio. Tutti gli ulteriori usi che gravitano sulla piazza sono compatibili con gli interventi proposti, come il tradizionale mercato settimanale, che può addirittura approfittare dell’aumento di suolo scaturente dalla nuova sistemazione viaria, e le altre attività come ad esempio il chiosco esistente. La dotazione dei parcheggi, integrata da ulteriori stalli a raso collocati nelle prossimità, è rafforzata da un parcheggio sotterraneo con accesso da via Fabio Filzi che, potrebbe essere inserito dall’Amministrazione nel piano parcheggi.
Il rapporto con l’acquedotto romano
L’obiettivo di instaurare una relazione diretta fra l’acquedotto e la piazza, porta a ripensare il ruolo fondamentale svolto dalla recinzione della scuola elementare “Deledda”.
Nel progetto tale limite rimane sostanzialmente invariato. Tuttavia ne viene ripensato l’uso e il valore urbano, trasformandolo in elemento di “dinamicità e flessibilità” per la piazza: il nuovo sistema tripartito di inferriate in acciaio Corten, definito da una lieve curvatura, resta “chiuso” quando la scuola è aperta per aprirsi alla collettività alla chiusura della stessa consentendo, attraverso la semplice rotazione di alcuni cancelli metallici, la penetrazione dello spazio pubblico fino ai suddetti ruderi.
Il rapporto con la colata lavica
“Terra”, il motto del progetto, allude ad una componente naturale spesso dimenticata come il suolo, presente sui luoghi di progetto nelle forme geometricamente artificiali di un lastricato di pietra e in quelle plasticamente arricciate della colata lavica in bella mostra fra Via Citelli e Piazza Fusinato.
Il suolo, come ha detto Caniggia2, diventa struttura antropica nel momento stesso in cui lo si percorre. Nel progetto, oltre a percorrerlo si propone di inciderlo, di scavarlo e modellarlo. A tale scopo, parallelamente alla risposta “orizzontale” del nuovo disegno di suolo di Piazza Montessori, si sviluppa un itinerario “verticale” e di sezione, realizzato con opere “sottosuolo”, che propone un’immersione nello spessore della terra.
Questa “incisione” inizia dalla piazza, per attraversare gli strati rocciosi del sottosuolo, ricavando un parcheggio nelle cavità laviche appositamente “scolpite”. Tale promenade è arricchita da attività commerciali, da affacci sul banco lavico e da una piazza lignea sospesa sulla stessa emergenza lapidea orientata su Piazza Fusinato.
Le opere sottosuolo
Lo scavo del parcheggio offre l’occasione di riflettere tanto su una possibilità di collegamento con Piazza Fusinato e via Castromarino, quanto la possibilità di indagare uno spazio “interstiziale” e ipogeo, che recuperi la memoria e il luogo delle antiche cave esistenti sull’area, valorizzando la colata lavica affiorante.
Più che un semplice parcheggio ipogeo, necessario a risolvere i problemi urbani legati alla ridefinizione dello spazio di Piazza Montessori, si propone la realizzazione di uno spazio che lavori sull’immagine del “ribollio lavico” e della fluidità degli interstizi della roccia.
Un progetto di scavo e sottrazione che trasforma le pareti basaltiche delle cavità in un vero e proprio “Museo della lava”, scolpendo sulla viva roccia le opere da contenere e arricchito da ulteriori istallazioni artistiche che riprendono il motivo “a bolle” e i cui preziosi materiali “di risulta” si offrono a ulteriori e sostenibili azioni costruttive.
Vista di Piazza Montessori in direzione della Scuola M. G. Deledda. In primo piano: la rampa di accesso ai parcheggi ipogei ed il sistema di collegamento con le quote inferiori di Piazza Fusinato.
Schemi funzionali di superficie e di sottosuolo.
Note
1. Comune di Catania, IN/Arch Sicilia Concorso “Cinque piazze botaniche” Piazza Montessori 2005. Progetto redatto da Giovanni Fiamingo (Capogruppo), con Marina Cimato, Enzo Magra (architetto/urbanista) e Loredana Cama (architetto e manager ambientale) – Consulenti pittrici e scultrici: Silvia Lepore,
Stefania Milioti, Collaboratori: Antonio Coco, Mario Covello, Alessandro De Luca, Lucia La Giusa, Francesco Miroddi.
2. caniggia Gianfranco, maFFei Gian Luigi, Il progetto nell’edilizia di base, Venezia 1984, Marsilio Editori, p. 153.
Università di Catania, DSPS. Attività del Laboratorio di “Analisi sociologica e metodi per la progettazione del territorio” (marzo-luglio 2024).
San Berillo è Catania
L’esperienza del Laboratorio di Analisi sociologica e metodi per la progettazione del territorio
Carlo Colloca, Valentina Pantaleo, Natalia Cocuzza
Per uno sguardo condiviso
L’esperienza laboratoriale dell’insegnamento di Analisi sociologica e metodi per la progettazione del territorio ha inteso approfondire le condizioni di perifericità che caratterizzano anche il centro storico di Catania, con l’obiettivo di problematizzare, attraverso un approccio quanti/qualitativo, il vissuto nel quartiere1di San Berillo2. Le attività di laboratorio hanno restituito la necessità di immaginare soluzioni di progettazione socio-territoriale che guardino alle trasformazioni urbanistiche, politiche e socio-economiche e culturali del quartiere attraverso uno sguardo processuale condiviso3. Il metodo delle “esplorazioni urbane”, delle interviste in profondità e dei focus groups, nonché l’analisi e l’interpretazione dei dati secondari (fonti statistiche, storico-letterarie, rassegna stampa, ecc.) ha permesso alle studentesse di un corso di studi magistrale in servizio sociale di declinare l’attività di ricerca-azione attraverso tre macro-filoni di indagine intimamente connessi4. L’esercizio laboratoriale ha portato a individuare una serie di variabili socio-spaziali che tendono a inasprire la problematica del disagio abitativo, quale fenomeno dinamico e multiforme, in un’accezione ampia dell’abitare. Un tema centrale per quanti si candidano ad entrare, post-laurea, nei ruoli dirigenziali dei servizi sociali di un ente locale o di un’impresa del privato sociale. La necessità emersa è quella di riflettere su una “domanda di città” (Amendola, 2010)5 rivolta al soddisfacimento di standard abitativi e di vita quotidiana adeguati che contribuisca anche a immaginare ulteriori spazi pubblici – aperti alla cittadinanza istituzionalizzata e non – anche all’indomani delle importanti opportunità introdotte dal PNRR.
Il contesto: il quartiere di San Berillo
Il centro storico di Catania è un’area in prevalenza residenziale, espressione di un dinamismo urbano diffuso che vede l’occupazione, ma anche la creazione di spazi vuoti (Schilirò, 2015, p. 64)6. Nel core di Catania, San
Catania, densità della popolazione nella Circoscrizione Centro (2021). Fonte: nostra elaborazione su dati ISTAT - Censimento della popolazione e delle abitazioni 2021.
Berillo presenta un’articolata storia urbanistica che si è tradotta, nel tempo, in una profonda frammentazione socio-spaziale. Il configurarsi di taluni “vuoti”, determinati dal susseguirsi di piani di risanamento e di sventramento, all’insegna dell’incompiutezza, e non dissimili da taluni altri contesti europei (D’Emilio, 2017, pp. 206-207)7, è stata accompagnata molto spesso da una retorica del «degrado e malaffare» (Palermo, 2022, p. 96)8. La realizzazione di progetti di mera riqualificazione fisica, improntati al canone dell’attrattività, inoltre, ha reso ancora più articolata la complessità delle istanze dell’abitare contemporaneo. Ad oggi, emergono forti contraddizioni interne tra aree connotate da edifici fatiscenti e in stato di abbandono e zone ad alto interesse economico-finanziario che propongono servizi avanzati. Ai fenomeni di touristification e gentrification in atto, segue un disagio abitativo “multi sfaccettato” ed espressione di diversi bisogni e desideri delle popolazioni locali. Si tratta, molto spesso, di residenti storici, ma anche nuovi abitanti “intrappolati” dalla condizione di forte deprivazione sociale, economica e abitativa con poche possibilità di mobilità sociale.
L’Urban Center: verso una “nuova” cultura della partecipazione? È all’interno di un processo di lunga data, non soltanto fisico, ma anche sociale e politico, che si inscrive l’ipotesi recente della realizzazione di un Urban Center9, nell’ambito del quartiere di San Berillo. Uno spazio pubblico che
Carlo Colloca, Valentina Pantaleo, Natalia Cocuzza
potrebbe imprimere una svolta decisiva all’intera città di Catania soltanto se immaginato, tuttavia, quale luogo di incontro e confronto sui temi della progettazione urbana, impegnato nello sviluppo economico e sociale della città, nonché capace di riattivare i potenziali spaziali, socio-economici e culturali dei quartieri che compongono il capoluogo etneo. In particolare le periferie geografiche, a margine della città, e le aree urbane del centro storico, sempre più segnate, queste ultime, da scelte di sviluppo economico che non sembrano proporre altro che street food, B&B e Airbnb, per effetto di un sovraffollamento turistico incontrollato. Un Urban Center quale sede per confrontarsi e per riflettere fra cittadini, istituzioni, associazioni, attori economici al fine di maturare sinergie e percorsi di innovazione socio-culturale, in vista di una nuova idea di rigenerazione urbana integrata; nonché percorsi di progettazione improntati ad un modello organizzativo disciplinato dal regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni che – in attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale (di cui all’art. 118, c. 4) – consente ai cittadini e all’amministrazione pubblica, in specie al Comune, di svolgere, su un piano paritario, attività di interesse generale, concernenti la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni. Nonostante il ritardo che la città registra sul tema, si potrebbe aprire una stagione inedita per la progettazione partecipata e condivisa all’indomani della legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 (“Norme per il governo del territorio”). Tra gli elementi di novità introdotti dal legislatore regionale c’è lo spazio assegnato al coinvolgimento della cittadinanza, riservando all’art. 6 («Partecipazione») e successive “linee guida”, un’attenta definizione del processo partecipativo. L’Urban Center, allora, potrebbe immaginarsi come “casa della città” attraverso la quale sperimentare percorsi di partecipazione e, quindi, momenti di confronto e discussione tra cittadini, tecnici e amministratori locali affinché gli spazi “agiti”, “costruiti” e “immaginati” possano trovare un’efficace sintesi in grado di veicolare coesione sociale e rispondere conseguentemente a forme articolate di giustizia spaziale. Di particolare cogenza appaiono, infatti, le riflessioni sul “diritto alla città” di lefebvriana memoria; un diritto che nella città post-moderna può essere declinato quale diritto all’abitare e allo spazio pubblico e, dunque, «alla centralità» dell’esperienza urbana (Colloca, 2011, p. 902)10. A partire anche dall’ascolto attento ed empatico dei cittadini quali depositari di conoscenze e saperi «e, quindi, anche capaci di avanzare proposte per la soluzione dei problemi urbani» (Vicari H., 2011, p. 144).
Metodi e tecniche della progettazione partecipata Il tema della partecipazione dei cittadini sembra affermarsi “timidamente” a partire dalla fine degli anni Ottanta del Novecento, complice un nuovo approccio alle politiche urbane volto a favorire la coesione sociale e contrastare l’esclusione (Vicari H., 2009, p. 35) in taluni «quartieri in crisi» (Ciaffi, Mela, 2012)11, attraverso programmi e strategie di respiro europeo. Trattandosi di un’attività processuale a medio-lungo periodo è indubbio che
Spazi privati, spazi pubblici e pubblici sovra-locali. Fonte: Ciaffi e Mela, 2006.
questa debba avvalersi di un metodo che esuli dagli interventi meramente simbolici, al fine di evitare derive pleonastiche (Allegretti, 2010)12. Una processualità che si articola in un’attività di “informazione” e “comunicazione” che riesca a pervenire a rappresentazioni collettive dello spazio urbano, ma anche di “animazione”, in grado di veicolare risorse collettive, e di “consultazione” della cittadinanza organizzata e non, con lo scopo di approdare a ipotesi progettuali sostenibili per lo scenario territoriale. Metodi e strumenti in grado di muovere verso una compartecipazione a beneficio dello sviluppo del territorio, non soltanto nella sua accezione fisica, ma anche quale spazio co-progettato e, quindi, costruito socialmente da tutti gli attori coinvolti nella governance urbana. Un campo non certamente esente da potenziali conflittualità che possono, tuttavia, trovare una sintesi nelle diverse fasi progettuali, attraverso l’attività di mediazione e accompagnamento sociale che promuova l’empowerment dei cittadini (Ciaffi, Mela, 2006)13.
Un’occasione, infine, per rafforzare significati sottesi alle diverse forme dell’abitare in grado di innescare una responsabilità condivisa attraverso lo scambio di competenze e conoscenze relative al “luogo”, inteso come spazio privato, comunitario e cittadino. Uno spazio, come quello che potrebbe rappresentare l’Urban Center, per il dialogo e per il confronto tra saperi esperti, e non, in grado di veicolare immagini alternative, e non specialistiche, della realtà urbana.
Le forme dell’abitare
L’“abitare” non si riduce alla mera funzione di “offrire riparo”, ma rappresenta un elemento simbolico che riflette e riproduce i meccanismi di stratificazione sociale. Come espressione delle disuguaglianze, questa realtà emerge in modo emblematico nel quartiere di San Berillo: luogo in cui la disposizione delle abitazioni, la qualità architettonica e urbanistica, nonché
Carlo Colloca, Valentina Pantaleo, Natalia Cocuzza
l’accesso a servizi e infrastrutture sono indicatori significativi di marginalità. Numerosi, ad esempio, sono i problemi legati alla carenza di illuminazione pubblica o alla mancanza di condizioni adeguate di sicurezza. San Berillo è un contesto in cui il tema abitativo rivela – e amplifica – le interazioni tra spazio e potere, coniugando la condizione economica con categorie socio-anagrafiche specifiche (“anziani, coppie o single senza figli”), con il carattere temporaneo dell’abitare (city user, individui che utilizzano lo spazio urbano in modo temporaneo, senza risiedervi stabilmente), con il processo migratorio (“immigrati stabilizzati o marginali”, questi ultimi spesso costretti a vivere in condizioni di indigenza), o con la ridotta mobilità sociale (gli “intrappolati”, che vivono in aree profondamente trasformate da usi non residenziali del quartiere)14.
Oggi San Berillo non risponde più a un bisogno abitativo tradizionale, essendo interessato dal fenomeno “dell’abitare temporaneo”. La riconfigurazione urbana, orientata a favorire l’afflusso turistico, ha portato all’aumento di strutture ricettive a breve termine, come hotel di lusso e case vacanze: tale processo ha generato effetti complessi, tra cui la gentrification – con l’effetto di una progressiva sostituzione della popolazione residente – tensioni tra abitanti e city users, e una rarefazione dell’identità locale. I bisogni abitativi di San Berillo restano molteplici e articolati. Il quartiere registra una significativa popolazione immigrata, spesso del tutto priva di reti di supporto, oltre a fasce sociali vulnerabili come lavoratori precari e sex workers. Affrontare tali esigenze significa non soltanto garantire il “diritto all’abitare”, ma anche scontrarsi con le problematiche relative all’inclusione socio-economica. Nuove soluzioni in ambito abitativo promosse dal terzo settore, come l’housing sociale, hanno permesso alle fasce più vulnerabili di accedere a alloggi con affitti calmierati, e inferiori, rispetto ai prezzi del libero mercato15. Un ulteriore modello, incentrato sulla condivisione di spazi e risorse, è il co-housing16 . Questo approccio si caratterizza per l’utilizzo di spazi comuni e condivisi (come zone di gioco per bambini o aree verdi), in un’ottica di sostenibilità ambientale, riducendo costi e impatti ecologici. Inoltre, promuove relazioni di mutuo-aiuto, in quanto la gestione della comunità crea e favorisce reti di supporto reciproco, alimentando coesione sociale e solidarietà tra i membri (Mugnano, 2018, pp. 107-110)17. Nel caso di San Berillo, combinare i principi del co-housing con quelli dell’housing sociale potrebbe rappresentare una soluzione innovativa e inclusiva, in grado di bilanciare il diritto all’abitare con una visione sostenibile e partecipativa dello spazio urbano.
La progettazione sociale fra incompiutezza e incertezza
Una caratteristica dei “luoghi”, ma di non facile esplicitazione, così profonda da sembrare segreta è rappresentata dalla “compiutezza”, ossia un insieme di strutture materiali e immateriali, sociali e culturali, dove sono riconoscibili differenti usi e attività del vivere un territorio e, dunque, dell’abitare. Una sorta di intimo mescolarsi di costruito e vissuto: una stretta integrazione
San Berillo è Catania
Partecipanti al “Laboratorio” presso la sede di “Trame di Quartiere”.
Carlo Colloca, Valentina Pantaleo, Natalia Cocuzza
fra dimensione e forma, fra immagini e ruoli che non vuol dire essere in condizioni di immobilità e non modificabilità, quanto di essere un luogo dotato di slanci vitali che consentono un cambiamento continuo, nel tempo e nello spazio. L’attività del laboratorio di “Analisi sociologica e metodi per la progettazione del territorio” ha evidenziato che della “compiutezza”, quale intima sostanza di San Berillo, il quartiere è stato privato (già a partire dallo sventramento subito negli anni Cinquanta del Novecento), fino a diventare un enigma spaziale a seguito di disperanti completamenti urbanistici e interventi di politiche sociali mai portati a compimento. Le aree di quel quartiere che si estendeva oltre Corso Martiri della Libertà oggi è uno scenario fatto di spazi pubblici sempre più esigui, di una dotazione di verde e di attrezzature dell’arredo urbano pressoché inesistenti.
La vita si insinua negli angoli delle strade all’interno di un reticolo viario dove si concentrato soprattutto popolazione vulnerate e vulnerabili (autoctone e immigrate): soltanto la strada diventa, a pieno titolo, uno spazio pubblico e vive un suo utilizzo costante, in particolare da parte di alcune popolazioni le cui pratiche relazionali possono non soltanto divergere, o entrare in conflitto, ma conducono spesso ad una parcellizzazione della strada stessa. Una sorta di marcatura del territorio da parte di differenti gruppi sociali, che lo delimitano con pratiche di uso dello spazio fra legale, informale e illegale. La strada è la naturale estensione della propria abitazione: è luogo dell’identità e della costruzione dell’appartenenza, ma anche dello scambio, oltre che area di decompressione e di vita. Nel contempo i processi di sovraffollamento turistico, già richiamati in precedenza, nonché stili di vita e di consumo della società locale, hanno incrementato la presenza nel quartiere di popolazioni non residenti, o con residenze temporanee, incidendo su porzioni di spazio pubblico urbano coinvolti in progetti deliberati o autoindotti di trasformazione fisica, ma soprattutto funzionali ad incrementare l’offerta di consumi per i frequentatori della movida notturna.
Una risposta a tali condizioni di vita del quartiere San Berillo si auspica possano venire dalla consapevolezza che occorre puntare su esperienze di progettazione nell’ambito delle politiche sociali, da realizzare attraverso una sinergia fra servizi pubblici, privati e del privato sociale con riferimento all’abitare, ma anche agli ambiti socio-sanitari, educativo-culturali, del tempo libero e dell’occupazione per lo sviluppo di comunità. Un approccio così impostato è un dispositivo metodologico da promuovere con professionisti del sociale che, sulla base di una previsione, identifichino strategie e azioni adeguate al raggiungimento – in un dato tempo e in un dato luogo – di obiettivi per i quali esistono, o sono ottenibili, risorse specificamente dedicate, alfine di produrre un cambiamento in ordine alla soluzione di problemi o alla riduzione di disagi umanamente e socialmente rilevanti. La progettazione sociale del territorio tiene insieme l’elemento della “tecnicità” con quello della “intenzionalità”. Richiede una elevata tecnicità in termini di “dettaglio ordinato”, di razionalità interna e di rigore metodologico.
Berillo è Catania
Focus group a cura del Laboratorio presso la sede dell’“Osservatorio Urbano e Laboratorio politico”.
Nel contempo, trattandosi di persone che investono “su” persone, richiede una forte intenzionalità, un investimento in termini di aspettative che possono permettere la mobilitazione della intenzionalità altrui, ossia agire per il cambiamento da parte di tutti i soggetti implicati, siano essi attori o beneficiari. Questo processo dovrà avvenire combinandosi con un’urbanistica intesa – direbbe Rem Koolhaas – quale «messa in scena dell’incertezza»18, ossia che non proceda per accumulo di una serie di misure prestabilite, ma con la possibilità di modificare l’ordine delle azioni in risposta a esigenze inattese e che sappia essere “non ricorsiva”, dunque non fondata sulla riproduzione routinaria di un modello indifferente rispetto al contesto, ma che riesca ad aprirsi ad esso e subirne costruttivamente la mutazione.
Carlo Colloca, Valentina Pantaleo, Natalia Cocuzza
1. Sebbene il saggio sia frutto di riflessioni congiunte degli autori, a Carlo Colloca sono da attribuire i paragrafi “L’Urban Center: verso una “nuova” cultura della partecipazione?” e “La progettazione sociale fra incompiutezza e incertezza”, a Valentina Pantaleo i paragrafi “Il contesto: il quartiere di San Berillo” e “Metodi e tecniche della progettazione partecipata”, a Natalia Cocuzza il paragrafo “Le forme dell’abitare”. Il paragrafo “Per uno sguardo condiviso” è a cura dei tre autori.
2. L’insegnamento, nell’ambito del CdL Magistrale in Politiche e Servizi Sociali, ha rappresentato anche lo spazio didattico, di ricerca e di terza missione con cui il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DSPS) dell’Università degli Studi di Catania, ha inteso contribuire al progetto Paesaggi Aperti, del quale è partner fin dalla candidatura del progetto medesimo. Il prof. Colloca – insieme con la dott.ssa Valentina Pantaleo e la dott.ssa Natalia Cocuzza – ha rappresentato, nell’ambito del progetto, anche il Consiglio nazionale dei Sociologi dell’ambiente e del territorio dell’Associazione Italiana di Sociologia, anch’esso partner di Paesaggi Aperti.
3. L’attività laboratoriale ha coinvolto le studentesse: Monica Bracciolano, Isabella Belfiore, Giulia Campione, Lia Cappellani, Carla Pappalardo, Agata Saraceno, Maria Elisa De Gaetano, Dorotea Pulvirenti, Federica Scarso, Simona Calanni, Carmela Longo, Giulia Scanio, Nadia Atif, Valeria Di Benedetto, Giorgia Cataudella, Simona Castiglione, Francesca Maria Catena Patanè.
4. Un ringraziamento va a Trame di Quartiere, alla Rete San Berillo, all’Osservatorio Urbano e Laboratorio politico, alle cittadine e ai cittadini intervistati.
5. amendoLa Giandomenico, Tra Dedalo e Icaro. La nuova domanda di città, Editori Laterza, Bari, Roma, 2010.
6. SchiLirò Massimo, La Catania di carta. Guida letteraria della città, Il Palindromo, Palermo, 2015.
7. d’emiLio Gaetano, D’emiLio Fabrizio, Etnea. Catania dalle origini ai quartieri storici, Algrasrls, Viagrande, 2017.
8.PaLermo Maurizio, Il ballo del mattone. Città, speculazione e politica a Catania dagli anni Sessanta a oggi, Lunaria Edizioni, Catania, 2022.
9. Tale progetto si inserisce all’interno dell’intervento Piani Urbani Integrati dedicato alle
periferie delle Città Metropolitane, Missione 5 del PNRR “inclusione e coesione sociale”, sotto-tema “povertà ed edilizia sociale”, che auspica una pianificazione urbanistica partecipata avvalendosi nella progettazione anche del Terzo Settore e di investimenti privati. Fonte: https://openpnrr.it.
10. coLLoca Carlo, Urbanesimo in G. Bettin Lattes, L. Raffini, a cura di, “Manuale di sociologia”, Cedam, Padova, Vol. II, 2011, p. 902.
11. ciaFFi Daniela, MeLa Alfredo, Città partecipate: un possibile decalogo in “Animazione Sociale”, agosto/dicembre 2012, pp. 82-91.
12. aLLegretti Umberto, a cura di, Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa. University Press, Firenze, 2010.
14. Si veda la segmentazione proposta dal sociologo Herbert Gans in People and Plans (1968), in base ai tratti socio-culturali degli individui.
15. Esempio virtuoso è rappresentato dal progetto “SottoSopra”, frutto della collaborazione tra Oxfam Italia Intercultura, Trame di Quartiere, il Comune di Catania (Dipartimento delle Politiche Sociali), la Diaconia Valdese, il SUNIA (Sindacato Unitario Nazionale Inquilini Assegnatari) e The Hub Sicilia. L’iniziativa mira a realizzare uno spazio abitativo sociale, oltre a una caffetteria dotata di servizi di prossimità, all’interno di “Palazzo De Gaetani”, situato nel cuore di San Berillo. Fonte: https://www.tramediquartiere.org/progetto/ sottosopra-abitare-collaborativo/.
16. Il co-housing affonda le sue radici nelle esperienze dei “condomini sociali”, sperimentati per la prima volta in Danimarca negli anni Settanta del Novecento.
17. mugnano Silvia, “Innovazione sociale nelle politiche abitative: nuovi approcci, nuovi attori e nuovi progetti”, in Id., Non solo housing. Qualità dell’abitare in Italia nel nuovo millennio, FrancoAngeli, Milano, 2018.
18.kooLhaaS Rem, What Ever Happened to Urbanism?, in R. Koolhaas, B. Mau, “S, M, L, XL: O.M.A.”, 010 Publisher, Rotterdam 1995, pp. 961-971.
Antonio Presti: educare alla bellezza a Librino, Catania
Mariagrazia Leonardi, Antonio Presti1
Librino: da “New Town” a periferia
Alla fine della seconda guerra mondiale, la necessità della ricostruzione delle grandi città italiane colpite dai bombardamenti e quindi di offrire alloggio popolare alla massa di persone rimaste senza tetto, ha condotto alla elaborazione dell’idea concettuale di città satellite, di New Town, grande promessa del funzionalismo contemporaneo e risposta ideale alle esigenze di una società moderna proiettata verso il futuro. Si progettano città utopiche, destinate a trasformarsi in “dormitori”: questa è la genesi delle grandi periferie come Scampia a Napoli, San Paolo a Bari, lo Zen a Palermo. Nella città di Catania la realizzazione della città satellite è prevista nel piano regolatore di Luigi Piccinato in sede definitiva nel 1969. L’area destinata alla nuova edificazione è enorme: 420 ettari coltivati ad agrumi e vigneti e destinati al pascolo, soprattutto di ovini. I proprietari, da cui il Comune acquista, sono alcune delle più importanti e antiche famiglie catanesi: Moncada, Recupero, Castagnola, Sisinna. Negli anni Sessanta, Catania si caratterizza per la sua vivacità produttiva e, soprattutto commerciale, tanto da guadagnarsi l’appellativo di Milano del Sud. È nell’ottica della promozione della città come metropoli proiettata al futuro, aperta agli scambi nazionali e internazionali, che il Comune decide di affidare l’incarico di progettazione al noto architetto giapponese Kenzo Tange. Questi invia a Catania un primo progetto nel 1971 indicando i principali criteri ispiratori. La sua idea è costruire una città articolata in dieci nuclei abitativi ognuno dei quali pensato per circa 7.000 abitanti e dotato di scuole, uffici amministrativi, centri sanitari e attività produttive. Borghi autonomi, dunque, delimitati da un doppio anello di strade, dalle ampie carreggiate, che svolgono un ruolo di collegamento rapido tra tutti i nuclei il cui cuore comune è pensato in un grande centro culturale dotato di servizi di vario tipo, compreso un teatro, una struttura per congressi, un museo e un centro polifunzionale che non è mai stato realizzato. A queste ampie strade Tange accompagna delle spine verdi per le passeggiate a piedi e in bicicletta e prescrive anche
attraversamenti in sopraelevazione per consentire il transito pedonale in sicurezza. Il suo progetto prevede anche la realizzazione di un enorme parco urbano, aperto a tutta la città e pensato come uno spazio attrezzato di impianti sportivi e di strutture per il tempo libero, e di un lago artificiale per gli sport acquatici da potere utilizzare anche come riserva d’acqua in caso di incendi. Ma il progetto nella sua forma originaria non ha mai visto compimento. Le infrastrutture primarie sono state parzialmente realizzate soltanto molti anni dopo, mentre i servizi, gli uffici e tutto quanto garantisce la vivibilità e l’autonomia di un centro abitato sono del tutto carenti, e spesso inesistenti. Mancano i luoghi d’incontro, le piazze attrezzate, i cinema, i centri commerciali, gli impianti sportivi, i teatri. Il verde non è stato mai realizzato né tanto meno il parco urbano e il lago artificiale. A Librino ci sono soltanto palazzi, edifici che hanno storie e caratteristiche differenti a seconda della loro origine. Per quelli costruiti dalle cooperative sono state rispettate le indicazioni del progettista, compreso il verde comune. Sono palazzetti bassi, talvolta a gradoni, ben curati, dove la manutenzione è evidente, e anche la protezione dall’esterno attraverso recinzioni. Qui abitano famiglie che possono contare su un lavoro e un reddito stabile ma che vivono il quartiere come un dormitorio. Di contro, i palazzoni alti e anonimi, le torri realizzate dall’Istituto Case Autonome Popolari, sono in uno stato di grave abbandono. Per non parlare delle case costruite abusivamente o degli immobili occupati da chi non ne ha diritto né titolo, come il famigerato palazzo di cemento che, per anni, è diventato ricettacolo di spazzatura, di droga e di armi pesanti per i clan mafiosi della città. Eppure qui abitano le nuove generazioni di Catania, questa, infatti, è la Municipalità con maggiore presenza di giovani, dove vive il 17,29% dei ragazzi catanesi tra i 14 e i 19 anni. Qui, dunque, nasce e cresce il futuro della città di Catania.
Educare alla bellezza
L’intervento di rigenerazione urbana ed umana della periferia di Librino a Catania, promosso dal mecenate Antonio Presti, segue quello dell’Atelier d’Arte sul Mare realizzato a Tusa e di Land Art per la riqualificazione paesaggistica della Fiumara d’Arte della Fondazione Antonio Presti Fiumara d’Arte2. Il lavoro che la Fondazione Antonio Presti Amiamo Librino realizza da quasi venti anni ha voluto gettare dei semi per le comunità del quartiere educando alla bellezza e donandola agli abitanti attraverso un progetto di empowerment e di rigenerazione urbana partecipativa che sta portando alla creazione di MAGMA (Museo a cielo aperto dell’immagine e dell’arte contemporanea di Librino), che inizia con la Porta della Bellezza realizzata insieme agli abitanti, agli artisti e ai bambini delle scuole, per riqualificare il viadotto della Tangenziale di Catania che attraversa Librino, per poi estendersi nelle opere fotografiche del “Cantico di Librino” che riproducono i volti degli abitanti e nell’ampliamento delle Porte delle Farfalle e della Conoscenza. L’Arte contemporanea, la Land Art site specific sono occasioni per dare luce al quartiere, rinnovare il senso di appartenenza, educare alla bellezza, alla conoscenza e quindi alla legalità. Tra gli ultimi lavori vi sono le installazioni di Luce e ombra: “Amare” e “La sognatrice” realizzate dall’artista Fabrizio Corneli. Si tratta di installazioni di Arte-ombra (Shadow art) su due grandi facciate multipiano dell’edilizia locale.
Fiumara d’Arte. Alcune tra le opere di Land Art presenti. Sopralluoghi con Paesaggi Aperti.
Antonio Presti e la sua Fondazione, da quasi venti anni coltivano a Librino un’utopia. In questa città-satellite di circa 70.000 abitanti, in un territorio lasciato ai margini, privo di infrastrutture e di servizi, «il sognatore che realizza i propri sogni» – come lo ha definito lo scrittore israeliano Meir Shalev – coltiva l’utopia della bellezza e dell’arte come forza etica. In questo spazio della contemporaneità, un non luogo che nega cittadinanza ai suoi abitanti, Presti ha scelto d’investire sull’arte ritenendola occasione di riscatto, d’incontro, di scoperta, di gioia, di bellezza. A Librino, il quartiere demograficamente più giovane di Catania, Antonio Presti ha voluto che la speranza si facesse arte. Ha proposto un progetto a tappe che ha preso le mosse dalla poesia per farsi racconto e poi immagine, scultura. Per i circa 8.000 ragazzi che nel quartiere frequentano le scuole dell’obbligo, promuove e organizza incontri e iniziative con poeti e con scrittori di fama internazionale, e, adesso, con scultori, fotografi e videoartisti. Per i più giovani l’incontro con la forza della parola, la fascinazione delle opere scultoree e multimediali è stata una scoperta rivoluzionaria, un chiavistello magico capace di cambiare il loro modo di vedere il mondo, un impatto dirompente in un quartiere dove non c’è un luogo pubblico d’incontro. Un omaggio provocatorio la cui sfida, l’utopia, è volere ribaltare l’approccio abituale allo sviluppo: non il denaro e l’economia come motore di crescita, ma l’etica, la bellezza, l’arte. L’arte come strumento per esprimere le potenzialità di ognuno. L’arte come levatrice di potenzialità
Antonio Presti: educare alla bellezza a Librino, Catania
di vita e di creatività. Un progetto provocatorio in un mondo che non riconosce la bellezza interiore come valore3.
«Una scelta etica» – l’ha definita la poetessa Maria Luisa Spaziani, più volte a Librino per le iniziative di Fiumara d’Arte –. «In un mondo in cui la maggioranza degli uomini muore senza sapere che cosa avrebbe potuto essere, il primo compito di ogni uno di noi è dare quello che si ha agli altri, è impegnarsi in progetti concreti, perché è proprio nel fare che le potenzialità individuali e collettive si esprimono e si accrescono. Ed è quello che sta facendo Antonio Presti, qui, a Librino. In un’epoca dove tutto è business» –sembra farle eco la scrittrice Maria Attanasio – «fare arte come mero atto di moralità, come fa Presti, è una scelta rivoluzionaria»4.
Dopo anni di esperienza maturata insieme ai ragazzi del luogo, il mecenate ha acquisito una consapevolezza diversa: «l’opera d’arte è tale nella condivisione». Non manufatti e sculture da creare, dunque, ma persone da valorizzare. Sono loro – i ragazzi, le donne e gli uomini di Librino – le opere d’arte che devono essere conosciute, amate e rispettate, persone di cui non si vuole cogliere e proporre una rappresentazione estetica, esteriore, ma la bellezza interiore, che è cosa completamente diversa.
«Fare esprimere la bellezza interiore a persone che si trovano in una situazione di disagio, di malessere, di rischio» – sottolinea Presti – «è un modo che può vivificare le emozioni implose in luoghi dove la depressione non è soltanto deprivazione di cose, né soltanto mancanza di strade, di piazze e di luoghi d’incontro, servizi e strutture di cui la popolazione ha bisogno, certo, ma che non possiamo essere noi artisti a dare. L’artista deve ricontattare l’anima degli uomini attraverso la bellezza. Ed è dalla consapevolezza di essere belli che può nascere una nuova coscienza degli abitanti del quartiere»5.
Per questo i docenti delle scuole, che vivono la realtà di Librino, affermano: «Le sue iniziative» – dicono – «aiutano ognuno di noi, e per primi i ragazzi, a scoprire quali sono i propri talenti e a essere capaci di donarli agli altri. E, nel fare questo, invertiamo i criteri della cultura di oggi e valorizziamo la bellezza interiore»6.
Racconta Presti: «Librino, come tutte le periferie d’Italia, è un luogo dove gli abitanti sono stati educati a chiedere, come se questa fosse l’unica modalità di esistenza. E, nel chiedere, sono stati sempre illusi, tant’è che, pure abitate dalla terza generazione, le periferie non sono ancora riuscite a diventare parte della città contemporanea a pieno titolo. Per questo, quando siamo andati a proporre la nostra idea di museo e di cambiamento per Librino, la più grande difficoltà è stata superare l’indifferenza alla promessa. E, se alla fine, è stato possibile, è solo grazie al fatto che ci siamo presentati forti di una presenza e di un’esperienza che dura da anni a Librino. La mia idea di un museo a cielo aperto a Librino, dunque, non è qualcosa che sorge nel vuoto, ma arriva dopo un lungo cammino al termine del quale la mia Fondazione si è data anche questa mission: realizzare il museo. Ed è una mission costruita sul valore del dono come condivisione»7.
Leonardi, Antonio Presti
E la condivisione, in questo progetto, ha un duplice aspetto: la gratuità e la consapevolezza. Gli artisti, gli intellettuali, le persone di cultura e quanti concorrono alla realizzazione del museo sono chiamati a comprenderne lo spirito che non si fonda sul denaro, ma sulla creazione di una rete di impegno sociale, civile, etico ed estetico. Gli abitanti del quartiere, da parte loro, sono chiamati ad essere protagonisti di quest’esperienza e di questa impresa volta alla crescita di un nuovo tipo di consapevolezza e di coscienza civica, un’esperienza che potrà aiutarli a fare uscire da sé i valori e le attitudini migliori. Arte pubblica, Arte sociale costruita con gli abitanti, è nata così la Porta della Bellezza, una enorme infrastruttura in cemento armato che ferisce terreni e viali dell’intero quartiere, una barriera, un limite che Presti ha voluto trasformare nella prima opera del museo a cielo aperto di Librino. Un Landmark nel paesaggio urbano realizzato con manufatti d’arte in terracotta e con versi incisi nell’argilla alla cui realizzazione hanno partecipato scultori, poeti di fama, gli abitanti del quartiere e gli studenti di Librino, i ragazzi che frequentano le scuole dell’obbligo. Anche in questo caso un percorso di condivisione, un’opera collettiva che è dono due volte, perché è un’offerta d’arte e bellezza e perché di quest’attività trasformatrice sono partecipi le generazioni più giovani di Librino nelle cui mani è il futuro di quest’area e della città tutta.
Paesaggi Aperti, ispirato alla maieutica di Danilo Dolci, ha ritenuto fondamentale per il proprio lavoro di ricerca il partenariato con la Fondazione Antonio Presti e inizia entrare nel vivo del Laboratorio Librino a Catania con passeggiate di rilettura del lavoro di Educazione alla Bellezza e al rispetto dei luoghi che Antonio Presti ha condotto con gli abitanti8. Dalla Porta della Bellezza alla Porta della Conoscenza e alla Porta delle Farfalle, diverse generazioni di abitanti si sono alternate e confrontate nella realizzazione di una grande opera di Land Art che è divenuta occasione di riscatto per un quartiere da sempre periferico e della quale i cittadini del quartiere si sentono orgogliosi. Un’occasione di rigenerazione condivisa e dal basso.
Dice Presti: «Bisogna fare capire ai più giovani che le azioni personali contano, che si può ribaltare qualcosa di brutto, come il muro dell’asse attrezzato, in qualcosa di bello. Una trasformazione che può avvenire solo con un atto di condivisione. Questi bambini, lavorando insieme agli artisti per uno stesso progetto, non solo condividono il valore della bellezza, ma affermano il potere del cambiamento in un luogo dove l’aspettativa e la richiesta, finora, sono state disattese e disilluse. Per questo motivo abbiamo ritenuto doveroso portare questo pensiero all’interno del mondo della scuola, perché i ragazzi, che rappresentano il futuro del quartiere, comprendano che, per essere cittadini, devono abituarsi a fare piuttosto che a chiedere»9. Al lavoro della Porta delle Farfalle hanno aderito oltre 5.000 studenti dei Licei artistici siciliani, circa 10.000 bambini delle nove scuole di Librino e le relative famiglie, più di 50 tra artisti, architetti e paesaggisti, selezionati dalla Fondazione Fiumara d’Arte, in collaborazione con una rete di giovani curatori10.
Nell’ambito del progetto MAGMA, Presti introduce un’importante riflessione sul tema della riqualificazione urbana del quartiere e pone la sua attenzione su una visione del paesaggio come dimensione spirituale, che trova la sua manifestazione nell’affermazione del valore della Bellezza.
Il lavoro con Paesaggi Aperti si è rafforzato con i laboratori di progetto sulla “Librino che vorrei” condotti con le scuole del quartiere11 e con le esperienze laboratoriali artistiche per la valorizzazione dei futuri spazi pubblici e del viadotto della tangenziale di Catania curate dalla omonima Fondazione12.
1. Gli autori hanno partecipato pariteticamente all’impostazione dell’argomento trattato pertanto reputano il lavoro unitario. Tuttavia la responsabilità redazionale dei testi risulta così suddivisa: “Librino da “New Town” a periferia” è stato elaborato da Antonio Presti, “Educare alla bellezza” da Mariagrazia Leonardi.
2. Per approfondimenti cfr. d’urSo Sebastiano, LeanZa Salvatore, nicoLoSi Grazia Maria, AEssenza d’acqua. Forme d’arte e paesaggio lungo la fiumara di Tusa in “RI-VISTA”, 01, 2023; Saggio Antonino, Fiumara d’Arte 3.0. Dalle prime grandi sculture monumentali nella valle del Tusa al riconoscimento del Parco Fiumara d’arte in “L’ARCHITETTO”, 2015.
3. Cfr. Saggio Antonino, Fare cittadinanza con la bellezza: l’esperienza di Librino in “L’Industria delle Costruzioni”, n. 459, 2018.
4. Interviste a cura di Gianfranco Molino, Fondazione Antonio Presti.
5. Intervista a cura di Gianfranco Molino, Fondazione Antonio Presti.
6. Interviste a cura di Gianfranco Molino, Fondazione Antonio Presti.
7. Intervista a cura di Gianfranco Molino, Fondazione Antonio Presti.
8. Le passeggiate di rilettura del paesaggio urbano e delle opere di rigenerazione sono state organizzate da IN/Arch e IN/Arch Sicilia con la collaborazione di Fondazione Antonio Presti e dell’Ordine e della Fondazione Architetti P.P.C. Catania.
9. Intervista a cura di Gianfranco Molino, Fondazione Antonio Presti.
10. L’opera è stata inaugurata il 14 aprile 2023 alla presenza di migliaia di persone.
11. Il lavoro è stato condotto da Antonio Presti con Mariagrazia Leonardi, coordinatore scientifico di Paesaggi Aperti, insieme a Paolo Romania e Giuseppe Lo Presti, Fondazione Antonio Presti, e all’architetto Martina Pappalardo.
12. I laboratori sull’argilla e di fotografia sono stati condotti da Antonio Presti e Paolo Romania e Giuseppe Lo Presti, Fondazione Antonio Presti. Nei laboratori di fotografia hanno lavorato le artiste Lynn Johnson e Monika Bulaj.
Plurima, stratificata, luminosa e oscura, provincia e capitale, costituita da molteplici centralità e periferie ove coesistono – sfiorandosi appena – altrettante differenti comunità, Palermo è una città che accoglie e respinge e che, con le sue contraddizioni, si presta a diversi racconti e, impossibile da afferrare fino in fondo, appare talvolta difficile – ma non impossibile! – da trasformare.
Quale futuro per Palermo?
Il processo di marginalizzazione in atto in Sicilia2 si riverbera nel capoluogo ed evidenzia l’intreccio tra sviluppo urbano, economia, lavoro e demografia. Nel caso di Palermo, infatti, da oltre un decennio è continuo lo spopolamento3 dovuto sia al calo delle nascite sia alla negatività dei saldi migratori e, mentre raggiunge il 32,4% la percentuale di giovani neet che non studia né lavora, ad abbandonare la città sono soprattutto laureati e diplomati: una generazione di iper-formati che fugge per le esigue – e non sempre appetibili – occasioni di lavoro offerte da una città il cui tasso di disoccupazione giovanile supera il 17%.
L’esclusione di una vasta porzione della popolazione giovanile, segnale di una persistente difficoltà nel disegnare un futuro più equo e sostenibile, è aggravato dall’abbandono scolastico che, rimanendo tra i più alti del Paese, si concentra prevalentemente in quartieri come lo Zen, Brancaccio-Ciaculli, Palazzo Reale-Monte di Pietà e Pallavicino ed in altre aree di esclusione socio-culturale ed economica poste nel cuore del centro urbano, come nel caso di Borgo Vecchio. Qui – a poche centinaia di metri dalla centralissima piazza del Politeama e dal Porto in fase di riqualificazione e sempre più affollato di crocieristi – in un microcosmo urbano fatto di baracche, macerie e animali che pascolano sull’asfalto per le molte famiglie che vivono d’espedienti le maggiori speranze di riscatto sono affidate alle attività promosse dalla scuola, al campetto di calcio auto-costruito e agli interessanti interventi di street
art attuati con il coinvolgimento degli abitanti più giovani. Iniziative queste che, pur avendo il pregio di modificare la percezione del quartiere, non possono – da sole – compiere il percorso necessario al cambiamento.
Palermo viaggia a diverse, plurime velocità e il declino interessa anche la città verticale della zona nord che fu costruita negli anni della speculazione selvaggia distruggendo le ville storiche e lo straordinario paesaggio della piana lussureggiante che circondava la città. Così, mentre una parte della popolazione più promettente va via e quella più debole arranca, si registrano episodi che possono indicare nuove strade di sviluppo. Tra questi la diffusione del South working4 e l’aumento delle startup innovative che, tra il 2023 e il 2024, sono cresciute del 3,7% proprio grazie alle opportunità offerte dalla diffusione del nomadismo digitale, infatti secondo il report 2024 “Executive Nomad Index” di Savills, che classifica le migliori destinazioni per il lavoro da remoto, Palermo occupa il 22° posto nella classifica mondiale ed è la città italiana più apprezzata per lo smart working anche per il suo ricco patrimonio culturale e per un mercato degli affitti ancora accessibile, con canoni di locazione fino al 70% più bassi rispetto a città come Firenze5. La bellezza del paesaggio ed il patrimonio storico-artistico, lascito dei popoli che si sono avvicendati e ibridati nel corso della sua storia millenaria, hanno reso Palermo una tra le città più riconoscibili del Mediterraneo. Anche per questo l’economia del turismo, con le sue contraddizioni, mostra l’esistenza di un vivace tessuto imprenditoriale che, superato il fermo della
pandemia, ha continuato a crescere sfruttando le dinamiche di trasformazione socio-economica in atto nel suo centro storico e, più in generale, il rilancio della città come capitale storico-culturale e crocevia di culture e tradizioni6. Questi fattori hanno incentivato l’afflusso turistico e le conseguenti dinamiche di trasformazione urbana, ma hanno anche innescato processi di ristrutturazione economica con impatti significativi sullo spazio urbano.
Tra il 2022 e il 2023 a Palermo si è registrato un incremento di circa 200mila turisti tra italiani e stranieri ma, insieme all’aspettativa – spesso disattesa – di stabili occasioni lavorative7, l’incremento dell’attrattività turistica ha determinato fenomeni di gentrificazione e turistificazione incontrollata cui conseguono lo sfruttamento delle risorse locali, l’espulsione della residenza stabile e la definitiva trasformazione dell’identità sociale e culturale dei pezzi più pregiati del centro storico e delle zone limitrofe8. Aree che, nell’assenza di politiche di mitigazione e compensazione per gli abitanti, stanno definitivamente perdendo la loro identità e qualità per trasformarsi in spazi principalmente votati al commercio ed al rapido consumo turistico. Di conseguenza, si pone la necessità di elaborare un modello di sviluppo urbano che sia più equilibrato ed inclusivo, capace di armonizzare le esigenze del settore turistico con la salvaguardia dell’identità locale e il benessere della popolazione residente.
Palermo non è ancora riuscita ad invertire la rotta del declino e permane in una fase di stallo nella complessa operazione di integrazione delle
molteplici componenti sociali, culturali e identitarie che ne definiscono la struttura urbana. La città si trova di fronte alla sfida di ricomporre tali eterogeneità in un quadro di sviluppo sostenibile, inclusivo e coerente. Emerge tuttavia con sempre maggiore consenso la consapevolezza della necessità di un cambiamento strategico, fondato su un approccio integrato alla rigenerazione urbana. In particolare, la riqualificazione del rapporto con il mare, la valorizzazione del patrimonio storico-artistico e del paesaggio, unitamente alla riattivazione di aree temporaneamente dismesse e/o abbandonate – le quali, essendo già inserite nei nodi centrali del tessuto urbano, possono essere trasformate in poli di nuova urbanità capaci di coniugare memoria e innovazione proponendo un mix di funzioni – sono ormai diffusamente considerati dei fattori chiave per il rilancio della città. Tali interventi, se attuati con visione sistemica e adeguata pianificazione, rappresentano strumenti imprescindibili per restituire a Palermo sostenibilità e attrattività, rendendola finalmente un centro prospero, dinamico e accogliente per i suoi abitanti attuali e per le future generazioni.
A Palermo i temi della partecipazione e della rigenerazione urbana devono tener conto della sua centralità nel Mediterraneo, della sua vocazione europea e della non facile ma irrinunciabile sintesi tra le sue molteplici comunità, identità e stratificazioni. Pratiche di ascolto e comunicazione come
quelle ricercate col progetto Paesaggi Aperti possono servire anche a questo aiutando a chiarire quale sia il futuro da disegnare per questa plurima e contraddittoria città.
Paesaggi Aperti per Palermo
Teatro di molte aspettative e di altrettante disattese promesse, Palermo è una città dalle molte e straordinarie potenzialità che, pur tentando ripetuti slanci verso il futuro, è rimasta a lungo ripiegata sul suo passato. Oggi cominciano a registrarsi dei segnali di cambiamento e, per questo, è importante ampliare le occasioni di confronto sui temi della rigenerazione urbana alla ricerca di un approccio transdisciplinare che tenga conto del fatto che la partecipazione è un processo lungo e faticoso all’interno del quale le molte forze che formano una città devono innanzitutto reciprocamente riconoscersi e imparare a comunicare.
Ciascun abitante dovrebbe non solo acquisire consapevolezza del proprio “diritto alla città”9 ma anche imparare ad esercitarlo impegnandosi a capire quale sia il futuro che questa città vuole darsi e, anche per questo, appare utile “educare alla bellezza”10 e alla qualità nell’architettura e nel paesaggio. Pur nella sintesi degli incontri che è stato possibile realizzare in un progetto articolato in tutte le province siciliane come lo è stato Paesaggi
Aperti, a Palermo si è cercato di creare dei momenti di confronto transdisciplinare volti a sondare solo alcune delle molte forze che sono in campo per giocare un lungo e articolato processo di trasformazione.
Attraverso le passeggiate conoscitive e il successivo incontro con alcuni giovani artisti e operatori culturali basati nelle aree remote del Mediterraneo11 si è provato a sondare alcune potenzialità della città cercando di comprendere il “ruolo” della mobilità intesa non solo come imprescindibile componente infrastrutturale della città ma, anche, come condizione irrinunciabile per favorire la comunicazione, la creatività e dunque l’emancipazione di ciascun individuo all’interno di una comunità più inclusiva. Parallelamente, nell’aprire alla città la sede dell’Ordine degli Architetti PPC, con l’incontro
Lucia Pierro e Marco Scarpinato
Passeggiata conoscitiva sul fronte a mare.
Passeggiata conoscitiva attraverso i Quattro Canti.
Passeggiata conoscitiva nei mercati storici.
“Paesaggi Aperti alla comunità”12, si è cercato di discutere di territori e comunità coinvolgendo cittadini e professionisti che, a partire dalle esperienze concrete proposte, si sono confrontati sui temi della rigenerazione urbana e del paesaggio aprendo anche un focus sull’importanza della diffusione dei temi legalità per innescare nuove modalità di sviluppo e valorizzazione dei luoghi e delle comunità che li abitano.
Tra le sollecitazioni intervenute, il collettivo de La Rivoluzione delle Seppie, con i progetti “Belmondo” e “CosMo”, ha offerto una riflessione sulle opportunità di rigenerazione dei luoghi e di promozione sociale offerte dalla pratica del South working ed ha aperto il ragionamento sull’uso del digitale per riattivare dei poli culturali e collegare le piccole realtà imprenditoriali
ancora “resistenti” nei centri storici. Amico Dolci ha illustrato le esperienze di partecipazione realizzate con il Centro per lo sviluppo creativo e il metodo maieutico messo a punto dal padre Danilo Dolci il cui impegno come “architetto di uomini” testimonia una visione ecologica basata sulla coesistenza di uomo e natura. Alice Grassi ha raccontato la travagliata – e tuttora irrisolta –vicenda del recupero del “mammellone” di Acqua dei Corsari che da 20 anni è al centro dell’attività dell’Associazione Parco Libero Grassi che ha come scopo la rigenerazione sociale e paesaggistica dell’area estrema della costa Sud di Palermo13.
Fabrizio Furiassi ha illustrato il progetto “Uni(wi)fied” con cui sta guidando la riqualificazione partecipata delle terrazze e degli spazi collettivi di un complesso di alloggi pubblici a basso reddito di Harlem (New York City). Daniele Ronsivalle ha discusso di progettazione strategica per la mobilità e la qualità degli spazi urbani secondo un approccio inclusivo e sostenibile. Isabella Daidone ha illustrato le esperienze di partecipazione e rigenerazione condotte in Sicilia da Giancarlo De Carlo.
Il collettivo MuST 23/Addio Pizzo Travel ha condiviso la recente creazione del museo immersivo MuST 23 realizzato nell’area dell’ex stazione di Capaci, a bordo del tratto di autostrada che nel 1992 fu squassato dall’attentato che uccise Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta ed ha così mostrato un intervento di rigenerazione radicato al territorio e alla sua comunità che, oltre a svelare la bellezza dei luoghi, realizza un concreto esempio di impresa sociale capace di coniugare cultura, creatività e nuove tecnologie tenendo viva la memoria con strumenti interattivi capaci di parlare ai più giovani. Florinda Sajeva ha dato delle anticipazioni sull’approdo di Farm Cultural Park a Palermo dove, a seguito dell’affidamento quinquennale dell’ex Convento dei Crociferi in via Maqueda, sarà aperto il Museo delle Città del Mondo con laboratori, spazi di studio e biblioteche. Il collettivo Sguardi Urbani ha raccontato il processo di animazione territoriale e ripensamento dello spazio urbano condotto nel quartiere San Giovanni Apostolo – noto anche come CEP, acronimo di Centro Espansione Periferica – con il progetto “Riconnessioni: percorsi di riattivazione della memoria urbana per riportare la periferia al centro” dove, eventi pubblici, workshop di autocostruzione, esperienze artistiche – come la realizzazione condivisa di un album fotografico di quartiere – hanno condotto alla trasformazione di un campo da bocce abbandonato in spazio pubblico. Marco Scarpinato ha tratteggiato un ritratto di Palermo in cui i temi della rigenerazione urbana devono tener conto della centralità nel Mediterraneo, della vocazione europea e della non facile sintesi tra le molte identità e stratificazioni.
In questa che, nonostante le molteplici contraddizioni, continua ad essere la quinta città d’Italia, l’associazionismo, il mondo del terzo settore e dell’imprenditoria sociale è attivo ed ha la capacità di promuovere con frequenza nuovi progetti e iniziative contenenti dei promettenti “semi di futuro”che talvolta si scontrano con la difficoltà di riconoscersi reciprocamente,
La presentazione del museo immersivo MuST 23.
fare rete e condividere spazi vitali. Tra le altre iniziative di riqualificazione urbana sviluppate con modalità partecipate che sono state attuate o sono in corso a Palermo vanno ricordate le attività condotte allo Sperone, e nel Quartiere San Filippo Neri, – meglio noto come ZEN, i risultati ottenuti a Brancaccio dove, oltre al parco e del Castello normanno di Maredolce riaperto al pubblico grazie ad un percorso partecipato, pare ormai prossima la realizzazione dell’asilo voluto da don Pino Puglisi che proprio qui ha operato e perso la vita per mano mafiosa e ciò che si sta facendo a nel quartiere Danisinni, a pochi metri da Palazzo dei Normanni – sede del Parlamento regionale – dove è in corso un lungo percorso di rigenerazione urbana che, partendo dalla parrocchia di Santa Agnese e coinvolgendo gli abitanti, ha condotto alla
Amico Dolci e il racconto del Centro Educativo di Mirto.
Alice Grassi e il racconto del percorso di Parco Libero.
realizzazione di una fattoria comunitaria, di un circo di quartiere, di laboratori di teatro, lirica ed artistici e, nel settembre del 2024, alla riapertura dell’asilo nido comunale chiuso da circa vent’anni14.
Mentre è stato recentemente approvato l’atto di indirizzo che delinea le direttive per il nuovo Piano Urbanistico Generale ed è ormai avviata la riqualificazione del fronte a mare portuale ed urbano, pare ormai matura anche la nascita dell’Urban Center Palermo promosso dall’Agenzia del Demanio per vagliare le proposte di trasformazione urbana con un focus sulla riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico. Il tema della rigenerazione urbana sembra dunque aver ormai sostituito il tema della rinascita dal centro storico che, per oltre venti anni, ha polarizzato le politiche urbane. Questo sguardo più ampio sulla città dovrebbe favorire una più ampia apertura verso le molte comunità da attivare e coinvolgere, il percorso indicato da Paesaggi Aperti offre dunque ancora molte possibilità e strade da esplorare per imparare a riconoscere e riattivare i luoghi che abitiamo.
Note
1. Il presente saggio è frutto di riflessioni congiunte, il paragrafo Quale futuro per Palermo? è a firma di entrambi gli autori che ne condividono la responsabilità, il paragrafo Paesaggi Aperti per Palermo è stato scritto da Lucia Pierro.
2. Secondo i dati Eurostat del 2023 in Sicilia il tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni è tra i più bassi d’Europa e si attesta al 48,7% mentre la media europea è del 75,3%.
3. La dinamica demografica della Città Metropolitana di Palermo evidenzia un andamento differenziato tra il capoluogo e le aree interne. Dopo una fase di crescita protrattasi fino al 2011, la popolazione residente ha intrapreso un declino continuo e irreversibile. Secondo le più recenti proiezioni demografiche fornite dall’ISTAT, nei prossimi vent’anni il trend negativo persisterà, portando la popolazione complessiva a 1.033.422 abitanti entro il 2041, un valore analogo a quello registrato nel 1951, con una contrazione del 14,5% rispetto al 2021. In particolare, la popolazione del Comune di Palermo dovrebbe subire un decremento del 17,4% rispetto ai 630.427 abitanti registrati nel 2023 e, al contempo, anche i restanti comuni della Città Metropolitana dovrebbero registrare una flessione demografica,
con una diminuzione dell’11,4% rispetto agli attuali 573.552 abitanti. Cfr.: d’anneo Girolamo, Il declino demografico della Città Metropolitana di Palermo, in: “Neodemo”s, 26 aprile 2024 e “Repertorio statistico” (periodo di riferimento 2023) pubblicato su https:// www.comune.palermo.it/palermo-statistica. php?sez=187&sel=7&per=2023.
4. Lo smart working durante la pandemia ha indicato che si può studiare e lavorare da remoto senza abbandonare le città d’origine, colmando così il divario economico, sociale e territoriale tra Nord e Sud. Cfr: miraBiLe Mario e miLiteLLo Elena (a cura di), South Working. Per un futuro sostenibile del lavoro agile in Italia, Donzelli Editore, Roma, 2022.
5. Nel 2024 al I° e II° posto si collocano Dubai ed Abu Dhabi, entrambe negli Emirati Arabi Uniti, seguono Malaga (3°), Miami (4°), Lisbona (5°), Barcellona (6°) e Palma (7°), mentre la prima Italiana è Palermo (22°). Cfr: https://www.savills.it/notizie-and-ricerche/ notizie-savills/365945/savills--anche-l-italia-nella-classifica-dei-paesi-piu-ambiti-per-i-nomadi-digitali.
6. Iniziato con il riconoscimento, nel 2015, del sito UNESCO “Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale”, questo rilancio è stato ulteriormente incentivato sia dall’instabilità geopolitica di alcune
destinazioni tradizionalmente classificate come “esotiche” – che ha comportato una riallocazione della domanda turistica verso mete ritenute più sicure all’interno dell’area mediterranea, tra cui la Sicilia e Palermo – sia dall’organizzazione di eventi di rilievo internazionale.
7. Nonostante l’aumento delle presenze turistiche registrato nel 2024, gli occupati del settore sono scesi di quasi il 15%, infatti «[...] la crescita del numero degli occupati ha riguardato tutti i settori con l’eccezione dell’agricoltura e del comparto del commercio, alberghi e ristoranti», cfr: Report Banca d’Italia, Economie regionali. L’economia della Sicilia, n. 41, novembre 2024, Roma, p. 5. 8. Il dilagante fenomeno mondiale del turismo incontrollato che, sfruttando le risorse locali, «uccide ciò che lo fa vivere e distrugge il mondo che dice di amare» è ben descritto nel volume di chriStin Rodolphe, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano, 2019.
9. Il concetto di “diritto alla città” formulato da Lefebvre (cfr: LeFeBvre H., Il diritto alla città, Padova, Marsilio, 1970 - ed. or. Le Droit à la ville, Parigi, Anthropos, 1968) è così descritto da Harvey: «Il diritto alla libertà di costruire e ricostruire le nostre città e noi stessi [...] uno dei più preziosi diritti umani e nondimeno anche uno dei più negletti [...]. Il diritto alla città è molto più che un diritto di accesso individuale o di gruppo alle risorse urbane: è il diritto a cambiare e reinventare la città in base alle nostre esigenze. Inoltre, è un diritto collettivo più che individuale, dal momento che ricostruire la città dipende inevitabilmente dall’esercizio di un potere comune sui processi di urbanizzazione», in: harvey David, Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street, Milano, Il Saggiatore, 2013, p. 22 (ed. or. Rebel Cities, Verso, Londra, 2012).
10. Secondo una celebre frase di Peppino Impastato «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. […] È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».
11. Queste attività sono state realizzate nell’ambito di Ready Steady Go!, un progetto
cofinanziato da Erasmus+ promosso da Roberto Cimetta Fund e Amunì. Paris e altri partner per favorire la mobilità di giovani artisti e operatori culturali basati nelle aree remote del Mediterraneo facilitandone l’internazionalizzazione come componente chiave dello sviluppo professionale.
12. L’incontro pubblico si è tenuto a Palermo il giorno 5 giugno 2024 con la partecipazione di: Andrea Margaritelli (Presidente IN/Arch); Iano Monaco (Presidente dell’OAPPCPA e della FOAP); Beatrice Fumarola (Coordinatore nazionale IN/Arch); Mariagrazia Leonardi (Presidente IN/Arch Sicilia); Lucia Pierro (Consigliere IN/Arch Sicilia); Isabella Daidone (Consigliere dell’OAPPCPA); Carmelo Galati Tardanico (Consigliere dell’OAPPCPA); Amico Dolci (Centro per lo sviluppo creativo Danilo Dolci); Florinda Sajeva (Farm Cultural Park); Daniele Ronsivalle (DARCH - Università di Palermo); Rita E. Adamo (La Rivoluzione delle Seppie); Fabrizio Furiassi (Lecturer University of Basel); Alice Grassi (Associazione Parco Libero); Dario Riccobono (MuST 23/Addio Pizzo Travel); Luisa Tuttolomondo (Sguardi Urbani) e Marco Scarpinato (Il Giornale dell’Architettura).
13. Acqua dei Corsari, con la sua magnifica visuale che spazia da Monte Pellegrino a Capo Zafferano, è un tratto di 11 ettari della costa sud che esemplifica una delle contraddizioni di Palermo. Il promontorio artificiale del suo “mammellone” è frutto degli anni del “sacco edilizio”, allorquando la città, recidendo definitivamente il suo rapporto col mare, trasformò questo luogo precedentemente frequentato per la balneazione e la pesca in una discarica a cielo aperto in cui sversare tonnellate di sfabbricidi e terre di sbancamento prodotti per realizzare l’informe espansione nella parte nord della città. Cfr.: pierro Lucia e Scarpinato Marco, Palermo, il parco di Libero Grassi resterà un miraggio?, in: “Il Giornale dell’Architettura”, 24 novembre 2021.
14. L’asilo di Danisinni era uno dei luoghi simbolo “vietati ai minori” che nel 2018, nell’ambito della campagna “Illuminiamo il Futuro”, l’Organizzazione Save the Childres aveva voluto evidenziare come segno del mancato investimento sui più piccoli.
L’esperienza di Modicaltra.
Paesaggi Aperti: riflessioni e confronto nelle città di Ragusa, Enna e Siracusa
Maurizio Caudullo, Ignazio Lutri
Nel condividere gli esiti del progetto di ricerca, i seminari di monitoraggio hanno costituito una importante rete di scambio e confronto sulle esperienze di partecipazione sociale e di rigenerazione recentemente attivate nell’isola.
Nel seminario “Paesaggi Aperti al Castello di Donnafugata”1, primo incontro di monitoraggio tenuto a Ragusa, i progettisti del workshop “Paesaggi Aperti per Abitare Favara” hanno condiviso con i partecipanti le strategie e riflessioni che hanno guidato l’elaborazione della proposta di rigenerazione urbana del sistema urbano di Via Reale nel centro storico di Favara. Questo caso di studio propone infatti una visione sostenibile volta a integrare e contemperare le dimensioni naturali, economiche e sociali; inoltre, affronta la sfida della rigenerazione urbana valorizzando l’accessibilità e l’inclusione come risorse fondamentali per creare nuovi spazi e arricchire le comunità esistenti. Questo “laboratorio di città” ha pensato anche a iniziative di coabitazione, scambi culturali e collaborazioni economiche, contribuendo a trasformare Via Reale in un modello di convivenza solidale tra le diverse comunità della città mediterranea. In questo senso, oltre a proporre un processo per Favara, si configura come un modello replicabile e scalabile, capace di ispirare politiche urbane innovative per affrontare le sfide contemporanee del degrado urbano, dei cambiamenti climatici, del declino demografico e dell’integrazione sociale dei migranti.
Per arricchire la riflessione e sondare le possibilità di sviluppo di future collaborazioni e nuovi progetti con focus particolari sulla Sicilia, l’incontro ha dato ampio spazio al confronto con le associazioni presenti nel territorio provinciale ragusano e in particolare con alcuni dei principali promotori di interventi di rigenerazione e partecipazione: BITUME, Modicaltra e Tessere Cultura – Bassi Comunicanti. BITUME è il progetto di arte pubblica che in cinque anni ha attraversato la città di Ragusa innescando una riflessione sullo spazio urbano e il bene comune; Modicaltra è il processo inclusivo
L’esperienza di BITUME.
Presentazione del workshop Paesaggi Aperti per Antico Corso.
L’esperienza di Tessere Cultura - Bassi Comunicanti.
Presentazione del progetto Riqualificazione del margine urbano di Rosolini.
di cittadinanza attiva promosso da un gruppo di cittadini e cittadine che, ispirandosi ai valori costituzionali, stanno attivando una serie di interventi di rigenerazione urbana e innovazione sociale che riguardano le campagne, il centro storico e le periferie di Modica; Tessere Cultura – Bassi Comunicanti è il progetto volto a valorizzare i beni pubblici di Ragusa e le attività delle associazioni giovanili locali per offrire ai giovani nuove opportunità di aggregazione, espressione culturale e produzione creativa all’interno di spazi pubblici di alto valore culturale.
Nel secondo seminario di monitoraggio “Paesaggi Aperti a Enna”2 oltre a condividere con i partecipanti le riflessioni elaborate con il caso studio di rigenerazione urbana “Paesaggi Aperti per abitare Favara”, sono stati illustrati i risultati del percorso condotto con l’analisi del secondo caso studio: “Paesaggi Aperti per Antico Corso a Catania” che propone una visione, che supera i tradizionali confini tra intervento urbanistico e conservazione del patrimonio, puntando a una profonda ridefinizione del ruolo della comunità e del valore culturale dei luoghi. In questo contesto, il progetto Paesaggi Aperti si è rivelato un autentico motore di idee e relazioni, grazie al confronto serrato fra istituzioni, enti di ricerca, associazioni, cittadini e professionisti dell’architettura e dell’archeologia. L’obiettivo è apparso fin da subito ambizioso: riportare al centro il dialogo tra passato e presente, tra storia millenaria e sfide del quotidiano, lasciando emergere quella molteplicità di “paesaggi” – archeologici, architettonici, naturalistici, sociali –, che compongono l’Antico Corso.
L’intento principale è stato quello di creare un luogo di scambio, in cui le conoscenze specialistiche si intrecciassero con il sapere di chi abita il quartiere ogni giorno. Ne sono scaturite mappe partecipate, rilievi condivisi, racconti orali e studi storici, tutti finalizzati a evidenziare criticità urbanistiche, aree in abbandono e potenziali “nodi” di connessione fra i diversi punti di interesse. Queste analisi hanno portato a una serie di visioni integrate di riqualificazione, mirate a migliorare la qualità della vita locale e a valorizzare il patrimonio archeologico.
Paesaggi Aperti ha voluto sondare le modalità di coinvolgimento e ascolto promosse dal lavoro di Danilo Dolci, che metteva la partecipazione e la maieutica reciproca al centro di ogni possibile rinnovamento culturale e sociale. Nel solco di questa tradizione, il workshop ha posto gli abitanti in posizione centrale, coinvolgendoli come artefici di proposte concrete anziché considerarli semplici destinatari. Questo approccio orizzontale ha spinto i professionisti a condividere competenze tecniche, mentre le realtà di quartiere – comitati, associazioni e gruppi informali –, hanno offerto esperienze dirette su spazi solitamente trascurati. L’insieme di queste visioni ha generato progetti capaci di tenere insieme la memoria storica, le esigenze del presente e il bisogno di un tessuto sociale più coeso. Il ruolo dei comitati di quartiere, come il Comitato Antico Corso, è stato decisivo. Da anni impegnati nel difendere la ricchezza del quartiere e nel denunciare degrado e abbandono, si sono proposti come veri “baluardi di resistenza”, offrendo prospettive che spesso rischiano di rimanere escluse dal dibattito. Hanno così portato all’attenzione la tutela di antichi cortili interni, la necessità di riconnettere i nuclei abitati alle aree archeologiche attraverso percorsi pedonali e la possibile riconversione di giardini o terreni incolti in spazi di uso collettivo. Grazie a queste indicazioni, il workshop ha orientato le scelte progettuali verso soluzioni che affondano le radici nella quotidianità e che mostrano come la rigenerazione urbana sia un processo saldamente radicato in pratiche sociali condivise.
Dall’attività corale di Paesaggi Aperti sono emerse idee che, per quanto differenziate, appaiono accomunate da un medesimo orizzonte. Collegare i siti archeologici – come l’Odeon e le Terme della Rotonda –, attraverso percorsi pedonali facilitati e passaggi gradonati, recuperare giardini interni e creare corridoi ecologici, ripristinare antichi tracciati storici legati alle colate laviche: queste proposte guardano non solo alla bellezza architettonica, ma anche alle necessità di una popolazione variegata, con l’attenzione rivolta a bambini, anziani, persone con difficoltà motorie.
Il quartiere Antico Corso non è riducibile a un insieme di edifici da recuperare, ma si configura come un sistema in cui architettura, relazioni umane e biodiversità convivono, generando valori condivisi. Le proposte di riconversione di ex spazi ospedalieri in parchi urbani, la creazione di percorsi verdi, diventano così strumenti per incrementare la salute, l’educazione ambientale e l’inclusione sociale.
Nel terzo seminario di monitoraggio “Paesaggi Aperti a Siracusa”3, dopo l’esposizione del caso studio di Favara cono stati illustrati gli esiti del laboratorio sociale condotto sulle aree di San Berillo a Catania in collaborazione con gli Stakeholders. Oggetto del progetto sintesi tra i margini urbani del PUI, sistema residuale del moderno sventramento di Corso dei Martiri, esempio di convivenza multiculturale, possibile collocazione dell’Urban Center, il quartiere di San Berillo ha rappresentato un interessante campo di indagine dei principi di empowerment sociale4. Queste condivisioni sono servite ad alimentare il confronto con alcune esperienze nel territorio provinciale siracusano e, in particolare: l’esperienza di mobilitazione civica e paesaggi urbani attuata nel quartiere San Paolo a Lentini5 e il concorso di progettazione per la riqualificazione del margine urbano di Rosolini6.
Nel corso dei lavori esposti nelle tre giornate, è anche emersa la consapevolezza che la Legge Regionale 13/2015, pensata per sostenere e regolamentare il recupero dei centri storici, non ha prodotto i risultati sperati. Cause di questo insuccesso sono la scarsità di finanziamenti, la complessità burocratica e la mancanza di un coordinamento efficace tra i vari livelli istituzionali. In tale quadro, Paesaggi Aperti ha mostrato come, in assenza di un sostegno pubblico davvero incisivo, sia cruciale l’impegno dei soggetti locali per promuovere iniziative dal basso. I workshop hanno così compensato alcune lacune, dimostrando la forza che può derivare da un tessuto sociale coeso e dal supporto di esperti animati da spirito di collaborazione.
L’esperienza di Paesaggi Aperti ha tentato di ricomporre fratture, dando nuovo significato a luoghi dimenticati. Un altro aspetto rilevante riguarda la collaborazione tra le diverse componenti in gioco. Amministrazione comunale, ordini professionali, università, e associazioni culturali hanno avviato un inedito percorso di scambio dei saperi: mentre le istituzioni offrivano supporto normativo e strutturale, gli esperti fornivano analisi e strumenti progettuali, e la popolazione locale restituiva un punto di vista basato sull’esperienza diretta del territorio. I workshop hanno dunque agito come una “cerniera”, traducendo le esigenze e le proposte emerse in principi progettuali, prototipi e linee guida d’azione.
Per dare seguito ai risultati di Paesaggi Aperti si dovrà garantire la continuità di queste pratiche. Da un lato, le istituzioni potrebbero tradurre le proposte in bandi pubblici o in linee guida operative, dall’altro i comitati di quartiere e le associazioni potrebbero continuare a monitorare l’avanzamento dei progetti, partecipando attivamente alle scelte sulle priorità di intervento e sui tempi di realizzazione. Sarà inoltre essenziale coinvolgere le scuole e le università, affinché le generazioni più giovani apprendano l’importanza dei luoghi che abitano e si impegnino nella conservazione e nello sviluppo del tessuto storico-culturale.
Il messaggio finale è che, nonostante i limiti emersi nell’applicazione di strumenti legislativi come la Legge 13/2015, l’esperienza di Paesaggi Aperti conferma la possibilità di avviare un processo di rigenerazione reale,
alimentato dalla partecipazione e dalla determinazione dei soggetti locali. Gli insuccessi normativi diventano allora occasione per rilanciare proposte incentrate su una comunità che riscopra il piacere e il dovere di prendersi cura del proprio patrimonio, coniugando le istanze di tutela con quelle di innovazione. In questo modo, i quartieri indagati possono trasformarsi in esempi di “città partecipata”, in cui ciascuno, secondo le proprie competenze e aspirazioni, contribuisce a un percorso collettivo di crescita. La lezione di Danilo Dolci, fondata sull’idea che ogni trasformazione debba essere condivisa e discussa con i diretti interessati, offre dunque lo slancio ideale per una riprogettazione dal basso, capace di innestare sui ruderi del passato le speranze e le energie del presente.
Note
1. L’evento, tenuto il 12 ottobre 2024, è stato organizzato con la collaborazione del Comune di Ragusa, del Castello di Donnafugata, del Museo della Moda e del Costume, dell’Ordine e della Fondazione degli Architetti PPC della Provincia di Ragusa; all’incontro sono intervenuti rappresentanti del Comune di Ragusa, Salvatore Scollo (Presidente Ordine Architetti PPC Ragusa), Francesco Nicita (Presidente Fondazione Ordine Architetti PPC Ragusa), l’architetto Giuseppe Gurrieri ed i promotori dei progetti BITUME, Modicaltra e Tessere Cultura - Bassi Comunicanti.
2. L’evento di Enna, tenuto il 17 ottobre 2024, è stato realizzato con la collaborazione dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Enna presieduto da Sebastiano Fazzi che ha aperto i lavori e guidato il dibattito conclusivo. All’incontro sono anche intervenuti rappresentanti del Comune di Enna.
3. L’evento, tenuto il 18 ottobre 2024 è stato organizzato con la collaborazione dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Siracusa ed i lavori sono stati aperti da Sonia Di Giacomo (Presidente Ordine Architetti PPC Siracusa) e Lilia Cannarella (Consigliere CNAPPC).
4. Ne hanno parlato Luca Aiello (Trame di Quartiere) e Carlo Colloca (Professore Associato di Sociologia dell’Ambiente e del Territorio, UniCT).
5. Sono intervenuti: Laura Saija (Professore Associato di Tecnica e Pianficazione Urbanistica, UniCT) e Metis Bombaci (Comitato degli abitanti di Spitali Vecchio-San Paolo).
6. Sono intervenuti Francesco Giunta (coordinatore del concorso) e gli architetti
Mario Cottone e Gregorio Indelicato (Cottone+Indelicato), vincitori del concorso con Caravatti_Caravatti.
Paesaggi Aperti: visita del parco storico del Castello di Donnafugata in collaborazione con il Comune di Ragusa. Vista sul parterre.
Conclusioni e prospettive
Mariagrazia Leonardi, Lucia Pierro1
Riflessioni conclusive: urban centers e “Paesaggi Aperti 2.0”?
Volendo verificare se il metodo maieutico dolciano possa essere effettivamente applicato ai giorni nostri, in un momento di crisi socio economica e culturale anche incrementata dalla condizione pandemica vissuta nel 2020, ancora in parte irrisolta, il progetto di ricerca Paesaggi Aperti ha messo insieme persone profondamente diverse, umanamente e professionalmente, unite da una importante costante: l’essere innamorati e orgogliosi della propria terra di nascita o di adozione per cercare di portare ulteriori e necessarie esperienze di educazione alla consapevolezza, alla cittadinanza, alla partecipazione.
Il modello di formazione e inclusione, proposto nei progetti pilota, è stato in parte sperimentato nei laboratori condotti sui margini urbani delle città indagate grazie all’ausilio delle associazioni che da tempo si occupano di leggerne le condizioni sociali e le problematiche fisiche e culturali.
Alcuni “appunti”, scaturiti dai workprojects e dai laboratori sociali e progettuali, dovrebbero essere ulteriormente condivisi con soggetti pubblici e privati e potenziali stakeholder.
Grazie ai contributi corali e alla multidisciplinarità di approccio adottata, pur partendo dalle specificità dei territori indagati, si è creata una metodologia operativa variamente adattabile a ciascun contesto.
I “laboratori di città” realizzati hanno aggiunto un tassello ai processi di attivazione di un “osservatorio partecipato” di ausilio, confronto e monitoraggio nell’ambito del rinnovo degli strumenti pianificatori in Sicilia ai sensi della riforma urbanistica regionale del 2020 che prevede lo strumento partecipativo come elemento fondamentale per lo sviluppo dei nuovi Piani Urbanistici Generali.
Consapevoli che occorre puntare su esperienze di progettazione da realizzare attraverso una sinergia fra servizi pubblici e privati con riferimento alle molteplici tematiche riguardanti il “vivere” la città e il senso di comunità
e di appartenenza, l’istituzione di Urban e Civic Centers è pensata come l’occasione per creare luoghi di incontro e confronto sui temi della progettazione del paesaggio urbano, dell’empowerment socio-culturale, della rigenerazione e della gestione condivisa dei beni comuni. “Paesaggi” e “progetti aperti”, di partecipazione e, quindi, luoghi di confronto e discussione tra cittadini, tecnici e amministratori locali.
Il progetto ha cercato di narrare e dare nuovi significati a luoghi dimenticati, partendo da una profonda analisi delle condizioni stratigrafiche, storiografiche, morfologiche e sociali proprio grazie alla sua veste multidisciplinare. Enti pubblici di governo del paesaggio e del territorio, enti pubblici e privati di ricerca e formazione, associazioni culturali e di quartiere, hanno collaborato per offrire analisi, sintesi e strumenti progettuali utili a valorizzare le proposte della popolazione che quei luoghi dimenticati li vive quotidianamente.
“Fare rete”, “partecipazione”, “inclusione”, sono alcune delle parole chiave che l’Istituto Nazionale di Architettura adotta nel proprio modus operandi insieme alla promozione della qualità del progetto alle sue differenti scale. Tali parole chiave sintetizzano i risultati raggiunti in quest’anno di lavoro: rinnovare l’affettività dei luoghi, l’orgoglio di appartenenza e il rispetto dei beni comuni. Un processo che andrebbe esteso e approfondito anche in altri territori per convertire le proposte in bandi e concorsi di progettazione o in linee guida operative per le amministrazioni.
I comitati di quartiere e le associazioni culturali dovrebbero continuare a monitorare l’avanzamento dei progetti, partecipando attivamente alle scelte sulle priorità di intervento e sui tempi di realizzazione. Sarà inoltre essenziale continuare a coinvolgere le scuole e le università, affinché le generazioni più giovani apprendano l’importanza dei luoghi che abitano.
Paesaggi Aperti conferma la possibilità di avviare un processo di rigenerazione, reale e condivisa, coniugando tutela e innovazione. In questo modo, i quartieri indagati possono trasformarsi in esempi virtuosi di partecipazione in cui ciascuno, secondo le proprie conoscenze e competenze, contribuisce a un percorso collettivo di crescita.
Paesaggi Aperti per un diritto alla qualità degli ambienti di vita
Con il progetto Paesaggi Aperti si è cercato di valutare – all’interno delle dinamiche in continua evoluzione del contemporaneo – la fattibilità della partecipazione perseguita attraverso il metodo della “maieutica reciproca” di matrice dolciana. Questo approccio si articola in un sistema integrato di informazione e comunicazione, finalizzato alla costruzione di rappresentazioni collettive dello spazio urbano e del paesaggio, nonché di animazione sociale, volta a mobilitare risorse collettive, e di consultazione estesa alla cittadinanza, sia quella istituzionale ed organizzata sia quella non strutturata. L’obiettivo è quello di giungere alla formulazione di ipotesi progettuali sostenibili, orientate alla configurazione di uno scenario condiviso nelle città e nei paesaggi.
Quello condotto con Paesaggi Aperti è un progetto di ricerca articolato e complesso sia per la dimensione territoriale che si è scelto di indagare –l’intera isola – sia per il significativo numero di stakeholder che sono stati in vario modo coinvolti nelle molte attività organizzate nell’arco di un anno: un tempo relativamente breve se si considera quanto la partecipazione sia un percorso lungo, lento e spesso faticoso. Un percorso all’interno del quale i molti attori di un territorio – inclusi quelli non istituzionali – devono essere innanzitutto individuati e coinvolti, per poi – successivamente – imparare a riconoscersi reciprocamente e quindi impegnarsi, conseguentemente, a superare le dinamiche di “trasmissione” e riuscire effettivamente a “comunicare”. Questa distinzione tra il “trasmettere” e il “comunicare” è centrale nel pensiero dolciano laddove c’è infatti “trasmissione” – e non “comunicazione” – tutte le volte che il messaggio va dall’emittente al destinatario, senza che quest’ultimo possa, a sua volta, rispondere. La “trasmissione” è, dunque, un processo unidirezionale – basato su un rapporto di tipo verticistico – che determina una partecipazione passiva laddove, al contrario, la “comunicazione” è caratterizzata dalla continua circolarità del rapporto poiché in essa sussiste un “mettere in comune”2.
Il progetto Paesaggi Aperti, concepito per favorire l’emancipazione delle comunità locali, ha introdotto elementi iniziali di consapevolezza collettiva, funzionali alla prosecuzione di iniziative di rigenerazione e sviluppo territoriale. Tali iniziative richiedono un processo di costruzione partecipata, volto a consolidare la consapevolezza condivisa di quello che, richiamando il concetto di “diritto alla città” teorizzato dal filosofo e sociologo Henri Lefebvre, potremmo chiamare “diritto alla qualità degli ambienti di vita”. Un principio fondamentale per la costruzione di “ambienti di vita” più inclusivi, democratici e sostenibili e di cui ciascun individuo è, al contempo, co-titolare e co-responsabile.
Nel contesto attuale, l’attuazione di questo diritto è compromessa – se non ostacolata – da fenomeni quali la gentrificazione, l’espansione disordinata delle periferie, la privatizzazione degli spazi pubblici e l’accentuazione delle disuguaglianze socio-economiche. Questi processi contribuiscono progressivamente all’esclusione delle fasce più vulnerabili della popolazione dall’accesso a un ambiente di vita di qualità, dignitoso e sostenibile. L’affermazione del diritto alla qualità degli “ambienti di vita” implica dunque una revisione delle politiche urbane in un’ottica di giustizia volta a concepire lo spazio abitato come un bene comune e non come una mera risorsa economica. Il riconoscimento e la tutela di questo diritto richiedono il rafforzamento dei processi partecipativi, la promozione di politiche inclusive e la garanzia di un equilibrio tra le istanze della cittadinanza e le dinamiche di trasformazione dello spazio.
Il principio della costruzione partecipata implica un coinvolgimento attivo degli attori locali e presuppone un’analisi approfondita delle comunità, comprendendone la storia, la cultura, i valori, i punti di forza, i bisogni e le
aspirazioni. Attraverso questa comprensione, è possibile instaurare relazioni di fiducia, individuare le problematiche che influenzano il benessere collettivo e identificare le opportunità di intervento. Inoltre, tale approccio consente di mappare le risorse necessarie al sostegno delle iniziative di sviluppo, siano esse interne o esterne, materiali o immateriali, finanziarie o sociali.
Riguardando il percorso compiuto con il progetto Paesaggi Aperti ed immaginando le sue possibili prospettive appare utile ed interessante definire quali potranno essere le ulteriori modalità di coinvolgimento degli stakeholder poiché questo è un tema cruciale per individuare e coinvolgere nei processi partecipativi anche quelle fasce della popolazione che, pur componendo il mosaico variopinto delle nostre città, non sono riconosciute come voce da ascoltare. Da qui discende inoltre un ulteriore tema riguardante la definizione delle regole della partecipazione: un aspetto fondamentale per realizzare processi che siano corretti e al contempo attendibili, tali da produrre effetti concreti e misurabili sulle decisioni pubbliche.
L’adozione di metodi e strumenti adeguati consentirebbe infatti di promuovere una compartecipazione attiva intesa come co-progettazione dello spazio urbano e del paesaggio, costruito attraverso il più ampio coinvolgimento degli attori di un ambito territoriale. Tuttavia, occorre aver chiaro che questo processo non può essere esente da potenziali conflittualità, le quali possono essere ricomposte attraverso l’integrazione di fasi progettuali strutturate e l’implementazione di strategie di mediazione e accompagnamento sociale. Tali strategie, orientate all’empowerment dei cittadini, risultano essenziali per la costruzione di un modello di sviluppo territoriale inclusivo e sostenibile. Un modello che – per essere verificato operativamente – necessita di spostarsi dal campo della ricerca a quello dell’azione e, in questo senso, guardando in prospettiva ad un possibile ed auspicabile sviluppo del progetto Paesaggi Aperti, potrebbe essere interessante provare a verificare sul campo gli esiti del processo individuato.
Note
1. Gli autori hanno partecipato pariteticamente all’impostazione dell’argomento trattato pertanto reputano il lavoro unitario. Tuttavia la responsabilità redazionale dei testi risulta così suddivisa: “Riflessioni conclusive: urban centers e “Paesaggi Aperti 2.0”?” è stato elaborato da Mariagrazia Leonardi, “Paesaggi Aperti per un diritto alla qualità degli ambienti di vita” da Lucia Pierro.
2. Dal trasmettere al comunicare è il titolo di un saggio di Dolci dedicato al significato del “comunicare” nelle sue implicazioni sociali, politiche e umane; in esso l’autore chiarisce
che «mentre è sempre più facile a uno, trasmettere verso miriadi di singoli, per comunicare non basta l’iniziativa del singolo: occorre l’attivo corrispondere di un altro, di altri», in questo senso, l’autore evidenzia che, quello comunicativo, è un processo bidirezionale in cui non vi è un “emittente attivo” e un “ricevente passivo” e, nemmeno, un “alto” e un “basso”. Si veda: Dolci Danilo, Dal trasmettere al comunicare. Non esiste la comunicazione senza reciproco adattamento creativo, Edizioni Sonda, Casale Monferrato, 1988.
Profili Biografici
Andrea Bartoli, Florinda Saieva. Andrea Bartoli. Insieme a Florinda Saieva è fondatore di Farm Cultural Park, di SOU la Scuola di Architettura per Bambini e di Prime Minister, la Scuola di Politica per giovani donne creata con Movimenta. I due sono vincitori di innumerevoli premi internazionali, partecipano su invito alla Biennale di Architettura di Venezia (2012, 2016 e 2020) e sono pubblicati nei principali media nazionali ed internazionali tra i quali Domus.
Maurizio Caudullo. Vice presidente IN/Arch Sicilia, è stato borsista del CNR, membro del comitato scientifico della Collana Transarchitettura di D Editore e ha coordinato l’Open Source Lab dell’Università di Catania. Specializzato in progetti complessi, concentra il suo lavoro su sostenibilità, qualità e innovazione nella ricerca progettuale.
Natalia Cocuzza. Assistente sociale specialista. Laurea magistrale in Politiche e Servizi sociali presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania. Master in “Libertà religiosa, libertà di coscienza, diritti e geopolitica delle religioni” presso l’Istituto Avventista di Firenze.
Carlo Colloca. Docente di Sociologia urbana presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania dove ricopre l’incarico di Presidente del CdLM in Politiche e Servizi Sociali. È componente del Consiglio Scientifico Nazionale dei Sociologi dell’Ambiente e del Territorio. Dal 2014 collabora con il Team G124 promosso dal sen. arch. Renzo Piano per il progetto “sulle periferie e la città che sarà”.
Amico Dolci. Docente al Conservatorio di Palermo e Presidente del Centro per lo Sviluppo Creativo Danilo Dolci, propone innumerevoli “laboratori maieutici” in scuole, associazioni e università. Collaborando con le case editrici Sellerio, Mesogea, Dante & Descartes, Altreconomia, Clichy, Il Saggiatore, con Giuseppe Barone cura la ripubblicazione dei testi di Dolci e/o di nuovi studi su di lui per favorirne la conoscenza e valorizzarne l’importanza nei nostri tempi attuali.
Giovanni Fiamingo. PhD in Composizione Architettonica e Urbana, docente universitario (2001-2021). Fondatore dello Studio NextBuild. Attivo nella ricerca progettuale sui temi della
riqualificazione architettonica, urbana e ambientale, rapporto tra architettura e paesaggio. I progetti e le opere realizzate hanno ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali e sono stati esposti e pubblicati in mostre di architettura oltre che su riviste nazionali e internazionali.
Beatrice Fumarola. Coordinatore dell’Istituto Nazionale di Architettura IN/Arch. Cura e coordina eventi, conferenze, convegni, seminari, concorsi, pubblicazioni e premi a carattere nazionale ed internazionale, attività di alta formazione e ricerca. Giurato in concorsi e premi di architettura, è membro del comitato scientifico della rivista “IIC L’industria italiana del cemento”, è coordinatore editoriale della storica rivista “L’industria delle costruzioni”.
Mariagrazia Leonardi. Presidente IN/Arch Sicilia. Docente di Architettura del Paesaggio, Università di Catania. PhD in Progetto e Recupero architettonico urbano e ambientale e già assegnista di ricerca (Università di Catania), Master di II livello in Architettura del paesaggio (Università di Firenze). Attiva nella ricerca progettuale, curatrice di mostre di architettura contemporanea e workshop. Relatrice in seminari scientifici internazionali. Autrice di saggi e volumi.
Ignazio Lutri. PhD in Pianificazione Territoriale ed Urbanistica presso il Dipartimento di Pianificazione Territoriale ed Urbanistica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Vincitore nel 1994 di Borsa di studio del CNR (Napoli - Istituto di Pianificazione e Gestione del Territorio). Past President IN/Arch Sicilia. È vicepresidente di Monometrica architettura. Ha partecipato o coordinato gruppi di progettazione vincitori di concorsi di idee e di progettazione.
Andrea Margaritelli. Imprenditore, brand manager del Gruppo Margaritelli. Direttore della Fondazione Guglielmo Giordano impegnata, tra le diverse iniziative, nella promozione e realizzazione del Festival internazionale Seed Design actions for the future e nella promozione e divulgazione della cultura scientifica del legno con particolare riferimento ai suoi impieghi in ambito strutturale ed architettonico. Dal 2018 è Presidente dell’Istituto Nazionale di Architettura IN/Arch.
Valentina Pantaleo. PhD in Scienze Politiche. Assegnista di ricerca presso il Dipartimento
di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania con un progetto sul tema: “Analisi socio-territoriale e processi di rigenerazione urbana integrata per la prevenzione e il contrasto della devianza minorile a Catania e nell’area metropolitana”.
Lucia Pierro. Master in Restauro Architettonico e Recupero Edilizio, Urbano e Ambientale (RomaTre), Specializzata in Museografia (Normale di Pisa), PhD in Conservazione dei Beni Architettonici (Poli.MI). Ha collaborato con Grafton Architects ed Henning Larsen Architects, è co-fondatrice di AutonomeForme. Tra i premi ricevuti la Gold Medal Holcim Prize e il Green Good Design. Partecipa a progetti di ricerca, è autrice di saggi e scrive su «Il Giornale dell’Architettura». È Consigliere IN/Arch Sicilia.
Antonio Presti. Presidente Fondazione Antonio Presti ETS. Tra le molteplici iniziative: la creazione del parco nella Valle dei Nebrodi in Sicilia Fiumara d’Arte, il museo-albergo Atelier sul Mare a Castel di Tusa, il progetto MAGMA per Librino a Catania. Qui realizza: La Porta della Bellezza, Il Cantico di Librino, La Porta delle Farfalle, le opere di luce Sognatrice e Amare. Vincitore di premi
internazionali, le sue creazioni sono pubblicate in volumi nazionali ed internazionali.
Mosè Ricci. Professore Ordinario di Urbanistica all’Università La Sapienza, Roma, dove attualmente dirige la Ricerca MEDEA (Mediterranean Ecological Adaptation). Visiting professor in prestigiose università, autore di volumi scientifici come: Leaf Plan (ACTAR, 2023), MedWays Open Atlas (LetteraVentidue, 2022), Custom Made (ListLab, 2022). Premiato in concorsi internazionali di progettazione, partecipa alla Biennale di Architettura di Venezia (1996, 2012, 2021, 2023).
Marco Scarpinato. Specializzato in Architettura dei Giardini, Ph.D. in Teoria della Progettazione e Architettura del paesaggio (Tunis e Reggio Calabria), Chercher associé all’ED.SIA Université de Carthage. Masterclass al Berlage Institute e Seminario InDeSem alla T.U. Delft. Ha lavorato con Herman Hertzberger, è co-fondatore di AutonomeForme, tra i premi ricevuti la Gold Medal Holcim Prize e il Green Good Design. Partecipa a progetti di ricerca, cura saggi e volumi e scrive su Il Giornale dell’Architettura.
Credits Partner e collaboratori
Si desidera ringraziare gli enti partner del progetto, gli enti che hanno collaborato e patrocinato la manifestazione.
Al progetto di ricerca Paesaggi Aperti hanno aderito: ABADIR Accademia di Design e Comunicazione visiva; ADI Sicilia; AIAC Associazione Italiana di Architettura e Critica; AIS - Sociologia dell’Ambiente e del Territorio; ANCE Catania; Centro per lo sviluppo creativo Danilo Dolci; Comitato Popolare Antico Corso APS/ETS; Consulta Architetti Sicilia; DSPS Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Università di Catania; Dottorato in Patrimonio Architettonico E.T.S.A. Universidad Politécnica de Madrid; Facultad de Arquitectura Universidad Nacional de Colombia, Medellin; Farm Cultural Park; Federazione Architetti Sicilia; Fondazione Antonio Presti Fiumara d’Arte; Fondazione Ordine Architetti PPC Catania; Fondazione Ordine Architetti PPC Palermo; Fondazione RadicePura, HARIM Accademia Euromediterranea; Officine Culturali; Ordine Architetti PPC Catania; Ordine Architetti PPC Palermo.
Hanno anche collaborato e patrocinato le attività: Amunì.Paris; Associazione Trame di Quartiere; Città Metropolitana di Catania; Castello di Donnafugata; CNR ISPC Istituto Scienze del Patrimonio culturale; Comune di Catania; Comune di Enna; Comune di Favara; Comune di Ragusa; Di3A Università di Catania Laboratorio di Progettazione e riqualificazione del paesaggio LM75, DISUM Università di Catania; Fondazione Architetti del Mediterraneo Messina; Fondazione Arch Studi e ricerche Architetti nel Mediterraneo della Provincia di Ragusa; INBAR; INSA; LM87 Politiche e Servizi Sociali Università di Catania; MuDeCo Museo del Costume Ragusa; Ordine Architetti PPC Agrigento; Ordine Architetti PPC Enna; Ordine Architetti PPC Messina; Ordine Architetti PPC Ragusa; Ordine Architetti PPC Siracusa; Ordine Architetti PPC Trapani; Parco Archeologico e Paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci; Regione Sicilia; Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici Università di Catania; Soprintendenza BB.CC.AA. Catania Regione Sicilia.