Sergio Lenci

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Tutte le fotografie e i disegni a corredo dei testi provengono dall’archivio privato di Sergio Lenci, Si ringrazia Ruggero Lenci per il prezioso contributo fornito a questa pubblicazione.

ISBN 979-12-5644-047-4

Prima edizione febbraio 2025

© LetteraVentidue Edizioni © per i testi: i rispettivi autori

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Indice

Una ricerca collettiva

del Dipartimento di Architettura e Progetto della Sapienza di Alessandra Capuano

Maestri Romani

Presentazione della collana di Orazio Carpenzano

Autoritratto di una generazione (1920-1950)

Introduzione alla collana di Lucio Valerio Barbera

Uno sguardo al pensiero architettonico di Sergio Lenci di Nilda Valentin

Sergio Lenci tra didattica e progetto di Giorgio Romoli

Tre testi di Sergio Lenci

Presentazioni di Nilda Valentin

Due progetti di Sergio Lenci

Presentazioni di Giorgio Romoli e Nilda Valentin

Regesto delle opere

Intervista di Lucio Valerio Barbera a Sergio Lenci a cura di Nilda Valentin

Uno sguardo al pensiero architettonico di Sergio Lenci

Nilda Valentin

«Sempre all’opposizione, animato da un’insofferenza quasi anarchica per le convenzioni; motivato da un’ansiosa volontà di far coincidere con estrema esattezza intenzioni e risultati; sorretto da un rigore morale che lo ha reso […] incapace di praticare compromessi»1. Franco Purini

Nel libro che presenta 50 anni dei suoi lavori2, Sergio Lenci viene descritto da Lucio Valerio Barbera, allora studente della Facoltà di Architettura di Valle Giulia, come un giovane assistente del corso di Elementi di Composizione che negli anni Cinquanta, «spiccava nell’élite della schiera modernista […] già professionista di una certa importanza […] il più razionalista […] il più rigoroso, il più difficile, quello che non si fa incantare da una piccola delizia formale e che, soprattutto, non accetta progetti à la manière de […] si doveva giocare senza appigli, pressati alla realtà dei contenuti del progetto, nel tirocinio di una faticosa […] ricerca […] dell’autenticità del tema»3. Quest’approccio ne accompagnerà il pensiero e le opere lungo tutta l’attività progettuale, costruttiva e accademica, che condividerà con i suoi studenti e che sono per lui «tre facce inscindibili dello stesso processo di studio, di ricerca e di evoluzione»4.

Numerosi sono i progetti, le realizzazioni e i traguardi accademici che Sergio raggiunge nella seconda metà del Novecento. È difficile riassumere in poche righe un percorso così ricco e complesso, ma possiamo individuare tre grandi fasi nella sua carriera: il primo decennio dopo la laurea

1 F. Purini, Farsi tema di se stesso: Sergio Lenci, in «Ricerca e Progetto», n. 4, Gangemi Editore, Roma 1994, pp. 94-97.

2 R. Lenci (a cura di), Sergio Lenci: l’opera architettonica 1950-2000, Diagonale, Roma 2000; prefazioni di Lucio Valerio Barbera e Marcello Rebecchini.

3 L. V. Barbera, Prefazione, in R. Lenci (a cura di), Sergio Lenci: l’opera architettonica 19502000, op. cit., p. 15.

4 R. Lenci, Recensione, in R. Lenci (a cura di), Sergio Lenci: l’opera architettonica 1950-2000, op. cit., retro copertina.

Anni Cinquanta

Il primo decennio dopo la laurea sarà quindi segnato da una serie di eventi, tra cui l’apertura di uno studio di architettura con Carlo Aymonino e Carlo Chiarini, con i quali Sergio partecipa a diversi concorsi di architettura, vincendone e realizzandone alcuni. Tra questi il quartiere INA-Casa

San Giovanni a Teduccio a Napoli del 1952 e il quartiere Spine Bianche a Matera del 1955. Il primo si distingue per la presenza di due grandi piazze collegate da un percorso centrale, e per un edificio a torre che funge da perno della composizione; il secondo per lo sviluppo di un insediamento abitativo a corte aperta, bilanciato da una spina centrale. Entrambi i quartieri, ma il primo decisamente di più, risentono dall’influenza del neorealismo.

Approderà poi a progetti più organici e plastici, come quello di concorso per il velodromo a Roma-EUR del 1956, bandito in occasione delle Olimpiadi del 1960 ove propone, insieme a Baldo De Rossi, un elegante stadio dalla forma ellittica asimmetrica, ricevendo una segnalazione.

Nel 1958 svilupperà invece uno dei temi compositivi ricorrenti nei suoi progetti futuri. Si tratta del centro sociale nel quartiere INA-Casa in via Campana a Rimini. In quest’occasione sarà evidente la ricerca progettuale di un gioco organico delle volumetrie che diventa lo strumento per creare nuovi tipi di spazialità all’interno e all’esterno dell’edificio.

Anni Sessanta e Settanta

Negli anni Sessanta e Settanta, Lenci non si dedica solo all’università e alla progettazione, ma anche ad altri lavori come l’insegnamento serale presso l’Istituto d’Arte, che gli consentiva di avere la giornata libera per le sue ricerche progettuali. Tra il 1952 e il 1954 inizia inoltre a collaborare presso l’Ufficio Tecnico della Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena del Ministero di Grazia e Giustizia9. Questa esperienza gli permetterà di addentrarsi in una realtà fino ad allora sconosciuta, ovvero visitare diverse carceri in Italia e constatare la difficile situazione dei detenuti e le pessime condizioni delle strutture, cosa che fu per lui «umanamente istruttivo, anche se molto angosciante per le condizioni obiettive della vita dei reclusi, condizioni che potevo constatare, ma per le quali

9 Denominato nel 1999 Ministero della Giustizia.

SERGIO LENCI
In alto: Progetto per il Velodromo Olimpico, Roma (1956), concorso, segnalazione
In basso: Palazzo di Giustizia, Brindisi (1957-61)
Quartiere a Secondigliano, Napoli (1965), concorso, secondo premio ex-aequo
SERGIO LENCI
In alto: Nuovo Ospedale di Pietralata, Roma (1968), concorso, secondo premio ex-aequo
In basso: Quartiere IACP ZEN Cardillo, Palermo (1969), concorso, terzo premio

l’utilizzo, la riqualificazione del Teatro Amintore Galli a Rimini del 1985, del Ca’ Venier dei Leoni a Venezia dello stesso anno, della ex Caserma Zucchi e del Parco del Popolo a Reggio Emilia del 1986, dell’ex Ospedale della Misericordia e di Palazzo Bernabei ad Assisi del 1986, questi due ultimi realizzati22, diverranno la premessa per ribadire la necessità di ridurre il consumo del suolo con nuove costruzioni nonché di valorizzare il patrimonio storico e alcune aree urbane abbandonate. Ciò è evidente anche con le proposte per piazza Matteotti a Vicenza del 1986 e piazza della stazione a Milano del 1988 il cui obiettivo progettuale è stato quello di migliorare la qualità degli spazi urbani.

A livello urbanistico troviamo diversi lavori come il Piano particolareggiato della zona “O” Massimina “A” e il Piano di Zona “Mistica II” a Roma del 1986-88, oltre alla proposta presentata nel 1990 al concorso bandito dall’ACER “Quale periferia per Roma Capitale?” per la zona nord della città, insieme ad Alberto Gatti capogruppo e a Diambra De Sanctis, risultata vincitrice ex-aequo.

L’incarico per il Centro Italia 1 e 2 per Mosca del 1989 sarà un’interessante occasione per proporre due diversi tipi di complessi urbani multifunzionali unitari. Nessuno dei due però vedrà la luce. Con la proposta per la Nuova Biblioteca Alessandrina, un concorso internazionale del 1989, la prerogativa sarà quella di realizzare un edificio simbolo che evocasse l’idea della “biblioteca ritrovata”, una delle sette meraviglie del mondo antico. Questo progetto, con Ruggero come capogruppo, riceverà una menzione d’onore. Nel 1987 realizza con i figli Roberto e Ruggero le case a schiera a Valcanneto e nel 1989 con Ruggero due edifici per 126 alloggi nel PEEP romano di Castel Giubileo, due proposte a scala diversa che testimoniano ancora una volta la sua continua riflessione sul tema abitativo: spazi pensati per il fruitore, con terrazze, affacci sul verde, tutti aspetti necessari per un vivere sostenibile. Per concludere, non è possibile riassumere esaustivamente il pensiero di un architetto che non solo ha progettato e realizzato numerose opere nella sua vita, ma ha anche contribuito enormemente all’insegnamento accademico. I suoi lavori, anche quelli non realizzati, hanno in ogni caso fornito un contributo al dibattito sul progetto architettonico.

22 Insieme al suo caro amico di Foligno Franco Antonelli, con il quale realizza nel 1991 anche il parcheggio interrato di piazza Matteotti ad Assisi, dopo aver elaborato negli anni Settanta il piano particolareggiato di Assisi.

Sergio Lenci tra didattica e progetto

Giorgio Romoli

Quanto segue è un insieme di annotazioni sull’attività di docente di Sergio Lenci nella Facoltà di Architettura di Valle Giulia a Roma con accenni alla sua attività professionale, scritte da uno che è stato sia suo studente che poi suo assistente.

Prima di entrare in argomento, dato che queste annotazioni partono dagli inizi degli anni Sessanta, voglio approfittare di questa occasione per dire che la Facoltà di Architettura di Valle Giulia, in quel periodo del quale si ricorda l’ormai famosa «battaglia di Valle Giulia», è stata un crogiuolo in continua ebollizione, dovuto al desiderio degli studenti e di alcuni docenti di migliorarla, per non dire ristrutturarla completamente. Entrambi, studenti e professori, pur con l’entusiasmo proprio di quegli anni di recente acquisizione democratica, non oltrepassarono mai i limiti del lecito e dettero alla facoltà un periodo di creatività sia nelle strutture didattiche che nei lavori degli studenti.

Ho trascorso molto tempo a Valle Giulia, ma non ho più visto un decennio tanto positivo come quello: c’erano vere personalità sia sul versante studentesco che su quello del corpo docente. Solo ricostruendo quel tratto di storia si può comprendere meglio la vita da docente e/o professionale di chi lo ha vissuto.

L’Europa, specialmente al nord, aveva imboccato da tempo la strada dell’architettura moderna, mentre noi, ancora guidati dalla «vecchia guardia» (negli anni 1950 Vincenzo Fasolo era preside della facoltà), avevamo ancora alcuni corsi, specialmente ai primi anni, che vedevano il Movimento Moderno (MoMo) poco adatto a dare risposta alle reali esigenze che l’Italia aveva in quel momento.

Contemporaneamente Bruno Zevi, con i suoi scritti e la attività dell’APAO, era una spina nel fianco per i fautori del MoMo. Gli architetti, usciti dal tunnel della guerra e della didattica della Facoltà di Architettura intrisa di classicismo con qualche punta di razionalismo italiano, si trovarono di fronte a un bivio fra il Movimento Moderno e l’architettura

della Rinascente a piazza Fiume, progettata ed eseguita pochi anni prima, è dovuto anche al bel colore dei suoi pannelli. Così come il successo del museo Guggenheim di Bilbao è dovuto anche alla finitura delle lamine di titanio delle superfici esterne, le quali cambiano di colore assumendo l’aspetto di uno squillante argento ai raggi solari del mattino e un caldo oro ai raggi del tramonto.

Dopo una lunga serie di altri progetti ed esecuzioni, voglio evidenziare due organismi edilizi di scala contenuta nei quali Sergio Lenci dà l’idea di trovarsi perfettamente a suo agio. Il primo è la sede della Cooperativa ITER, ex Rescoop, a Lugo di Romagna, del 1974, ed ecco le sue parole: «Pensai quindi a una continuità di spazi interni, estrinsecantesi in volumi liberamente articolati e diversi fra loro per forma e per dimensione all’esterno. Un ambiente sociale ricco di suggestive visuali che stabilisse un rapporto tra i diversi livelli di fruizione, che avesse momenti di continuità e di unità spaziale integrati ad altri di separazione»5. Bruno Zevi ha inserito questo edificio nel suo libro Linguaggi dell’architettura contemporanea. Il secondo riguarda una serie di proposte progettuali per i prototipi di Centro culturale “Garofano Rosso”. Questi centri, «da realizzarsi in diverse città italiane (rimasti come spesso accade sulla carta), si differenziano principalmente per l’estrapolazione della sala multimediale dall’interno del volume. L’edificio può essere realizzato in varie dimensioni e può contenere un consultorio medico, uno spaccio, una mensa self-service, un bar, una saletta riunioni, spazi per uffici amministrativi, una mediateca, oltre alla sala per differente numero di posti. Nelle diverse versioni viene utilizzata una copertura in acciaio e vetro più o meno grande che funge da supporto per i corpi illuminanti e per gli annunci delle varie attività in programma»6. Lenci ha pensato a un reticolato di base rettangolare con sovrapposto un altro reticolato ruotato di 45° gradi per poter adattare meglio il progetto nelle varie situazioni urbane. Dal 1982 inizia una nuova vita per lo studio: partecipazione a grandi concorsi internazionali anche su temi mai affrontati precedentemente

5 S. Lenci, Sede della Cooperativa ITER Lugo di Romagna, 1974, in R. Lenci (a cura di), Sergio Lenci: l’opera architettonica 1950-2000, op. cit., p. 150.

6 S. Lenci, Centro Culturale Garofano Rosso, 1979, in R. Lenci (a cura di), Sergio Lenci: l’opera architettonica 1950-2000, op. cit., p. 172.

SERGIO LENCI
Prototipo di Centro culturale “Garofano Rosso” (1979), assonometria, disegno di Ruggero Lenci; prospettiva, disegno di Sergio Lenci

Sull’architettura: Le Forme (1970)

Il testo Le Forme fa parte di un lungo scritto intitolato Sull’architettura nel quale vengono trattati anche temi quali la Conoscenza e architettura e La domanda di architettura, qui esplorando in particolare l’evoluzione di quella occidentale partendo dagli elementi stilistici del periodo classico fino alla rottura introdotta dal Movimento Moderno. L’autore analizza come gli elementi architettonici (colonne, trabeazioni, ecc.) siano stati a lungo utilizzati come veicoli simbolici e convenzionali per rappresentare idee di ordine e razionalità, con radici nella Grecia antica. Viene inoltre sottolineato il potere conoscitivo dell’architettura, che permette all’osservatore di comprendere lo spazio attraverso relazioni geometriche astratte. L’architettura è quindi vista non solo come una disciplina estetica, ma come un mezzo di conoscenza, che permette all’individuo di comprendere lo spazio e di interagire con esso in modo consapevole.

Con l’avvento della modernità e il consolidamento della società industriale e urbana, il testo identifica una grande frattura con la tradizione architettonica. Il Movimento Moderno, infatti, rifiuta l’uso degli elementi stilistici tradizionali, considerandoli ormai svuotati di significato e incapaci di rispondere alle nuove esigenze sociali ed economiche, ed è proprio tramite questo distacco dai vincoli formali del passato che riesce a orientarsi verso una nuova logica funzionale e pragmatica, in cui la forma segue la funzione. E in questo nuovo quadro il ricorso agli stili architettonici diverrebbe un atto di mistificazione della realtà.

Di conseguenza, Sergio Lenci crede che la nuova architettura debba mirare a trasformare l’ambiente fisico in modo democratico, rendendolo accessibile e abitabile a tutti, senza le mediazioni estetiche o stilistiche del passato, spesso utilizzate dalle classi dominanti per esercitare il proprio controllo. Ne deriva la necessaria scomparsa degli elementi classici dell’architettura come repertorio linguistico e l’introduzione di nuove preoccupazioni, che spaziano dalla politica all’economia, fino alla sociologia, e da questo contesto emerge una nuova disciplina: l’urbanistica.

In sintesi, il testo offre una riflessione profonda sull’architettura come forma di conoscenza e di comunicazione sociale. Dalla tradizione classica alla modernità il ruolo dell’architettura si è trasformato passando da linguaggio simbolico e codificato a strumento di trasformazione sociale e urbana, culminando nell’urbanistica come disciplina chiave per affrontare le complessità della città contemporanea.

in «Rassegna dell’Istituto di Architettura e Urbanistica», n. 17, maggio-agosto 1970, pp. 11-23. Tipografia Squarci, Roma, 1966 (1a ed.), pp. 13-50.

Siamo abituati, noi abitanti delle città d ’Italia e di alcune città d ’Europa, a forme architettoniche del repertorio storico o antico o vecchio che sono tutte accomunate dagli elementi stilistici che le compongono, intesi come linguaggio di espressione, attraverso immagini, del manufatto architettonico. Gli elementi stilistici non sono la forma dell’architettura ma ne costituiscono i veicoli convenzionali di rappresentazione.

Convenzionali perché, tali elementi, si sono fortemente radicati nel patrimonio conoscitivo, attraverso secoli di uso ed evoluzione delle stesse forme-base (leggi: pilastri – architravi – colonne – trabeazioni, ecc., timpani archi e volte). Gli elementi del linguaggio architettonico che fa parte del patrimonio culturale europeo, si sviluppano e codificano in Grecia ed in Italia meridionale (Magna Grecia) a partire dal VI secolo avanti Cristo con l’edificazione dei grandi templi dorici e delle grandi sistemazioni pubbliche (teatri, agora) e continua ininterrottamente, attraverso un complesso procedimento evolutivo (evoluzione delle tecniche produttive, dei mezzi impiegati, cambiamento della domanda di architettura) possiamo dire fino al nostro secolo, fino cioè alla grande frattura apportata dal Movimento Moderno.

Possiamo affermare, per grandi linee, che l’affinamento del linguaggio fondamentale (base – colonna – trabeazione – portico – cella – copertura a tetto), nato per il tempio, ne vede l’estensione dell’uso ad altri tipi di edifici pubblici che gradatamente si vanno affermando come «tipi», come cioè costanti organizzazioni di spazio in rapporto a funzioni costanti: il teatro, il boulenterion, la basilica, in Grecia; l’anfiteatro, le terme, le basiliche, gli acquedotti, i circhi, i ponti, a Roma; le chiese, i conventi, i castelli, le cittadelle fortificate medioevali via via fino alla complessa e numerosa articolazione tipologica della città ottocentesca e contemporanea (l’università, le scuole dei vari gradi, gli ospedali, gli edifici pubblici per servizi vari, stazioni ferroviarie, aeroporti, uffici postali, cinematografi, bar, caffè, ristoranti, alberghi, ecc.).

Edificio per uffici della

Cooperativa Rescoop (poi

ITER)

Il Museo Nazionale d’Arte Moderna di Parigi, conosciuto come il ‘Centre Pompidou’, è stato inaugurato il 31 gennaio del 1977. La sede della Cooperativa ITER, progettata da Sergio Lenci, l’8 ottobre del 1976, qualche mese prima. Cito le date, per sottolineare la contemporaneità delle due progettazioni. I due edifici hanno molti elementi in comune, anche se il primo nasce in una zona centrale di Parigi e il secondo nella bella campagna di Lugo di Romagna. Uno degli elementi in comune più evidente è il trattamento degli impianti. Entrambi i progetti anziché nasconderli con doppie pareti o controsoffitti, li mostrano tranquillamente, senza vergogna, e ne fanno parte fondamentale della composizione architettonica al pari di porte, finestre, scale, strutture, ecc. Nello spazio interno, vero protagonista della funzionalità architettonica dell’edificio, l’impianto di condizionamento, dipinto di rosso affinché non passi inosservato, si snoda tranquillamente nei vari piani con passaggi verticali e orizzontali, creando la sensazione di incarnare la struttura nervosa di tutto l’edificio. Questa evidenza, al di là della presenza plastica che entra in gioco con le altre parti dell’architettura, consente l’osservazione a vista di qualsiasi mal funzionalità dell’impianto ad aria, consentendone allo stesso tempo una facile e meno

Lugo di Romagna, Ravenna Progetto e costruzione: 1974-1978 (con D. Buscaroli, C. Moretti)

di Giorgio Romoli

onerosa riparazione. Questo modo di trattare gli impianti è stato una grande novità della ricerca architettonica degli anni Settanta, molto evidenziata dai critici quando parlarono dell’edificio di Renzo Piano e Richard Rogers a Parigi, meno per l’edificio di Sergio Lenci. L’architetto romano, anche se nato a Napoli, oltre che essere fautore convinto delle tesi del Movimento Moderno, con scritti e progetti si batteva anche per la semplicità e l’economia dell’architettura, rifiutando l’architettura come spettacolo Ai suoi tempi, ma oggi forse ancora maggiormente, molte opere architettoniche si mostravano come «un ‘autoritratto’ un’architettura d’autore, un’arte esibizionistica e narcisista. Continuando a parlare di musei, ma chiaramente il tutto vale anche per ministeri, ponti, piazze, ecc., si progetta più per richiamare l’attenzione non su quello che ospitano i loro saloni o a ciò per il quale si suppone furono costruiti, ma su se stessi, sulla inventiva e audacia dei suoi creatori! I buoni musei sono come i buoni maggiordomi, invisibili! Esistono solo per mettere in evidenza ciò che mostrano, non per mettere in mostra se stessi e sovrapporsi con il proprio istrionismo ai quadri, le sculture, installazioni in genere o oggetti che ospitano»1. Sergio

1 M. Vargas LLosa, Ciudad, Arquitectura y Paisaje, Editorial Pontificia Universidad Catolica del Perù, Perù 2013.

Edificio residenziale GESCAL

nel rione Guasco San Pietro

A seguito del terremoto di Ancona del 1972, fu effettuato un forte finanziamento, differito nel tempo, per attuare quanto il PRG del 1973 aveva previsto sia per riconquistare il lacerato centro storico distrutto al 70%, che per bloccare la crescita disorganica a nastro sul mare della città, attraverso la sua espansione verso la piana della Baraccola. I due interventi più importanti, uno nel centro storico e l’altro nel quartiere di espansione Q3, furono rispettivamente affidati a Sergio Lenci e a Giancarlo De Carlo. Ralph Erskine e Guido Canella, inoltre, sono intervenuti in successivi processi di prefigurazione urbana attraverso il ridisegno di alcune parti di città: il primo con un progetto di ricucitura e ricomposizione del tessuto storico del rione Guasco San Pietro; il secondo con una piazza attrezzata collocata all’interno del nuovo quartiere Q2. Nonostante le ampie problematiche a cui, dalla Carta di Gubbio in poi, le operazioni nei centri storici danno luogo, è proprio nell’antico rione che è stato inserito il primo tassello significativo della ricostruzione di Ancona. Con una risposta più che convincente a quanti nutrono dubbi sulla legittimità degli interventi di attenta sostituzione nella città antica quando le condizioni lo impongono, il dichiaratamente contemporaneo edificio di Sergio Lenci si integra perfettamente nel contesto e, al

Ancona Progetto e costruzione: 1974-1980 (con A. Bruschi, G. e P. Gandolfi, A. Reichlin, F. Zagari, S. Musmeci, A. Samuelli Ferretti)

di Nilda Valentin

tempo stesso, mostra schiettamente la propria diversità sincronico-diacronica. «Seguendo in pendenza i ‘sotterranei’ lineamenti del terreno, la lunga stecca, visibile da diversi punti della città, contemporaneamente si differenzia e accompagna le case che la circondano. Unitario e d’impatto, si integra con cura nella parte alta d’Ancona, con i suoi percorsi pedonali, gradinate e vicoli. Poteva fungere da esempio, e fornire una chiave progettuale unitaria anche per i nuovi quartieri in periferia; ma questi sembrano aver seguito una strada molto diversa e, va detto, sconcertante»1

La spina di case che dalla cima del Colle San Pietro – detto Guasco San Pietro – scende verso la Piazza del Papa è fiancheggiata da una strada non carrabile su cui è presente una cordonata molto scoscesa dal nome significativo: via Scosciacavalli. Gli edifici che fiancheggiavano la via Scosciacavalli erano disabitati sin dall’ultima guerra perché, prima di essere ulteriormente e definitivamente danneggiati dal terremoto, vennero bombardati durante le incursioni aeree. Si trattava di edifici originariamente a schiera, trasformati nel tempo in condomini, con sopraelevazioni vistose e con inserimento di strettissime

1 Sebastiano Brandolini, Ancona: dal terremoto a Ralph Erskine, in «Casabella», n. 519, 1985, p. 21.

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