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Indice 7

Premessa 1. L’architettura-tableau

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Prima della verosimiglianza fotografica, l’analogia prospettica. Strategie della rappresentazione. Prospettiva, fotografia e montaggio. Prime ibridazioni Prospettive su sfondo fotografico: il montaggio per l’accomodamento. Fotoprospettive digitali. Dal rendering al marketing Del fotomontaggio: la seria ironia La fotoplastica di Moholy-Nagy Fotoinserimenti euristici: il gesto autoriale. Riflessioni Del rendering, ovvero della visione cinematografica. Che fine ha fatto la prospettiva? Dal controllo della geometria alla manipolazione del modello. 2. Parole d’Autore

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Conversazione con Cristiano Toraldo di Francia Undici domande a Beniamino Servino Nello studio di Botto e Bruno Intervista a Giacomo Costa

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Bibliografia Annotazioni


Nella prima parte, Architettura tableau, questo libro propone alcune definizioni critiche (categorie sintetiche) che distinguono diversi usi del montaggio per la realizzazione di uno scenario architettonico, per indagare quell’intimo legame tra architettura e sua rappresentazione. Nella seconda parte, invece, la parola è data ad Autori di ieri e di oggi, architetti ma anche artisti che utilizzano il fotomontaggio, analogico o digitale: Cristiano Toraldo di Francia, Beniamino Servino, Botto e Bruno, Giacomo Costa. La prima conversazione riporta racconti e memorie di Cristiano Toraldo di Francia, membro di uno dei collettivi d’architettura che negli anni ’60 dimostrarono le loro credenziali come visionari creando fermo immagini concettuali della vita moderna: il Superstudio2. Nelle mani degli architetti radicali, la tecnica del fotomontaggio – fino ad allora poco più che una pratica occasionale tra gli architetti moderni e più strettamente associata alla pratica della caricatura della realtà – è stata completamente rivisitata e rinnovata. In un momento in cui il disegno autoriale dell’architettura è in forte crisi per l’avanzare delle tecniche di modellazione digitale, i montaggi di Beniamino Servino sono i disegni d’architettura tra i più noti oggi in Italia (anche grazie alla diffusione capillare delle immagini pubblicate quotidianamente sulla pagina Facebook dell’autore casertano), esposti al MoMA per la mostra Cut’n’Paste: From Architectural Assemblage to Collage City (10 Luglio- 1 Dicembre 2013). La perizia artigianale di matite e acquerelli si mescola con la fotografia nella “camera chiara” di Photoshop, mediando, con tanti passaggi e stratificazioni, una serie di ricerche progettuali e di contenuti teorici che trovano nel disegno il suo perfetto aforisma. Tra gli artisti contemporanei, i torinesi Gianfranco Botto e Roberta Bruno hanno scelto il fotomontaggio (squisitamente analogico) per realizzare luoghi metaforici dove, dall’evidenza foto8

Dal fotomontaggio Hans Hollein, Soprastructure above Vienna, 1960 (Collezione Centre Georges Pompidou, Parigi).

2. Il gruppo Superstudio, attivo a Firenze dal 1966 al 1978, fu fondato da Adolfo Natalini e Cristiano Toraldo di Francia, cui si aggiunsero Gian Piero Frassinelli, Alessandro e Roberto Magris e Alessandro Poli.


Al rendering Giacomo Costa, Consistenza n.5, 2008.

3. Renato De Fusco (1984), Il progetto di architettura, Roma-Bari: Laterza, 25. 4. Luigi Diemoz, Propositi di artisti: Luigi Moretti architetto, in Quadrivio, 13 dicembre 1973, pag. 5.

grafica della consunzione, si possano rintracciare segni vitali e di trasformazione delle periferie metropolitane. Per parlare di estetica digitale, si è invece scelto un artista fiorentino: Giacomo Costa. Dopo l’esordio col fotomontaggio (anche detto “photoshoppaggio”), quest’ultimo autore ha abbandonato la composizione per frammenti di fotografie del reale, per realizzare, dall’inizio degli anni 2000, mondi virtuali tridimensionali con la Computer Grafica. L’obiettivo di questo libro è anche quello di muovere alcuni passi nell’indagare come le tecniche informatiche si siano appropriate dell’eredità meccanica e quali significati porti con sé la trasformazione mediatica dal montaggio analogico alle contemporanee fotorealistiche prospettive realizzate con la modellazione tridimensionale assistita. Se “si può dire che la storia del progettare coincida con la storia dell’architettura, e che l’evolversi del concetto di conformazione dello spazio sia indissolubilmente legato al modo di rappresentarlo e prefigurarlo”3, allora è lecito rintracciare non solo quanto la tecnologia digitale eredita dal passato analogico, ma anche quanto sta affermando con una sua specificità iconologica autonoma. Un tarlo accompagna silenzioso le riflessioni di questo libro: che il rapporto di significazione tra architettura (significato) e sua rappresentazione (significante) si stia invertendo inesorabilmente, che il predominio della cultura per immagini distolga l’architettura dal suo oggetto primario, asservendola alla “beautiful Picture”. Un processo iniziato tempo a dietro, secondo quanto affermato in tempi non sospetti da Luigi Moretti (1907-1973): «(…) il concepirsi graficamente è il modo naturale dell’esprimersi dell’architettura contemporanea. Oggi la costruzione è una pura e semplice proiezione del grafico, e non, come dovrebbe essere e com’ è sempre stato, il grafico una proiezione della costruzione»4. 9


Architettura tableau

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Architettura tableau


Secondo questo principio, si possono realizzare fotoprospettive secondo diversi procedimenti esecutivi: 1) figura disegnata montata su sfondo fotografato; 2) fotografia di plastico incollata su sfondo 3) disegno su fotografia. Quest’ultima tipologia consiste nel disegnare con inchiostri (o altre tecniche) le figure direttamente sulla base fotografica; da un punto di vista operativo si tratta di “fotoritocco”, piuttosto che d’incollaggio, ma la sovrapposizione di livelli di testo (il disegnato sul fotografato) consente che si possa ritenere questa pratica assimilabile ad un montaggio. Mies van der Rohe, da quel 1910, ha realizzato con continuità fotoprospettive (di esterni e di interni, con una certa predilezione per le prospettive centrali) eseguite con il collage di ritagli fotografici, sia per visualizzare colori e texture dei materiali scelti, sia per enfatizzare la trasparenza delle superfici in vetro: l’ambiente esterno poteva entrare nello spazio interno, fin dalla fase di progetto. Realizzare una fotoprospettiva significa perseguire un fotorealismo dove non si crea conflitto tra poli opposti della rappresentazione (lineare e fotografico): il lay-out testuale è predisposto in maniera tale da invitare lo spettatore a fare propria la posizione e l’atteggiamento previsti. Anche la scelta di accostare il disegno a china a fotografie in b/n – specie in tempi in cui era già in uso la fotografia a colori – mitiga la percezione del contrasto e veicola l’“accomodamento”. Dall’analogico al digitale, al posto del disegno a china si inserisce sullo sfondo fotografico un modello tridimensionale virtuale. L’uso sempre più agile del digitale consente alla fotoprospettiva di diffondersi capillarmente (per la comunicazione e soprattutto per la vendita di immobili) e gli organi di approvazione oggi richiedono fotoprospettive con regolarità nella fase istruttoria 24


anche di piccoli progetti. Il fotorealismo diventa imperativo e sempre piĂš i renderings, intesi come fotoprospettive digitali, sembrano fotografie del reale; ciononostante, la tecnica digitale si pone in continuitĂ con la genitrice analogica, estremizzando la verosomiglianza.

Fotoinserimento di fotoinserimento. Il senso di Mies per Schinkel. Ludwig Mies van der Rohe, Progetto per il Monumento a Bismark, Bingen, Germania (1910), fotografia del plastico (incollato su sfondo fotografico) su prospettiva di Karl Friedrich Schinkel, Palazzo Reale a Orianda, Crimea (1838). Foto-assemblaggio di fotoprospettive per grattacieli. Eccezioni verticali sulla linea d’orizzonte (che tutto unisce). Da sinistra: il grattacielo Peugeout per Buenos Aires (progetto di Aldo Rossi con Gianugo Polesello, 1962); progetto per la torre Larkin di 110 piani (J. A Larkin, 1926); vista aerea di Manhattan con progetto del Rockefeller Center (1932 ca.).

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Architettura tableau

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Parole d’Autore


Al giorno d’oggi, è più che probabile che l’essenziale di ciò che ancora si suole designare come urbanesimo sia composto/decomposto da questi sistemi di transfert, di transito e trasmissione, queste reti di trasporto e di trasmigrazione la cui configurazione immateriale rinnova quella dell’organizzazione catastale, dell’edificazione di monumenti. Allo stato attuale, se vi sono “monumenti”, essi appartengono più all’ordine del visibile, malgrado le circonvoluzioni della dismisura architettonica, e questa “disproporzione” s’inscrive nell’oscura luminescenza dei terminali, dei banchi di controllo e degli altri “tavolini da notte” dell’elettronica, piuttosto che nell’ordine delle apparenze sensibili, nell’estetica appariscente dei volumi assemblati alla luce del sole. (Virilio, Paul (1998), Lo spazio critico, Bari: Dedalo, p.19). 50


Conversazione con

Cristiano Toraldo di Francia


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operavano sulla disciplina, sulla ridefinizione e messa in crisi del linguaggio architettonico e adoperavano l’architettura non come sistema di risoluzione dei problemi (secondo l’ideale funzionalista), ma come sistema filosofico di critica e ricerca. MM- Quando e come nasce il primo fotomontaggio firmato Superstudio? CTF- Uno dei primi fotomontaggi è stato un messaggio d’auguri, un poster 70x100 in b/n realizzato con una fotografia dei primi quattro componenti del gruppo ritratti sul basamento della piramide/ghiacciaia che si trova alle Cascine di Firenze. La fotografia originale viene da un negativo un 6x6mm realizzato con autoscatto dalla mia Pentacon six (di cui andavo molto fiero a quei tempi perché nel confronto con la Hasselblad era un po’ come la Lambretta rispetto alla Vespa); ritagliato lo sfondo dalla stampa fotografica, gruppo e piramide sono stati incollati su fondo nero per poi rifotografare il tutto con sovrapposto il ritaglio ricavato da una rivista di una civetta ad ali spiegate, simbolo di Atena e della saggezza per i Greci. Sopra la scritta: “Superstudio vi augura un anno di saggezza e pace”. Ne abbiamo fatte diverse prove prima di scegliere la versione finale; poi ne abbiamo stampate 200 copie da mandare agli amici per gli auguri.

I membri del Superstudio alla piramide del Parco delle Cascine di Firenze; da questa fotografia uno dei primi fotomontaggi per un poster d’auguri.

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“Eravamo i protagonisti nelle nostre architetture�. Fotografie originali e ritagli dei membri Superstudio.

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Tra i primi fotomontaggi, inoltre, ci sono quelli fatti in occasione del progetto per la mia tesi di laurea. In tale occasione avevo chiesto a mio padre, che si trovava in vacanza, di fotografare dalla barca il litorale di Tropea e di mandarmi i negativi (in realtà non ricordo se quelli utilizzati siano stati quelli scattati da lui o rifatti da me in seguito). Su alcune di quelle fotografie ho disegnato le prospettive della Macchina per vacanze. Uno degli originali è conservato nella collezione di disegni di Architettura del Centre Pompidou. Tutti quei disegni erano stati pensati per essere fotografati a tavola intera o per inquadrature parziali; questo perché la discussione della tesi si è svolta con una proiezione di diapositive a colori, secondo un programma che avevo organizzato alternando immagini del progetto ad altre che mi erano servite di riferimento: architetture storiche del tecnomorfismo, macchine di energia, spazi del divertimento, folle di vacanzieri.

* Il termine utilizzato, formative, si può tradurre solo così, anche se appare incongruo, forse intende formali, (NdT) 61


“La stratificazione è un processo contiguo, determinato da un procedimento di trasformazione del materiale che costituisce gli strati. Quand’anche lo strato nuovo che si sovrappone sembri estraneo, non tarderà ad essere assimilato, assorbito dalla materia sulla quale si poggia; con essa si salderà dando vita ad una qualità insieme nuova e stabile di tutta la stratificazione. Connessioni segnate da separazione: la cesura è apparentemente uno spazio vuoto e di questa apparenza, come sempre, non c’è da fidarsi. Tutt’altro: essa contiene un alto grado di potenzialità conoscitiva della struttura nel suo insieme, e quante maggiori emergono cesure, tanto maggiori risultano le potenzialità di conoscenza. Dunque, non resta che immergersi nelle cesure, come un tuffatore che, senza paura, si tuffi dall’Eretteo nelle profondità del mare lì contenuto”. (da Tescione, Eugenio (2003), Architettura della mente. Brani scelti di letteratura psicoanalitica, Torino: Testo&Immagine). 78


Undici domande a

Beniamino Servino


Beniamino Servino, SILOS GRAFFITI PARK [Funfair]. Sulla reversibilità dell’utopia / About the reversibility of utopia [Peter Cook, Plug-in city. MaxPressure Area, 1964] (2012). Beniamino Servino, Cuoco, che bella parola: Cuoco! (2012).

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nale; mi piaceva avere un cielo di aerei, tutto qui. MM- Tra le immagini che definirei “fotomontaggio” in senso tradizionale, di memoria analogica, ho scelto questa: Archeologia del futuro. Fotografia, disegno e Photoshop: lunghi pensieri, plurimi passaggi...



 BS- La paura di non essere contemporaneo, di non costruire il futuro, può annichilire. Ma Il futuro è semplicemente quello che io voglio oggi. E quello che io voglio oggi, me lo sono portato con me dal passato.
 Tradizione/ traduzione/ tradimento hanno la

stessa radice:
portare da un tempo a un altro, da una lingua a un’altra, da un corpo a un altro.
 E nel trasporto
qualcosa si perde e qualcosa si aggiunge.

 La fotografia l’ho trovata su una rivista molto bella: Some/Things; ho staccato queste pagine
 e ci ho disegnato sopra. Ci ho messo le rampe lineari o strade aeree. Dopo anni che le disegnavo, ho scoperto che un artista (Carsten Höller) faceva degli scivoli di acciaio. Io li chiamo “peduncoli”. In inglese “peduncles”. È una bellissima parola, scabrosa, quasi mostruosa, o anche tenera.


 Li disegno spesso, perché mi piace che si possa passare sopra le cose, le case, le macchine. E’ una traccia di un mondo infantile, forse
…

come le tette con le ali: la forma perfetta della
prima immagine erotica
 che nutre. MM- La prospettiva centrale non la vedo spesso, a meno che non sia lapalissiana, come in Prigioniero della simmetria, anche se qui il punto di fuga sembra proprio voler fuggire in un mondo parallelo…


 BS- Infatti. Il sottotitolo è

Nuovo umanesimo. L’uomo al centro dell’abbandono.


 MM- Il disegno a mano è irrinunciabile per te oppure ora non prescindi dall’intervento informatico?
In, generale, cos’è il disegno per te?


 BS- Un momento di intimità. Il disegno è un momento catartico. E anche autocelebrativo. L’utilità di un disegno per un progetto sta nel suo essere strumento di indagine progettuale, nel poter verificare una idea, seguire una suggestione… Mi piace tornarci. Scriverci sopra. Delle volte li interrompo (i disegni). Poi, anche a distanza di giorni, li completo in digitale. Altre volte no. Li lascio così.
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Il futuro è morto e noi siamo sonnambuli in un incubo. Vedo periferie che si diffondono per il pianeta, la suburbanizzazione dell’anima, vite senza senso, noia assoluta. Una specie di mondo della tv pomeridiana, quando sei mezzo addormentato. E poi, di tanto in tanto, bum! Un evento di una violenza assoluta, del tutto imprevedibile: qualcosa come un pazzo che spara in un supermercato, una bomba che esplode. E’ pericoloso (da Ballard, James Graham (2006), “Intervista a J.G. Ballard” di Valerio Evangelisti, in La Repubblica XL, novembre 2006).

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Nello studio di

Botto & Bruno

Gianfranco Botto e Roberta Bruno

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La Terra era sospesa laggiù, come un gigantesco pallone scintillante, chiazzato di arancione, di azzurro, di bianco. L’emisfero visibile era quasi interamente illuminato dal Sole. Si vedevano i continenti fra le nubi, i deserti di color arancione, con zone sparse di verde. Gli oceani erano azzurri e spiccavano vivamente contro il nero dello spazio, sul limite dell’orizzonte. E tutt’attorno, nell’oscurità profonda, brillavano le stelle. Coloro che assistevano a quello spettacolo, attendevano pazientemente. Non era l’emisfero illuminato dal Sole, ciò che volevano vedere. La calotta polare, di uno splendore accecante, apparve lentamente, mentre l’astronave proseguiva nel suo volo, che, con una bassa e impercettibile accelerazione laterale, la portava a sollevarsi rispetto al piano dell’eclittica. Poi, le ombre della notte si addensarono sul globo terracqueo e la formidabile “isola del Mondo”, cioè l’Eurasia-Africa, fece maestosamente la sua comparsa. Era quello, lo spettacolo atteso. Quel suolo contaminato, morto, nascondeva i suoi orrori sotto la fantasmagoria dei gioielli notturni. La radioattività del suolo era come un vasto oceano di un azzurro iridescente, cosparso di strani festoni e ghirlande, là dove le bombe nucleari erano state lanciate, una generazione prima che venissero inventati i campi di forza antinucleari, i quali avevano finalmente impedito che qualche ateo mondo precipitasse nel suicidio collettivo, come aveva fatto la Terra. Tutti rimasero a guardare, intenti, finché la Terra non fu più che una piccola mezza moneta, scintillante nell’oscurità infinita dello spazio. (da I. Azimov, Il tiranno dei mondi [The stars, like dust], 1951)

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Intervista a

Giacomo Costa

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