Lo spazio del vuoto

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Carlo Prati

lo spazio del vuoto


Indice


Lo spazio del vuoto Carlo Prati

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Introduzione

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Moderno Vuoto Krespel House Rough Times La fine del Classico Hey Gio Le chateau des Pyrénées Unité, Liberté, Egalité New York, New York The Empire strikes back El exilio de Gardell A come Antares

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Vettori del vuoto in architettura

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Contributi 44

Vuoto, realtà, linguaggio: la genesi del soggetto secondo il buddhismo Bruno Lo Turco

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Il prezzo del vuoto Valter Scelsi

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Vuoto e senso Luciano De Fiore

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L’utilità essenziale appartiene al vuoto Emanuela Valle

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Dentro il vuoto psichico: esperienze e riflessioni Nicola Boccianti


Introduzione Questo libro raccoglie i risultati di una ricerca che ho condotto nel corso degli ultimi due anni intorno al tema del vuoto. Si tratta di un percorso duplice che contraddistingue il mio modus operandi e che si struttura da un lato attraverso il disegno di architettura e, dall’altro, tramite l’approfondimento teorico-critico1. Ho scelto il vuoto perché è un ossimoro, un simbolo che unisce universo fenomenico e metafisico, un paradosso perché per definirsi necessita del suo contrario, di un oggetto (va dunque approssimato “per difetto”). Il vuoto non è individuabile attraverso una sua natura specifica e ciononostante ne siamo costantemente pervasi. Da architetto sono particolarmente interessato a svelare e riconoscere ciò che determina il carattere “sacro” di un manufatto, ed il vuoto è senz’altro un elemento del sacro. Tempo fa ho scritto un libro2 in cui riguardavo all’edificio come ad una persona, in modo da poterlo analizzare come in una seduta psicoanalitica facendone emergere i contenuti simbolici inconsci in forza dei quali porlo in relazione con tutte le cose create, come parte di un mondo fenomenico che tutto include. Questo lavoro mi ha chiarito quanto il rifarsi ad una simbologia propria del mondo naturale sia cruciale per trasferire all’edificio un carattere spirituale e metastorico e quanto il vuoto sia il vettore di questa trasfigurazione. Ma il vuoto è anche “silenzio” ed in quanto tale ci riconduce sulla stessa via del sacro; è interessante notare da questo punto di vista quanto in Oriente la nozione stessa della parola includa il punto di arrivo del ricercatore interiore ed invece quanto, in Occidente, sia piuttosto associata ad elementi negativi. È sufficiente elencare le innumerevoli paure ad essa legate: l’acrofobia (paura dell’altezza), l’agorafobia (paura degli spazi aperti), l’anablefobia (paura di guardare in alto), l’apeirofobia (paura dell’infinito) o l’aviofobia (paura di volare). 1. Carlo Prati, Il disegno dell’autonomia, collana “Mosaico”, Edizioni Libria, Melfi 2018. 2. Carlo Prati, Cinque architetture svizzere. Progetto, inconscio, natura, collana “Mosaico”, Edizioni Libria, Melfi 2016.

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Il vuoto è un luogo cinematografico, Wim Wenders, ad esempio, nei suoi film assegna un ruolo determinante al silenzio, (la “trilogia della strada”: Alice nelle città, Falso movimento e Nel corso del tempo) e al deserto quale spazio geografico misterioso ed illimitato (Paris Texas). Il vuoto oggi è anche una categoria politica laddove parliamo di “vuoto di rappresentanza” e delle idee a cui si cerca di rimediare attraverso il riempimento di un altro spazio fisico, quello della piazza. Il vuoto ha dunque molteplici accezioni, esso sarà di volta in volta perturbante, simbolico, paradossale, spirituale. Questo aspetto lo rende un affascinante accumulatore di senso in grado di farsi ponte tra architettura ed altri ambiti del sapere. È da questa capacità di aggregare che sono partito per costruire, su invito di Giorgio de Finis, una serie di incontri sul tema tenutisi presso il Museo di Arte Contemporanea di Roma a cavallo tra il 2018 ed il 2019, i cui contributi sono stati integrati e pubblicati all’interno di questo volume unitamente alla mia lezione d’apertura dell’intero ciclo. Moderno Vuoto, il secondo momento di questa ricerca, è un’operazione di chiarificazione del mio metodo progettuale attraverso il disegno. Il collage digitale è la tecnica ideale per tradurre un testo architettonico fondamentale (in questo caso una serie circoscritta di edifici “feticcio” del Movimento Moderno) e sussumerlo all’interno del proprio vocabolario. Per verificare la validità del mio sistema d’interpretazione del manufatto, sintetizzato all’interno dell’“indice degli elementi primari della costruzione”3, ho svolto attraverso i dieci collage altrettante operazioni compositive di trasformazione e sottrazione degli elementi (struttura portante, tetto, partitura dei profili, materiale vivente e attacco a terra) dando così deliberatamente forma al vuoto. In entrambi i casi, sia che si tratti della parola che dell’immagine, il percorso intrapreso svela le potenzialità dell’indagine sin qui condotta intorno allo spazio del vuoto e alle sue multiple interpretazioni sia formali che semantiche, aprendo ad un ampio orizzonte di sviluppi possibili che mi auguro possano essere raccolti, approfonditi e condivisi.

3. Carlo Prati, op. cit. pp. 25-29

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Moderno Vuoto 2. Rough Times. Collage digitale, 2019.

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Moderno Vuoto 3. La fine del Classico. Collage digitale, 2020.

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Moderno Vuoto 6. Unité, Liberté, Egalité. Collage digitale, 2020.

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Vettori del vuoto in architettura Carlo Prati


Tre Vettori Sono tre i vettori che utilizzerò per riflettere sul vuoto in architettura, per trovare delle traiettorie di senso che rendano evidente quanto sia possibile “costruire” deliberatamente il vuoto, ovvero di conseguirlo strutturando volontariamente la propria azione progettuale. I tre orizzonti tematici da cui osserverò la questione sono religione, filosofia e fisica. Religione Il primo vettore è la religione. In particolare la tradizione spirituale ebraica che ha una fortissima capacità di intercettare concetti metafisici all’interno di dinamiche spaziali e geometriche. A riguardo mi piace citare l’opera prima di Darren Aronofsky “µ - Il teorema del delirio”. Il film mette in scena l’ossessione di un uomo per la matematica ed in particolare per la Cabala, un’ossessione che si manifesta in ogni gesto del quotidiano, attraverso l’apparizione della spirale quale rappresentazione del principio assoluto di Dio. Una scoperta che proietterà il protagonista in un incubo kafkiano precipitandolo sull’orlo della follia. Questa piccola divagazione mi permette di chiarire il rapporto di stretta relazione tra formula e forma per cui è lecito ritenere che i tre punti del mito della creazione per la Cabala definiscano in modo chiaro altrettante azioni compositive. La prima è lo Tzimtzum, il movimento di ritrazione del Dio che consente al mondo di generarsi. Si tratta di un’azione “progettuale” da cui origina la seconda codificazione formale, l’auto delimitazione del Dio o Chalal, il perimetro in cui si compie lo Tzimtzum e si realizza il vuoto e a cui fa seguito il terzo e conclusivo momento, il Kav, la linea retta che veicola la luce di Dio nello Chalal.

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Il Museo Ebraico a Berlino di Daniel Libeskind ritengo sia in grado dimostrare ulteriormente la validità della teoria di Aldo Rossi sull’architettura della città1 (in particolare per quanto concerne il concetto di “permanenza” e di “fatto urbano” qui declinati attraverso il sistema dei percorsi e delle torri) e di quanto questa sia applicabile anche all’interno di un singolo edificio, ma attenendoci al contesto di questa riflessione sul vuoto il progetto acquista ancora più forza. Lo riassumerò in pochi passi schematici. Il fulcro geometrico è proprio la linea retta (come peraltro nel lavoro di Zaha Hadid) che nel Jewish museum viene accostata ad una seconda linea spezzata i cui punti terminali sono perimetri di Chalal all’interno dei quali viene fatta entrare la luce attraverso il Kav, (dei tagli di luce come di rasoio). Lo Tzimtzum (l’arretramento) è del progetto nel suo complesso all’interno del lotto. Questi tre punti come perni del ragionamento compositivo sono in particolare evidenti nella Torre dell’Olocausto all’interno della quale ci si trova investiti da un fascio di luce immesso all’interno di un perimetro cavo che è Chalal e Kav allo stesso tempo (questo accade anche nello “Spazio vuoto della Memoria”). A ulteriore verifica della mia tesi si pensi ad altro progetto “icona”: il Seagram Building di Mies van der Rohe. In America sappiamo quanto il grattacielo sia la forma più adatta per ottimizzare il profitto di un investimento immobiliare, quindi la forza dell’azione di ritrazione che Mies mette in atto rispetto al lotto è radicale, perché decidere in questo contesto di utilizzare solo metà dell’area è allo stesso tempo una scelta politica e religiosa. Mies prende il lotto, si ritrae (come il Dio), e crea la perimetrazione (Chalal) attraverso la piazza su Park Avenue. La forza del grattacielo-monolite è celata e trascende il potere delle immagini ordinarie, un’immagine infatti è solo il preludio di qualcosa che possiamo intuire, un simbolo misterioso; “l’intima natura delle cose ama nascondersi” diceva Eraclito, “Veramente tu sei un Dio 1. Aldo Rossi, L’architettura della città, Edizioni Quodlibet, Macerata 2011.

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Daniel Libeskind, Museo Ebraico a Berlino, lo Spazio vuoto della memoria, 2001.


Mies van der Rohe, Seagram Building, New York, 1958.

nascosto, / Dio di Israele.”(Isaia 45, 15). Mircea Eliade ci dice che “Intuito da un creatore, un certo simbolo interviene in un’opera ďarte e l’organizza con una sua propria coerenza, con una “logica” nascosta”2: è la metafisica intrinseca di un’opera d’arte di cui il Seagram è mirabile testimonianza. Per concludere ricordiamo il celebre aforisma dell’architetto tedesco “Dio è nel dettaglio” che ci conferma quanto l’architettura sia un atto sacro. Allo stesso modo doveva pensarla anche Rudolf Schwarz, amico personale di Mies e discepolo intellettuale di Romano Guardini – teologo e liturgista tedesco fondatore della Gioventù Cattolica – da cui riceverà molte delle principali commissioni quali il restauro del Castello di Rothenfels sul Meno e la chiesa di Sant’Anna, opere nelle quali possiamo ritrovare le stesse logiche compositive. La chiesa della luce di Tadao Ando è infine riconducibile allo stesso principio: uno Chalal raddoppiato in cui il secondo recinto si apre verso l’esterno facendo penetrare in modo drammatico la luce all’interno dell’aula liturgica (Kav). Filosofia La disciplina che mi permette di indagare il secondo vettore del vuoto in architettura è la filosofia del linguaggio, in particolare il saggio di George Steiner “La fuga dalla parola”3 in cui il celebre scrittore e saggista francese si interroga sulle diverse accezioni del termine silenzio. È stato inoltre essenziale per la costruzione del presente ragionamento il libro di Martí Arís “Silenzi eloquenti”4, in particolare il capitolo “Linguaggio e silenzio” da cui sono presi molti degli spunti che seguono. Consideriamo qui il vuoto come silenzio inteso nel suo triplice significato. Il primo definisce il silenzio come “rinuncia” o 2. Mircea Eliade, L’isola di Euthanasius, in Mircea Eliade, L’isola di Euthanasius, Edizioni Bollati Boringhieri, Torino 2000, p. 22. 3. George Steiner, Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l'inumano, Edizioni Garzanti, Milano 2006. 4. Carlos Martí Arís, Silenzi eloquenti. Borges, Mies van der Rohe, Ozu, Rothko, Oteiza, Edizioni Marinotti, Milano 2002.

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Cos’è il vuoto? Qual è il suo senso? E ancora: quale la sua forma e quale il suo spazio? Il vuoto è un ossimoro, un simbolo che riunisce in sé universo fisico e metafisico, un paradosso perché per definirsi necessita del suo contrario. Il vuoto non è individuabile attraverso una sua natura specifica e ciononostante ne siamo costantemente pervasi. Il vuoto ha numerose accezioni e per questo è un affascinante accumulatore di senso in grado di farsi ponte tra diversi ambiti del sapere come la religione, la fisica, la psicologia e la filosofia. Questo libro presenta i risultati di una ricerca intorno al tema del vuoto che Carlo Prati ha condotto nel corso degli ultimi due anni a partire da una riflessione allo stesso tempo individuale e collettiva: da un lato attraverso il disegno di architettura e, dall’altro, tramite l’approfondimento teorico-critico ed il dialogo multidisciplinare. Al primo caso appartiene la serie di collage “Moderno Vuoto”, una messa in atto volontaria della forma del vuoto attraverso un’operazione di trasformazione e riconfigurazione di dieci architetture feticcio del Movimento Moderno. Al secondo il saggio “Vettori del vuoto in architettura” ed i cinque contributi raccolti nel corso del ciclo di conferenze sulla parola vuoto che l’autore ha curato per Museo d’Arte Contemporanea di Roma tra il 2018 ed il 2019. In entrambi i casi, sia che si tratti della parola che dell’immagine, il percorso intrapreso svela la necessità di indagare lo spazio del vuoto e le sue multiple interpretazioni sia formali che semantiche, aprendo ad un ampio orizzonte di sviluppi possibili che possono essere raccolti, approfonditi e condivisi.

€ 15


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