Compresse collana ideata e diretta da Francesco Trovato Comitato Scientifico Francesco Cacciatore Fabrizio Foti Paolo Giardiello Marta Magagnini Marella Santangelo
ISBN 978-88-6242-177-5 Prima edizione settembre 2017 © LetteraVentidue Edizioni © Alessandro Mauro Tutti i diritti riservati Come si sa la riproduzione, anche parziale, è vietata. L'editore si augura, che avendo contenuto il costo del volume al minimo, i lettori siano stimolati ad acquistare una copia del libro piuttosto che spendere una somma quasi analoga per delle fotocopie. Anche perché il formato tascabile della collana è un invito a portare sempre con sé qualcosa da leggere, mentre ci si sposta durante la giornata. Cosa piuttosto scomoda se si pensa a un plico di fotocopie. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico: Francesco Trovato LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni
Alessandro Mauro
Il realismo e l'architettura italiana
Il presente testo è un estratto della tesi di Dottorato di Ricerca discussa alla UniversitĂ degli Studi di Catania nel 2012, relatore il prof. Bruno Messina. L'autore desidera ringraziare LuĂs Ferreira Alves e Alessandra Chemollo per la concessione delle foto di pagina 186 e 191, e Bruno Messina per l'attenta revisione del testo.
Indice 7 Molti realismi. Mappe di Renato Capozzi Parte prima 10 Origine ed evoluzione storica della corrente “realista” 11 Le trasformazioni della società europea tra classicismo, romanticismo e seconda industrializzazione 23 L'opera d'arte nell'epoca della «disantropomorfizzazione» 45 Prolegomeni a un'estetica “realista” Parte seconda 66 La cultura architettonica “realista” 67 La cultura architettonica “realista” durante il “ventennio” 93 La cultura architettonica italiana nel secondo dopoguerra 129 Il retaggio culturale dell'esperienza “realista” italiana
Molti realismi. Mappe Renato Capozzi
Ma che significato avrebbe oggi fare del realismo una qualche categoria accademica? E soprattutto separarlo da quella sua immagine violenta che proprio nel dividersi da ogni astrazione privilegiava la luce, le atmosfere, i corpi, sconfinando facilmente in un naturalismo ingenuo e morboso? […] Il realismo, o la realtà, si conosceva attraverso analogie, riferimenti, riflessioni, relazioni lecite o illecite. Aldo Rossi1
L’architettura è immersa nella realtà, è una forma di essa; ma in che senso? In senso riflessivo-constatativo o formante-modificante? Qual è il rapporto tra oggettività e soggettività, tra autore e pubblico? A queste domande prova a rispondere Alessandro Mauro e lo fa con un’ampia attrezzatura – letteraria, cinematografica, estetico-filosofica, architettonica – e corrispondenti plurimi riferimenti, diffidando di eccessivi intellettualismi teorici e puntando alla conoscenza dei modi dell’architettura intesa come “arte sociale” che rappresenta i valori di una collettività più ampia del singolo artista. La numerosità dei referenti assunti dimostra quanti siano i modi di intendere il realismo nel suo rapportare il pensiero e l’azione sul “mondo esterno”. In filosofia si può essere realisti in ontologia e anti realisti in epistemologia e viceversa. Per Platone sono reali gli oggetti del pensiero mentre pallide manifestazioni di essi le cose del mondo, per Aristotele reale 1. Rossi Aldo, “Une éducation réaliste”, in «L'Architecture d'Aujourd'hui», 1997, n. 190, p. 39.
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Parte prima
Origine ed evoluzione storica della corrente “realista�
Le trasformazioni della società europea tra classicismo, romanticismo e seconda industrializzazione Il poeta era solo in mezzo al mondo industriale. Eccolo solo in mezzo a un mondo poetico. Grazie a questo mondo generosamente equipaggiato per l'evasione come per gli sport invernali, per il teatro, il cinema e le riviste di lusso, il poeta riconquista infine la sua invisibilità. Jean Cocteau, La difficoltà di essere
I prodromi delle grandi mutazioni sociali occorse durante tutto il XIX secolo, vanno rintracciati in quel “serbatoio” teorico che è stato l'Illuminismo. La nascita e la rapida diffusione dell'estetica - ufficialmente con Baumgarten - diviene occasione di ripensamento dei principi dell'arte ad opera dei maggiori filosofi del tempo: Kant, Burke, Schiller, Schelling ed Hegel, fino ai contributi di Schopenhauer e Nietzsche. Il Grand Tour, anche a seguito della scoperta di Pompei ed Ercolano da parte di Winkelmann, allarga i suoi confini annettendo la Sicilia, e dunque l'architettura di matri-
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G. Courbet, I lottatori, MusĂŠe D'Orsay, Parigi (1849-50)
L'opera d'arte nell'epoca della «disantropomorfizzazione» Sostiene Lukács che lo sviluppo dell'uomo necessita di atti meccanici, di «disantropomorfizzazioni». Quando l'uomo preistorico, ad esempio, andò alla ricerca di pietre da adoperare come utensili, raccolse le prime che trovò; ma successivamente al suo uso si accorse che quelle che avevano una determinata forma gli erano più utili di altre. Se la prima ricerca e il primo utilizzo di pietre è per l'uomo un momento di scoperta e di crescita, la ricerca successiva, dopo aver stabilito quali gli siano più utili, è un atto meccanico. Non è più un momento di scoperta, egli ora deve solo andare alla ricerca delle pietre con quella determinata forma. Se prima adoperava i suoi sensi per capire ora deve solo eseguire un ordine che si è autoimposto. Eppure, questo atto meccanico gli è necessario per “fissare” una conoscenza e progredire verso altre ricerche e scoperte. È così, secondo il filosofo ungherese, che funziona la scienza. La scoperta, a seguito di studi e tentativi falliti, di un teorema matematico è un atto di crescita e sviluppo per il suo autore, ma il suo utilizzo è un atto
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L'interesse per le costruzioni umili avrà un seguito soprattutto nel dopoguerra; nel 1951, infatti, durante la IX Triennale di Milano verrà allestita da Ezio Cerruti, Giancarlo De Carlo e Giuseppe Samonà, la Mostra sull'architettura spontanea e nel 1964 la più nota Architecture without architects, al MoMA di New York da Bernard Rudofsky. Il singolare architetto, scrittore e collezionista d'arte statunitense aveva lavorato in Italia da Luigi Cosenza, l'ingegnere napoletano che, influenzato da Pagano, aveva scritto i 17 punti sull'architettura rurale. Nel numero 42 della rivista «Stile», nel giugno 1944, Gio Ponti pubblicherà l'articolo dal significativo titolo “Fine della profezia dell'architettura”, citando il celebre scritto “Profezia dell'architettura” dell'amico Persico. La guerra è persa, l'Italia ha subito delle pesantissime distruzioni, ed è ormai chiaro a tutti che le cose devono cambiare: «Come ripetiamo sempre si tratterà di COSTRUIRE, non di RICOSTRUIRE. Non più le idee, le tendenze, gli estetismi sono ora in gioco. Entra in gioco la storia»39.
39. Ponti Gio, “Fine della profezia dell'architettura”, in «Stile» 42, giugno 1944, p. 15, cit. in: Ciucci Giorgio e Muratore Giorgio (a cura di), Storia dell'architettura italiana. Il primo novecento, op. cit. p. 498
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La cultura architettonica italiana nel secondo dopoguerra Il bagno nel realismo produce […] il sonno della ragione. I mostri non si faranno attendere. Manfredo Tafuri, Storia dell'architettura italiana, 1944-1985
Anche il secondo dopoguerra, col suo carico di macerie, morti e ideologie estremiste che aveva ereditato, si apre all'insegna di un altro «ritorno all'ordine», un recupero di quella “moralità” dell'architettura reiteratamente sostenuta da Pagano e Persico durante il regime. Si fa strada, quasi un imperativo, l'incontro con la politica attiva, con l'impegno; la cultura, dopo la caduta del Fascismo, è passata tutta in mano alla sinistra nella quale si identificano, in toto, tutti gli antifascisti – della prima e dell'ultima ora. La capitale è inizialmente il centro delle ideologie della ricostruzione, ma il razionalismo è visto da alcuni come lo stile del Fascismo, la purezza astratta alla Terragni come un vuoto esercizio stilistico avulso dalla concretezza del “dramma” umano, del dramma di una nazione corrotta moralmente e distrutta fisicamente. Da una parte gli accademici conservatori, dall'altra i
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M. Fiorentino, N. Aprile, C. Calcaprina, A. Cardelli e G. Perugini, Monumento ai martiri delle fosse ardeatine, Roma (1944-51)
progressisti che abbracciarono subito il neorealismo letteral-cinematografico e in mezzo l'APAO (Associazione Per l'architettura Organica) di Bruno Zevi, che proponeva un'idea di architettura in fin dei conti in consonanza con le istanze morali dei neorealisti, cioè un'architettura democratica e per l'uomo1. Nella sua Storia dell'architettura italiana, Manfredo Tafuri indica due significative opere che “aprono”, e in qualche modo guidano, il dopoguerra italiano: il Monumento ai martiri delle fosse Ardeatine, a Roma e il Monumento in ricordo dei caduti nei campi di concentramento in Germania, a Milano. Il primo, dovuto a un gruppo di progettazione capeggiato da Mario Fiorentino, deve indubbiamente al razionalismo rigoroso del nord Europa l'idea compositiva, così astratta ed elementare, ma la sensibilità verso l'intorno, verso le suggestioni spaziali del percorso, la fanno vicina alle esperienze organiche. La materia scabra che riveste il parallelepipedo, il rapporto con la luce e la tragica evocazione ne fanno un raffinatissimo esempio di architettura realista; fuori dalle diatribe strettamente stilistiche, fuori da formalismi, porta il visitatore “dentro” il dramma. La seconda, il Monumento in ricordo dei caduti nei campi di concentramento in Germania è opera dei BBPR – sarebbe più corretto dire BPR, dato che Banfi, assieme a Pagano, Giolli e Labò, è morto proprio in 1. Nella dichiarazione dei principi dell'APAO, al punto 2 si dice: «creare l'ambiente per una nuova civiltà democratica», pubblicata su «Metron» n°2, 1945, pp. 75-76, cit. in: Dal Co Francesco (a cura di), Storia dell'architettura italiana. Il secondo novecento, Electa, Milano, 1997, p. 193
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memoria
percezione
realtĂ
Il tempo secondo Bergson
architetture e teorie del passato
architettura
contemporanea
realtĂ
L'architettura secondo la nostra interpretazione del pensiero di Rogers
di tutto quel tempo che è prima di noi»60. Il concetto delle preesistenze ambientali tradisce questa concezione bergsoniana del tempo: «considerare l'ambiente significa considerare la storia: essendo la maggior penetrazione del significato di questa uno degli argomenti più caratteristici del pensiero filosofico odierno, il pensiero architettonico, seppure lentamente, non poteva non restarne influenzato: dal considerare il passato e il presente nella interna motivazione dei contenuti qualificanti si affermano e si rinsaldano sempre di più due nozioni che, pur sembrando contraddittorie a prima vista, sono perfettamente concatenate. «La prima è che gli avvenimenti del passato sono giustificati nella coerente consistenza degli atti originali che li hanno determinati; la seconda è che il presente è, a sua volta, una creazione originale; ciò invece che disintegrare la storia la unifica in un sentimento di continuità dove il passato si proietta negli accadimenti attuali e questi si ricollegano radicandosi negli antefatti»61. Naturalmente è bene precisare che l'analisi della percezione che Bergson enuncia in Materia e memoria è ben più complessa e articolata di quanto esposto, e non è nostra intenzione far coincidere in toto la concezione filosofica di Bergson a quella architettonica di Rogers, ma solo evidenziarne i punti di contatto. L'irreversibilità del tempo, insieme alle profonde 60. Rogers Ernesto Nathan, Gli elementi del fenomeno architettonico, op. cit., p. 73 61. Rogers Ernesto Nathan, “Le preesistenze ambientali e i temi pratici contemporanei”, in: Esperienza dell'architettura, op. cit., p. 284
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F. Tรกvora, Casa di vacanze, Ofir (1957-58). Foto di Alessandra Chemollo
da Ramos, quando questi diverrà direttore della scuola. Fortunatamente l'insegnamento a Porto era più svincolato dalla morsa del regime rispetto al controllo asfissiante patito da Lisbona. Dunque i legami fra questi tre personaggi sono profondi e fecondi, ribaditi nel ‘97, quando hanno trasferito i loro studi nello stesso edificio (progettato da Siza). Il loro metodo progettuale, poi – l'importanza del disegno, il ruolo dei plastici di studio – rigidamente impostato anche nella prestigiosa FAUP (Faculdade de Arquitectura da Universidade do Porto) ha contribuito all'egemonia culturale nella città. Eppure, come abbiamo accennato all'inizio, la passione storico-sociale di Távora, la tendenza scultorea e autobiografica di Siza, il rigore, con vette di lirica ironia – ai limiti del cinismo – di Souto de Moura, mostrano quanto differenti possano essere gli esiti formali d'un comune pensiero. Il provincialismo del Portogallo, il suo ritardo industriale, il suo spesso esibito anti intellettualismo, sono ingredienti che hanno contribuito in maniera fondamentale allo svoluppo dell'architettura di quest'area, che si è anche saputa rinnovare e che ha avuto l'ennesima conferma con il Premio Pritzker che nel 2011 è stato assegnato a Souto de Moura, dopo quello del ‘92 a Siza. Nel 1986 lo stesso Souto de Moura ha disegnato un tavolo con tre gambe d'acciaio e una di legno, realizzata artigianalmente in stile D. João V, «si tratta di un progetto che spiega molto bene la realtà portoghese, sospesa tra una tradizione artigianale ancora viva e una modernizzazione non ancora completamente
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