Umberto Riva

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INDICE


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COORDINATE PRELIMINARI

INTERNI PER VACANZE

UN ATTICO IN CEMENTO

UN BAR ESPRESSIONISTA PROGETTARE NEI LIMITI: TRE RISTRUTTURAZIONI MILANESI

DUE OPERE PADOVANE UMBERTO RIVA ALLA TRIENNALE DI MILANO ALLESTIMENTI AL COSPETTO DI PALLADIO

ALTRE DUE CASE MILANESI INTERNI SENZA FINE: UMBERTO RIVA IN SALENTO

DUE ALLESTIMENTI PER CORBU

ABBAGLI


COORDINATE PRELIMINARI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


A

nalizzando la lunga sequenza di progetti sviluppati da Umberto Riva in quasi sessant’anni di lavoro, comprendente piani urbanistici, interventi di restauro, industrial design, residenze, spazi espositivi, edifici pubblici e molto altro ancora, il disegno dello spazio interno emerge senza dubbio come uno dei temi d’indagine più originali e fecondi, nel quale sembrano convergere e rafforzarsi le molteplici esperienze da lui affrontate. Allievo di Franco Albini e Carlo Scarpa, ma anche autodidatta ammaliato da Charles Rennie Mackintosh, Pierre Chareau e Gaudí più che da un modernismo che entrava in crisi proprio negli anni della sua formazione universitaria1, Riva ha coltivato molto in profondità questa dimensione progettuale, in cui è fiorita una parte eccezionale della cultura architettonica italiana del XX secolo. Come i suoi maestri, nell’architettura degli interni ha infatti trovato l’ambito perfetto per una curiosità trasversale, attratta dalla perentorietà delle strutture e dalla leggerezza del dettaglio, dalla plasticità della forma e dalle possibilità del colore, dalla spazialità pura e dalle rivelazioni della luce, dall’artigianalità del manufatto e da una certa visione dell’abitare. Questa propensione è visibile fin dalle prime opere, specie nelle case estive per vacanze, nelle quali Riva ha sempre riservato una notevole e non scontata attenzione per le qualità dello spazio interno articolandolo rispetto al suo contenitore e al paesaggio naturale o urbano, ma anche svolgendo un lavoro più autoreferenziale sulla forma architettonica e sugli aspetti figurativi. Ogni volta, in modo diverso: non interessato alla possibilità di una strategia teorica a priori, Riva ha sempre dimostrato un approccio al progetto di tipo singolare, empirico, volto a mettere in discussione tanto lo stato di fatto quanto il personale bagaglio di esercizi analitici e creativi già svolti. L’assunto di base da cui partono i suoi spazi è questo: la progettazione non è un processo deduttivo ma qualcosa che comincia con una prefigurazione, con un’intuizione che deve essere vagliata attraverso continue approssimazioni, mantenendo uno sguardo sospettoso verso il proprio operato e i risultati raggiunti. In questo senso la sua architettura parte, come sottolineò l’amico Giacomo Scarpini (1929-1993) nel 1969 sulle pagine di “Domus”, da una decisa «sfiducia 1. Sul contesto universitario, specie veneziano, in cui si formò Riva si veda ad esempio: P. Nicolin, For Umberto Riva, in M. Zardini, P. Nicolin, Umberto Riva, Gustavo Gili, Barcelona 1993, pp. 11-15. COORDINATE PRELIMINARI

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Grande tavolo, 1973. Gessi a cera su carta da disegno, cm 69x104.

Rituale 1, 1978. Gessetti ad olio su carta, cm 68,5x68,5.

Grande aquilone, 1994. Pastelli su carta, cm 57x76. 12

UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


le chiama lui, talvolta ispirati all’opera di artisti come Melotti o Brancusi – fanno parte di una continua riflessione sulle possibilità della luce in relazione allo spazio, anche alla piccola scala16. Diverso ma complementare è poi il discorso legato al design dell’arredo, avviato da Riva negli anni Cinquanta – quand’era ancora studente – e definitosi in seguito come attività autonoma legata alla produzione industriale ma anche riferita ai suoi stessi progetti, per i quali tuttavia ha spesso preferito pezzi “classici” (le sedie Thonet, ad esempio) ai propri.

Avvicinandoci un po’ di più alla fenomenologia degli interni progettati da Riva, si possono poi scorgere alcuni temi e alcune figure ricorrenti. Dalla metà degli anni Sessanta la propensione a livello planimetrico per le linee spezzate, le asimmetrie, gli angoli non retti e le disgiunzioni tra le superfici progettate rappresenta, ad esempio, una costante che troviamo quasi ostinatamente: un’attitudine che – come ha ripetuto l’architetto in molte occasioni – deriva da un’idiosincrasia per la simmetria e la staticità, da un’attrazione magnetica verso lo spazio instabile e precario, dall’impossibilità di chiudere e concludere la forma. Diffidente verso la quiete fissa del mondo classico, Riva ha infatti guardato sempre all’espressionismo mitteleuropeo, con la sua spigolosità aspra e tagliente. Bisogna notare che, pur confermandosi come una costante, l’affinamento e l’esercizio di questo lessico geometrico non è andato a innescare una ripetizione di maniera, confermando la sua visione precaria e interrogativa. Proprio tale modus operandi ha permesso a Riva di attraversare la seconda metà del Novecento mantenendo

Lampada “E63”, 1963.

16. Sul design della luce si vedano tra gli altri: Appendice: le opere di design, in C. Pietrucci, Umberto Riva. La chiesa di San Corbiniano a Roma, Bibliolibrò, Ostia Lido (Roma) 2015, pp. 120-137; B. Finessi, Umberto Riva. E63 – Lem, catalogo della mostra alla Galleria Antonia Jannone (17 novembre 2015-9 gennaio 2016). Catalogo realizzato in 500 copie. COORDINATE PRELIMINARI

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INTERNI PER

VACANZE


IL

primo tema progettuale affrontato da Riva agli esordi della sua carriera è la casa estiva per vacanze, banco di prova tipico per quella generazione di architetti che si affaccia alla professione negli anni del miracolo economico. Alla fine degli anni Cinquanta l’architetto è infatti incaricato di disegnare la Casa Di Palma in Sardegna (195860), primo esemplare di una serie di abitazioni unifamiliari a stretto contatto con il paesaggio naturale: nel 1971-72 progetterà per la stessa committenza le Case Di Palma e poco dopo altri interventi nella stessa zona, poi una casa a Oliveto Lario (1962, con Giacomo Scarpini), Casa Berrini a Taino (1967-68), Casa Riva a Lesmo (1968, non costruita) e Casa Ferrario a Osmate (1975). Si tratta di interventi molto diversi tra loro, per contesto e approccio all’architettura, che svelano il rigetto di formule precostituite e – dal punto di vista dell’architettura degli interni – consentono di analizzare la rosa di strategie compositive e distributive scelte per gestire il fondamentale rapporto degli spazi della casa con la natura circostante. In tutti questi casi, infatti, il disegno dello spazio interno trae le proprie ragioni dal dialogo con il paesaggio, in relazione a orientamenti, fattori climatici e visuali che vengono poi contaminati da personalissime reinterpretazioni di tipologie antiche o da riferimenti colti di matrice architettonica. Casa Di Palma (1958-60, in collaborazione con Fredi Drugman) sorge a Stintino, sull’aspra orografia di quell’ultimo lembo di terra che si estende verso l’Isola dell’Asinara, a pochi passi dal mare1. Realizzata all’alba di quello sviluppo turistico che caratterizzerà alcuni tratti della costa sarda – si pensi ai progetti della Costa Smeralda e di Porto Cervo, di poco successivi – questa abitazione precede cronologicamente altre residenze unifamiliari divenute poi emblematiche per l’incontro tra progetto moderno e contesto naturale, come la Casa Arzale tra Palau e Arzachena di Marco Zanuso (1962-64); la Casa Rotonda (1966-67) e la Casa Bunker (1967) di Cini Boeri a La Maddalena o le numerose opere di Alberto Ponis2. Casa Di Palma, primo lavoro eseguito da Riva dopo la laurea in architettura a Venezia (1959), varrà all’architetto 1. Su quest’opera si vedano: Casa per vacanze a Stintino (Sardegna) 19591960, “Zodiac”, 20, 1970, pp. 32-33; M. Zardini, P. Nicolin, Umberto Riva, cit., pp. 16-19; ecc. 2. Cfr. Marco Lucchini (a cura di), L’ identità molteplice: architettura contemporanea in Sardegna dal 1930 al 2008, Aìsara, Cagliari 2009. INTERNI PER VACANZE

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Case Di Palma, Stintino, 1971-72. In alto: Dettaglio del patio. A destra: Dettaglio della copertura. In basso: Dettaglio del pavimento. Pagina a fianco: Interno (foto di Umberto Riva).

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


sembra esagerarne il carattere di chiusura, disegnando il muro perimetrale simile alla muraglia di una fortezza marinara, con una sezione troncopiramidale alta 2,25 metri che rimanda alle opere di Scarpa e di Frank Lloyd Wright. Si pensi ad esempio al muro perimetrale della Tomba Brion, in costruzione in quegli anni, o ai massicci muri usati a Taliesin. Di conseguenza, il patio non è un’alternativa, ma il vero e indispensabile sfogo verso l’esterno – un cielo abbagliante – di uno spazio abitativo essenziale, rustico, mediterraneo, totalmente introverso. Al centro della pianta, disposte in sequenza e definite da muri in blocchi di argilla espansa imbiancati a calce, stanno le camere e la zona giorno. Su un lato si collocano gli spazi di servizio e la cucina, mentre sull’altro viene creata una zona coperta, rievocante quella della prima Casa Di Palma, che funziona da filtro tra interno ed esterno ma anche da spazio distributivo verso le camere, il patio e il soggiorno. La fruizione di questi spazi interni trae beneficio – e la giusta quantità di luce – da fasce in vetro armato che lasciano penetrare la luce dall’alto. All’interno si alternano diversi materiali: la pietra del muro perimetrale, la tessitura del cemento a vista, il bianco-calce delle murature (sormontate da lastre colorato), il legno (pino di Svezia naturale) dei serramenti e composizioni geometriche per i pavimenti, posati a corsia (piastrelle di cotto alterate a grès azzurro). Nel patio, invece, Riva disegna una scacchiera di piastrelle bianche annegate nel pavimento in cemento, mentre il volume a pianta trapezoidale del camino – decorato con una composizione geometrica di piastrelle colorate – dona plasticità al prospetto cieco, ricordando Ronchamp, Scarpa, Miró per «i camini come imbuti»23. 23. U. Riva, cit. in A. de Curtis, Umberto Riva. Figurazione. Alla ricerca della forma, cit., p. 111.

INTERNI PER VACANZE

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PROGETTARE NEI

LIMITI :

TRE RISTRUTTURAZIONI MILANESI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


NEL

corso degli anni Ottanta Umberto Riva riceverà alcune commesse private che cristallizzeranno la sua fama nella progettazione degli interni domestici, grazie alla disponibilità di una committenza che come a Taino si dimostra colta e aperta alla sperimentazione. Con opere come Casa Frea, Casa De Paolini e Casa Insinga, tutte realizzate a Milano, Riva entrerà a pieno titolo in quella storica tradizione di architettura degli interni che caratterizza la cultura italiana del progetto del XX secolo. Questa volta il lavoro viene infatti svolto interamente entro confini già definiti, come azione di riscrittura generale di spazi preesistenti, come adattamento e critica di un ambiente prefissato in modo rigido da perimetri quasi inviolabili. Certo non sono i primi esercizi di questo tipo: oltre all’attico di via Paravia sono molti gli appartamenti ripensati da Riva dall’inizio della carriera; tuttavia in queste tre opere – che segnano anche il raggiungimento di una fama internazionale1 – si trova una maggiore “densità”, proprio dipendente dal concetto di limite che ora è tema dominante, confine che diventa stimolo per reinventare l’habitat domestico. Lo stato di fatto, immobile, viene presto trasformato in un campo magnetico, azionato dalle tracce a matita su carta velina che si moltiplicano l’una dopo l’altra, in un palinsesto infinito di segni sovrapposti. Nei disegni “alla Scarpa” Riva fa gravitare piante, prospetti e dettagli costruttivi, disegnando alle scale predilette: 1:1, 1:10, 1:20 e 1:50. Appare qui evidente la prossimità con la sua attività pittorica. Così come la tela impone confini finiti e dunque una misura del mondo, in queste case i muri perimetrali offrono dei suggerimenti e diventano gli interlocutori di un dialogo spesso acceso, a volte conciliante, raramente acritico. Il progetto comincia dalla contestazione degli assunti dati, o meglio dalla loro riscrittura totale, dalla valutazione delle linee e delle direzioni che possono soddisfare le necessità degli abitanti. Sono opere d’arte totali 1. In questi anni la fama di Riva oltrepassa i confini nazionali ad esempio con la sua partecipazione alla mostra “Klassizismen und Klassiker, Tendenzen neuer europäischer Gegenwartsarchitektur, Europäische Kulturtage” a Karlsruhe nel 1985; alla mostra biennale di Parigi nel 1985 (con il progetto di Casa Frea). Si segnala anche la partecipazione alla Triennale di Milano nel corso della mostra “Progetto Domestico” (1986). PROGETTARE NEI LIMITI: TRE RISTRUTTURAZIONI MILANESI

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Casa Insinga, Milano, 1987-89. A sinistra: Veduta dal soggiorno verso l’ingresso e la cucina. A destra: Dettaglio del soggiorno. In basso: Veduta dal soggiorno verso la cucina, con in primo piano il tavolo ribaltabile. (foto di Francesco Radino)

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Alvar Aalto (Artek), confermando l’ammirazione per gli arredi in legno e per l’architetto finlandese. Frontalmente si apre invece il grande soggiorno, che Riva trasforma in un saggio sulla definizione dello spazio domestico. Invece di assecondare il ritorno all’ordine dell’involucro – le pareti dell’edificio diventano finalmente pressoché parallele – l’architetto sceglie di rifuggire ogni angolo retto, come se le vibrazioni generate nelle altre parti della casa dovessero trovare sfogo proprio qui, in una cassa di risonanza: non c’è una sola parete che Riva permetta di osservare da una prospettiva frontale. Ogni cosa è il risultato di una scomposizione, di un’ossessiva triangolazione dello spazio che diventa tanto affilato da tagliare piante, alzati e sezioni. «Ho una certa antipatia nei confronti dell’angolo retto», spiegava Riva. «L’angolo retto è affermazione, mentre gli angoli acuti e ottusi sono elementi dinamici»16. Protagonista è il camino, altro elemento sottoposto a

Casa Insinga, Milano, 1987-89. Casa Insinga, Milano, 1987-89. Veduta del soggiorno verso il camino. (foto di Francesco Radino)

16. U. Riva intervistato da M. Romanelli, Umberto Riva. Casa Insinga, cit., p. 76. PROGETTARE NEI LIMITI: TRE RISTRUTTURAZIONI MILANESI

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Casa Insinga, Milano, 1987-89. In alto: Dettaglio del camino. In basso: Dettaglio del camino dalla zona notte e dettaglio delle pareti del soggiorno. (foto di Francesco Radino)

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


ridefinizione morfologica – come già a Taino, Casa Frea, ecc. – collocato in centro alla stanza ma secondo un’inclinazione che va a formare un triangolo con le pareti perimetrali ad angolo ottuso, creando così la quinta scenica di un piccolo salotto, arredato con poltrone in legno disegnate da Riva. Il camino è composto da due lame in muratura – leggermente inflesse, con cornici in piatto di ferro – che nascondono il braciere e il primo tratto della canna fumaria circolare, per farla poi correre in libertà da quota 168 cm fino al soffitto. Essendo posto di taglio, entrando nel soggiorno il camino non offre una visione frontale ma il recesso che si forma tra le due lame, intonacato di rosso. Il vero fondale è infatti alle spalle, spezzato in due segmenti dissonanti in rovere che separano dalla zona notte: quello a destra, con funzione di biblioteca, cela la cabina armadio della stanza da letto retrostante; quello a sinistra è invece un armadio ad ante scorrevoli con un piano ribaltabile tagliato in diagonale. In questa nicchia Riva inserisce un pannello di vetro soffiato in pasta con luce incorporata, incorniciato con un profilo nero, che richiama il vetro posto sulla porta d’ingresso segnando la conclusione del percorso domestico. Anche grazie a simili accorgimenti Casa Insinga non si limita ad essere una somma di episodi, offrendosi come narrazione continua e circolare. Le tracce dell’elaborazione progettuale sono ben visibili nei pavimenti e nei soffitti, che offrono alla vista segni simili a cicatrici provocate dalle tensioni geometriche esercitate. Ad esempio, la posa del parquet segue le diverse inclinazioni senza mediazioni: quello industriale in listelli di legno precomposti dell’ingresso penetra a forza nel centro della casa e termina bruscamente con una linea nera, quasi fosse un trampolino gettato sul vuoto del soggiorno (lo stesso succede sull’altro versante, verso le camere da letto). Il camino galleggia invece su cemento lucidato sagomato a zig zag, mentre il soffitto è segnato da lunghi e sottili rilievi a sezione triangolare in gesso che dialogano con la luce esterna, «come se sul soffitto si formasse una brezza marina»17. Un tema progettuale molto interessante è poi quello

Dettaglio del letto. (foto di Francesco Radino)

17. U. Riva, conversazione con l’autore, 2 novembre 2016. PROGETTARE NEI LIMITI: TRE RISTRUTTURAZIONI MILANESI

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UMBERTO RIVA ALLA

TRIENNALE DI

MILANO


NEL

1994 Umberto Riva fu chiamato dalla Triennale di Milano per ripensare alcuni spazi del piano d’ingresso del Palazzo dell’Arte di Milano, affrontando così la grande scala dell’edificio di Giovanni Muzio e la sua intensa storia. Operare sul corpo di tale fabbrica significava infatti confrontarsi con uno dei luoghi più distintivi della cultura architettonica italiana del XX secolo in uno dei suoi punti più visibili e frequentati, mettendo in scena un dialogo con le tante interpretazioni spaziali, più o meno temporanee, avvenute qui nei decenni precedenti. L’incarico giunse grazie all’apprezzamento di Pierluigi Nicolin – al tempo coinvolto nelle attività della Triennale – per la sua opera, da lui già pubblicata nel citato numero della rivista “Lotus”1. È un occasione importante: l’intervento di Riva si colloca nell’ambito di una più generale riorganizzazione dell’agenda culturale della Triennale in seguito alle modifiche legislative avvenute nel 1990, che trasformarono l’ente in struttura per attività di ricerca e documentazione, allargando il campo d’azione verso discipline come la moda, la comunicazione audiovisiva, ecc.2 In quel contesto, il consiglio di amministrazione presieduto da Pierantonino Bertè (incaricato per il triennio 1994-96) avviò un ampio programma di aggiornamento funzionale comprendente la ristrutturazione di molti spazi dell’edificio, tra cui la Galleria al piano terra (ala nord) dedicata alle esposizioni temporanee, progettata da Gae Aulenti3. A Riva, nello specifico, furono affidati l’atrio d’ingresso, definito dalla grande navata che fa penetrare nell’edificio da viale Alemagna; l’area dell’ex impluvium e la fascia rialzata affacciata sul giardino: luoghi fondamentali per la fruizione dell’edificio che ne definiranno l’immagine per alcuni anni, fino allo smantellamento – condotto forse con eccessiva leggerezza – in vista degli interventi più recenti di Michele De Lucchi. La prima zona viene affrontata da Umberto Riva come un percorso capace di dare continuità visiva dall’ingresso fino alla biglietteria. Varcata la serliana in pietra di Baveno 1. Cfr. Umberto Riva, Album di disegni, cit. 2. Cfr. Giovanni La Varra, Programmi della Triennale, “Casabella”, 615, 1994, p. 46. 3. Chiara Baglione, La nuova Galleria della Triennale, “Casabella”, 615, 1994, p. 47; Rita Capezzuto, Due interventi nel Palazzo della Triennale di Milano, “Domus”, 767, gennaio 1995, pp. 39-45. In principio fu pensato anche il coinvolgimento di Cini Boeri per la sistemazione di altri spazi espositivi, che però non ebbe seguito. UMBERTO RIVA ALLA TRIENNALE DI MILANO

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Allestimento della zona ingresso del Palazzo dell’Arte, Milano, 1994-95. Primo piano dell’impennata. (foto di Francesco Radino) 114

UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


e superata la prima sequenza di porte si alza l’impennata, una parete vetrata a tutta altezza che l’architetto divide in quattro ampie porzioni mediante una struttura metallica a forma di croce, ancora oggi mantenuta anche se con un colore diverso dall’originale. Le due fasce in alto sono fisse, mentre quelle in basso sono suddivise in sei ante di cristallo che permettono l’entrata nel foyer. Il disegno della struttura a croce è un saggio di carpenteria metallica applicata al nobile tema del portale d’ingresso: ricorrendo alle matrici geometriche a lui familiari, l’architetto lavora sui montanti articolandoli e legandoli al telaio esterno di questo serramento fuori scala. La scansione verticale viene affidata a due tubolari di diverso diametro – il maggiore verso l’esterno – posti in mezzeria; altri due tubolari verticali ai lati fungono invece da supporti ai quali si collega la trave metallica che taglia orizzontalmente il vano. Guardando il prospetto potrebbe sembrare un disegno bidimensionale, ma in realtà il sistema deve molto alla terza dimensione: in pianta si nota bene come i due tratti apribili non siano complanari ma inclinati leggermente verso l’interno del Palazzo, producendo una leggera triangolazione e un gioco di riflessi. È da sottolineare come questa inclinazione non sia generata da Riva in maniera gratuita, e prenda invece spunto dal restringimento del corridoio d’ingresso scelto da Muzio nella pianta originale; tuttavia è chiaro anche come egli sia propenso ad accentuarne il carattere piuttosto che mitigarne gli UMBERTO RIVA ALLA TRIENNALE DI MILANO

Allestimento della zona ingresso del Palazzo dell’Arte, Milano, 1994-95. Pianta e sezione (19/3/1994, aggiornato settembre 1998).

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ALTRE

DUE CASE MILANESI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


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case milanesi ristrutturate all’inizio del nuovo millennio segnano l’evoluzione dello spazio domestico nell’opera di Riva, a parecchi anni dagli ormai storici interni di Casa Frea, De Paolini e Insinga, e con in mezzo i significativi lavori appena descritti nel campo degli allestimenti. La distanza anagrafica e le molte occasioni progettuali avvenute nel frattempo non hanno mutato la ricerca di una scansione narrativa costante, quel gioco immanente di richiami che fa dialogare tutte le parti di uno spazio abitato. Casa Righi e la più piccola Casa Mieli Ballerini presentano ancora la tendenza a interrogare lo spazio in modo da fargli assumere una nuova valenza spaziale e dimensionale, grazie a giaciture, tagli e dettagli dai quali ormai traspare l’esperienza di una carriera quarantennale. Da tale esperienza deriva una maggiore consapevolezza, che pur non facendo perdere quel carattere interrogativo di trial-and-error che definisce il metodo progettuale di Riva, produce una maggiore densità evidente ad esempio, nella prima delle due opere, nel forte utilizzo del colore. Casa Righi (2002-03) occupa due piani a pianta pressoché quadrata di un edificio in cemento armato di origine industriale, prima utilizzato come laboratorio, sulla cui sezione Riva lavora per ottenere una divisione funzionale degli spazi e contemporaneamente il loro collegamento volumetrico1. La casa, infatti, serve anche come studio del committente – che è psichiatra – e per questo necessitava di un’attenta divisione tra sfera pubblica e privata. Sfruttando un’altezza di interpiano pari a 4,70 metri, l’architetto risolve il programma riservando il livello superiore alla zona giorno e – dividendone in due l’altezza – quello inferiore alla zona notte e allo studio, per un totale di circa 205 mq. A collegare i diversi livelli sono le rampe di scale, contenute in un volume a pianta trapezoidale, ma anche un sistema di doppie altezze che mette in contatto il piano più basso con il piano intermedio. Grazie a un gioco di diagonali, quest’ultimo è plasmato dalla rotazione della pianta, che crea un soppalco triangolare – un triangolo rettangolo, con la base posta sulla linea mediana del quadrato che costituisce la pianta complessiva – affacciato su due lati verso gli ambienti sottostanti. Ormai espressione di una grammatica geometrica con alle spalle decenni di esercizio, molto simile a quella dipinta su tela, la triangolazione 1. Su Casa Righi cfr. B. Finessi, Umberto Riva: Casa Righi, Milano, “Abitare”, 532, 2013, pp. 56-67; Umberto Riva. Disegnare spazi, “Domus”, 975, 2013, pp. 90-101. ALTRE DUE CASE MILANESI

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Casa Righi, Milano, 2002-03. In alto: Dettaglio del mobile divisorio al piano superiore, visto dalla cucina. In basso: Il mobile divisorio tra ingresso e cucina al piano superiore. Pagina a fianco: Cucina. (foto di Andrea Martiradonna) ALTRE DUE CASE MILANESI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


Casa Mieli Ballerini (2004), al terzo piano di un edificio degli anni Trenta in viale Gian Galeazzo, offre un’ulteriore declinazione del vocabolario linguistico dell’architetto2. Lo stato di fatto è molto ordinario: una tipica casa milanese a pianta rettangolare con doppio affaccio, divisa longitudinalmente in mezzeria dalla muratura portante di spina. Questa configurazione, abbastanza rigida, non suggerisce le consuete triangolazioni, ma piuttosto lo studio di strutture divisorie originali, in forma di elementi indipendenti o sistemi articolati, oltre al disegno di numerosi elementi d’arredo su misura. Il primo episodio si presenta all’ingresso, appena entrati, dove una struttura verticale in legno e vetro agisce da intermediaria tra la cucina, posta a destra, e il grande soggiorno sull’altro versante. Tale struttura è posta di traverso, come fosse una freccia infilzata di sbieco capace di interferire sulla percezione altrimenti ortogonale dell’appartamento: un vettore, l’ago di una bilancia che illustra il peso specifico degli spazi principali e di servizio. Complice la porta a vetri dell’ingresso, che aprendosi verso destra blocca di fatto l’accesso diretto alla cucina, questo elemento architettonico spinge il visitatore verso l’ampio (e alto) spazio del soggiorno, dominato da una decorazione a soffitto preesistente. La struttura si presenta come un telaio di legno – dipinto di grigio acquarellato – scandito da diverse fasce parallele: una inferiore a bande orizzontali; un passavivande o svuotatasche ad altezza mani, con profilo trapezoidale, aperto sulla cucina; due superiori di diversa estensione, composte da vetri diversamente smerigliati e con inserti colorati. La cucina è disegnata seguendo all’incirca il sistema di Casa Righi, con piano in marmo continuo e un pensile allungato con ante vetrate scorrevoli. Entrando nel soggiorno sono diversi gli elementi che meritano attenzione, a cominciare dalla libreria che occupa la parete di fondo. Essa presenta un mobile contenitore nella parte bassa, con ante scorrevoli in compensato e una lamiera forata piegata color senape che cela il termosifone retrostante; sopra si sviluppa invece un ingegnoso sistema di mensole a sbalzo, staccate qualche millimetro dai montanti laterali e invece sostenu-

Casa Mieli Ballerini, Milano, 2004. Pianta e veduta dell’elemento divisorio all’ingresso. (foto di Andrea Martiradonna)

2. Cfr. Umberto Riva. Disegnare spazi, “Domus”, 975, 2013, pp. 90-101. ALTRE DUE CASE MILANESI

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ABBAGLI


C’è

un quadro di Pierre Bonnard – pittore caro a Umberto Riva – che in conclusione di questo scritto sembra adatto a riassumere molte delle caratteristiche degli spazi interni analizzati finora. Non tanto per le affinità formali, ma per una più intima connessione che sottolinea – in entrambi gli autori – gli orizzonti espressivi concessi da una reinterpretazione del reale operata attraverso la composizione sapiente di geometria e colore. La tela è la famosa Salle à manger à la campagne (1913), che per l’appunto raffigura la sobria sala da pranzo dell’abitazione di Bonnard a Vernonet, al confine tra l’Île-de-France e la Normandia. Il primo elemento a sostegno di questa analogia si manifesta osservando il modo in cui il pittore inquadra la scena. Infatti, nel ritrarre l’ambiente ponendosi al centro della stanza e guardando verso il giardino antistante, Bonnard attua un delicato scardinamento della scatola prospettica tradizionale, rifuggendo – proprio come Riva in molti dei suoi progetti – la rappresentazione canonica e matematica dell’involucro reale, piegando pareti e arredi in modo congeniale a una nuova percezione dello spazio costruito. Si provi a disegnare la pianta di questa salle: come nell’attico di via Paravia, in Casa Frea, in Casa Insinga, negli allestimenti alla Triennale e in molti altri interni analizzati, l’impianto ortogonale di partenza sembra vanificato dalla dilatazione delle pareti, che – grazie a un sapiente gioco scenico – si aprono a formare un angolo ottuso. A dominare lo spazio – come in Casa Mieli Ballerini e Casa Righi a Milano, come nel Bar Sem e in altri progetti – è una diagonale interrotta, che Bonnard riprende con buona probabilità dalla sua conoscenza delle stampe giapponesi (per Riva, come visto, i riferimenti sono diversi) e a cui si riferiscono gli altri elementi della composizione. Ad esempio la sedia a sdraio in legno – con gatto comodamente adagiato – che per la sua essenzialità l’architetto milanese non disdegnerebbe nei suoi appartamenti. Da notare, nel quadro, è anche la mensola verde che, fuori dalla porta, taglia il campo visivo aumentando la spigolosità della composizione, similmente ad alcuni vettori tridimensionali creati da Riva nello spazio. Nel quadro, questa espansione prospettica determina il tema principale, che è il contrasto tra interno ed esterno, tra costruito e natura – come a Stintino, Taino e Osmate, come a Casa Miggiano e nelle tante occasioni di dialogo diretto con il paesaggio –, e perciò viene ulteriormente accentuata dagli elementi che fanno da filtro tra queste due dimensioni. ABBAGLI

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Pierre Bonnard, Salle à manger à la campagne, 1913.

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


ABBAGLI

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