Umberto Riva. Interni e allestimenti

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ISBN 978-88-6242-229-1 Prima edizione settembre 2017 © LetteraVentidue Edizioni © Gabriele Neri È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Book design: Francesco Trovato LetteraVentidue Edizioni Srl Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni


GABRIELE NERI


INDICE


7 19 45 63 69 97 113 151 179 205 227 241

COORDINATE PRELIMINARI

INTERNI PER VACANZE

UN ATTICO IN CEMENTO

UN BAR ESPRESSIONISTA PROGETTARE NEI LIMITI: TRE RISTRUTTURAZIONI MILANESI

DUE OPERE PADOVANE UMBERTO RIVA ALLA TRIENNALE DI MILANO ALLESTIMENTI AL COSPETTO DI PALLADIO

ALTRE DUE CASE MILANESI INTERNI SENZA FINE: UMBERTO RIVA IN SALENTO

DUE ALLESTIMENTI PER CORBU

ABBAGLI


COORDINATE PRELIMINARI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


A

nalizzando la lunga sequenza di progetti sviluppati da Umberto Riva in quasi sessant’anni di lavoro, comprendente piani urbanistici, interventi di restauro, industrial design, residenze, spazi espositivi, edifici pubblici e molto altro ancora, il disegno dello spazio interno emerge senza dubbio come uno dei temi d’indagine più originali e fecondi, nel quale sembrano convergere e rafforzarsi le molteplici esperienze da lui affrontate. Allievo di Franco Albini e Carlo Scarpa, ma anche autodidatta ammaliato da Charles Rennie Mackintosh, Pierre Chareau e Gaudí più che da un modernismo che entrava in crisi proprio negli anni della sua formazione universitaria1, Riva ha coltivato molto in profondità questa dimensione progettuale, in cui è fiorita una parte eccezionale della cultura architettonica italiana del XX secolo. Come i suoi maestri, nell’architettura degli interni ha infatti trovato l’ambito perfetto per una curiosità trasversale, attratta dalla perentorietà delle strutture e dalla leggerezza del dettaglio, dalla plasticità della forma e dalle possibilità del colore, dalla spazialità pura e dalle rivelazioni della luce, dall’artigianalità del manufatto e da una certa visione dell’abitare. Questa propensione è visibile fin dalle prime opere, specie nelle case estive per vacanze, nelle quali Riva ha sempre riservato una notevole e non scontata attenzione per le qualità dello spazio interno articolandolo rispetto al suo contenitore e al paesaggio naturale o urbano, ma anche svolgendo un lavoro più autoreferenziale sulla forma architettonica e sugli aspetti figurativi. Ogni volta, in modo diverso: non interessato alla possibilità di una strategia teorica a priori, Riva ha sempre dimostrato un approccio al progetto di tipo singolare, empirico, volto a mettere in discussione tanto lo stato di fatto quanto il personale bagaglio di esercizi analitici e creativi già svolti. L’assunto di base da cui partono i suoi spazi è questo: la progettazione non è un processo deduttivo ma qualcosa che comincia con una prefigurazione, con un’intuizione che deve essere vagliata attraverso continue approssimazioni, mantenendo uno sguardo sospettoso verso il proprio operato e i risultati raggiunti. In questo senso la sua architettura parte, come sottolineò l’amico Giacomo Scarpini (1929-1993) nel 1969 sulle pagine di “Domus”, da una decisa «sfiducia 1. Sul contesto universitario, specie veneziano, in cui si formò Riva si veda ad esempio: P. Nicolin, For Umberto Riva, in M. Zardini, P. Nicolin, Umberto Riva, Gustavo Gili, Barcelona 1993, pp. 11-15. COORDINATE PRELIMINARI

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Copertine di “Zodiac”, n. 19-22, 1969-73. 10

UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


e il 1973; e prima ancora si occupò di periodici studenteschi come “Il Risorgimento”11. Ancora più profondo è però il rapporto con la pittura, considerata «una ricerca affine a quella architettonica e a questa inevitabilmente riferita»12, che negli spazi costruiti trova visibile contatto. L’espressività di Riva nasce infatti sulla tela, negli anni immediatamente successivi alla guerra, e pittore forse sarebbe diventato ufficialmente se non fosse stato per il percorso biografico che lo portò, con molte incertezze, all’architettura. («Ho fatto l’architetto malgrado me stesso»13, commenta Riva sottolineando i molti anni impiegati per laurearsi). Pur relegata in secondo piano, la ricerca pittorica – a partire dalla lunga serie di tele dipinte dalla metà degli anni Settanta con matite colorate, gessi a olio e china14 – trova corrispondenze precise con le coeve ricerche costruttive, rappresentando una sorta di fiume carsico che riaffiora sovente nel processo generativo di una pianta, nella definizione della forma o nell’importanza data agli aspetti cromatici dell’architettura. Quest’ultimo aspetto, in particolare, è un tema da tenere ben presente nell’analisi dei suoi interni: affascinato da Matisse e Pierre Bonnard per la loro capacità di mostrare con il colore «quello che manca a noi come architetti: la bellezza del quotidiano»15, così come dalle composizioni cromatiche di Le Corbusier, di Léger, Nicolas de Stael, Geer Van Velde, de Kooning e Poliakoff, Riva ha sempre assegnato al colore un ruolo di primo piano nei suoi progetti, non solo in chiave decorativa ma come dispositivo estetico per sottolineare o creare particolari situazioni. Al colore si lega lo studio della luce: l’architetto milanese ha sempre dedicato grande attenzione all’illuminazione, sia calibrando l’apporto della luce naturale, sia disegnando in prima persona dispositivi artificiali. Nelle sue opere si incontrano finestre di ogni tipo e dimensione, spesso in posizioni non canoniche, fondate su un ponderato dialogo con gli elementi architettonici; e ovviamente si incontrano anche i prodotti della sua attività di designer avviata negli anni Sessanta. Le sue lampade – “vetri illuminati”, come 11. Cfr. G. Canella, Una testimonianza per Umberto, in Umberto Riva. Album di disegni, cit., p. 11. 12. U. Riva, in Umberto Riva. Album di disegni, cit., p. 4. 13. U. Riva in conversazione con l’autore, 2 novembre 2016. 14. Sull’analisi dell’attività pittorica di Riva si veda: M. Bottero, Lo sperimentalismo di Umberto Riva, in Umberto Riva. Album di disegni, cit., pp. 99-112; B. Danese, M. Romanelli, J. Vodoz (a cura di), Umberto Riva: muovendo dalla pittura, Associazion Jacqueline Vodoz et Bruno Dainese, Parigi 1997. 15. U. Riva in A. Felice (a cura di), Trentanove domande a Umberto Riva, cit., p. 31. COORDINATE PRELIMINARI

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DUE OPERE PADOVANE

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


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opere realizzate a Padova, a pochi anni di distanza, dimostrano la capacità di Umberto Riva di allontanarsi dal disegno della domesticità, mettendo in relazione lo studio degli interni con ambiti di indagine molto più estesi. Il primo progetto consiste nella realizzazione di uno spazio espositivo per la società IB Office, specializzata in arredi da ufficio, per cui Riva aveva progettato nel 1990 i programmi direzionali UR301 e UR3031. In questo caso, dunque, il tema progettuale lambisce la fertile attività di Riva nel campo degli allestimenti museali, pur prevedendo una durata non così effimera – con la relativa differenza di materiali e strutture – e un’azione complessiva sull’involucro edilizio. Nel secondo caso, invece, l’architetto viene chiamato a ristrutturare il Caffè Pedrocchi, uno dei simboli della vita pubblica padovana fin dalla prima metà del XIX secolo, affrontando perciò una rosa di tematiche che vanno dal restauro all’arredo, dalla distribuzione funzionale al ruolo urbano dell’edificio, fino alla scala più minuta del design. Pur con le notevoli differenze di tema e di scala, in entrambi i progetti – come in quasi tutti gli interni di Riva – emergono delle costanti: il rapporto con l’esterno, l’attenzione per il ruolo della luce, l’articolazione planimetrica attraverso il lavoro sui bordi dell’involucro edilizio, l’invenzione dei dettagli, ecc. Lo Showroom IB Office (1991) si colloca al piano terra di un ex magazzino posto tra la strada di circonvallazione e le antiche mura romane, a pochi passi dal Bacchiglione2. L’accesso avviene dalla testata dell’edificio, dove l’architetto crea uno spazio-filtro a pianta triangolare che permette una prima visione dell’interno – attraverso un vetro inclinato di circa 25 gradi rispetto all’asse longitudinale – ma allo stesso tempo obbliga ad un ingresso laterale, sbilanciando subito la prospettiva. Verso strada l’ambiente rettangolare presenta sette finestre e una porta secondaria; l’altro lato lungo è invece quasi cieco. La funzione espositiva porta l’architetto a enfatizzare l’ampiezza dello spazio, lasciandolo completamente libero per concentrarsi sul tema della modulazione della luce naturale e artificiale. L’intervento si concentra infatti sulla parete finestrata, dove davanti a ogni bucatura egli pone una coppia di serramenti in ferro e vetro con funzione di diaframma, che segnano anche il passo dal punto di vista spaziale. Poiché nello stato di fatto le finestre si trovavano a circa 1. Cfr. Informazione aziendale, “Domus”, 720, ottobre 1990. 2. Cfr. M. Bottero, Umberto Riva. Negozio a Padova, “Domus”, 742, ottobre 1992, pp. 50-55.; M. Zardini, P. Nicolin, Umberto Riva, cit., pp. 88-93. DUE OPERE PADOVANE

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Ristrutturazione del Caffè Pedrocchi, Padova, 1994-98. In alto: Sala ottagona. In basso: Sala Rossa. 108

UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


ritrovandone il filo rosso di una ideale continuità»12. Anche gli altri materiali utilizzati partecipano a questa sorta di rievocazione: il terrazzo alla veneziana del pavimento, il legno d’acero, lo stucco bianco delle pareti, ecc. Nella Sala Rossa viene restaurato il bancone originario di Japelli, riportandolo alle dimensioni originali e liberandolo dalla base aggiunta negli anni Cinquanta; inoltre vengono rifatte le aperture laterali dietro il bancone e il pavimento, recuperando i disegni originali ottocenteschi. Nella grande Sala ottagona (o della Borsa), ora destinata a ristorante, viene restituita la spazialità originale – negli anni Cinquanta era stata aperta sull’adiacente galleria, negando l’ottagono – pur senza ripristinare esattamente i profili perimetrali. Riva deve infatti tenere conto delle colonne aggiunte da Angelo Pisani e lo fa disegnando un grande serramento in legno apribile a paravento, che dall’interno maschera le colonne – pur segnalandone la presenza – e all’esterno le incornicia con apposite nicchie. La Sala ottagona, come pure l’adiacente galleria, è tagliata in due in senso longitudinale da un lampadario composto da strisce di lamiera d’ottone appesa al soffitto, a cui sono attaccati dei corpi illuminanti sferici, che si riflettono in un corrispondente inserto in ottone inserito nel pavimento. Per questa sala Riva aveva proposto il rifacimento delle sedie originali, ma per ragioni di costo sono state invece inserite

Disegno di studio delle lampade a braccio in ottone per la Sala ottagona.

12. Ibid. DUE OPERE PADOVANE

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UMBERTO RIVA ALLA

TRIENNALE DI

MILANO


NEL

1994 Umberto Riva fu chiamato dalla Triennale di Milano per ripensare alcuni spazi del piano d’ingresso del Palazzo dell’Arte di Milano, affrontando così la grande scala dell’edificio di Giovanni Muzio e la sua intensa storia. Operare sul corpo di tale fabbrica significava infatti confrontarsi con uno dei luoghi più distintivi della cultura architettonica italiana del XX secolo in uno dei suoi punti più visibili e frequentati, mettendo in scena un dialogo con le tante interpretazioni spaziali, più o meno temporanee, avvenute qui nei decenni precedenti. L’incarico giunse grazie all’apprezzamento di Pierluigi Nicolin – al tempo coinvolto nelle attività della Triennale – per la sua opera, da lui già pubblicata nel citato numero della rivista “Lotus”1. È un occasione importante: l’intervento di Riva si colloca nell’ambito di una più generale riorganizzazione dell’agenda culturale della Triennale in seguito alle modifiche legislative avvenute nel 1990, che trasformarono l’ente in struttura per attività di ricerca e documentazione, allargando il campo d’azione verso discipline come la moda, la comunicazione audiovisiva, ecc.2 In quel contesto, il consiglio di amministrazione presieduto da Pierantonino Bertè (incaricato per il triennio 1994-96) avviò un ampio programma di aggiornamento funzionale comprendente la ristrutturazione di molti spazi dell’edificio, tra cui la Galleria al piano terra (ala nord) dedicata alle esposizioni temporanee, progettata da Gae Aulenti3. A Riva, nello specifico, furono affidati l’atrio d’ingresso, definito dalla grande navata che fa penetrare nell’edificio da viale Alemagna; l’area dell’ex impluvium e la fascia rialzata affacciata sul giardino: luoghi fondamentali per la fruizione dell’edificio che ne definiranno l’immagine per alcuni anni, fino allo smantellamento – condotto forse con eccessiva leggerezza – in vista degli interventi più recenti di Michele De Lucchi. La prima zona viene affrontata da Umberto Riva come un percorso capace di dare continuità visiva dall’ingresso fino alla biglietteria. Varcata la serliana in pietra di Baveno 1. Cfr. Umberto Riva, Album di disegni, cit. 2. Cfr. Giovanni La Varra, Programmi della Triennale, “Casabella”, 615, 1994, p. 46. 3. Chiara Baglione, La nuova Galleria della Triennale, “Casabella”, 615, 1994, p. 47; Rita Capezzuto, Due interventi nel Palazzo della Triennale di Milano, “Domus”, 767, gennaio 1995, pp. 39-45. In principio fu pensato anche il coinvolgimento di Cini Boeri per la sistemazione di altri spazi espositivi, che però non ebbe seguito. UMBERTO RIVA ALLA TRIENNALE DI MILANO

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Allestimento della zona ingresso del Palazzo dell’Arte, Milano, 1994-95. Primo piano dell’impennata. (foto di Francesco Radino) 114

UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


e superata la prima sequenza di porte si alza l’impennata, una parete vetrata a tutta altezza che l’architetto divide in quattro ampie porzioni mediante una struttura metallica a forma di croce, ancora oggi mantenuta anche se con un colore diverso dall’originale. Le due fasce in alto sono fisse, mentre quelle in basso sono suddivise in sei ante di cristallo che permettono l’entrata nel foyer. Il disegno della struttura a croce è un saggio di carpenteria metallica applicata al nobile tema del portale d’ingresso: ricorrendo alle matrici geometriche a lui familiari, l’architetto lavora sui montanti articolandoli e legandoli al telaio esterno di questo serramento fuori scala. La scansione verticale viene affidata a due tubolari di diverso diametro – il maggiore verso l’esterno – posti in mezzeria; altri due tubolari verticali ai lati fungono invece da supporti ai quali si collega la trave metallica che taglia orizzontalmente il vano. Guardando il prospetto potrebbe sembrare un disegno bidimensionale, ma in realtà il sistema deve molto alla terza dimensione: in pianta si nota bene come i due tratti apribili non siano complanari ma inclinati leggermente verso l’interno del Palazzo, producendo una leggera triangolazione e un gioco di riflessi. È da sottolineare come questa inclinazione non sia generata da Riva in maniera gratuita, e prenda invece spunto dal restringimento del corridoio d’ingresso scelto da Muzio nella pianta originale; tuttavia è chiaro anche come egli sia propenso ad accentuarne il carattere piuttosto che mitigarne gli UMBERTO RIVA ALLA TRIENNALE DI MILANO

Allestimento della zona ingresso del Palazzo dell’Arte, Milano, 1994-95. Pianta e sezione (19/3/1994, aggiornato settembre 1998).

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ALTRE

DUE CASE MILANESI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


2

case milanesi ristrutturate all’inizio del nuovo millennio segnano l’evoluzione dello spazio domestico nell’opera di Riva, a parecchi anni dagli ormai storici interni di Casa Frea, De Paolini e Insinga, e con in mezzo i significativi lavori appena descritti nel campo degli allestimenti. La distanza anagrafica e le molte occasioni progettuali avvenute nel frattempo non hanno mutato la ricerca di una scansione narrativa costante, quel gioco immanente di richiami che fa dialogare tutte le parti di uno spazio abitato. Casa Righi e la più piccola Casa Mieli Ballerini presentano ancora la tendenza a interrogare lo spazio in modo da fargli assumere una nuova valenza spaziale e dimensionale, grazie a giaciture, tagli e dettagli dai quali ormai traspare l’esperienza di una carriera quarantennale. Da tale esperienza deriva una maggiore consapevolezza, che pur non facendo perdere quel carattere interrogativo di trial-and-error che definisce il metodo progettuale di Riva, produce una maggiore densità evidente ad esempio, nella prima delle due opere, nel forte utilizzo del colore. Casa Righi (2002-03) occupa due piani a pianta pressoché quadrata di un edificio in cemento armato di origine industriale, prima utilizzato come laboratorio, sulla cui sezione Riva lavora per ottenere una divisione funzionale degli spazi e contemporaneamente il loro collegamento volumetrico1. La casa, infatti, serve anche come studio del committente – che è psichiatra – e per questo necessitava di un’attenta divisione tra sfera pubblica e privata. Sfruttando un’altezza di interpiano pari a 4,70 metri, l’architetto risolve il programma riservando il livello superiore alla zona giorno e – dividendone in due l’altezza – quello inferiore alla zona notte e allo studio, per un totale di circa 205 mq. A collegare i diversi livelli sono le rampe di scale, contenute in un volume a pianta trapezoidale, ma anche un sistema di doppie altezze che mette in contatto il piano più basso con il piano intermedio. Grazie a un gioco di diagonali, quest’ultimo è plasmato dalla rotazione della pianta, che crea un soppalco triangolare – un triangolo rettangolo, con la base posta sulla linea mediana del quadrato che costituisce la pianta complessiva – affacciato su due lati verso gli ambienti sottostanti. Ormai espressione di una grammatica geometrica con alle spalle decenni di esercizio, molto simile a quella dipinta su tela, la triangolazione 1. Su Casa Righi cfr. B. Finessi, Umberto Riva: Casa Righi, Milano, “Abitare”, 532, 2013, pp. 56-67; Umberto Riva. Disegnare spazi, “Domus”, 975, 2013, pp. 90-101. ALTRE DUE CASE MILANESI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


Casa Righi, Milano, 2002-03. In alto: Dettaglio del mobile divisorio al piano superiore, visto dalla cucina. In basso: Il mobile divisorio tra ingresso e cucina al piano superiore. Pagina a fianco: Cucina. (foto di Andrea Martiradonna) ALTRE DUE CASE MILANESI

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


Casa Righi, Milano, 2002-03. Soggiorno, veduta di una libreria e dettaglio. (foto di Andrea Martiradonna)

su loro stesse; attorno ad esso Riva colloca le sedie SE 68 disegnate nel 1951 da Egon Eiermann: un modello in linea con le sedute di Aalto utilizzate in molti altri casi simili. Il soggiorno, dove la prospettiva si apre, è un punto cruciale per la comprensione dell’architettura degli interni del milanese. Lo spazio è alto, largo e si dilata ulteriormente in varie direzioni: verso la cucina e l’ingresso, ambienti da cui non è rigidamente separato; verso il balcone e il terrazzo che definisce il piano. Tale vastità è gestita ricorrendo a diverse strategie di “appropriazione”, che tendono a smembrare la scatola spaziale in diverse componenti, distinguendone e sovrapponendone i livelli per darvi un significato. Riva, innanzitutto, decide di mantenere in evidenza il telaio strutturale dell’edificio, creando una prima distinzione tra pareti non portanti, travi e pilastri. Questa distinzione è operata ma non enfatizzata: il colore scelto per entrambe le parti rimane infatti il grigio, tonalità che dona una particolare atmosfera all’ambiente e dirige gli accesi contrasti cromatici proposti dall’arredo e dalle finiture. ALTRE DUE CASE MILANESI

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INTERNI SENZA FINE :

UMBERTO RIVA IN

SALENTO


D

opo Milano, città natale confermata come base culturale e logistica, il contesto in cui Umberto Riva ha lavorato di più è la Puglia. Dall’inizio degli anni Ottanta, infatti, l’architetto ha avviato uno stretto rapporto professionale ma anche emotivo con la penisola salentina, che ad intervalli irregolari è continuato fino ad oggi, concretizzandosi in uno sciame di interventi medio-piccoli tra Otranto, Lecce e Brindisi1. Oltre che alla serie di lavori in Sardegna cominciata nel 1958 con Casa Di Palma, l’attività di Riva in Salento deve molto a uno dei suoi progetti più singolari e meno studiati, emblema di una speciale liaison con il mondo naturale e culturale del Mediterraneo. Il progetto per un insediamento nella valle dell’Oued Touil (1980, non realizzato), in Algeria, commissionato dall’Eni nell’ambito di un più vasto progetto di sfruttamento dei pozzi petroliferi della zona, divenne infatti l’opportunità diretta per approfondire i principi delle costruzioni tradizionali – case ad un piano con affaccio verso corti interne e strade in terra battuta – e declinarli in un nuovo nucleo urbano composto da residenze, spazi pubblici, una moschea e servizi vari. Adeguandosi alle necessità del contesto ambientale e della sua cultura materiale, e dunque ponendosi in posizione di ascolto prima che di disegno, Riva sviluppò con grande attenzione i sistemi di condizionamento passivo nelle diverse parti dell’intervento – anche grazie alla collaborazione di un bravo ingegnere indiano – traendo spunto dalle soluzioni tecniche per ottenere elementi costruttivi e figurativi in linea con la propria poetica. Nelle residenze lì costruite – che in sezione ricordano la struttura delle case di Stintino per il loro carattere introverso, la loro tripartizione e la presenza di passaggi coperti verso l’esterno – Riva utilizza ad esempio camini solari composti da pannelli in lamiera ondulata che surriscaldandosi convogliano l’aria verso l’alto, creando una ventilazione naturale ma an-

Progetto per un insediamento nella valle dell’Oued Touil, Algeria, 1980 (non realizzato). Sezione della parte residenziale.

1. Per l’elenco completo degli interventi si rimanda, oltre che all’analisi che segue, all’elenco delle opere in fondo a questo volume. INTERNI SENZA FINE: UMBERTO RIVA IN SALENTO

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


Appartamento Amoruso Lonoce, Brindisi, 2012. Schizzo di studio e vedute della scala interna. (foto di Massimo Farenga)

INTERNI SENZA FINE: UMBERTO RIVA IN SALENTO

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DUE ALLESTIMENTI PER

CORBU


A

circa un decennio dal confronto con Carlo Scarpa, avvenuto con l’allestimento delle due mostre al CISA nel 2000 e 2004, negli ultimi anni Umberto Riva è stato chiamato – non casualmente – a mettere in scena un dialogo a distanza con Le Corbusier. Due sono le occasioni: la prima è la mostra a lui dedicata dal Maxxi di Roma alla fine del 2012; la seconda è l’invito di Beppe Finessi a ricostruire nel Palazzo dell’Arte di Milano una versione aggiornata del celebre Cabanon costruito nel 1952 da Le Corbusier a Roquebrune-Cap-Martin, in Costa Azzurra1. Pur con molte differenze, in entrambi i casi Riva si trova a dover compiere un sottile lavoro di reinterpretazione dell’opera lecorbuseriana, cinquant’anni dopo l’originale tributo offerto con l’attico di via Paravia e la casa di Taino. Per la mostra al Maxxi, intitolata “L’Italia di Le Corbusier”2 (2012, a cura di Marida Talamona) e quindi dedicata al legame del Maestro con la storia e la cultura italiana dal suo primo Grand Tour ai progetti mai realizzati per il Centro Calcolo Olivetti di Rho e per l’Ospedale di Venezia degli anni Sessanta, Riva deve innanzitutto fare i conti con uno spazio museale particolare e in parte problematico. Se nelle gallerie milanesi di Muzio e Gae Aulenti la trama ordinata dell’impianto strutturale suggeriva la sua contraddizione, il museo di Zaha Hadid presentava una situazione spaziale del tutto diversa, alla quale egli risponde senza celare un certo disappunto verso una simile concezione architettonica. «L’architettura di oggi è alle volte banale – ha commentato Riva – È tutto quello che non è necessario, che non nasce da esigenze. È banale nella sua alterigia di essere padrona del mondo e dello spazio. Banale perché senti che rimane in superficie. Al Maxxi la prepotenza formale espone se stessa e vincola la specificità del museo, che è quella di esporre. Mi sento offeso da una certa nuova architettura, per volgarità e indifferenza. Per questo l’architettura oggi è tendenzialmente troppo immaginifica per me: l’arbitrio delle forme prepotenti non ritrova una propria legittimità»3. Da tali parole si comprende come il confronto Riva-Corbu si sia subito aperto a un terzo attore, che è appunto la pro1. Su questo progetto si veda G. Neri, La petite chambre, in B. Finessi (a cura di), Stanze. Altre filosofie dell’abitare, cit., pp. 398-409; G. Neri, Il Cabanon di Umberto Riva. Reinventato alla Triennale il rifugio di Corbu, “Archi – rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica”, 3, 2016, pp. 7-8. 2. M. Talamona (a cura di), L’Italia di Le Corbusier, catalogo della mostra a Roma, MAXXI, 18 ottobre 2012 – 17 febbraio 2013, Electa, Milano 2012. 3. U. Riva, cit. in A. de Curtis, op. cit., pp. 85-86. DUE ALLESTIMENTI PER CORBU

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Allestimento della mostra “L’Italia di Le Corbusier”, Maxxi, Roma, 2012. (foto di Flaminia Nobili)

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


gettista anglo-irachena: la soluzione offerta per l’allestimento è infatti una risposta a entrambi. La prima scelta forte operata da Riva sta nel materiale utilizzato. Egli opta per un legno semplice e povero come il fasciame di cantiere, a cui sovrappone una velatura di bianco: soluzione che rimanda all’allestimento della mostra fotografica su Scarpa al CISA del 2004 e, come in quel caso, allude alla consistenza e alla forma del cemento armato, citato “in negativo” proprio con l’utilizzo del materiale impiegato per le casseforme. Di Corbu, insomma, Riva esalta la consistenza e la plasticità del béton brut senza tuttavia citarla letteralmente; ricorre a un’allusione che diventa il trait d’union dell’intero percorso espositivo. Oltre a questo rimando, l’utilizzo di un legno così povero sembra inoltre esplicitare una presa di posizione nei confronti del museo, opponendo al tecno-formalismo di questo spazio la semplicità dell’architettura mediterranea, la pratica artigianale del costruire, addirittura il mito della capanna di Laugier che proprio Corbu farà suo nel Cabanon. Scelto il materiale, si deve fare i conti non solo con la forma dello spazio ma anche con le sue limitazioni. Dal momento che era difficile appoggiarsi alle pareti con le strutture dell’allestimento – per questioni tecniche e per il loro profilo irregolare –, la soluzione ottimale appare quella di organizzare la mostra con pannelli disposti trasversalmente a dividere la lunga galleria, rompendone la forma organica e trovando invece la più intima dimensione di tante piccole “stanze”. Trovato un ordine generale, Riva si concenDUE ALLESTIMENTI PER CORBU

Allestimento della mostra “L’Italia di Le Corbusier”, Maxxi, Roma, 2012. Schizzo di studio.

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Allestimento della mostra “L’Italia di Le Corbusier”, Maxxi, Roma, 2012. La sala su Venezia, veduta e schizzo delle nuove teche espositive. (foto di Flaminia Nobili)

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UMBERTO RIVA INTERNI E ALLESTIMENTI


Allestimento della mostra “L’Italia di Le Corbusier”, Maxxi, Roma, 2012. Schizzo di studio.

tra sulla sua articolazione, dando forma e disposizione alle stanze che si susseguono. Spezzati, piegati e frammentati, i pannelli formano geometrie spigolose che ricordano, ad esempio, il volume pentagonale collocato nel salone di Palazzo Barbarano per la mostra su Scamozzi, e che si relazionano in maniera puntuale con i materiali esposti: disegni, fotografie, modelli, lettere, i preziosi carnet di disegni, ecc. Più che semplici pannelli, gli elementi di divisione dello spazio sono in realtà volumi tridimensionali a pianta triangolare – alti quattro metri e assemblati in gruppi di ampiezza e forma variabile – le cui facce verticali vengono rivestite di fasciame. Il colore chiaro del legno – a cui sono sovrapposte grandi scritte nere che definiscono il tema di ogni ambiente – si pone in forte contrasto con le sinuose pareti laterali della galleria, che vengono in parte utilizzate per appendere disegni di grande formato. Nell’ultima stanza, invece, il colore assume un ruolo grafico molto importante in occasione dell’episodio conclusivo della mostra, trasformandosi da semplice pattern a elemento della rappresentazione architettonica per l’irrealizzato progetto veneziano. È questa una citazione diretta di alcuni allestimenti fatti da Le Corbusier. Una sezione è trasformata in galleria di pittura, con i quadri puristi affiancati a Morandi, Carrà e Severini. In maniera concettualmente simile a quanto fatto per la piccola selezione di disegni originali scarpiani nel 2004 a Vicenza, Riva crea un abbassamento dell’altezza, questa volta con un telo bianco appeso in aria. Oltre ai pannelli Riva disegna anche tutti gli altri elementi espositivi, come le teche sostenute da una struttura metallica incrociata o la vetrina per un prezioso reliquiario del Duecento. Riva lavorerà con la curatrice Marida Talamona anche DUE ALLESTIMENTI PER CORBU

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