fase REM

Page 1


Indice


9. Plagio 11. Un libro breve in forma di appunti 91. Bibliografia


Plagio


each bastard gets his own genealogical tree Rem Koolhaas1 Ho la netta sensazione che tutti possano legittimamente equivocare su Rem Koolhaas e che lui ne sia perfettamente consapevole e che possa pienamente gustarsi questa situazione di confusione mediatica del e sul suo messaggio2.

Sgombriamo il campo da equivoci. Questo libro non è una monografia su Rem Koolhaas … non potrebbe esserlo. Chi scrive non lo conosce personalmente, non l’ha mai incontrato, non l’ha mai intervistato. Ha visitato alcune sue opere, assistito ad alcune sue conferenze, ha letto molti suoi scritti e molti articoli su di lui, l’ha “studiato”, non dal punto di vista storiografico ma come si studia un “riferimento” in architettura, leggendolo, interpretandolo e, talvolta, “piegandolo” alle proprie idee e al proprio punto di vista … sull’architettura e sulla ricerca …

9

1. Koolhaas Rem, The Terrifying beauty of the 20th Century (1985), in O.M.A., Koolhaas Rem, Mau Bruce, S,M,L,XL, the Monacelly Press, NY, 1995, p. 208. 2. Giovannini Sandro, Su Rem Koolhaas, 2014 http://www.ereticamente. net/2014/07/su-rem-koolhaas.html.

Plagio

Questa è un’opera di plagio … ma, almeno, dichiarata.


Un libro breve in forma di appunti


11

Un libro breve in forma di appunti

Pre-testo Se questo, dunque, non è un testo utile per chi vuole conoscere Rem Koolhaas a cosa serve e a chi è rivolto? Il libro è, come si diceva, soprattutto una ricerca sulla questione del “riferimento” in architettura, come concetto teorico e, soprattutto, progettuale. Riferimento inteso non dal punto di vista del linguaggio ma da quello metodologico, come strumento per affinare e mettere a fuoco di volta in volta gli obiettivi della propria ricerca e come immagine in grado di catturare più che l’idea, il processo che si traduce nel progetto. Da questa prospettiva la figura di Koolhaas appare particolarmente significativa sia perché molto prolifica dal punto di vista della produzione scientifica e progettuale sia perché, all’interno di questa stessa produzione, è possibile rintracciare una moltitudine di riferimenti (dichiarati e non) che intrecciano tradizioni disciplinari e maestri diversi. Una sorta di spregiudicatezza, che alcuni tacciano di cinismo e che invece sembra alludere a un percorso di ricerca particolarmente invitante per chi si muove all’interno del panorama dell’architettura italiana, eternamente sospesa tra posizioni ideologiche a


Paola Scala | Fase_REM

12

contrasto, in bilico tra l’aspirazione a un sapere certo, fortemente ancorato a una tradizione disciplinare solida, a regole, universali e soprattutto trasmissibili, e la consapevolezza che questo sistema di regole universali è destinato a “slittare” sulla “complessità” della realtà contemporanea. Molti di coloro che si troveranno a leggere questo libro saranno, probabilmente con qualche ragione, irritati dalla volontà di accostare due figure come Aldo Rossi e Koolhaas che, nella migliore delle ipotesi, si sono ignorate anche se l’Harward project on the city, il gruppo di ricerca che fa capo a Koolhaas, riprende esplicitamente il “fatto urbano” come concetto da superare: «this manual assumes the city to be a “box of speeds”, rather than an “urbanartifact,” implying the potential of the architecture of the city to be a passive agent, acting merely as a vessel for movements and flows»1. In realtà questo accostamento, mediato dalla figura di Ungers, nasce da una prima intuizione che negli anni ha finito con il consolidarsi, ma soprattutto dalla volontà di riuscire, come architetto e professore di progettazione italiano, ad andare “oltre” una tradizione di studi consolidata, non superandola ma sostanzialmente ripensandola. Dal punto di vista teorico la ricerca architettonica italiana ha un profondo debito con la stagione di studi ufficialmente “inaugurata” dal ciclo di 1. Harvard Project on the city, How to built a city, in Aa.Vv., Mutation, ACTAR, Barcellona, 2011, p. 12.


2. Samonà Giuseppe, Introduzione, in Aa.Vv., Teoria della Progettazione architettonica, Dedalo, Venezia, 1968, p. 7.

13

Un libro breve in forma di appunti

seminari sulla Teoria delle Progettazione Architettonica tenuti, durante la primavera e l’inverno del 1966, allo IUAV di Venezia da un gruppo di giovani docenti e ricercatori su invito di Giuseppe Samonà. Nell’introduzione al volume che raccoglie i contributi di Guido Canella, Mario Coppa, Vittorio Gregotti, Alberto Samonà, Gabriele Scimemi, Luciano Semerani e Manfredo Tafuri, l’allora preside dell’Istituto veneziano e soprattutto, padre dell’iniziativa sottolineava il fatto che nessuno degli studiosi chiamati a elaborare un punto di vista personale e originale sul tema metteva in discussione la possibilità dell’esistenza di una teoria che potesse essere trasmissibile. «Nelle singole lezioni i contenuti, pur diversificandosi qualche volta profondamente, hanno cercato le caratteristiche concettuali dell’architettura per definirne conseguentemente il processo formativo»2. La lezione di Rossi contiene in nuce molti degli aspetti che verranno sviluppati negli anni a venire, compresa quella dimensione poetica e autobiografica che la Scuola considererà meno importante per anni ma, soprattutto, individua nell’“architettura della città”, costituita da “fatti” stabili assoluti e immutabili nel tempo, un repertorio di figure attraverso il quale rintracciare concetti e regole universali, appartenenti a una memoria collettiva, sulle quali fondare l’insegnamento


Paola Scala | Fase_REM

64

più colta della collettività vorrebbe, la società contemporanea è quella descritta da Koolhaas, nel bene e nel male. Il concetto di Preservation è dunque, fondamentalmente, un invito a riflettere sulla questione della tutela/conservazione da un punto di vista meno ideologico e più reale. Andare oltre le posizioni ideologiche non significa accettare in maniera indiscriminata qualsiasi tipo di trasformazione, ma riflettere con maggiore consapevolezza sul senso e sul significato di ogni modificazione. Se la questione del “riciclo” dell’architettura esistente deve essere qualcosa in più di un semplice slogan è necessario interrogarsi sul cambiamento di senso e di significato che il processo deve produrre. Il progetto del Fondaco poteva seguire due strade, entrambe legittime, o lavorare sul RESTAURO dell’edificio, conservando il senso e il significato dello spazio originale e “adeguandolo” a nuovi usi o lavorare sul suo RICICLO, sul cambiamento di valore e di senso che solo un “maestro” della dislocazione poteva attivare attraverso un non-progetto fatto di pochissimi elementi innestati sul corpo della storia.


87. Koolhaas Rem, AMO, Fundamentals, Marsilio, Venezia, 2014, p. 17.

65

Un libro breve in forma di appunti

Elements Proprio Elements è il titolo di una delle tre sezioni che costituiscono Fundamentals, la 14° Biennale di Architettura diretta da Rem Koolhaas nel 2014. Si è già accennato alla prima partecipazione dell’architetto olandese alla Biennale di Portoghesi nel 1980 a proposito della quale lo stesso Koolhaas scrive: «quando nel 1979 mi chiesero di partecipare alla prima Biennale di Architettura del 1980, pensai che ci dovesse essere un errore. Non conoscevo il direttore, Paolo Portoghesi, e, considerato il tema da lui scelto, la presenza del passato, non riuscivo a immaginare quale potesse essere il mio contributo. Mi innervosiva il fatto che ogni struttura esposta fosse sovrastata da un timpano […] Ciò che molti ritenevano un recupero dei valori tradizionali a me sembrava essere la fine dell’architettura così come la conoscevamo. La pretesa dell’Occidente – implicitamente assecondata dalla mostra – di possedere le chiavi di un’architettura universale e il copyright dell’unico modello valido di città suonava piuttosto imbarazzante in considerazione dell’imminente comparsa di varie realtà e concetti sostenuti da altri continenti»87. La risposta alla richiesta di Portoghesi, dell’allora giovanissimo studio OMA fu, come si è detto, un montaggio di elementi diversi dichiaratamente moderni nella loro “asetticità” (la tela traslucida sollevata in un angolo, la scritta al


Paola Scala | Fase_REM

70

un percorso tortuoso che sembra essere la parodia della perfetta curvatura geometrica che definisce, a Poissy, il percorso di accesso delle automobili. Innegabile il riferimento a Mies nella composizione di un plan libre “organizzato” dalla dis-posizione di pochi elementi come la parete curva che separa la cucina dalla zona giorno, e nella vetrata inserita nella parte basamentale della casa che sorregge il pieno delle scatole superiori filtrando il rapporto con l’esterno e strutturando, per continuità d’immagine, la relazione anche con la Glass House di Philip Johnson. Le relazioni linguistiche e formali che Villa dall’Ava stabilisce con i “suoi” riferimenti sono talmente esplicite da risultare quasi banali nel processo di trasfigurazione che trasforma le forme pure e perfette in parodie di sé stesse portandoci a leggere l’opera come «una Villa Savoye aggressiva e malandata»93. In un articolo del 1997, Prestinenza Puglisi sottolinea come, pur muovendosi sul baratro del Post-Modern, Koolhaas non cada nel suo facile gioco. E certo la differenza non sta solo nel fatto che l’eclettismo del Post-Modern “saccheggia” l’architettura del passato mentre quello di Koolhaas attinge alle immagini più consolidate del moderno. Manca in Villa dall’Ava, come in tutti i progetti dell’architetto olandese, la dimensione nostalgica 93. Prestinenza Puglisi Luigi, Rem Koolhaas. Trasparenze metropolitane, Testo & Immagine, Torino, 1997. https://www.prestinenza.it/2014/03/freedownload-rem-koolhaas-trasparenze-metropolitane/.


94. Biraghi Marco, “Surfin” Manhattan, in Koolhaas R., Delirious New York, cit., pp. 292-302.

71

Un libro breve in forma di appunti

del Post-Modern che trasforma la citazione nell’elemento da utilizzare, nei casi migliori in chiave ironica, per conferire “aura” al progetto, recuperando dalla storia dell’architettura un repertorio di soluzioni formali alle quali attingere liberamente. Sin dall’inizio della sua carriera Koolhaas usa la citazione in una maniera assolutamente innovativa. Il “grande comunicatore” non vuole (o almeno non vuole solo) con la sua architettura porgere omaggio ai grandi maestri della modernità, né probabilmente è interessato alla soluzione formale per il suo valore estetico. Più verosimilmente usa la citazione come l’“elemento” che struttura la relazione tra noi che osserviamo l’opera e la complessa realtà che la determina. Nella postfazione all’edizione italiana di Delirious New York Marco Biraghi sostiene che «DNY è attraversato da alcune idee-guida essenziali […] che quasi mai l’autore si attarda a giustificare o a spiegare: l’autorità cui si affidano è puramente ostensiva, il sostegno su cui si appoggiano auto-portante»94; in altre parole le idee-guida non sono spiegate ma “mostrate” attraverso un’immagine che elimina la mediazione dell’autore e mette direttamente in contatto chi legge con il concetto. Dunque, forse la relazione iconica tra Villa dall’Ava e i tre capolavori del moderno non è solo una citazione linguistica è una lettura critica del modernismo e dei suoi maestri.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.