Muratore di opera grave

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Ringraziamenti Ringrazio mio padre, in quanto figlio d’arte, per avermi fatto toccare con mano fin da piccolo il meraviglioso mondo dell’architettura e Bibi Leone per i suoi preziosi insegnamenti. Ringrazio Fabio Amantia (webmaster), Rosario Riginella (videomaker), Francesco Trovato (editore) e Vito Todaro (architetto) per il tempo dedicato alle numerose conversazioni che hanno preceduto lo sviluppo di questo lavoro ed in particolare quest’ultimo anche per la passione con la quale mi ha aiutato nella trascrizione della conversazione.


Questione di metodo Giuseppe Todaro Uno degli aspetti fondamentali della metodologia di Álvaro Siza è il suo atteggiamento critico nel dialogo con l’architettura contemporanea. I suoi principali riferimenti sono Alvar Aalto e l’essenziale geometrico di Wright come lezione per esprimere la costruzione. Siza mostra grande interesse verso la capacità espressiva di Mendelsohn e quell’economia formale di Loos tendente all’eliminazione del superfluo, riuscendo probabilmente a sintetizzare questi aspetti nella sua opera berlinese Bonjour Tristesse. Non accetta l’idea di soggezione al contesto infatti la sua architettura non è semplice espressione di suggestioni che scaturiscono dall’analisi dei luoghi, ma rivelazione di tensioni nascenti fra luogo e geometria della costruzione. L’architetto con la sua sensibilità deve reinterpretare lo spirito del luogo, armonizzandosi o contrapponendosi al contesto e valutare la possibilità, in determinate circostanze, di far dialogare entrambe le posizioni. L’invenzione, per Siza, è sempre possibile partendo da modelli già esistenti poiché gli architetti non inventano nulla ma trasformano la realtà. Qualunque soluzione formale deve essere il risultato o meglio la risposta ad analisi progettuali e non frutto dell’invenzione. Questo è un aspetto imprescindibile dalla sua metodologia e viene confermato dalla convinzione che un linguaggio non può essere inventato come non si può inventare uno stile di vita, esso

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Omaggio ad Álvaro Siza Fernando Távora Mi piace usare l’espressione muratore di opera grave che, in un documento portoghese del Seicento, designava il maestro che pratica l’architettura. Si tratta di un’espressione molto felice: il maestro è colui che costruisce con la pietra o con un altro materiale; l’opera è un’opera grave, vale a dire seria, importante, significativa, meditata. […] Ho detto che la questione della gravità in architettura mi interessa e mi preoccupa perché, a mio parere, nella nostra epoca la gravità inizia a scarseggiare, così come il respiro. Di “muratori” c’è abbondanza: sono sempre di più e sempre più ambiziosi; ma “muratori di opere gravi” se ne trovano sempre meno. […] Mi sembra che, alla stregua degli astronauti, noi stiamo camminando in un’atmosfera priva di gravità, senza peso né riferimenti, indifferentemente verso l’alto o verso il basso, in orizzontale o in verticale, senza nord e senza sud. […] È altrettanto vero, però, che nel nostro paese esistono ancora dei portoghesi e un’architettura. Rivolgiamo il nostro plauso ad Álvaro Siza, che ne è un esempio e che pratica quest’arte in maniera eccellente. Vero e proprio muratore di opere gravi, egli è un professionista impegnato, che si è dato senza risparmio. […] Muratore di opere gravi, lo ripeto, è un’espressione che si addice perfettamente ad Álvaro Siza, grande costruttore

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di spazi e di immagini magnifiche, artefice di un’opera estremamente complessa (perché sempre uguale a se stessa e sempre diversa), ma profondamente semplice e di grande forza creatrice. Gli rendo omaggio, quindi: un omaggio semplice, diretto, riconoscente, amichevole, commosso.[…] Álvaro Siza è un architetto grave, potente e portoghese. Porto 1992 Da M. Faiferri, a cura di, Álvaro Siza. Progetti e opere, Edilstampa, Roma 1998

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Giuseppe Todaro con Alvaro Siza nel suo studio a Porto. 19 Gennaio 2013


Conversazione con Alvaro Siza G.T: Riguardo all’attività professionale, lei sottolinea otto punti. Che cosa rappresentano per lei? Potrebbe spiegarli brevemente? A.S: Quello è un testo fatto un po’ in reazione a quello che avveniva, in quel particolare momento, nella scuola di Porto e nelle scuole di architettura. Non mi ricordo tutti gli otto punti. L’unico che mi ricordo è l’ultimo, dove sottolineo l’atteggiamento critico della scuola rispetto al mio incarico da docente, poiché non portava regole nell’insegnamento, e affermavo che le regole non sono chiare nell’architettura, quello esisteva probabilmente nel rinascimento, anche un po’ dopo, quando si scrivevano i trattati di architettura e si ricercava l’ ordine attraverso l’uso di chiare regole compositive. Oggi non è questa la situazione, è molto diversa; è cambiata molto, non serve avere regole predefinite e universali alla base del lavoro degli architetti e degli studenti di architettura. Gli altri non li ricordo sono otto ed erano tutti riferiti a discussioni interne alla scuola di architettura ed in generale all’architettura in Portogallo in quel momento. Secondo lei l’eccessivo processo di burocratizzazione danneggia il fare architettura? È orribile, è orribile. Sono regolamenti e regolamenti. Quello che è accaduto in Portogallo è già avvenuto o avviene o avverrà in altri paesi, ovvero qui la regolamenta-

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Fig. 3 - Ă lvaro Siza Vieira, Schizzi per il Museo IberĂŞ Camargo


Maestro, esiste realmente un limite nel disegno manuale ed un limite nel disegno al computer ? Quali possono essere i pregi dell’uno ed i difetti dell’altro, cioè oggi come si rapporta il disegno manuale con la tecnologia della rappresentazione grafica? Sono compatibili? (figg. 3-7) Sono complementari più che compatibili. Io quando iniziai si lavorava manualmente, linea dopo linea, con strumenti ad inchiostro, antichi, che dovevano tenersi in mano in una determinata maniera, le cui punte andavano ripulite circa ogni quattro minuti per evitare che l’inchiostro seccasse. Dopo arrivò la rapidograph, più pratica e infine il computer che, fra le sue qualità, agevola molto il lavoro ed insieme ad altri strumenti più potenti come la mente, che è il principale, permettono il raggiungimento di risultati più efficaci nel processo del progetto. Vedi, ad esempio, Frank Gehry utilizza computers come quelli della Nasa, un’attrezzatura di un’efficacia enorme che spiega molto della sua opera, ma non ciò che sta alla base di quell’essenziale computer che è la nostra mente. Molti non possono avere strumenti come quelli della Nasa ed un operatore proveniente da una fabbrica di aerei. Più o meno potente che sia, è pur sempre un’attrezzatura e non reitera il gesto umano di uno schizzo, è molto rapido nel fare operazioni e da quando il computer è a portata di tutti non mi ricordo di aver passato una o più notti per finire un lavoro come quando si lavorava a mano, disegnando, scrivendo le lettere, tagliando la carta, ecc. e le copie nel tubo odoravano di ammoniaca.

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Fig. 5 - Ă lvaro Siza Vieira, Schizzi per il Museo IberĂŞ Camargo


anche in Italia. Oggi è molto difficile all’interno di una scuola rendere compatibili le due attività poichè un professionista che fa l’architettura non è considerato onesto e viene visto male. In Italia avviene lo stesso. Ricordo che a Venezia vi fu un momento in cui personaggi come Vittorio Gregotti, Aldo Rossi e altri nomi importanti si dedicavano alla didattica, ma successivamente lasciarono la scuola, perchè credo non era più fattibile, da una parte per esigenze di lavoro e per il cambiamento in atto nei processi di insegnamento, dall’altra perchè uno che faceva architettura era considerato un professionista e non era ben visto. Questa figura è importante per l’attenzione e l’interesse degli studenti avendo, evidentemente, la possibilità di un rapporto diretto con chi ha l’esperienza del lavoro. Per sentito sono i professori che non esercitano a non guardare di buon occhio la loro presenza, ma penso che ci sia bisogno di entrambi, di gente che si dedica full time all’ambiente teorico ed amministrativo della scuola, ma anche di gente che lavora nell’architettura, in grado di offrire un contributo alla formazione. Ciò accade in molte scuole che offrono un contratto ad architetti conosciuti di altri paesi, affidandogli un corso. Questo può essere interessante a prescindere dalla durata e dalla frequenza della loro collaborazione, dando il loro apporto ai lavori della scuola. Un meccanismo che funziona bene e si verifica nelle scuole facoltose, come ad esempio in Svizzera.

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