PREFAZIONE VINCENZO CASTELLANA
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ello stesso anno fondavamo la delegazione ADI Sicilia. Era la fine del 2008, qualche mese prima aveva ritirato il Compasso d’Oro a Torino, quando con Vanni Pasca decidemmo di nominare Tito Presidente Onorario della Delegazione Sicilia. La nostra ADI locale, appena nata, aveva già una storia da raccontare. Una storia recente che avrebbe certamente coinvolto anche coloro che avevano troppo in fretta dimenticato le vicende più lontane, seppur fondative, del design europeo. Vicende che avevano visto protagonista l’avventura Ducrot-Basile dei primi del Novecento a Palermo. È sempre utile, ancor più in questo momento, raccontare le storie. Fissare il tempo, gli eventi, i personaggi, i prodotti. Rileggerli in un contesto che sempre più tende ad annullare le gerarchie e i contenuti in un appiattimento spazio-temporale. Viviamo un momento storico, per taluni glocale, per altri frutto di una rivoluzione digitale, che definirei “Mediaevale”. Siamo costantemente iperconnessi, cortocircuitati e conturbati di messaggi. Immagini, suoni e testi finiscono per non essere comunicazione in quanto non è rintracciabile 5
COME UN AQUILONE DARIO RUSSO
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el 2008 Tito D’Emilio è insignito del Compasso d’Oro alla Carriera. D’Emilio ha un negozio di design (arredamento), storico e prestigioso. Come mai il Compasso d’Oro – la massima onorificenza nell’ambito del design, che l’ADI (Associazione del Disegno Industriale) attribuisce, dal 1956, ai migliori progettisti e a imprenditori illuminati – viene ora a rimarcare l’eccellenza di un rivenditore? Mai prima di allora un mobiliere era stato insignito del Compasso d’Oro. Certo anche Tito D’Emilio rimane sorpreso; e quando lo invitano ad andare a Torino per ritirare il XXI Compasso d’Oro, candidamente risponde: “Speditemelo, fatemelo avere via posta”. Qual è la ragione di tale inedito successo? «Autodidatta metodico e rigoroso, animato dalla passione per il bello e affascinato dall’innovazione, sin dalla fine degli anni Sessanta ha saputo fare del suo negozio di Catania un punto di riferimento per il mercato italiano del design. Il suo lavoro caparbio di mercante coraggioso e di divulgatore, portato avanti in condizioni geograficamente sfavorevoli, ha contribuito a far conoscere e apprezzare le migliori aziende e i migliori prodotti italiani, 9
assai prima che addivenissero alla notorietà»1. Ecco dunque: come un aquilone. Per questo Tito D’Emilio è stato insignito del Compasso d’Oro: per la sua capacità di volare alto, osare, in una visione sinottica e con la precisione di dettaglio dell’aquila, scommettendo su prodotti culturalmente elevati quanto commercialmente incerti, che poi gli hanno dato ragione. Ciò significa anticipare le cose, non cedere all’ebbrezza di una moda effimera, ma assumere uno stile, una qualità delle cose, tipica del design italiano. «Bisogna stare sopra le cose – dice Tito – non sotto»2. L’attribuzione del Compasso d’Oro a Tito D’Emilio è un fatto rilevante, non soltanto perché un rivenditore si trova sull’Olimpo del design accanto a progettisti del calibro di Tobia Scarpa e Michele Provinciali, a un imprenditore illuminato come Dino Gavina o a un critico e storico del design quale Renato De Fusco (e altri protagonisti indiscussi del design), ma anche perché è il primo e il solo del suo genere: il primo rivenditore a essere premiato come tale (nuova categoria prevista dal 2008). Egli, tuttavia, non è soltanto un rivenditore; è anche un eccellente divulgatore culturale. E ciò ha rilevanza in termini sia di apprezzamento generale sia critico-storiografici. Mi spiego. Le storie del design, spesso e volentieri, raccontano di progetti formidabili, divenuti nel tempo
1. ADI Associazione per il Disegno Industriale, Catalogo del Ventunesimo Premio Compasso d’Oro ADI, Editrice Compositori, Bologna 2008, p. 141. 2. Federica Musco, Un successo lungo cinquant’anni fatto di intuito e amore per il bello, in “Impresa informa”, 3, settembre 2008, p. 12.
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“le icone del design”. Alcuni di questi sono stati prodotti in milioni di esemplari, come la sedia Thonet n. 14; altri, in edizione limitata, come la Poltrona di Proust (Mendini, Alchimia 1978) o la “libreria” Carlton (Sottsass, Memphis, 1981) o ancora la cosiddetta sedia Rossa e blu di Rietveld (Red and Blue Chair, 1917-1918), prodotta industrialmente da Cassina negli anni settanta nella Collezione “I Maestri” (1973). A prescindere dalla loro riproduzione e quindi dalla loro incidenza nella vita quotidiana, certi prodotti assurgono dunque allo stato d’icona: sono “oggetti di culto”, ad alto tasso simbolico, da consumare, si potrebbe dire, immaginificamente e soltanto in secondo luogo o in minima parte praticamente, quando abbiamo la fortuna di trovarne uno e ci permettiamo tale “azzardo”3. Alcuni di questi oggetti d’uso (?) valgono come opere d’arte. I loro autori, designer-artisti, s’impongono protagonisticamente: con la loro personalità spiccata, danno forma e significato a questo genere di produzione. Il successo dei prodotti-opere di questo filone, ormai noto come Designart, è strettamente legato al caso umano, personale, biografico, che arriva a coincidere col caso artistico. La storia della Designart è dunque la storia delle opere e degli artisti, con le loro idee, la loro visione del mondo e le loro speculazioni finanziarie4. 3. Su Il consumo delle immagini. Estetica e beni simbolici nella fiction economy, cfr. Fulvio Carmagnola, Mondadori, Milano 2006. 4. Sulla Designart. La poetica degli oggetti bastardi, cfr. Elena Agudio, Lupetti, Milano 2013; per quanto riguarda Il design dei nostri tempi. Dal postmoderno alla molteplicità dei linguaggi, vedi anche Dario Russo,
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Evento Poltrona Frau Febbraio 1970
Nella pagina a fianco: Tito D'Emlio (al centro) con Gigi Massoni (a sinistra)
INTERVISTA A TITO D’EMILIO
Dario Russo: Come si è formato? Che studi ha fatto? Quali esperienze hanno contribuito a renderla il primo rivenditore italiano insignito del Compasso d’Oro?
Tito D'Emilio: Sono sempre stato un ribelle, amante curioso delle novità. La Catania degli anni Sessanta mi stava stretta. Le mie tante esperienze, anche quelle apparentemente irrilevanti, mi hanno permesso di sviluppare una grande sensibilità, che ho poi messo a frutto, senza rendermene conto, nell’ambito del design. Che cos’era il design a Catania prima di Tito D’Emilio?
A Catania, c’erano prodotti artigianali di qualità, ad esempio alcune sedie simil-Thonet molto ben fatte. Per quanto riguarda il design, c’era il Quadrante (anche a Palermo), mio competitor, un importante negozio sostenuto dalle aziende di “Ottagono”, che cercavano di penalizzarne la concorrenza. Come rivenditore, dunque, non avevo accesso ad Artemide, tanto che per recuperare le prime lampade Eclisse dovetti andare fino a Monza! Poi c’era Catalfano, molto competente e raffinato. Ciononostante, all’inizio degli anni Settanta, nelle case siciliane il moderno quasi non esisteva; ed era tutt’altro che facile indirizzare la gente a comprarlo. Sono partito dalla cucina, qualche ingresso, la camera dei ragazzi, poi il soggiorno e, infine, la camera da letto, scrigno inviolabile della tradizione domestica.
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STORICAMENTE GIUSEPPE MAZZOLA
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iamo nei primi anni settanta, quando inizia la metamorfosi della Tito D’Emilio, già azienda leader nella distribuzione di grandi marche nel settore elettrodomestico, che si proietta nel mondo del design ovvero nell’emergente dell’arredamento. In quell’epoca la produzione del mobile, dalla grande ricchezza artigianale, si evolveva nell’industrial design, con molte aziende qualificate; mentre, tra queste, un gruppo si raffigurava nella Rivista “Ottagono” per: Arflex, Artemide, Bernini, Boffi, Cassina, Flos, ICF, Tecno. Sul mercato della Sicilia, queste erano precipuamente distribuite dal Gruppo “Il Quadrante” e Ditta Majolino a Palermo e Ditta Castellana a Catania. In tale contesto l’emergente Tito D’Emilio cresceva forte della sua politica commerciale, che si basava essenzialmente su un rapporto di distribuzione esclusiva con le aziende rappresentate, sul mercato di Catania, esprimendosi con un alta immagine dei prodotti, proiettata dalle vetrine e sviluppata in armonia di proposte d’arredo, nel proprio showroom. Questa immagine era egregiamente sintetizzata nella 73