Indice
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PRESENTAZIONE Viviana Trapani DESIGN E CULTURA: STRATEGIE, CONTESTI, STRUMENTI.
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Cultura del design e design per la cultura. Appunti per un “paradigma culturale” emergente Viviana Trapani
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Nuovi scenari del progetto, tra produzione culturale, innovazione sociale e sviluppo territoriale Pietro Airoldi
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I Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo. Strategie e azioni per un modello di innovazione culturale Giuseppe Marsala
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Light project e strumenti digitali: per una fruizione narrativa dei beni culturali. Serena Del Puglia SCUOLA DI DESIGN DI PALERMO. IDEE E PROGETTI
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Progetti per la condivisione di luoghi, storie, saperi. Viviana Trapani
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ENGLISH ABSTRACTS
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BIOGRAFIE
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- come ambito specifico di progettazione e produzione del design che si articola intorno al patrimonio e al concetto dei Beni Culturali; anche in questo caso il design si esprime nella sua valenza relazionale e interdisciplinare intorno al tema dell’immateriale, della narrazione, dell’esperienza. Si sono apert e definite in questi anni diverse occasioni ed elaborazioni sul design per i beni culturali inteso come ambito di intrinseca sostenibilità, di arricchimento di idee e di principi, di sviluppo dell’identità, con nuove prospettive di valorizzazione economica. - come discorso teorico-critico intorno alla progettualità del design; la “cultura del design” è un discorso critico e proattivo che intreccia dialogo con la società, (critica sociale, analisi sociale, sperimentazione sociale, innovazione sociale) ed elaborazione progettuale con una straordinaria varietà di registri; procede da Raskin e Morris, poi per tutto il XX secolo, laddove sicuramente il Design italiano ha avuto una parte notevole proprio per una sua più esplicita connotazione culturale: come contiguità con la cultura umanistica e artistica, come capacità critica, evocativa, di visione e previsione che ne ha caratterizzato le migliori espressioni26. Si può affermare in conclusione che parlare di cultura del design non indica semplicemente l’aspetto critico e riflessivo su una progettualità di natura eminentemente sperimentale, ma la capacità di visione e strategia progettuale che determina la qualità e la reale concretezza del design come attore sociale. Qui si è cercato schematicamente di mettere in fila alcune riflessioni e connessioni che possono essere utili per costruire la trama di una possibile mappa della cultura del design (e nel design), significativa di una sua rinnovata attualità come disciplina progettuale che può interpretare e contribuire ad attivare una più ampia dimensione culturale emergente, “...che si focalizzi, non più sulle classi o gruppi, ma sulle aspirazioni e richieste di diritti che partono e riguardano il soggetto: i diritti culturali che riguardano gli individui nella loro concretezza e completezza esistenziale”.27
25. Irace Fulvio (a cura di), Design & cultural Heritage. Immateriale, virtuale, interattivo, Electa, Milano 2013. 26. “…Seppure questa disciplina non fa il suo ingresso nell’Università italiana sino all’inizio degli anni’90, è proprio questa natura a favorire lo sviluppo di linee di riflessione teorica e critica; il design non rimane quindi semplice attività professionale, prassi non codificata, ma diventa cultura, critica, dibattito”, Bertola Paola, Il design nel pensiero scientifico, in Bertola P., Manzini E. (a cura di) “ Design Multiverso. Appunti di fenomenologia del design”, Edizioni POLI.design, Milano 2004, p. 37. 27. Touraine Alain, La globalizzazione e la fine del sociale, Il Saggiatore, Milano 2008.
Danny th Street, veduta dell’istallazione della mostra “Philippe Parreno HYPNOSIS” Park Avenue Armory, New York, 2015. 26
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bottom up, co-working e associazioni attive nei campi della produzione e distribuzione musicale, dell’arte contemporanea, dell’editoria di qualità e dei servizi per il turismo culturale. “Sviluppatesi per lo più negli ultimi anni, queste esperienze hanno trovato nel cambiamento urbano le condizioni di possibilità per essere concepite e realizzate e, sebbene non ancora in grado di incidere decisamente sul profilo dell’economia della città, esse prefigurano l’aggregarsi di filiere produttive innovative, aperte a interlocutori e mercati che vanno oltre la dimensione locale”.15 Un progetto, dunque, che declina il tema della crisi in termini di nuove opportunità e di sperimentazione di percorsi di innovazione. CantieriZisa 3.0. Per una cultura urbana della post production. Ma se in questo biennio tutti gli sforzi si sono concentrati sulla necessità di riaprire spazi su cui dieci anni di abbandono avevano depositato molta “ruggine” (amministrativa, fisica, gestionale, di programmazione) oggi appare ineludibile avviare un progetto che faccia tesoro di questo fertile esperimento e che metta al centro il tema del modello di gestione di uno spazio pubblico così grande e complesso, all’interno dell’attuale contesto di crisi. Una crisi che è soprattutto crisi di sistema e che -come testimonia il dibattito pubblico più avanzato- riguarda anche il concetto di cultura, i suoi sistemi di produzione tradizionale, i concetti di autore, produttore e fruitore di contenuti. Incalzato dai veloci mutamenti dell’economia, della tecnologia e della società, il sistema artistico/ culturale è alle prese con la riscrittura dei suoi strumenti e delle sue strategie; e dunque, essendo la cultura la radice della società, con l’idea stessa di società. Questo panorama, che potremmo leggere come un eco-sistema in trasformazione, ha in Italia diversi luoghi di risonanza: spazi a cavallo tra diverse istituzioni, generati da esperienze sperimentali e di ibridazione; luoghi attivati da una rete di makers e di intelligenze che costituiscono oggi la avanguardia italiana di questa elaborazione. Questa condizione, che in altre esperienze europee sta segnando le cifre più innovative delle politiche culturali, necessita di adeguati dispositivi sia concettuali che giuridici, amministrativi e dunque istituzionali. Occorre, dunque, ridefinire nuovi statuti in grado di assorbire le necessarie ibridazioni che questa condizione propone, e di contenere la fertile dimensione sperimentale che tale condizione richiede. L’esperienza dei Cantieri Culturali di Palermo contiene tutto il potenziale per la costruzione di una piattaforma fisica, oltre che concettuale, per la sperimentazione di modelli che vedono nelle reti, nella costruzione plurale dei contenuti e nella condivisione delle risorse, l’orizzonte potenziale per politiche culturali davvero inedite 48
15. Giambalvo Maurizio, Lucido Simone, Flussi globali e sviluppi locali. Trasformazioni urbane ed economie della cultura a Palermo. Tafter Journal, 2011.
16. Per informazioni su questo istituto giuridico si veda Bellezza Enrico, Florian Francesco, Le fondazioni di partecipazione, Piacenza, 2006 e in generale i Quaderni della Fondazione del Notariato. Sulle Fondazioni di Comunità si veda www.fondazioneconilsud.it/ fondazione-di-comunità.
ed innovative; guardando alla post production come al paradigma concettuale capace di rigenerare e collegare energie, risorse e luoghi esistenti. Tra i temi ricorrenti del dibattito, infine, vi è quello annoso del rapporto tra pubblico e privato. Alcune delle esperienze italiane più avanzate stanno dando vita a connubi tra istituzioni pubbliche e soggettività private interessanti ed inedite, che hanno come prospettiva la costruzione di nuovi assetti istituzionali. Si tratta di esperienze pilota che trovano nella Fondazione di Partecipazione e nella Fondazione di Comunità16 il possibile strumento/contenitore capace di implementare le risorse e le sostenibilità economiche anche attraverso un monitoraggio delle opportunità collegate con i programmi di finanziamento europei. E in ultima analisi di aprire nuovi cicli, sia in termini di lavoro che di costruzione di senso.
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Nel caso della mostra “Giotto, l’Italia” (2015), realizzata all’interno delle stanze del Palazzo Reale di Milano14, il contesto architettonico, storico, artistico e geografico al quale le opere esposte si riferiscono è distante, assente, vasto. L’allestimento progettato dagli architetti Mario Bellini e Stefano Cipolletta si basa sull’intento di produrre “un percorso emozionale articolato in una sequenza di stazioni a se stanti, su una zattera che galleggia all’interno delle stanze senza congiungersi con le pareti”15. Viene progettato un pavimento di ferro di laminato grezzo16 nero, sovrapposto a quello delle stanze del palazzo reale milanese, sul quale vengono collocati dei podi costruiti con lo stesso materiale scuro. Parallelepipedi di appoggio costituiscono i supporti espositivi sui quali collocare direttamente le opere in alcuni casi, sui quali intersecare volumi più alti che fungono da fondali/teche espositive, in altri. In uno spazio così determinato dalla valenza cromatica del ferro nero, le opere emergono come uniche protagoniste grazie ad un sistema di illuminazione che si incastona nei podi e nel soffitto. Sono stati progettati tre sistemi di illuminazione complementari, mentre gli apparecchi illuminanti sono stati prodotti dalla Reggiani Illuminazione. Un sistema di faretti Yori a LED montati su binari lineari a soffitto, con schermi antiabbaglianti, generano un’illuminazione dall’alto delle opere nude, sospese su cavi a soffitto e poggiate sui podi. Un sistema lineare (Linea Luce Slim Medium, temperatura di colore di 2700K) componibile per moduli nastriformi di luci LED, è incassato in strutture a scomparsa provviste di una micro persiana a soffietto incastonate sui podi. Tali guide di luci LED sono ospitate in scatolari, dall’accentuato sviluppo longitudinale, sagomati per orientare i fasci di luce sulle opere ospitate nelle teche di vetro. Un terzo sistema di illuminazione è costituito da proiettori Roll Ios, nelle versioni 13W e 22W equipaggiati con sorgente luminosa LED a 3000K di temperatura, con aperture di fascio medio e largo, ed è progettato per gli spazi del bookshop, della sala di intermezzo ospite di soli pannelli esplicativi e dell’ingresso alla mostra. Come isole sospese le opere giottesche, percorrono, concatenandosi luoghi apparentemente assenti. Si riferiscono esplicitamente a “un tentativo di riportare in vita 60
14. La mostra, posta sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dal Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio della Regione Lombardia, è prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dalla casa editrice Electa. Il progetto scientifico è di Pietro Petraroia (Éupolis Lombardia) e Serena Romano (Università di Losanna) che sono anche i curatori dell’esposizione. La mostra, con allestimento di Mario Bellini e Stefano Cipolletta (Mario Bellini Architects – www.bellini.it), ha un motivo particolare per essere realizzata in Palazzo Reale: esso infatti ancora ingloba strutture del palazzo di Azzone Visconti, ove, negli ultimi anni della sua vita, Giotto venne a realizzare due cicli di dipinti murali, oggi perduti. 15. Giorgi Emilia, “La mostra di Giotto a Palazzo Reale secondo Bellini. L’architetto e designer milanese racconta (e “fotografa”) il suo allestimento ad Artribune”, in www. artribune.com _3 novembre 2015. 16. La scelta del materiale è anche un omaggio alla professione di fabbro del padre di Giotto.
Mostra Giotto, L'Italia, Palazzo Reale di Milano, 2015
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SCUOLA DI DESIGN DI PALERMO: IDEE E PROGETTI.
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comincia a scoprirne il valore culturale e identitario (Lercara Friddi). Alcuni studenti si sono assunti il compito di dipanare, connettere, elaborare frammenti di storie e di artefatti, (Gulì) attraverso un percorso esperenziale che li ha portati a dialogare con i custodi delle memorie, gli spazi abbandonati, i manufatti e documenti di una produzione eccellente già quasi dimenticata. Ascolto, osservazione, catalogazione, riproduzione, diventano strumenti di elaborazione culturale, punto di partenza per riavviare una progettualità proiettata nella dimensione contemporanea, anche avvalendosi delle strategie di spiazzamento di un artista come Francesco Simeti; un worhshop che ha generato in successione altri processi progettuali fino al tema del “merchandising culturale”2. Dalla collaborazione con l’Orto Botanico di Palermo si è sviluppato un progetto di visualizzazione di contenuti scientifici complessi; ma è stato anche il modo per comunicare con l’immediatezza della video-infografica i metodi e gli esiti di un progetto di salvaguardia ambientale e per veicolare all’esterno la rilevanza e le attività di un’istituzione scientifica che la maggior parte dei cittadini percepiscono solo come un’incantevole giardino esotico. La potenzialità di uno spazio urbano di forte carattere storicoarchitettonico ha sollecitato il progetto-programma per la Galleria delle Vittorie, attualmente in disuso sebbene nel cuore del centro storico e commerciale di Palermo; la proposta, rigorosamente documentata da un attento lavoro di visualizzazione dell’insediamento e funzionamento delle attività commerciali, ha disegnato lo spazio fisico e virtuale per l’insediamento una comunità creativa, che accoglie e rimanda alla più ampia comunità urbana, informazioni, servizi innovativi, proposte di socializzazione e di fruizione culturale. Inoltre si affronta, con un approccio che va nel senso dell’annullamento della distanza tra progettista e utente, il tema della vivibilità e fruibilità della città, con la messa a punto di una piattaforma tecnologica, da una parte gaming di condivisione d’idee, capacità, competenze per la gestione attiva di un bene comune, dall’altra una pertinente riflessione sul ruolo degli esperti nei processi di co-progettazione.
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2. Una forma di merchandising che non veicola solo i tratti distintivi dell’identità di un’azienda o ente a scopo commerciale, ma arricchisce la conoscenza e l’apprezzamento diffuso di un più ampio contesto produttivo, urbano, socio-culturale.
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Gulì. Design per uno spazio e una storia industriale. Workshop con Francesco Simeti Coordinamento: Viviana Trapani, Pietro Airoldi Collaboratori: Melania Fiasconaro, Cristian Fiorello maggio 2014
dettaglio di Plastic Eden, Francesco Simeti, 2008.
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L’Industria Tessile Gulì ha rappresentato una delle realtà più importanti nella storia industriale di Palermo. Fondata nel 1882, fu la prima in Sicilia nel 1891 ad usare i telai meccanici, imponendosi in Italia e all’estero per la qualità dei suoi manufatti, proposti in un ampio repertorio decorativo che ha caratterizzato per più di un secolo l’interno domestico delle case siciliane. Dopo alterne vicende che si intrecciano con la storia della città di Palermo e dell’economia siciliana, nel 2006 la fabbrica ha cessato definitivamente la propria attività, lasciando tuttavia un importante patrimonio di cultura industriale da custodire e valorizzare, sia per quanto riguarda il processo di produzione dei tessuti, sia per la qualità dell’edificio stesso che ha ospitato la fabbrica fino al 1996, oggi uno straordinario esempio di archeologia industriale nel centro di Palermo. Il workshop è stato per gli studenti un’occasione di confronto intorno al progetto di design con Francesco Simeti; l’artista siciliano, residente a N.Y., è riconosciuto internazionalmente per i suoi wallpapers, dove foreste, paesaggi colorati, uccelli e fiori, affascinano al primo sguardo ma rivelano, ad un guardare più attento, l’emergere sistematico di elementi inquietanti, che raccontano di guerre, di distruzione, di inquinamento ambientale. Riutilizzando il materiale figurativo e decorativo della produzione storica di tessuti della ditta Gulì, gli studenti hanno elaborato una riflessione progettuale sul ruolo della decorazione nel design contemporaneo, rielaborando i decori e le texture dei tessuti Guli. Sono state progettate installazioni, wallpaper, tendaggi ma anche narrazioni fotografiche e video, confrontandosi con diversi materiali e tecniche e puntando sull’evocazione di un ambiente di lavoro oltreché sulla rielaborazione di pattern decorativi; un tema quest’ultimo che appare particolarmente rilevante oggi alla luce dei processi di digitalizzazione, di costruzione e prototipazione rapida che negli ultimi anni ha avuto una diffusione sempre più capillare.
1882
Nascela “Filatura e Tessitura Gulì fu Vincenzo s.p.a.”
1919
Distruzione dell’edificio per un esproprio per pubblica utilità Interruzione nella produzione negli anni antecedenti alla Grande Guerra
1945
1939
1938
Espansione della rete commerciale in tutto il territorio nazionale
Ricostruzione della fabbrica nell’odierno sito in via Noce, 52
1996
Inaugurazione del secondo fabbricato nel Polo Industriale di Carini
2006
A causa degli ingenti investimenti e della crisi economica la fabbrica dichiara il fallimento
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