Esperienze e progetti di architettura nella città storica
Renzo Lecardane
PROGETTI
Il progetto d’architettura
come rilettura e riscrittura
Domenico Busa
Attraversare il recinto
Paolo De Marco, Claudio Calvaruso
Riconnessioni urbane
Marco Cannata
La città come preesistenza
Nunzia Ferlito, Graziano Testa
Il progetto d’architettura per il diritto allo spazio pubblico
Elena Paccagnella, Pietro Maria Torregrossa
Un progetto di suolo come rilettura del luogo
Giulia Renda
CONTRIBUTI
Non un passo indietro, neanche per la rincorsa!
Andrés Cánovas
Dell’abitare e del tempo, in otto momenti
Salvora Feliz Racoy
Tracce, impronte, pietre, acqua
Tre casi di intervento nel tessuto storico
Juan Tur
ENGLISH ABSTRACT
BIBLIOGRAFIA
Immersione e progetto
Il presente volume raccoglie gli esiti di un progetto di “innovazione didattica”1 centrato sull’internazionalizzazione e sul valore aggiunto conferito dal confronto e dallo scambio tra differenti esperienze didattiche, in quella dimensione quantomeno europea da tempo indispensabile nella formazione dell’architetto del futuro. L’esperienza condotta ha confermato, ancora una volta, l’inscindibilità del rapporto tra didattica e ricerca, giovandosi di fruttuosi travasi incrociati e dell’alimentazione osmotica che si instaura tra i due termini nel campo del progetto urbano e di architettura. La verifica di tale rapporto, in questa occasione, è stata portata avanti su un contesto antico e stratificato2, dove la ricca storia dei luoghi costituisce ancora, con piena evidenza, il materiale pregnante per il progetto del nuovo e per l’impostazione di qualsiasi ipotesi di modificazione.
L’iniziativa di scambio internazionale è stata resa possibile grazie ad una collaborazione scientifica già consolidata tra il Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Architettura del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo3 e l’Unidad Espegel-Canovas del Departamento de Proyectos Arquitectonicos della Escuela Superior de Arquitectura de Madrid (ETSAM).
La collaborazione tra le due istituzioni didattiche era già stata avviata qualche anno addietro, grazie ad una felice esperienza comune (di didattica e di ricerca) svolta sul tema del progetto per residenze sociali aggregate nel quartiere dell’Albergheria a Palermo e sviluppata con il coinvolgimento degli studenti delle rispettive sedi attraverso attività didattico-laboratoriali congiunte4. Alle attività del presente progetto di scambio ha invece preso parte una selezione di studenti del secondo anno delle Scuole di Architettura di Palermo (DARCH/UNIPA) e di Madrid (DPA/ETSAM), coadiuvati dalle dottorande e dai dottorandi del corso di Dottorato di Ricerca in Architettura per la Transizione Ecologica tra Spazi Interni e Paesaggio di Palermo.
Si è configurato così un confronto didattico condotto su diversi livelli, nel dialogo tra scuole di architettura, tra docenti e studenti e tra gli studenti stessi nell’ambito dei singoli gruppi di progettazione organizzati sotto la guida di un tutor “anziano”. Gli obiettivi didattici hanno previsto la costituzione di un laboratorio progettuale intensivo sul tema delle forme dell’abitare nei tessuti storici urbani e l’elaborazione di progetti per residenze e servizi ad uso di sacerdoti e studiosi presso la sede vescovile della Catedral de los Santos Niños Justo y Pastor della Diocesi di Alcalá de Henares.
Nella metodologia didattica del progetto, tra le diverse attività previste, è stato attribuito un ruolo centrale al sopralluogo. Nell’esperienza degli studenti, il cambio di prospettiva e di percezione
conferito dallo spostarsi in una realtà urbana, culturale e sociale diversa dal consueto e i tempi compressi che identificano il laboratorio intensivo hanno accentuato il valore didattico di “immersione”, di coinvolgimento esclusivo e pieno nel campo del progetto, nei processi della sua genesi e nell’individuazione delle complessità, accentuando un’apertura verso le diverse ipotesi progettuali in modo non univoco e non deterministico. Ancora una volta, è stato possibile verificare la potenza del valore del viaggio, inteso come acquisizione di una distanza e come scoperta, quale moltiplicatore di attenzioni, coinvolgimento e stimolo ideativo. Il fare esperienza approfondita del luogo e il “toccare con mano” ritorna in tal modo a porsi come base del percorso progettuale. Conoscere direttamente e comprendere con consapevolezza il luogo in cui si interviene resta un passaggio determinante nella metodologia di avvicinamento al progetto di architettura che, anche in questo caso e da entrambe le parti (ETSAM e DARCH), si è voluto adottare con piena convinzione. Un importante sostegno all’iniziativa è pervenuto anche da parte della Diocesi di Alcalá de Henares, per il tramite dell’Ufficio tecnico del Vescovato5, che ha assunto il ruolo di committente nell’iniziativa del workshop, ponendosi quale interfaccia di concretezza e di finalizzazione funzionale rispetto alle reali potenzialità di intervento e di trasformazione dei luoghi studiati.
Note
1. Si tratta del progetto dal titolo: Workshop bilaterale (Italia-Spagna) di Progettazione Architettonica sulla transizione sostenibile dei tessuti morfologici storici urbani nella penisola iberica. Tale progetto di innovazione didattica ha ottenuto finanziamento, a seguito di bando MUR, dalla Direzione Generale Internazionalizzazione e Comunicazione del Ministero. Il Workshop è stato coordinato dal prof. Emanuele Palazzotto (Responsabile Scientifico e del finanziamento MUR) e dai proff. Renzo Lecardane, Fabio Guarrera, con la collaborazione di Paolo De Marco. 2. Il contesto è quello della città di Alcalá de Henares, piccolo ma importante centro di quasi 200.000 abitanti a nord est di Madrid, cui è stato conferito dall’UNESCO il riconoscimento di “Patrimonio dell’Umanità”.
3. Il corso di studi era allora coordinato dal prof. E. Palazzotto.
4. Queste attività si sono svolte nell’aprile 2022 a Palermo e nel maggio 2022 a Madrid nell’ambito del Coordinamento dei Laboratori di Progettazione Architettonica 2 del CdS in Architettura a ciclo unico LM4. Parte dell’esperienza didattica congiunta sul quartiere Albergheria è riportata nel testo: PALAZZOTTO Emanuele, Agopunture urbane. Progetti per il recupero del centro antico di Palermo, Caracol, Palermo 2024.
5. Nella persona dell’arch. Josè Luis Gonzáles Sánchez.
EMANUELE PALAZZOTTO
Alcalá de Henares: storia, cultura, architettura
A circa trenta chilometri a nord-est di Madrid, nel pieno della meseta iberica e appena più a sud del sistema montuoso e forestale centrale, la città di Alcalá de Henares è oggi un centro di medie dimensioni – capoluogo di una comarca con quasi ottocentomila abitanti – facente parte dell’ampia conurbazione che si sviluppa intorno alla capitale spagnola.
I primi insediamenti sulle colline prossime al fiume Henares (che nasce nella vicina Sierra Ministra per poi confluire nel Jarama e ancora nel Tago, fino a sfociare a Lisbona) risalgono all’epoca celtiberica con il villaggio di Ikesankom Kombouto (II secolo a.C.) che successivamente – in seguito all’alleanza con i romani per resistere all’avanzata dei cartaginesi – si sposta sulle sponde del fiume, assumendo (nel I secolo d.C.) la denominazione di Complutum, il “luogo dove converge l’acqua”1. È proprio in epoca romana che Alcalá si stabilisce come un centro di notevole importanza, sia per l’accesso al fiume e alle floride coltivazioni, sia come parte di quell’asse di attraversamento diagonale della penisola che congiunge Barcellona a Cadice e tocca nel suo percorso le altre città imperiali di Caesaraugusta, Toletum, Corduba ed Emerita Augusta (le odierne Saragozza, Toledo, Cordoba, Mérida). Per questa ragione, la forma urbana della città murata di Complutum si dispone secondo l’asse “diagonale” di rilevanza geografica, sviluppandosi poi sulla base un impianto e maglia ippodamea dotato di un tempio, un teatro e un edificio termale (situate sull’odierno Cerro de San Juan del Viso). Un rilevante episodio per la storia della città è poi la sua precoce cristianizzazione, conseguenza del martirio dei Santos Niños Justo y Pastor uccisi per aver rifiutato l’abiura al cristianesimo durante la persecuzione di Diocleziano (304 d.C.); il centro si trasforma in pochi anni in un’importante meta di pellegrinaggio che ha il suo fulcro nel cosiddetto Campo Laudable (il luogo del martirio) situato proprio dove oggi insiste la Catedral-Magistral2, che nella sua cripta conserva le reliquie dei due Santi bambini. Come si scriverà più avanti, tale luogo – che è il principale ambito dei progetti presentati in questo volume –nel corso delle epoche e fino ad oggi permane come fulcro per gli sviluppi e le trasformazioni urbane, concentrando in esso molte delle stratificazioni architettoniche che caratterizzano la storia della città. Successivamente, durante i secoli VI e VII e in concomitanza con la dominazione visigota della penisola iberica, la città romana attraversa un periodo di decadenza, nonostante la sopravvivenza del vescovato di Complutum. Tra le poche tracce di questa epoca, appena fuori dall’attuale ingresso alla Cattedrale, sono oggi identificati i resti di una necropoli visigota. Con l’inizio della dominazione araba (711 d. C.), per ragioni difensive, si fonda un nuovo centro fortificato sulla sponda meridionale
del fiume Henares che prende il nome di Alkal’a Nahar 3, oggi denominato Alcalá la Vieja e posto sul colle chiamato Ecce Homo. La nuova medina è destinata alla popolazione musulmana, mentre fuori le mura e sul sedime della città romana risiedono i mozarabi, in una dislocazione che persiste fino al principio del XII secolo quando (in concomitanza con la fine del dominio arabo) l’insediamento sul colle viene progressivamente abbandonato. Nell’anno 1118 inizia infatti la reggenza dell’Arcivescovato di Toledo, su concessione del Reino de Castilla e successivamente del re Alfonso VII, Imperator totius Hispaniae. La popolazione, in continuo incremento, torna ad abitare nel sito che fu di Complutum attorno a cui, in difesa dalle razzie degli arabi, nel XIII secolo si intraprende la costruzione di un nuovo recinto murato. L’organizzazione urbana riflette la netta divisione sociale e religiosa in distinte comunità: ebrea, musulmana e cristiana. La judería si stabilisce sull’asse dell’attuale calle Mayor, dove sorgono diverse sinagoghe (successivamente demolite) e a tutt’oggi si possono riscontrare elementi e forme architettoniche tipiche del periodo medievale come i portici (los soportales, in lingua castigliana) e i cammini di ronda (los adarves). Le tracce dell’antica morería –situata nella zona nord della città, tra la attuale calle Santiago e le mura – permangono invece solo nei toponimi, dato che il quartiere viene completamente trasformato in seguito all’espulsione dei moriscos (1609-1613) e alla successiva edificazione di complessi ecclesiastici. Tra questi ultimi, la chiesa di Santiago, come spesso accade negli avvicendamenti delle dominazioni, è eretta sul sedime dell’antica moschea. Nel quartiere cristiano è situato il centro del potere, rappresentato dal Palazzo Arcivescovile, realizzato sulla base di una fortezza mudéjar e nei secoli viene tormentato da continue distruzioni e rimaneggiamenti. Proprio in questo luogo, nel 1486 avviene l’incontro tra Isabella I (conosciuta anche come la Católica) e Cristoforo Colombo, per pianificare l’ardita spedizione che da lì a qualche anno avrebbe cambiato la geografia e la storia del mondo occidentale.
Nei successivi sviluppi culturali e urbani di Alcalá una tappa fondamentale è segnata dall’ascesa all’arcivescovato di Toledo da parte di Francisco Jiménez de Cisneros (1495), che pochi anni dopo viene nominato cardinale. Nel 1499, infatti, con lo scopo creare una Civita Sapientiae, egli promuove lo sviluppo del preesistente Studium Generale (fondato nel 1293 per gli studi di grammatica e arte) fondando la Complutensis Universitas (detta, per l’appunto, Universidad Cisneriana) che rapidamente si pone come uno dei centri culturali più importati della Spagna (insieme ad altre istituzioni universitarie come Salamanca e Valladolid). Inoltre, Cisneros finanzia la redazione della Biblia Políglota Complutense
Anton Van den Wyngaerde, Veduta di Alcalá de Henares, 1565 (Biblioteca Nazionale Austriaca).
Due scuole, due tradizioni
DPA-DARCH. Numeri, metodi ed esperienze a confronto Elaborare un confronto critico sulle metodologie didattiche adottate da due differenti scuole di architettura è senz’altro un compito arduo, specie se ci si riferisce non tanto allo “stato dell’arte” a noi prossimo, quanto alla storia e alle tradizioni che ne alimentano (ancora oggi) i rispettivi modus operandi. La problematicità di tale confronto appare ancora più aleatoria se la comparazione è svolta tra sedi di nazionalità diverse e, cosa di non poco conto, di dimensioni differenti.
L’esperienza del Workshop Bilaterale Italia-Spagna è solo l’ultima di una serie di sperimentazioni didattiche congiunte che il DARCH di Palermo e il DPA di Madrid sviluppano insieme da più di quattro anni. Confronti istituzionali e didattici che hanno fatto emergere convergenze disciplinari e diversità metodologiche1 utili al dibattito tra docenti e studenti di entrambe le sedi, al punto da essere stati unanimemente riconosciuti come momenti di imprescindibile valore per l’accrescimento culturale e progettuale dei discenti.
Sebbene sia un dato ormai diffusamente acquisito, può non essere superfluo sottolineare come i principi fondativi che sottendono tale confronto nascano sulla scia delle indicazioni espresse, ormai venticinque anni fa, dal cosiddetto Processo di Bologna È infatti grazie a tale incontro di riforma internazionale, promosso nel 1999 dal Consiglio Europeo, che gli stati membri provarono a costruire un sistema di istruzione superiore basato sullo scambio e sul riconoscimento reciproco delle qualifiche e dei periodi di studio all’estero, come garanzia per lo sviluppo di profili intellettuali e professionali aperti al confronto e alla multiculturalità. Gli accordi istituiti in questi anni tra DARCH e DPA, finalizzati all’incentivazione della collaborazione nel campo della ricerca e della didattica, si basano insomma sul presupposto intellettuale di spirito europeista finalizzato ad accrescere l’internazionalizzazione e la trasversalità culturale delle due sedi. Va da sé che se tale confronto lo si facesse tenendo conto esclusivamente dei “numeri”, questi restituirebbero l’immagine di due istituzioni assolutamente diverse, per grandezza e tradizione. La comparazione deve quindi spostarsi sul piano culturale, intercettando le ragioni che caratterizzano i differenti approcci metodologici, alla luce dei principi fondativi che ne identificano le due sedi. Proviamo quindi a tracciare un profilo sintetico dei caratteri essenziali che identificano l’approccio didattico riconoscibile nelle due scuole, ponendo particolare attenzione a quegli eventi e a quelle figure di docenti-progettisti che, in entrambi i casi, si sono impegnati, con le loro idee e il loro magistero, a costruire l’assetto culturale e fisiognomico che giunge fino a noi.
Fabio Guarrera
Eclettismo e pragmatismo sperimentale nella scuola di architettura di Madrid
Un approccio pragmatico ed eclettico, accompagnato da un limitato interesse nei confronti della dimensione teorica e critica, caratterizza gli ultimi ottant’anni della cultura progettuale madrilena2. Sin dall’anno della inaugurazione della nuova sede realizzata presso la Ciudad Universitaria3 (1936) la ETSAM ha visto avvicendarsi numerosi professori che hanno inteso la didattica come momento di verifica e trasmissione delle conoscenze progettuali sperimentate nei cantieri attraverso l’attività professionale. Non è infatti un caso che nel maggiore dipartimento della scuola (per l’appunto quello denominato Proyectos Arquitectonicos) afferiscono numerosi progettisti, tra cui i colleghi con i quali in questi anni si è sviluppato un forte rapporto di collaborazione; docenti che esercitano la professione in parallelo alla didattica e la cui attività si ripercuote negli orari imposti all’insegnamento, spesso concentrati nelle ore serali proprio per evitare la sovrapposizione con gli impegni del cantiere. Il pluralismo linguistico che caratterizza il portato culturale della scuola di Madrid non dipende ad ogni modo, dalla varietà e dal numero di docenti che insegnano, o che hanno insegnato, offrendo la testimonianza di differenti punti di vista sul progetto. L’origine eclettica dell’approccio progettuale madrileno va piuttosto individuata nell’eredità legata alla presenza di alcuni professori dalla forte personalità, che a partire dagli anni cinquanta, e per tutta la seconda metà del XX secolo, hanno imposto un indirizzo culturale basato su un’apertura nei confronti dei principi del Movimento Moderno. Tali principi, sono infatti giunti in Spagna con un significativo ritardo rispetto al resto d’Europa e sono stati intesi, dagli stessi docenti impegnati sul piano del rinnovamento culturale della nazione, come “antidoto” ineludibile alla tensione conservatrice perorata dal regime franchista. Propulsori del rinnovamento didattico-strutturale della Escuela sono stati soprattutto i professori Alejandro de la Sota e Francisco Javier Saenz de Oiza, due progettisti in reciproca complementarietà che hanno assorbito e riversato, nella pratica professionale e nella didattica, la lezione “razionalista” di Gropius, Le Corbusier e Mies Van der Rohe e quella “organicista” di Frank Lloyd Wright, Gunnar Asplund e Alvar Aalto.
Nel tracciare il profilo di questo pragmatismo storico si riconosce il presupposto fondamentale alla costruzione del carattere eclettico della scuola spagnola, così come oggi la conosciamo; un carattere improntato su una tensione sperimentalista che non ha forse eguali in altre parti del mondo.
Se ci si sofferma con maggiore attenzione al periodo compreso tra gli anni Cinquanta e Settanta, si comprende ad esempio come
Il progetto d’architettura come rilettura e riscrittura
«Inutilmente, magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. […] ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato […]. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano»1
Come la Zaira di Italo Calvino, ogni luogo che si apre al nostro sguardo non si riduce ad un mero spazio fisico ma rimanda a qualcosa di intangibile: storie, memorie, sensazioni di un passato vivo, talvolta consapevolmente rimosso, attraverso cui definiamo il nostro modo di vivere lo spazio urbano. La metafora della città di Zaira, ci ricorda come, abitando lo spazio, lo trasformiamo in egual misura di come esso trasforma noi. Ogni cosa in una città si fa storia nella Storia, una rilettura percettiva di spazi, percorsi, materie, cromie, alle quali invisibilmente incateniamo sensazioni ed emozioni della nostra quotidianità.
Da questa premessa ha preso avvio l’attività progettuale ad Alcalá de Henares, nel tentativo di dialogare con il tessuto urbano mediante forme capaci di evocare e reinterpretare la preesistenza storica, cercando di risolvere (attraverso materiali, coperture ed allineamenti) lo stringente dialogo con i suoi monumenti identitari, in particolar modo con la Catedral Magistral de los Santos Justo y Pastor. Il progetto, che si sviluppa attraverso quattro interventi mirati, si è posto l’obiettivo di riqualificare e connettere “brani della città” la cui lettura è andata perduta, sviluppando il piano funzionale assegnato. I volumi progettati ricalcano e reinterpretano quelli del contesto, trovando nella forma quadrato la geometria archetipica
del luogo. Tutto è quadrato, lo è il chiostro, lo sono le corti, il campanile, perfino la stessa cattedrale, inscrivibile in due quadrati. Se il quadrato è quel principio generatore attraverso cui il tessuto storico si è formato, la materia che gli ha dato corpo è certamente la pietra, in particolare il granito e la caliza pálida. In questi elementi formali e materiali, l’intervento progettuale ha trovato la premessa del suo agire. Il primo volume progettato, di fianco al campanile, ospita un piccolo museo e una sala conferenze e ha come obiettivo quello di restituire inedite visioni della città. Il percorso museale, infatti, partendo dalla quota di calpestio del sagrato e divincolandosi attraverso i resti di dimore settecentesche, permette di raggiungere, da un lato la basilica paleocristiana (posta al di sotto dell’attuale cattedrale) e dall’altro una terrazza panoramica (posta in copertura). La volontà progettuale è quella di restituire un luogo identitario e fondativo alla comunità di Alcalá, ovvero la sede del martirio dei Santos Niños, protettori della città stessa, ma in egual misura generare nuovi spazi urbani. Il secondo intervento mira alla riqualificazione di uno spazio, quasi di risulta rispetto al tessuto limitrofo, e prevede la realizzazione di una copertura leggera che permetta di creare un luogo coperto per la catechesi o per piccole celebrazioni all’aperto. La forma della copertura segue la geometria dei tetti a falda, trasformandola in un origami leggero che poggia su quattro colonne. La caratteristica corte centrale diventa così un “impluvium di luce”, dove un cipresso, elemento tipico nelle corti, si fa erede della reinterpretazione di quel modello tipologico. Il terzo volume è quello della foresteria per chierici, in prossimità del deambulatorio della Cattedrale. Il suo impianto planimetrico ha come obiettivo quello di ripensare
Nella pagina a fianco Sezione longitudinale.
Domenico Busa
Elena La Fata Matilde Pupillo
Monica Terrazzino Antonio Riccobono
Gabriele Spoto
Domenico Busa
Riconnessioni urbane
L’elaborazione progettuale prende avvio da una più dettagliata definizione del programma funzionale richiesto dalla committenza, il quale indicava la necessità di proteggere, rendendoli fruibili, gli scavi archeologici e di prevedere alcune residenze ecclesiastiche con una sala prove per il coro. Il programma viene implementato con funzioni e spazi originariamente non previsti, con l’obiettivo di rispondere ad alcune questioni urbane di più ampio raggio. Vengono aggiunti una biblioteca, dei servizi collettivi per le abitazioni e diversi spazi pubblici, in modo da aprire il progetto alla città e alla sfera pubblica, connotandolo con un carattere marcatamente urbano.
Il progetto mira a riconnettere due porzioni di città attualmente separate da recinti e differenti regimi proprietari: attraverso un piano di demolizioni selettive e la riconfigurazione dei margini. L’intervento – che consiste in tre volumi collegati tra loro da un’intelaiatura di passerelle aeree – tiene conto della condizione edificatoria preesistente, ricalibrando i rapporti reciproci tra gli spazi pubblici esistenti e configurandone di nuovi.
Il primo edificio si attesta a ovest, sul sedime dei resti archeologici, ed è costituito da un parallelepipedo che funge da perno tra il sagrato della cattedrale, l’antistante slargo triangolare e l’area di progetto. L’edificio, di una sola elevazione, copre e protegge i resti archeologici con un’esile copertura in lamiera, che consente di modulare l’ingresso della luce naturale. In corrispondenza dell’ingresso, posto sul lato nord-est (in prossimità della torre campanaria), sono localizzati un info point, una biglietteria e dei locali servizio, mentre il percorso espositivo si organizza attorno agli scavi tramite una stretta passerella. Sul lato orientale, l’edificio rompe l’ortogonalità, allineandosi alla strada e
intervallando il percorso attorno agli scavi con l’allestimento di un piccolo spazio espositivo.
Il secondo volume si sviluppa lungo il limite sud dell’area di progetto, definendone il margine e aprendo un inedito accesso verso il parco esistente. Il progetto sperimenta un tipo di alloggio collettivo a ballatoio, dalla sezione particolarmente contenuta, le cui dimensioni sono in rapporto al braccio del chiostro della cattedrale. Tutte le attività collettive – cucine, lavanderie, spazi di relax e servizi – sono poste al piano terra e hanno accesso diretto al giardino. Ognuna delle 12 unità abitative (composta da un unico ambiente di 25 metri quadri, è dotata di una loggia verso il giardino che funge da diaframma con il ballatoio di distribuzione. La terrazza in copertura) invece, svolge la funzione di piazza pubblica in quota, accessibile tramite i collegamenti verticali posti alle estremità.
Il terzo edificio, collocato sul bordo nordest del lotto, riorganizza il rapporto tra il giardino adiacente l’abside della cattedrale e la piazza attigua. Anche in questo caso l’intervento entra in rapporto con la città, aprendosi verso piazza al piano terra, dove è aperto l’accesso alla biblioteca pubblica. La sala di lettura è caratterizzata da una doppia altezza, che ne consente l’illuminazione dall’alto attraverso un ampio lucernario in copertura. Al piano superiore, invece, trova spazio la sala prove per il coro che, rivolta verso il giardino interno, è maggiormente legata alle attività della cattedrale. I due piani, seppur collegati, mantengono accessi separati, così da poter essere utilizzati anche diacronicamente, distinguendo adeguatamente i flussi.
Infine, l’intelaiatura in acciaio costituisce il filo conduttore tra le diverse parti e offre un’inattesa fruizione della città storica,
Niccolò Scianna
Marco Cannata
Marco Cannata
Bruno Abbate Marta Amato
Matteo Di Gangi
Roberta Ciulla
Nella pagina a fianco Vista assonometrica.
Il progetto d’architettura per il diritto allo spazio pubblico
Il progetto indaga il tema dello spazio pubblico, secondo la definizione di Hanna Arendt come luogo politico di affermazione per una rinnovata cittadinanza1. L’approccio metodologico e didattico al progetto è stato influenzato dalle teorie di Henri Lefevbre nel suo testo diritto alla città2, concentrandosi sulla sperimentazione di inedite forme di accesso alle risorse della città e di fruizione al di là del diritto di proprietà.
La composizione urbana della cittadina di Alcalá de Henares mette in evidenza il ruolo centrale del sistema che caratterizza il sito di progetto: la cattedrale e il campanile si configurano come elementi di carattere storico e identitario, riferimenti visivi e simbolici per la comunità. Rispetto però l’impostazione urbana originaria (le ultime trasformazioni fondamentali risalgono al XVI e XVII secolo), l’isolato della cattedrale si presenta oggi svuotato e riproposto attraverso un sistema di piazze e spazi pubblici, che fortificano l’aspetto monumentale del polo ecclesiastico, rimarcando la centralità dell’area, ma, allo stesso tempo, limitando la percezione unitaria del lotto centrale, storicamente densamente costruito. Il disegno di programma si sviluppa quindi con l’obiettivo di riconfigurare l’isolato storico, garantendo percezione orizzontale e permeabilità nei confronti degli spazi pubblici circostanti, attraverso la demolizione dei recinti preesistenti e lo svuotamento dei nuovi piani terra. Dal punto di vista compositivo, l’intervento progettuale si contestualizza attraverso la definizione di una griglia, costruita sul modulo delle campate del portico del chiostro, seguendo un riferimento spaziale che si interpone come elemento di mediazione tra la scala della cattedrale e quella delle architetture di Alcalá. L’applicazione del criterio compositivo viene messa a sistema con il sito archeologico nell’angolo sud-ovest della cattedrale,
riferimento fondamentale per lo sviluppo di un impianto architettonico che indaga l’idea di diritto alla città attraverso un’ipotesi di appropriazione dei tempi e degli spazi del vivere urbano. Vengono quindi progettati tre edifici sospesi da terra, così come molti che compongono il sistema urbano di spazi coperti attraversabili orizzontalmente e verticalmente. La luce acquisisce un ruolo centrale nell’intervento, diventa strumento di disegno dello spazio, con l’obiettivo di evidenziare la verticalità, fisicamente rappresentata da sistemi di rampe d’accesso agli edifici, che definiscono una modalità democratica ed egualitaria di percepire l’ambiente in un unico movimento ascensionale. La struttura è costituita da setti in calcestruzzo armato che, come dei diaframmi, regolano la dilatazione dello spazio di pubblico accesso (sia orizzontalmente che verticalmente), sostenendo i volumi architettonici, costruiti con rivestimenti in pietra locale, dove vengono svolte le vere e proprie funzioni. Questi semplici organismi architettonici, volumi sospesi su setti, ai quali si accede attraverso rampe con doppia altezza per l’ingresso della luce zenitale, si propongono come soluzione versatile rispetto al programma funzionale: spazi per archivio e biblioteca, aula prove per il coro, aree espositive, ambienti di servizio al pubblico e foresteria, occasioni di carattere più o meno pubblico che vedono il coinvolgimento della collettività non solo da un punto di vista spaziale, ma anche sociale. In conclusione, il progetto, mira allo sviluppo di una proposta finalizzata a ristabilire il ruolo dell’architettura come strumento di connessione e narrazione, “attività eteronoma”3, tra diversi macro-campi relativi alla qualità dell’abitare comune, rimarcando il suo ruolo di elemento di transizione per le nuove occasioni progettuali della nostra contemporaneità.
Gianluca Gangi Chiodo
Elena Paccagnella Pietro Maria Torregrossa
Elena Paccagnella Pietro Maria Torregrossa
Chiara Chiommino Rita Troìa
Giuliana Di Pietro
Francesco Di Giovanni
Nella pagina a fianco Viste del modello di studio.
Architects, Intervento di riqualificazione
centro storico di Benyoles.
MIAS
Foto di Adrià Goula
Tracce, impronte, pietre, acqua
Tre casi di intervento nel tessuto storico
L’intervento architettonico nelle nostre città, specialmente nei nuclei storici, richiede di comprendere l’azione progettuale come un’operazione speculare su un territorio che porta le cicatrici, i solchi e le tracce delle epoche passate. Con il trascorrere del tempo, la storia della città si trasforma, creando nuove strutture urbane che a volte si sovrappongono, sostituiscono o addirittura cancellano quelle precedenti. Questo processo di eliminazione spesso implica un rinnovamento e una sostituzione. Tuttavia, l’essenza di ciò che ha causato la trasformazione non viene mai dimenticata; rimane nella memoria collettiva, rendendo possibile la lettura delle relazioni nascoste esistenti nello spazio e nel tempo. La città può essere così compresa come un palinsesto, su cui scriviamo un nuovo testo sulle tracce che permangono di altri momenti storici. Queste tracce, anche se parzialmente cancellate, persistono ed emergono nelle nuove costruzioni. Così, il passato costituisce le fondamenta del presente, un presente modellato dalle necessità del momento e dalle visioni del futuro. In questo contesto, la città si concepisce come una continua sovrapposizione di strati, in cui numerosi livelli di informazione confluiscono e si intrecciano, creando un territorio di sovrapposizioni temporali. Ogni processo di rigenerazione urbana comporta una trasformazione, dove i luoghi abitati possono essere considerati come intersezioni di diversi strati spazio-temporali. Pertanto, il contesto del progetto architettonico deve essere conosciuto e analizzato per scoprire le varie tracce che contiene.
Un esempio caratteristico di questa condizione di sovrapposizione si trova nella Moschea di Cordoba, un progetto che di per sé è un collage di diversi frammenti nel tempo. Un’architettura che ci permette di leggere i diversi momenti della sua vita. Le successive espansioni, realizzate secondo le necessità di ciascuna religione, hanno segnato l’evoluzione dell’edificio, con la costruzione della chiesa cristiana al suo interno come culmine di questa operazione di sovrapposizione temporale.
In questo quadro, il progetto di architettura ha la capacità di leggere la memoria del luogo e di estrarne dati e conoscenze che informano il progetto a partire da una comprensione più profonda e radicata nel genius loci. Tale operatività progettuale non si applica solo alle costruzioni e agli edifici, ma risulta particolarmente significativa nel progetto della forma urbana e dello spazio pubblico delle nostre città.
La forma urbana delle nostre strade, piazzette e piazze, molte delle quali di origine medievale, riflette il modo in cui ci relazioniamo in termini sociali, economici e nei confini che stabiliscono la nostra privacy e sicurezza. È anche una manifestazione della sfera politica e delle forme di potere (sia civile che religioso),
Juan Tur
fungendo da cornice per rappresentare l’autorità. Allo stesso tempo, rappresenta anche il modo in cui ci relazioniamo con l’ambiente fisico e il territorio su cui si trovano, e come gestiamo il rapporto con la sua geologia, la sua idrografia e il suo clima. La materialità e la forma con cui vengono costruiti questi spazi sono legati alla natura della pietra che si nasconde nel sottosuolo, alla gestione delle correnti d’acqua superficiali e sotterranee, o al modo in cui adattiamo lo spazio per renderlo confortevole contro il caldo estivo e il freddo invernale.
Secondo tale concezione del progetto, emerge l’opportunità di discutere in questo testo tre recenti interventi in spazi pubblici realizzati nei centri urbani di tre città spagnole, i quali operano la trasformazione del luogo basandosi sulla lettura delle tracce e impronte del sito e la sua relazione con gli elementi del paesaggio su cui si poggia. Queste tre opere condividono un approccio simile che ci consente di individuare strategie progettuali rilevanti nel discorso architettonico contemporaneo. In nessun caso il fatto di appoggiarsi sulle tracce del sito implica una visione revisionista o storicista dell’architettura, ma costituisce il punto di partenza per proposte contemporanee che cercano di radicare lo spazio pubblico nel luogo in cui sorge e raccontare la storia del sito e dei suoi abitanti attraverso la scena urbana.
Nel progetto di ripavimentazione del centro storico di Banyoles, l’architetto Josep Miàs propone un nuovo paesaggio urbano concepito concettualmente come una sovrapposizione di linee e tracce nascoste, sia materiali (acqua) che immateriali (il flusso delle persone), che si intrecciano in un tappeto di pietra che funge da supporto per l’attività umana.
Da un lato, il progetto fa riaffiorare gli antichi canali di drenaggio del lago, che attraversavano il centro storico per irrigare gli orti nei cortili delle case e che erano stati progressivamente coperti per la scomparsa degli orti o per costruzioni successive. Così, vengono recuperati i canali nei loro tracciati originali, lasciati aperti in modo da formare piccole vasche o contenitori di acqua laminare, o ricostruiti nelle strade dove anticamente scorrevano. Attraverso una serie di operazioni di piegatura e taglio sulla superficie pavimentata, si svelano queste linee d’acqua occulte, che conferiscono una nuova qualità sia visiva che sonora, incorporando il suono e la percezione dell’acqua nello spazio pubblico. Al contempo, il progetto materializza le tracce del movimento pedonale dei cittadini che per secoli hanno attraversato la sequenza di piazze e piazzette del centro storico. Il pavimento in pietra è disposto in una serie di segmenti ad arco contrapposti che accentuano l’espressione del movimento dell’attività umana. In contrasto con la disposizione uniforme del lastricato, il progetto