Strategie adattive per la tutela e la valorizzazione della costa adriatico-salentina
Strong
Difficili
Strategie adattive per la tutela e la valorizzazione della costa adriatico-salentina
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La marina di Casalabate ha rappresentato per la nostra comunità una sfida importante, tale da impegnare energie che abbiano la capacità di guardare al futuro al fine di costruire percorsi istituzionali in grado di mettere insieme progettualità e visione.
Grazie al rapporto costruito negli anni con il Dipartimento di Architettura di Pescara e soprattutto con il prof. di Venosa, è stata offerta alla comunità di Trepuzzi l’opportunità di sviluppare idee e progetti con una prospettiva urbanistica innovativa, intravedendo l’occasione di poter creare bellezza laddove la mano dell’uomo ha deturpato un paesaggio di straordinaria ricchezza.
La cementificazione selvaggia, a ridosso dei costoni dunali e delle zone umide, ha creato non pochi problemi di devastazione, disgregazione di ecosistemi che, fino ad allora, erano stati in grado di difendere le nostre spiagge dall’erosione costiera, azzerando in meno di trent’anni un patrimonio naturalistico di rara, anzi oserei dire di unica bellezza.
Sindaco di TrepuzziL’aver avviato procedure di messa in sicurezza del territorio e di rigenerazione urbana ha dato finalmente i suoi frutti. La politica deve avere il coraggio di tradurre in realizzazioni le idee e i pensieri che altrimenti restano mere aspettative prive di qualunque prospettiva.
Oggi, finalmente prendiamo possesso di aree degradate e prive della loro funzione storica di lidi con servizi. Con la loro demolizione restituiamo ai cittadini orizzonti sconosciuti compresi nell’area territoriale della marina di competenza del Comune di Trepuzzi.
Non è possibile pensare al futuro della marina senza compiere scelte radicali, rompendo spirali di opportunismo e di assuefazione ad interessi individuali di porzioni di territorio che devono necessariamente appartenere al pubblico. Restituire alla fruizione dei cittadini dei nostri Comuni spazi pubblici è un dovere civico ed è la giusta risposta alla necessità di dare centralità ai programmi urbanistici, oltre ad affermare la doverosa presenza delle istituzioni.
Il lavoro culturale di sensibilizzazione e di approfondimento tecnico ha permesso di condividere l’esigenza comune di presentare ricerche scientifiche con l’obiettivo di modificare il punto di vista, portandolo al di là dell’esistente, e di pensare a progettualità di largo respiro capaci di recuperare ecosistemi e ridurre il rischio di dissesto idrogeologico.
Bellezza e naturalizzazione dei paesaggi devono camminare di pari passo, perché non vi sarà futuro se le due cose non saranno coniugate.
Oggi la progettualità presentata all’interno del Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS) Puglia, figlia del lavoro compiuto con le altre istituzioni, volta a mettere insieme lotta al dissesto idrogeologico, recupero e valorizzazione delle zone umide, procede di pari passo con la lotta all’erosione costiera.
La sfida è rendere attrattiva quell’area grazie ai programmi di forestazione e alla creazione di servizi che tutelino il paesaggio dunale e costiero da future aggressioni.
La volontà è di continuare in questo percorso virtuoso e utilizzare l’enorme mole di finanziamenti in arrivo dal PNRR e dal CIS, dando spazio alle intelligenze e alle professionalità che sapranno meglio interpretare la programmazione messa in campo.
Ringrazio l’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti – Pescara ed in particolare il prof. Matteo di Venosa per l’attenzione, la passione e la professionalità dimostrata nel nostro percorso istituzionale con l’augurio di pensare sempre che mettere insieme ricerca, innovazione e attività amministrativa possa portare benefici ad un percorso di valorizzazione del nostro paesaggio.
“Le iniziative di innovazione sociale, anche se iniziate con successo da individui e comunità, faticano a sostenersi e ad essere efficaci in assenza di un adeguato sostegno pubblico”.
È la Commissione Europea a sostenerlo in un recente rapporto pubblicato nel 2017, ma evidenze di questo genere ne abbiamo ormai a sufficienza. Troppo spesso la retorica associata all’innovazione sociale è stata usata per giustificare un arretramento del welfare state o più in generale per deresponsabilizzare i governi locali nel trovare soluzioni efficaci a vecchi o nuovi problemi sociali. O ancora, per definire interventi veloci, altamente replicabili e comunicabili, avviando di fatto una politica delle “buone pratiche” che potrebbero circolare ovunque indipendentemente dal contesto sociale e istituzionale. Questo breve contributo vuole invece esplorare l’altra faccia della medaglia: i casi in cui l’innovazione sociale diventa uno strumento per ripensare e riprogettare l’azione del pubblico secondo una prospettiva di giustizia sociale. L’innovazione sociale, in questo senso, è un costrutto sociale e territoriale la cui produzione dipende fortemente dal contesto socio-economico e politico locale e dalle forme di organizzazione sociale e politica in campo.
Nel testo “Spazi Fuori dal Comune” (Ostanel, 2017) ho provato a sostenere che perché ci sia innovazione sociale è necessario che si produca apprendimento sia nelle istituzioni sia nei molteplici attori sociali che vi hanno preso parte, a garanzia di sostenibilità e durabilità.
Ho letto gli spazi di rigenerazione urbana come luoghi interessanti per osservare come le istituzioni cambiano non per forza secondo un processo razionale e regolativo, ma per prove ed errori dove a cambiare non sono solamente l’insieme di regole, procedure, istituzioni ma anche il sistema di potere di fatto, quelle relazioni di interessi in conflitto che animano l’organizzazione istituzionale (Donolo, 2005).
Venturi e Zandonai in “Dove. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società” raccontano invece l’impatto di queste nuove organizzazioni nel ricostruire un tessuto socioeconomico rispondente con modelli di sviluppo in grado di cambiare le regole del gioco per quanto riguarda l’economia, i rapporti sociali, l’equilibrio ambientale.
Zandonai si chiede se possiamo pensare alcuni spazi di rigenerazione urbana come corpi intermedi di nuova generazione. In una crisi profonda delle forme di organizzazione politica, la domanda al centro è se l’innovazione sociale possa produrre processi di empowerment e organizzazione di comunità capaci di chiedere e ottenere politiche pubbliche più efficaci.
Nel 1982 John Berger definisce la fotografia come “un altro modo di raccontare”1, uno strumento in grado di catturare le forme del reale lasciandone traccia con immagini che appartengono intrinsecamente al soggetto rappresentato, tanto più di quanto accade con un dipinto o un disegno. Eppure, l’atto del “guardare attivo” (Paba 1998) permette di “selezionare” la visione, rendendo possibile con la tecnica della fotografia l’elaborazione di istantanee oltre la mera dimensione dell’apparenza e dell’evidenza sensibile. Le immagini scattate in un preciso istante di tempo sono dunque frammenti di “luoghi” non esattamente ripetibili, intesi come “parti della superficie terrestre che non equivalgono a nessun’altra, che non possono essere scambiate senza che tutto cambi” (Farinelli 2003). Sulla linea degli studi etnografici e antropologici condotti da F. Faeta per interpretare la ricchezza delle informazioni che si intrecciano, a volte anche inconsciamente, nelle fotografie, e dunque il surplus narrativo che ne deriva, viene recuperata la nozione geertziana di “descrizione densa” (Faeta 2003, 2015)2. Il riconoscimento delle potenzialità dello strumento rivendica l’importanza metodologica dello stesso, in grado di restituire il territorio ed il paesaggio all’interno di un racconto multimodale che superi la rappresentazione puramente realistica dei luoghi, servendosi di tecniche di lettura diverse e complementari. Alla fotografia viene dunque attribuita una valenza fondamentale nel processo interpretativo di ciò che viene raffigurato, integrando, e non sostituendo, altre forme narrative, come quella canonica della descrizione verbale (Bignante 2011).
I meccanismi conoscitivi avviati dallo sguardo fotografico lasciano emergere la specificità di un linguaggio che se pur offre delle risposte, preserva l’apertura a quesiti e domande (Ghirri 2010). Il processo di significazione delle istantanee del territorio risente anche delle relazioni con le pratiche, i vissuti e le esperienze, fondamentali per contestualizzare i singoli frame visivi rispetto ai codici culturali in cui si inseriscono. Nel caso delle fotografie di paesaggio, le considerazioni di questo strumento come possibile chiave di lettura della molteplicità di segni stratificati nel tempo intercettano gli studi sulla dimensione semiotica-testuale di ciò che ci circonda,
1. Traduzione dall’inglese “another way of telling”, espressione utilizzata per intitolare l’opera congiunta di John Berger e del fotografo Jean Mohr “Another way of telling. A possible theory of photography” pubblicata per la prima volta nel 1982.
2. Francesco Faeta nei suoi scritti recupera la definizione di C. Geertz ed interpreta antropologicamente la fotografia come “descrizione densa della realtà” poiché “va oltre l’immediata apparenza fenomenica delle cose” ed è in grado di definire un modello conoscitivo complesso in cui si stratificano significati, relazioni ed informazioni.
Il territorio costiero salentino ha subito profonde trasformazioni, in particolare dopo la metà degli anni settanta del secolo scorso: dalle cosiddette “gemmazioni costiere”, alla struttura del sistema viario, fino alla messa a coltura di terreni un tempo malsani.
I principali fenomeni trasformativi sono riconducibili allo sviluppo del turismo balneare le cui dinamiche socio-economiche e insediative presentano una certa omogeneità se osservate rispetto all’intera penisola salentina adriatica.
La struttura insediativa di area vasta si identifica come un’area marginale ricadente in un ambito territoriale definito come “prima e seconda corona di Lecce” e caratterizzato da una serie di centri di piccolo-medio rango gravitanti intorno alla città capoluogo e collegati ad essa da una fitta trama stellare di strade di impianto storico.
L’analisi cartografica dimostra come la rete infrastrutturale principale non stabilisce una relazione diretta con la costa se si escludono i pochi collegamenti a pettine che incrociano la strada litoranea che ha rappresentato l’asse matrice lungo il quale si sono aggregati nel corso del tempo i principali fenomeni edilizi.
Il tratto costiero di area vasta osservato (LecceTorchiarolo) è stato investito da importanti processi di trasformazione in concomitanza con gli interventi di bonifica di inizio novecento cui è seguita, inizialmente, l’espansione dei centri costieri di Torre San Gennaro e Casalabate, successivamente, la nascita di alcuni villaggi turistici (esito in molti casi di processi spontanei) che solo in alcune parti hanno conservato le tracce delle quotizzazioni della Riforma. L’edificato compatto lungo la costa è interrotto da zone residuali di territorio agricolo ed aree naturalistiche di notevole valore ecologico.
Complessivamente prevale l’immagine di un territorio costiero cresciuto in modo casuale e frammentato: un “territorio a intermittenza” (Mininni 2010) che la pianificazione locale non è stata in grado di indirizzare e di controllare.
I caratteri strutturanti del paesaggio sono leggibili nei segni visibili delle pratiche urbane e delle storie dei luoghi: dall’entroterra costiero fin verso i centri urbani gravitanti intorno a Lecce, il territorio agricolo è dominato dalla presenza di oliveti, talvolta sotto forma di monocoltura (a trama larga e fitta) con numerosi elementi della cultura materiale come i muretti a secco e i ripari in pietra (pagghiare, furnieddhi, chipuri e calivaci).
Come accennato, nonostante l’intensa urbanizzazione costiera, l’ambito di area vasta osservato (Lecce-Torchiarolo) è ancora caratterizzato da ampi areali ad alto grado di naturalità
Interpretazione dello stato di fatto. Assetto botanico – vegetazionale
sistema dunale
aree naturali protette
riser va naturale regionale orientata “Bosco di Cerano”
Bacino Torre chianca
Bacino di Acquatina
Parco naturale regionale “Bosco e Paludi di Rauccio”
Area “Bacino di Acquatina”
Marianna Mancini
Giulia Pasetti
Lorenzo Sabetta
1 – Ricomporre un parco dunale costiero sul waterfront
2 – Migliorare la connettività ecologica delle aree umide attraverso la loro espansione e sinapsi
3 – Qualificare la campagna periurbana come grande parco agricolo multifuzionale
4 – Riqualificare la campagna profonda
5 – Promuovere azioni di riqualificazione ambientale dei tessuti urbani
6 – Specializzare il sistema di connessione tra la costa e la campagna incentivando l’uso della mobilità sostenibile
Tempi del progetto | Sistema dunale
Tempi del progetto | Aree umide
Tempi del progetto | Sistema rurale
Il volume raccoglie gli esiti dell’esperienza didattica e di ricerca applicata svolte tra il 2019 e il 2021 nel Dipartimento di Architettura di Pescara con i laureandi e gli studenti del corso di Progettazione Urbanistica. L’articolazione in tre parti restituisce l’oggetto di studio (la costa) secondo tre differenti prospettive narrative. La prima, Conversazioni itineranti, raccoglie le riflessioni di studiosi e ricercatori, attraversando virtualmente alcuni paesaggi costieri italiani che hanno subito negli ultimi cinquant’anni modificazioni profonde delle strutture sociali, insediative ed ambientali. La seconda, Attraversamenti, introduce il paesaggio costiero della Puglia adriatico-salentina utilizzando lo sguardo fotografico per orientare letture critiche ed interpretative dei luoghi. La terza parte, Sperimentazioni: la Marina di Casalabate, illustra gli esiti progettuali delle attività didattiche e di ricerca sulla località di Marina di Casalabate (Trepuzzi), con l’obiettivo di dimostrare che la resilienza del territorio costiero di Casalabate può essere incrementata operando su reti e relazioni paesaggistiche, sulla qualità degli spazi aperti e sui servizi eco-sistemici.