Federica Doglio intervista Mirko Zardini Dopo le crisi 1973 2001 2008 2020 01 Loqui LetteraVentidue
Loqui è una collana di interviste tematiche sulla pratica e la teoria dell’architettura e del design. La collana raccoglie contributi di autori con formazioni diverse, nell’intento di presentare molteplici punti di vista, per costruire un paesaggio fatto di voci che si completano, a volte sono in assonanza, a volte in contrasto. Il libri Loqui hanno un formato tascabile e un prezzo di copertina contenuto, per essere letti dovunque e da chiunque.
Collana Loqui Collana ideata da: Francesco Trovato Direzione scientifica: Federica Doglio Comitato scientifico Federica Doglio Carlo Gandolfi Alessandro Mauro Claudia Sansò Francesco Trovato
ISBN 978-88-6242-419-6 Prima edizione gennaio 2021 © LetteraVentidue Edizioni © Federica Doglio © Mirko Zardini Tutti i diritti riservati Come si sa la riproduzione è vietata. LetteraVentidue si augura, che avendo contenuto il costo del volume al minimo, i lettori siano stimolati ad acquistare una copia del libro piuttosto che spendere una somma quasi analoga per delle fotocopie. Anche perché il formato tascabile della collana è un invito a portare sempre con sé qualcosa da leggere, cosa piuttosto scomoda se si pensa a un plico di fotocopie. Progetto grafico: Francesco Trovato LetteraVentidue Edizioni Via Luigi Spagna 50 P, 96100 Siracusa www.letteraventidue.com
Prefazione Dentro la crisi, sulle crisi Federica Doglio
I am not always interested in the answers that architects provide to these problems, as they tend to align with what society expects. It is easy to be subtly deceived by proposals that assure us without actually provoking a different way of thinking». “The Museum is not Enough”, a cura di Giovanna Borasi, Albert Ferré, Francesco Garutti, Jayne Kelley e Mirko Zardini, Montreal, Canadian Centre for Architecture / Berlin, Sternberg, 2019
Essere dentro la crisi: è una condizione che ha accompagnato ogni momento di questo progetto editoriale, dalla scelta del tema, all’organizzazione della conversazione, alla modalità di incontro, fino alla fase di scrittura e a quelle delle successive revisioni dei testi. Stare dentro la crisi può avere diverse implicazioni: esserne testimone diretto, in qualche modo poterla esperire quotidianamente, poterla analizzare da vicino, ma al tempo stesso essere consapevoli dell’assenza di una distanza critica che permetta di leggere più chiaramente e lucidamente l’oggi. Il termine distanza sta soffrendo di un abuso di utilizzo, diventando una misura dello spazio. La distanza non è solo quella critica quindi, ma è quella reale che si frappone tra tutti noi, una distanza che è stata imposta, che pervade ormai la quotidianità della nostra vita sociale e che, in molti casi, è divenuta misura di diseguaglianza. Nel nostro caso, in particolare, è stata una caratteristica degli incontri, organizzati in stanze virtuali su Zoom mentre io ero seduta a Torino e Mirko Zardini a Milano, in un arco temporale molto compresso, da giugno a settembre 2020, proprio perché l’urgenza di questo tema, la necessità di una discussione che da intima diviene pubblica attraverso la pubblicazione di questo libro risulta 5
Federica Doglio intervista Mirko Zardini Torino–Milano giugno-settembre 2020
NON UNA, MA QUATTRO CRISI ___ Federica Doglio: Iniziamo l’intervista in un momento di emergenza, durante la crisi pandemica da Covid-19 del 2020. Mi piacerebbe affrontare con te il tema delle crisi che hanno segnato gli ultimi cinquant’anni, partendo proprio dal presente, dalla stanza di Zoom in cui ci troviamo a discutere, che racconta la condizione di distanza e di costrizione in cui ci troviamo. Sei rientrato da pochi mesi in Italia dopo aver lasciato il Nord America e il Canadian Centre for Architetture di Montreal (CCA), dopo quindici anni come Direttore: qual è la tua prospettiva oggi? Al CCA avevi già affrontato con ricerche e mostre il tema della crisi energetica (1973: Sorry, Out of Gas, 2007), della salute (Imperfect Health:The Medicalization of Architecture, 2011) e dell’ambiente (It’s All Happening So Fast: A Counter History of Modern Canadian Environment, 2016). In alcuni interventi di questi ultimi mesi, tra cui ricordo quello per Connessioni Inventive, hai affrontato di nuovo questo tema riflettendo su quattro crisi in particolare. Puoi riprendere quel discorso?
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Mirko Zardini: Ho notato come quest’ultima crisi non venisse contestualizzata, se non in riferimento ad altre crisi sanitarie, come quella scatenata dall’influenza spagnola del 1918, oppure, più recentemente, quelle della SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) del 2002 e della MERS (Middle East Respiratory Syndrome) del 2012. In questi mesi sono state fatte molte riflessioni sulla salute pubblica, sugli avvertimenti che erano stati lanciati, negli anni passati, sulle strategie che erano state elaborate, ma che non erano state messe in atto. Tutto questo è sicuramente molto importante, ma limita la riflessione storica a un discorso legato soprattutto alla salute e alla sanità. Mi interessa contestualizzare la crisi attuale rispetto ad altre crisi, non sanitarie, che si sono susseguite a partire dalla seconda metà dello scorso secolo per sviluppare una riflessione più ampia sui cambiamenti di cui siamo partecipi. A quali crisi possiamo risalire? Possiamo partire da quella del 1973, cruciale per riavviare una riflessione sul tema dell’energia. Possiamo poi ripensare alla crisi del 2001 e a tutte quelle legate agli attentati terroristici in America, Europa, Asia: crisi importanti non solo da un punto di vista geopolitico, ma soprattutto per la radicale trasformazione dello spazio pubblico nelle 16
città. La crisi del 2008, che è stata vista come una contingenza legata al mercato finanziario e immobiliare, potrebbe indurci a riflettere sul ruolo stesso degli architetti. Arriviamo quindi a quest’ultima crisi, che non riguarda solo gli aspetti legati alla salute, ma si ricollega alla crisi climatica e ambientale emersa in maniera molto evidente in questi ultimi decenni. È interessante sottolineare come nessuna di queste crisi sia giunta inaspettata. Ci hanno trovato impreparati perché hanno fatto emergere aspetti che avevamo trascurato fino al loro manifestarsi, ma che erano pur tuttavia già presenti. Un secondo elemento da sottolineare sono le nostre reazioni. Generalmente, queste crisi non hanno introdotto nuove idee o nuovi paradigmi, ma ci hanno spinto a privilegiare determinate strategie e tendenze, che erano già in atto, fino a farle diventare predominanti, a volte per periodi abbastanza brevi, a volte in maniera più pervasiva e permanente. M’interessa capire che cosa queste crisi abbiano prodotto e quante di queste tendenze e strategie siano poi diventate parte permanente del nostro modo di vivere, dello spazio urbano, dell’idea stessa che abbiamo dell’ambiente. 17
svolgere prevalentemente o soltanto a distanza. Diversa è la situazione delle università pubbliche, in cui le tasse d’iscrizione sono più contenute e hanno un peso minore nell’economia dell’istituzione. È chiaro che uno dei problemi legati alla pandemia per le università private americane (ma anche in Canada e in Gran Bretagna) è quello della mancata o ridotta presenza degli studenti stranieri, che generalmente sono quelli che pagano le tasse d’iscrizione più alte.
SULLA CRISI DELLE ISTITUZIONI ___ Che cosa sta accadendo all’interno dell’istituzione dei musei? Anche i musei si basano su meccanismi economici simili. Molti musei privati nord-americani, di fronte alla crisi economica generata dalla mancanza d’introiti legata al Coronavirus, hanno provveduto immediatamente a licenziare parte del loro personale. Questa crisi ha anche incrinato uno degli elementi fondativi della politica culturale dei musei. L’associazione dei direttori dei musei d’arte americani (Association of Art Museum Directors – AAMD), che comprende direttori dei musei 66
canadesi, statunitensi e messicani, ha accettato la possibilità, per i prossimi anni, che una parte della collezione possa essere venduta e che il ricavato invece di essere reinvestito nella collezione stessa, per acquisire opere diverse, più rispondenti alle nuove strategie curatoriali del museo – fino a ora uno dei cardini della loro politica – possa essere utilizzato per sostenere le operazioni del museo legate alla collezione. È una formula molto ambigua, che lascia spazio a molteplici interpretazioni e sicuramente a molte discussioni. La richiesta di rivedere le procedure riguardanti la vendita di parte della collezione esistente e di ampliare le possibilità di reinvestire i proventi in altri settori del museo, era già stata avanzata da molti direttori ancora prima di questa crisi, ma, a questo punto, si impone una riflessione sull’essenza e il mandato stesso dei musei, una riflessione che per il momento non è ancora avvenuta. Le istituzioni e i musei europei per il momento non hanno operato molti tagli diretti. Anche se quelli più virtuosi, che negli ultimi anni avevano incrementato con successo gli introiti provenienti dai visitatori, o da altre fonti di finanziamento private, sono molto esposti, paradossalmente soffriranno per questo. Tutto dipenderà da come i Governi europei definiranno i bilanci nei prossimi 67
anni, cioè quanto sostegno saranno pronti a offrire alle istituzioni culturali, alle università, alla scuola. Tuttavia, il problema dei musei è ben più profondo e radicale. Contrariamente a quanto fatto per esempio dalle biblioteche, per decenni i musei hanno preferito evitare di riflettere sul loro ruolo e mandato nella società contemporanea, riproponendo vecchi assunti e modelli. Le pressioni e le richieste di gruppi come BLM (Black Lives Matter) o BIPOC (Black, Indigenous and People of Color), o LGBTQ (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Queer) soprattutto in Nord America, mettono in crisi questo modello tradizionale a cui molti musei fanno ancora riferimento. Le aspettative nei loro confronti sono enormi e a volte contrastanti (ad esempio la guerra culturale tra cultural appropriation e cancel culture). Sono così costretti a prendere posizione in questo dibattito, ma qualsiasi azione da parte loro non potrà più essere neutrale e quindi sarà oggetto di critiche o di attacchi da prospettive diverse. Negli ultimi due anni e, in particolare negli ultimi mesi, abbiamo visto mostre rimandate o cancellate, lettere di scuse, e assistito a una sequenza di dimissioni di direttori, chief curator e curatori a causa di questi conflitti. E i temi di giustizia sociale e ambientale non sono ancora al centro del dibattito. 68
Nessuna crisi aveva portato prima d’ora a una chiusura così generale... No, però la crisi del 2008 aveva provocato altrettanti tagli nel budget delle istituzioni americane, altrettanti tagli radicali del personale. In occasione di queste crisi, un conto è semplicemente licenziare o chiudere certi settori (come hanno fatto musei come il MoMA, che in questi mesi ha praticamente dismesso il dipartimento educativo), un conto è utilizzare la crisi per ripensare obiettivi, strategie culturali e nuovi modelli operativi in una visione a lungo termine dell’istituzione. La crisi del 2008, ad esempio, ha costituito per il CCA un momento di pausa che è stato anche un momento di riflessione e di lavoro. Questo ha poi permesso di sviluppare un’istituzione concepita come due edifici, accentuando la componente online. L’edificio fisico era legato al contesto territoriale, intratteneva un certo rapporto con il pubblico che visitava il CCA e utilizzava questa infrastruttura fisica come laboratorio di produzione di idee attraverso la ricerca in situ sulla collezione e attraverso le mostre. L’edificio digitale, online, era invece pensato come una strategia editoriale (la presenza online come una serie di pubblicazioni), di collaborazione con gruppi di ricerca, con curatorial team geograficamente dispersi (vedi il progetto @CCA, 69
Federica Doglio e Mirko Zardini dialogano di città, architettura, ambiente e istituzioni in una serie di conversazioni iniziate durante l’estate 2020. Un percorso che dalla crisi odierna risale fino agli anni Settanta, delineando quella che appare una lunga crisi climatico-ambientale, energetica, sanitaria, che riguarda anche le istituzioni, le professioni e lo stesso progetto moderno. L’ambiente, lo spazio pubblico, quello del dissenso, il controllo dei dati, l’università, il ruolo dell’architetto, sono alcune tra le questioni affrontate in questo libro-intervista.
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