"Sunnyside", di Glen David Gold

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Glenn David Gold Sunnyside Traduzione di Daniela Liucci


Glen David Gold Sunnyside Editore – Giorgia Antonelli Editor Narrativa Italiana “MEDUSE” – Alessandra Minervini Responsabile Narrativa Straniera “PHILEAS FOGG” e Rights Manager – Mattia Garofalo Comunicazione – Caterina Morgantini Amministrazione – Elisabetta Stragapede Progetto grafico: Maria Rosa Comparato Prima edizione Vintage Books, Maggio 2010 Glen David Gold Sunnyside Copyright © 2009, 2010 di Glen David Gold, Tutti i diritti riservati. Pubblicato negli Stati Uniti da Vintage Books, divisione di Random House, Inc., New York, e in Canada da Random House of Canada Limited, Toronto. Inizialmente pubblicato, in maniera leggermente diversa, in edizione rilegata negli Stati Uniti da Alfred A. Knopf, divisione di Random House, Inc., New York, nel 2009. This translation published by arrangement with Alfred A. Knopf, an imprint of The Knopf Doubleday Group, a division of Random House, Inc. All rights reserved


Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari è del tutto casuale. © LiberAria Editrice 2013 ISBN 978-88-97089-40-7 Tutti i diritti sono riservati Liberaria Editrice,s.r.l. Via Abate Gimma 171 - 70122 Bari www.liberaria.it



Lo spettacolo di stasera

Cinegiornale del 12 novembre 1916: Una giornata di vacanza1 Documentario di viaggio: Unter dem Licht der westlichen Sterne2 Commedia a due rulli: Cupido e il miliardario3 Serial: The Winking Idol4 Il nostro film: Tre luci blu5 Canto corale: Smile Crediti Retroproiezione

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Personaggi e interpreti

Leland Wheeler . . . . .. . . . . . . . . . . . . . un eroe Emily Wheeler . . . . . . . . . . . . . . . . . . sua madre Hugo Black . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . un soldato Rebecca Golod . . . . . . . . . . . ... . . una ragazzina Edna Purviance . . . . . . . . . . una commediènne Burton Holmes . . . . . . . . un narratore di viaggi Percy Bysshe Duncan . . . . . . . . . . Duncan Cody il Selvaggio Guglielmo II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il Kaiser George Barnes . . . . . . . . . . . . . . . . un cameraman Syd (Sid) Chaplin . . . . . . .. . . . . . . . . . . un fratello Douglas Fairbanks . . . . . . . . . . .. . . . . . . un amico Mary Pickford . . . . . . . . . . . . . . . . . . . una nemica Ashes, Mut, Buttons, ecc. . .. . . . . . . . . . . . . . . cani Alf, Maverick, Carlyle, Rhiannon, Eddie, ecc. . . . . . . . . . . . . . . . staff Frances Marion . . . . . . . . . . . . . . . . . sceneggiatrice Mildred Harris . . . . . . . . . . . . . . . . . . . un’ingénue William Gibbs McAdoo . . . .. . . un uomo d’affari T. H. Munsterberg . . . . . . . . . . . . . . un professore Andrea Pike . . . . . . . . . . . . . . . . una piccola vamp 6


Signor Pike . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . suo padre Mordecai Golod . . . . . .. . . . . . . . . un imbroglione Agente McKinney . . .. .. un poliziotto inquadrato Detective Collins . . . . . . .. . . . un poliziotto onesto Generale Maggiore Frederick C. Poole . . . . . . . . . . . . . . . . un buffone Wodziczko . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . un fan Tenente Gordon . . . . . . . . . . . . . . . . . un alcolista Goose, Banjo, e al. . . . . . . . . . . . . . . . cani soldato Tenente Ripley . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . un pilota Lenore . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . sua moglie Harry . . . . . . . . . . . . . . . . . . un addestratore di cani Nikolai Chaikovsky . . . . . . . . . . . . . . . . un politico Generale Edmund Ironside . . . . . . . . .. . . un leader Pishkoff . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il suo assistente Adolph Zukor . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. un magnate Zasu Pitts . . . . . . . . . . . . . . . . . . una commediènne Aarne . . . . . . . . . . . . . . . . . un vecchio rinsecchito Anna . . . . . . . . . . . . . . . . . una principessa ansiosa Maria . . . . . . . . . . . . . . . una principessa graziosa Vasilisa . . . . . . . . . . . . . . una principessa nichilista Hannah Chaplin . . . . . . . .. . . . . . . . . una madre Norman Chaplin . . . . . . . . . . . . . . . . . “il topolino” e Charles Chaplin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . se stesso

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Cinegiornale del 12 novembre 1916 Una giornata di vacanza

«Fu una guerra abbastanza estesa. Stupendamente immensa e molto distante. Il pubblico non era del tutto propenso a prestarle tanta attenzione... Con il tempo ci siamo abituati alle urla. Questo atteggiamento generale, perfettamente comprensibile e onesto, si rifletté in modo più preciso e schietto sul cinema che su ogni altra istituzione.» Terry Ramsaye - storico del cinema e scrittore (1925)

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All’estremo limite settentrionale, la costa della California sopportava un inverno di venti brutali scagliati contro nebbia invulnerabile e mari agitati la cui sferzata era in grado di sfregiare una guancia umana con la rapidità di un gatto a nove code. Fin dai tempi della Corsa all’oro vi si erano arenati i marinai, e chi sopravviveva all’impatto esplosivo era spesso ridotto in poltiglia quando le maree lo scagliavano sui temibili strati di paesaggi vulcanici. Come sistema di protezione lo Stato aveva fatto costruire una ventina di fari con personale composto da squadre di tre o quattro famiglie che, a rotazione, svolgevano turni di giorno o di notte. Il cambio della guardia, per così dire, era particolarmente insidioso in alcune località come Crescent City, accessibile solo tramite un tombolo sommerso durante l’alta marea, o Point Bonita, la cui passerella di legno, anche dopo la tempesta più modesta, tendeva a collassare, staccandosi dal terreno smottato della sommità e capitombolando in mare. Fino all’avvento della radionavigazione le co9


municazioni con la terraferma erano state saltuarie. E che Dio aiutasse colui che si rompeva una gamba alle Isole Farallon tra una visita settimanale e l’altra delle navi merci. Il rischio della guerra in Europa, tuttavia, aveva significato radioricevitori a galena della Crosley e sistemi di spettrometro a estinzione rapida con un raggio di 1290 chilometri circa per tutti coloro che vivevano e lavoravano sulle coste, così domenica 12 novembre 1916, proprio sotto il confine con l’Oregon, al faro di St. George Reef, circa tredici chilometri al largo della costa della California, ebbe inizio un’esplosione di operazioni radio, telefoniche e telegrafiche senza precedenti nella storia dell’America. Un’ora prima dell’alba, all’arrivo dell’alta marea, grosso modo verso le cinque del mattino, era finita. La luce immensa di ottantamila candele da lenti di terz’ordine scrutò per qualche istante il mare spumeggiante, dalla spiaggia all’orizzonte nel fortissimo contrasto tra bianco e nero, poi fu di nuovo buio pesto. Due uomini robusti, con cappuccio e impermeabile, a colpi di remo riportarono la barca di servizio alla corona di roccia su cui sorgeva il faro. Il loro passeggero, la sagoma corpulenta e infagottata sotto una vela di tela trattata con le braccia incrociate sulla brocca di caffè del mattino, era il Secondo Assistente Guardiano Emily Wheeler. La luce ruotava e creava un 10


effetto stroboscopico che illuminava il suo avanzare tagliando schiuma marina adagiata come glassa sulle rocce sporgenti e i crepacci dell’antica barriera corallina. Emily Wheeler, appartenente alla terza generazione di una famiglia californiana di guardiani di faro, era una donna difficile ma, come per tutte le donne difficili che potevano far richiesta di un lavoro così isolato, il suo desiderio fu immediatamente esaudito. Certo, mandatela su una roccia a chilometri dalla costa, che vada con la benedizione del governatore! Diversamente da quelle altre donne, tuttavia, lei aveva pensato di farsi da sola la propria uniforme. La indossava sotto vela e sotto gli strati di impermeabili e giubbotti di salvataggio. Era di lana blu navy con semplice passamaneria dorata sul collo e un cappellino alla moda coordinato sotto il quale infilava i capelli raccolti in una treccia color acciaio. Dopo una considerevole riflessione sui gradi – non voleva sembrare presuntuosa, ma voleva anche legittimare le proprie mansioni – si era data quello di sergente. Il suo faro era il più costoso al mondo, nove anni per costruirlo, un edificio cilindrico, scolpito nel granito vivo, una torre su cassone a tenuta d’acqua di trentacinque metri robusta come una fortezza medievale, con la superficie maestosa interrotta solo dalle fenditure a croce delle feritoie. E sulla 11


cima, sotto un cappello di ferro verniciato di rosso brillante, c’era la lanterna, in cui ruotava la lente di Fresnel, sfaccettata come il diamante di fidanzamento di una sultana e che, come l’occhio di Argo, fu divisa in una miriade di compartimenti, quanto di più vicino all’onniscienza osasse la tecnologia. Non c’era faro migliore in America. Essere il sergente che condivideva il comando di tale bestione era un onore e una responsabilità di cui Emily Wheeler era all’altezza, e quello di una donna di grado superiore agli uomini era un tipo di vita che non faceva mistero di apprezzare. E infatti, allo scopo di conquistare la fiducia dei suoi uomini, era nota per assecondare i loro pregiudizi, mettendo in campo, in pratica, la questione del sesso debole. (– Signori – disse il suo primo giorno – non li do io gli ordini. Gli ordini li dà il mare, e noi siamo alla mercé dei suoi modi imprevedibili. –) Lucida durante le emergenze – aveva organizzato il salvataggio di molti marinai testardi –, aveva l’abitudine, tuttavia, di architettare da sola piccole crisi nelle ore di noia. Un tremolio del filamento della lanterna di riserva era l’occasione per grandi urla, pulire il compressore ad aria del segnale da nebbia significava almeno tre diversi attacchi di panico. Era la condanna dei suoi uomini, quindi, desiderare un disastro reale durante ogni turno. Poiché nessuno poteva vivere in modo confortevole alla 12


base per più di una settimana, le quattro famiglie di guardiani trascorrevano la maggior parte della vita in costruzioni bifamiliari simili a cottage sulla costa, sulle dune appena sopra il litorale. Mariti, mogli e figli erano eternamente alle prese, due volte al giorno, con il salire e il calare delle maree, passandosi pasti caldi e salutandosi con un bacio. A circa tredici chilometri dalla spiaggia, la barca di servizio fu rimessa a posto sul lato sottovento del faro che creava come un parabrezza cuneiforme, una piccola pozza di calma. Gli uomini sulla barca fecero lampeggiare la piccola lanterna e, in risposta, ci fu un cigolio dalla gru sopra di loro e un argano calò la rete di carico in cui il sergente Wheeler entrò. Un altro scambio di luci e poi la gru si ritirò, portandola in alto. Era durante i lunghi momenti in cui fluttuava nel vento e gli spruzzi del mare riuscivano a schiaffeggiarle viso e collo che più le piaceva il suo lavoro al limite estremo della mappa. – Sono la donna più a Ovest del Paese –, un’idea che cancellò quando la rete la collocò sul granito. Problemi. Leland, il suo assistente, l’aiutò a slacciare l’imbracatura e uscire dalla rete. – Mamma, abbiamo un problema. Leland era sempre di turno insieme a lei, meno per scelta personale, più per richiesta da parte delle altre famiglie. Aveva ventiquattro anni, era “bello in modo 13


ingiusto”, secondo la definizione che ne davano le chiacchiere al faro, e aveva distrutto due calessi sulle dune vicino ai cottage mentre cercava di far colpo sulle ragazze. Aveva inoltre la tendenza ad acquistare via posta da San Francisco spartiti di ragtime-jazz, che insisteva a suonare al clarinetto quasi tutti pomeriggi, ed era noto per andare al cinema tre giorni di seguito per memorizzare i dettagli del film piuttosto che rimanere a casa ad aiutare la nonna che soffriva di depressione. Si sperava che il sergente Wheeler gli impartisse disciplina. – Che succede? – Imbarcazione alla deriva. Circa un chilometro e seicento metri a ovest-nordovest. – Qualcuno a bordo? Leland esitò. Di solito aveva la battuta pronta, cosa che scioglieva fin troppo il cuore di Emily, e impediva il manifestarsi di ogni effettiva forma di disciplina. In quel momento lo guardava non solo come un sergente, ma come una madre preoccupata. Finalmente Leland disse: – Dovresti venire a vedere. Passarono dal porticato alla sala macchine e presero l’ascensore per l’angusta stanza di guardia proprio sotto la lanterna. Aveva lo stesso vetro del tavolo luminoso un piano sotto. C’erano già 14


due uomini sul posto, padre e figlio della famiglia Field, che facevano a spintoni davanti all’unico telescopio di valore, l’Alvan Clark con lenti da due pollici. Mentre Emily si toglieva l’impermeabile e puliva gli occhiali bagnati, altri due assistenti entrarono nella stanza, avendo sentito il montare dell’agitazione. – Dov’è l’imbarcazione? – chiese Emily. – A ore dieci, un chilometro e seicentonove metri al largo – rispose il Field più anziano. – C’è equipaggio a bordo? Field guardò suo figlio che guardò Leland che annuì. – È l’invasione? – Perché era stato argomento di discussione, in principio un’ipotesi, di recente una sinistra certezza. – No, è un uomo. Solo. Contrariata, Emily prese il telefono dal muro e chiamò la lanterna, chiedendo di aggiustare le lenti in modo che si accendessero a ore dieci e far salire le bandiere alfabetiche, di prepararsi per una serie di segnali a due bandiere e notificare via radiotelefono a tutte le navi nei paraggi che era in atto un salvataggio. Il motore prese a girare con l’allentarsi di un contatto a spirale e la luce bianca si stabilizzò sui mari agitati. La nebbia, che la maggior parte dei giorni era un cappotto di lana, quel mattino non 15


era che una foschia perlata facile da trapassare e, anche senza telescopio, Emily riusciva a vedere una barca piccolina saltellare tra le onde. – Oh Signore! È solo uno skiff, uno skiff scoperto – sussurrò. Agitando le braccia fece segno al gruppo intorno all’Alvan Clark di allontanarsi e loro si scambiarono sguardi di attesa. O era una vera crisi o una sul punto di essere creata a suon di urla. Emily poggiò l’occhio sull’oculare, sbatté le palpebre e fece scorrere le dita lungo la manopola scanalata della messa a fuoco, creando una macchia e poi, in un’iride perfettamente circolare, vide, con una chiarezza che la lasciò senza fiato, Charlie Chaplin. Balzò all’indietro e guardò dalla finestra senza ausilio di ingrandimenti, come se il telescopio avesse in qualche modo potuto fabbricare quella visione. Riusciva a vedere la barchetta che avanzando dondolava sulle creste delle onde in costante aumento. A bordo c’era davvero una figura solitaria. Indossava pantaloni neri sformati e una giacca da tight. Aveva i baffi. Un bastone. Una bombetta.

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