"Volare sott'acqua", di Fabio Lubrano

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Fabio Lubrano

VOLARE SOTT’ACQUA (Racconti per chi non ha tempo di leggere)


Volare sott’acqua (Racconti per chi non ha tempo di leggere) © La casa editrice, avendo esperito tutte le pratiche relative all’acquisizione dei diritti e relativi permessi per i testi raccolti in questo volume, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare diritti in proposito. LiberAria Editrice Prima edizione in “MEDUSE”, maggio 2013 Tutti i diritti riservati Liberaria Editrice s.r.l. Via Abate Gimma 171 - 70122 Bari www.liberaria.it Editore - Giorgia Antonelli Editor Narrativa Italiana “MEDUSE” - Alessandra Minervini Responsabile Narrativa Straniera “PHILEAS FOGG” e Rights Manager - Mattia Garofalo Comunicazione - Caterina Morgantini Amministrazione - Elisabetta Stragapede Progetto grafico - Mariarosa Comparato ISBN 978-88-97089-37-7


Ad Alanis, angelo buffo

L’amore può fallire, ma la gentilezza infine prevarrà. (Kurt Vonnegut)



VOLARE SOTT’ACQUA

Passata finalmente l’estate Gianni aveva preso l’abitudine, di ritorno dal lavoro, di fermarsi ai giardinetti davanti casa a leggere. Gli piaceva quella parentesi tra l’ufficio e le incombenze domestiche. Senza, gli sembrava che fare la spesa, cucinare, lavare i piatti, caricare la lavatrice fossero in qualche modo gesti che proseguivano quelli del lavoro. Quell’ora e mezza di lettura, invece, separava con nettezza le due cose, come era più sano. Gianni sceglieva sempre la stessa panchina, quella più laterale e, se la trovava occupata, faceva due passi finché non tornava libera. Era settembre, un bel settembre di giornate tiepide e frizzanti, e Gianni pensava già a quando sarebbe arrivato il freddo e non avrebbe più potuto essere seduto sulla panchina a leggere. 5


Faceva sempre così: quando si affezionava a qualcosa il primo pensiero andava a quando sarebbe finita. Solitamente non gli si sedeva accanto mai nessuno, era come se in lui ci fosse un segnale (la postura, l’espressione del viso oppure l’intreccio delle mani) che dicesse che preferiva rimanere solo. Come se avesse un cartello con la scritta qui solitudine e una freccia che lo indicava; e poiché la solitudine è paradossalmente una malattia contagiosa, quando qualcuno si avvicinava alla sua panchina e dava un’occhiata a quel cartello, si allontanava. Questo di solito. Un pomeriggio, invece, non andò così. Gianni era talmente immerso nella lettura che non si accorse che davanti a lui, in piedi, c’era una ragazza con una scatola da scarpe in mano. Non aveva visto il cartello, oppure lo aveva visto ma non le importava, perché gli chiese: - Ti do fastidio se mi siedo qui? Gianni alzò gli occhi, sorpreso da un cigolio sinistro che aveva sentito da qualche parte dentro di sé. - No no, figurati, rispose, e si fece un po’ più di lato per darle spazio. 6


Lei si sedette mettendo la scatola da scarpe in mezzo. La aprì con cautela. Gli fece un sorriso che era il prodotto cartesiano di timidezza, ricerca di complicità e puro divertimento. Dentro la scatola c’era un passerotto. Tirò fuori la testa lentamente, con estrema diffidenza. Poi si girò verso Gianni e lo guardò malissimo. A quel punto il sorriso di lei provocò disastri: dentro Gianni si registrò il crollo preannunciato da quel cigolio sinistro. - Io mi chiamo Silvia, disse lei porgendogli la mano. - Gianni, rispose lui stringendogliela. - E lui è Ciro!, disse Silvia indicando il passerotto. In quel primo incontro non parlarono molto. Gianni era talmente in imbarazzo che dovette concentrarsi per deglutire senza morire soffocato. Silvia lo osservava di nascosto, sempre con quel sorriso lì. Ciro rimase nella scatola a controllare che Gianni non avesse intenzioni ostili. A un certo punto Gianni si accorse che due era un numero spropositato per le mani, era già complicato trovare una soluzione per decidere dove metterne una. - Vieni qui spesso a leggere?, gli aveva chiesto Silvia guardando il libro. - Sì, da qualche tempo vengo tutti i giorni, rispose Gianni accarezzando un cespuglio di rose. 7


- Chissà quanti libri avrai già letto! - No, in realtà non tantissimi, rispose succhiandosi il sangue da un dito. Il giorno dopo Gianni era arrivato alla panchina un quarto d’ora prima del solito, per essere sicuro che fosse libera e, nel caso in cui non lo fosse stata, per avere il tempo di occuparla piantando il cartello qui solitudine contro gli intrusi. Stava iniziando a domandarsi se sarebbe venuta, se sarebbe tornata su quella panchina o se magari ne avrebbe scelta un’altra libera, quando la vide materializzarsi davanti a sé. Gli raccontò che lo aveva trovato due sere prima davanti al portone di casa, dopo il temporale. Doveva essere caduto da un ramo e si era fatto male a una zampina. - Non so se hai mai visto un uccellino ferito, gli disse, ma ti si spezza il cuore. Era tutto rannicchiato, impotente. Sembrava rassegnato. E poi tremava. Se lo lasciavo lì sarebbe morto di sicuro, allora ho deciso di portarlo a casa e di tenerlo finché non guarisce. Per un istante Gianni valutò l’ipotesi di fingere un’improvvisa frattura e di rannicchiarsi rassegnato per terra, tremante. 8


- Il mio fidanzato quando mi ha vista entrare in casa con il passerotto in mano non era molto contento. Quella frase provocò in Gianni la stessa sensazione di quando, certe mattine, scostava la tenda dalla finestra e scopriva che aveva smesso di nevicare, la pioggia aveva sostituito i fiocchi e stava già iniziando a sciogliere tutto. - Continuava a ripetere: chissà quante malattie porta e mica possiamo salvare tutti gli animali feriti e queste cose qui. Poi però l’ho convinto. - ... - Il nome Ciro gliel’ha dato il mio ragazzo, per esempio. - Simpatico, disse Gianni come se stesse ingoiando un ippopotamo. Iniziarono a vedersi tutti i giorni. Gianni arrivava per primo e prendeva posto sulla panchina con il libro aperto eternamente sulla stessa pagina, tanto per non darle l’impressione che la stesse aspettando. Dopo un po’ arrivava lei con la scatola da scarpe e gli sedeva vicino, con Ciro in mezzo. Era un bel quadretto, visto dall’esterno. Per esempio visto da un gatto. Un gatto tigrato che, attratto dall’odore di Ciro, ogni tanto si metteva a fissare il quadretto. Li guardava da lontano con l’aria di dire ‘non mangio da mesi, anzi, ora che ci penso non 9


ricordo di avere mai mangiato in vita mia’ Gianni e Silvia non si lasciavano intenerire e parlavano. Passavano interi pomeriggi a parlare, sempre su quella panchina. Parlavano di tutto: dalla difficile situazione mondiale al colore migliore per un accendino. E qualunque argomento li appassionava per ore. A dire il vero lui ogni tanto smetteva di ascoltarla. Non che lo facesse apposta, è che guardandola negli occhi si imbambolava; oppure mentre parlava cercava di comunicare telepaticamente con lei. Intanto che annuiva, o sorrideva, nella testa le diceva: tu non immagini nemmeno lontanamente quanto vorrei passare tutto il resto della mia vita qui sulla panchina con te e spiava la sua reazione, ogni tanto possiamo anche spostarci in altre ambientazioni, per esempio potremmo andare a bere un caffè qui al bar di fronte, però poi torneremmo comunque qui. - Volentieri, rispose lei. Gianni rimase di sasso: la comunicazione telepatica aveva funzionato. - È la prima volta che ti sento parlare con questo tono. Sembri serissimo! La comunicazione telepatica non aveva funzionato. - Andiamo? Prese la scatola sotto braccio e se ne andarono. Lui, lei, e Ciro. 10


- Sembriamo quasi una famiglia!, le disse, stupito di se stesso. - Sai cosa mi piacerebbe?, rispose lei, mi piacerebbe andare con te in una libreria, così mi parli di tutti i libri che ti piacciono, e poi io scelgo quello che mi ha incuriosito di più. - Appena Ciro vola, ci andiamo subito. Era stupefatto: da dove mi arriva tutta questa disinvoltura?, pensò aprendo la porta del bar e tirandosela in fronte. - Non mi sono fatto niente, la rassicurò. Ecco, così si riconosceva già di più. - Qual è l’emozione più pura che hai provato?, gli chiese lei, un pomeriggio. Gianni non era sicuro di aver capito bene il senso della domanda. - Per pura intendo un’emozione libera da qualsiasi altro sentimento, spiegò Silvia, un’emozione che non nasce da un’aspettativa in qualcosa, che non pareggia la frustrazione, non è contaminata dalla passione, dalla rivalsa e così via. Lì per lì non seppe cosa rispondere. Gli venivano in mente tanti episodi, ma nemmeno uno che fosse privo di sentimenti accessori. Poi visualizzò l’immagine di una piccola giacca a vento azzurra. - È successo qualche anno fa, raccontò Gianni, nevicava. Probabilmente era perché nevicava che..., e 11


finalmente confessò: - Vedi, sono sempre stato un pinguino in tutte le mie vite precedenti. Silvia sorrise. - Non so cosa ho combinato nell’ultima vita per essere condannato a reincarnarmi in un essere umano. Probabilmente devo aver fatto cadere un uovo nel ghiaccio. Lei scoppiò a ridere. - Insomma, stavo dicendo, c’era la neve. Ero al supermercato. A un certo punto con la coda dell’occhio vedo in fondo alla corsia una bimbetta di due anni tutta infagottata in una giacca a vento azzurra che mi indica e sorride. Era la mia nipotina, che mi aveva riconosciuto da lontano. La vedo lanciarsi verso di me, questa robina azzurra, correndo a passettini brevi e goffissimi. Infine mi raggiunge e mi abbraccia una gamba, con le manine strette e il muso appoggiato sul ginocchio. - ... - È stato quello il momento. - ... - Lì, al supermercato, con la neve che scendeva dietro le vetrate e una piccolissima persona che abbracciandoti una gamba ti dice nel modo più semplice e puro che ti vuole bene. - ... - ... - E tu? 12


- ... - ... Guardare Gianni mentre raccontava a Silvia sembrò l’emozione più pura che avesse mai provato. Oppure, di certo, ci si avvicinava molto. Il legame tra Gianni e Silvia si stringeva sempre di più. Ciro adesso usciva dalla scatola, o meglio, Silvia lo sollevava delicatamente e lo posava per terra. Lui zampettava solo su metro quadro di prato. Sembrava che si fosse dimenticato di come si facesse a volare. Guardandolo si sarebbe detto che non avrebbe volato mai più. Gianni e Silvia gli facevano da guardie del corpo controllando che il gatto tigrato non decidesse di tendere agguati. - Il mio ragazzo non lo sopporta, disse lei. Gianni notò che quando ne parlava lo chiamava sempre il mio ragazzo, mai con il suo vero nome. - Dice che non possiamo tenercelo in casa per sempre, continuò, che tanto non volerà più, che lo dobbiamo lasciare in un parco e poi se la caverà da solo. Chissà poi come si chiama, il suo ragazzo. Magari Giuseppe, o Daniele, o Alain, o Mike, o Giangrande? - Non è che sia proprio un mostro di sensibilità, rifletté Silvia, però con lui mi sento protetta. 13


Capito, Ciro?, pensò Gianni con amarezza, spesso le femmine fanno così, scambiano l’arroganza per sicurezza, magari hanno un cerebroleso che gli deambula per casa, ma basta che sia sufficientemente stronzo e loro si sentono al sicuro. Anche tu dovrai fare così. Lo sanno tutti che passi metà del tempo a dormire e l’altra metà sei terrorizzato, ma devi bluffare, devi avere l’aria di uno che pensa: mah, quasi quasi me ne vado in cerca di un gatto a cui fare il culo. - Pì?, disse Ciro. - Ti ha parlato!, esclamò Silvia, ti ha guardato e ha detto pì! - ... - Cosa gli stavi dicendo?, disse Silvia a Ciro. - Cose fra uomini, rispose Gianni. -! - ... - Comunque non è vero che non volerà più. Fanno così, zampettano e basta, poi all’improvviso volano e se ne vanno via. - Come all’improvviso? - Sì, di punto in bianco. Ciro, niente scherzi, pensò Gianni, mi devi avvisare con qualche mese di anticipo. - E come fai a saperlo? È proprio sicuro che fanno così? - Sì, me lo ha detto un’amica di mia madre che fa la 14


veterinaria, continuò Silvia. - Ma è una brava? Con quanto si è laureata? - Ma che domande fai?, scoppiò a ridere Silvia, certe volte sembri matto! Finalmente un giorno, Gianni comprese che non poteva più aspettare: era arrivato il momento di affrontare la situazione con chiarezza. - Io e te dobbiamo parlare, disse. Silvia fece un balzo. È emozionata quanto me, pensò Gianni. - Guarda!, disse Silvia. Tra un’asse e l’altra della panchina era comparsa la zampa del gatto tigrato che, accortosi di essere stato scoperto rimase immobile come a dire ‘se non mi muovo si dimenticano di me’. Silvia lo scacciò da sotto, ma il gatto non ne voleva sapere e iniziò una tarantella di nascondini fino a che Silvia, che in quanto a tenacia felina ne sapeva più di un gatto, si mise a rincorrerlo per il parco tentando di allontanarlo il più possibile. - Dicevo… Io e te dobbiamo parlare, disse Gianni a Ciro. - Insomma, ci devi pensare bene a questa storia di volare. Sei proprio sicuro di volerlo fare? Non è che poi cadi di nuovo, ti fai male, e non trovi nessuno che ti curi? Magari precipiti in un posto dove c’è un gatto tigrato nei paraggi. Anzi, è probabile 15


che sia già lì ad aspettarti. Che poi, diciamola tutta, questa storia del volo è un po’ sopravvalutata, c’è tutta questa retorica sulla libertà, la leggerezza. Ma guarda che non è mica così. Per esempio, se mi osservi bene ti accorgerai che sono un pinguino. Un uccello quindi. Eppure non volo. Mi hai mai visto volare? - ( ), fece Ciro. - Appunto, neanche una volta. - E poi ti voglio vedere in alto, lì, tutto solo. E per cosa, alla fine? Per questo stucchevole luogo comune del volo? -() - Va bene, peggio per te, quando cadrai non venire a dirmi che non ti avevo avvisato. Tra l’altro Ciro è un bruttissimo nome, io ti avrei chiamato in un altro modo. In quel momento tornò Silvia. - Stai parlando con Ciro?, disse con quel sorriso lì, lo stai incoraggiando a volare? - Eh, sì... cioè... - Come sei dolce.

Continua in libreria www.liberaria.it http://www.bookrepublic.it/book/9788897089476-volare-sottacqua-racconti-per-chi-non-ha-tempo-di-leggere/

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