L'affido familiare in Trentino raccontato dagli studenti del Liceo Leonardo da Vinci
Ordine degli Assistenti Sociali Regione Trentino Alto Adige Kammer der Sozialassistenten der Region Trentino S端dtirol
LICEO SCIENTIFICO
TRENTO
Ordine degli Assistenti Sociali Regione Trentino Alto Adige Kammer der Sozialassistenten der Region Trentino S端dtirol
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LICEO SCIENTIFICO
TRENTO
Supplemento a Professione Assistente Sociale Registrazione Tribunale di Trento N. 1095 del 08.08.2001 Ordine degli Assistenti Sociali della Regione Trentino Alto Adige Kammer der Sozialassistenten der Region Trentino Südtirol via Manci 25/b Tel e fax 0461 23 76 44 segreteria@ordineastaa.it www.ordineastaa.it
Curatori Miriam Vanzetta Stefano Paternoster Gli studenti di Religione della classe IV Scientifico A (Liceo Leonardo da Vinci, Trento) Ana Maria Pascanu, Anna Giacomozzi, Camilla Zanoni, Chiara Ceschini, Daniele Nicolini, Elena Clappa, Elisa Marchetti, Francesca Debiasi, Gianmarco Cramerotti, Ilaria Segata, Laura Gretter, Leonardo Muhlbach, Maria Nardone, Marco Viganò, Marianna Angeli, Nicole Lona, Ruan Barbacovi Fotografie di Camilla Zanoni, Chiara Ceschini, Laura Gretter e Roberta Pisoni Grazie a Gianna Saltori, Laura Fravezzi, Michele Viganò, Michele Dossi, Cecilia Dalla Torre e alla Commissione Comunicazione Ordine degli Assistenti Sociali della Regione Trentino Alto Adige Ideazione, progetto grafico e impaginazione Liliana Mattevi
MICHELA DE SANTI PRESIDENTE ORDINE REGIONALE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI TRENTINO ALTO ADIGE
La scelta di collaborare tra l'Ordine degli assistenti sociali e la classe IV A del liceo scientifico Leonardo da Vinci di Trento, nata spontaneamente e poi successivamente maggiormente strutturata, è stata sostenuta dal consiglio, poiché in linea con i compiti dell'Ordine di promuovere la conoscenza di forme di tutela alla persona. La collaborazione attiva con gli studenti, ha coinvolto in prima persona la consigliera dell'Ordine e presidente della commissione Comunicazione, ass. soc. Miriam Vanzetta, che insieme al prof. Paternoster, insegnante del liceo, ha collaborato con i ragazzi al progetto, partecipando agli incontri preparatori, agli scambi, alle riflessioni finali. Al termine del lavoro è nata anche l'esigenza di raccogliere queste riflessioni per divulgare quanto emerso in quest'anno di lavoro, attraverso una pubblicazione, che l'Ordine ha patrocinato. Questa raccolta d'interviste e riflessioni sull'affidamento familiare è dedicata ai giovani, alle famiglie e a chi vuole approfondire questo delicato tema legato alle forme di tutela dell'infanzia e adolescenza, attraverso un'analisi approfondita condotta dai ragazzi della classe IV del liceo. Negli ultimi tempi i mass media hanno pubblicato più articoli sul tema dell'allontanamento dei bambini dalla loro famiglia, ma non sempre le informazioni sono state esaustive con il rischio di creare nell'opinione pubblica, un'immagine spesso parziale dei servizi e dell'affidamento in generale. In questi articoli manca la voce dei bambini o la conoscenza del lavoro fatto in precedenza a sostegno della famiglia, per tutelare quei bambini che vivono situazioni di difficoltà. Sono tante le storie che si possono raccontare sull'affidamento familiare. I ragazzi hanno deciso di approfondire la tematica attraverso delle interviste ai protagonisti dell'affidamento familiare. Sono esperienze che narrano la vita di bambini, 3
adolescenti, famiglie, mamme, papà, assistenti sociali, avvocati, dirigenti di strutture di tutela. Tante le persone che per lavoro, per scelta di vita o per circostanze contingenti, hanno un filo rosso che lega la loro vita all'esperienza dell'affidamento familiare e grazie a questo sono cresciute e hanno imparato che l'accoglienza è un moltiplicatore di emozioni e sensazioni. La pubblicazione nasce dalla voglia di comunicare degli studenti, dalla necessità di fermare i propri pensieri e quello degli intervistati, sulle pagine di questa piccola produzione. L'attenzione si è concentrata soprattutto su questo tema sociale che a volte può riguardare il mondo della comunità scolastica, ma che è presente nella nostra società e parlare di affidamento familiare serve anche ad allargare l'orizzonte oltre le pareti della scuola.
ASS. SOC. MIRIAM VANZETTA PRESIDENTE COMMISSIONE COMUNICAZIONE ORDINE REGIONALE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI TRENTINO ALTO ADIGE
La commissione Comunicazione, dell'ordine regionale degli assistenti sociali Trentino Alto Adige, si è interrogata spesso, in questi anni, sulla possibilità di comunicare e affrontare con i “non addetti ai lavori” alcuni temi complessi del Servizio Sociale. La commissione ha deciso di cogliere un'occasione e di raccontare alcuni aspetti con uno sguardo nuovo ed esterno. Un pomeriggio d'estate, davanti a un caffè, con il prof. Paternoster, abbiamo fantasticato sulla possibilità che un gruppo di studenti potesse approfondire un tema, tra quelli che tutti i giorni, come assistenti sociali siamo chiamati a vivere e ad affrontare professionalmente. Non è semplice parlare delle storie che ogni giorno nell'esercizio della professione 4
incontriamo, non è facile far capire, a chi è fuori, cosa significhi quotidianamente fare i conti con le sofferenze e le fatiche e cercare di trovare equilibri improbabili, precari, ma possibili. L'affido familiare, è un tema scottante, spesso spettacolarizzato, o manipolato per raccontare solo un tassello di un mosaico molto complesso e dai riflessi diversi; un tema non facile, per nessuna famiglia, per nessun operatore che incontra sulla propria strada un bambino in affidamento e per nessun bambino. L'affidamento familiare è una mare, delimitato da boe, che ne tracciano i contorni e indirizzato da un faro, che illumina una distesa d'acqua che spaventa, anche chi sa nuotare, anche chi con l'acqua ha confidenza, un mare che non sappiamo prevedere, seppur circoscritto. Gli studenti della IV A del liceo scientifico Leonardo da Vinci hanno provato a nuotarci dentro, da spettatori, da testimoni, da ragazzi e con i loro occhi e le loro domande hanno cercato di avvicinare e capire questo tema complesso. I ragazzi hanno cercato di raccontare il "vero" con le sue potenzialità e con i suoi limiti e di tracciare con un filo sottile un percorso che parte dai servizi per arrivare alle famiglie. Un grazie ai ragazzi che hanno dedicato tempo per capire meglio l'affido familiare e che hanno cercato di raccontarlo, navigando a vista, in questo mare... Buona lettura.
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STEFANO PATERNOSTER PROF. DI RELIGIONE DELLA CLASSE IV SCIENTIFICO A
La scuola e il sociale. La scuola e la società contemporanea. La scuola e la vita. È ormai consolidata e diffusa, talvolta anche all'interno dello stesso ambiente scolastico, l'idea che la scuola indaghi con eccessiva perizia il passato e ciò che in generale può risultare “lontano”, trascurando di indagare il tempo in cui viviamo, le sue contraddizioni, le sue problematiche e il suo bagaglio di risorse e di potenziale non sempre sufficientemente valorizzato. Lasciando così i suoi studenti non adeguatamente preparati a comprendere il tempo in cui vivono. Ponendoci tra coloro che faticano a rispecchiarsi in una tale visione, con questo lavoro e con la sua pubblicazione, intendiamo mostrare che in realtà la scuola, nel suo insieme, non dimentica di dare spazio a let-
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ture anche dirette della contemporaneità, guardando ai grandi temi mondiali come ad importanti esperienze locali. La collaborazione che ha visto coinvolta, a cavallo degli anni scolastici 2011/2012 e 2012/2013, una nostra classe e l'Ordine degli Assistenti Sociali del Trentino Alto Adige, nasce proprio dal desiderio di affrontare un tema importante come quello dell'affido familiare, che riguarda direttamente i bambini ed i ragazzi. Il nostro obiettivo è stato prima di tutto quello di avvicinarci e di renderci prossimi ad un tema così delicato e di cui in questi ultimi anni, proprio in Tentino, si è parlato molto senza fare, ci pare, altrettanta chiarezza. Il lavoro ha preso avvio dalla lettura di alcuni articoli di giornale, la visione di film che affrontano il tema, ma soprattutto dall'approfondimento delle «Linee Guida per la regolazione dei processi di sostegno e allontanamento del minore» emanato dal Consiglio Nazione dell'Ordine Assistenti Sociali nel 2010. Il fulcro di tutto il lavoro sono stati però gli incontri con alcuni dei soggetti direttamente coinvolti. Incontri che si sono sviluppati attraverso un confronto sincero e che non hanno trascurato di sollevare i punti che i nostri ragazzi hanno colto come maggiormente critici. Quelli che gli studenti hanno poi raccolto sono una serie di sguardi, non onnicomprensivi né conclusivi, frutto del nostro indagare, delle nostre perplessità e delle nostre aspettative; sguardi che possono trasmettere, almeno in parte, la complessità delle situazioni di vita, del sistema e delle persone chiamate a difendere e salvaguardare quanto di più prezioso porta con sé ogni comunità: i propri figli e con essi il proprio futuro. Con il riguardo che queste situazioni richiedono, proponiamo la raccolta di questo lavoro, nella speranza di poter condividere quel percorso di crescita che noi per primi abbiamo vissuto. Una crescita di conoscenze e di esperienze, frutto di una collaborazione che dimostra, ancora una volta, come la scuola possa migliorare solo se assieme a lei cresce tutto il tessuto sociale. Convinti che solo una consapevolezza diffusa, un senso di partecipazione responsabile al bene di tutti, possa salvaguardare il bene di ognuno.
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Chiara Ceschini
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Francesca e Zaira FRANCESCA RUOZI E ZAIRA ORO
ASSISTENTI SOCIALI ISCRITTE ALL'ALBO DELL'ORDINE REGIONALE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI DELLA REGIONE TRENTINO ALTO ADIGE. HANNO SVOLTO L'INCARICO DI CONSIGLIERE DELL'ORDINE REGIONALE, AL TEMPO DI REALIZZAZIONE DELL'INTERVISTA ERANO DIPENDENTI PRESSO IL SERVIZIO ATTIVITÀ SOCIALI DEL COMUNE DI TRENTO.
Qual è il ruolo di un assistente sociale? Come ogni professione anche l'assistente sociale ha un proprio percorso formativo. Dopo un corso universitario di tre anni si deve superare l'esame di stato e a quel punto si può iniziare a lavorare, ma per ricoprire dei ruoli di coordinamento o direttivi si devono aggiunge altri due anni di specialistica. Una volta che esercita, l'assistente sociale è un professionista che aiuta le persone ad affrontare i loro problemi mettendo a disposizione le proprie competenze relazionali e le proprie conoscenze. È una professione che si fonda su alcuni principi etici che caratterizzano anche medici e psicologi. Va ancora sottolineato che è la legge che istituisce la figura dell'assistente sociale e ne delinea in parte anche i compiti. Inoltre, va chiarito che può intervenire solo dove gli viene chiesto di affiancare una persona che ha dei problemi, aiutandola a capirne la natura. L'assistente sociale attraverso le sue esperienze, la sua formazione e le sue competenze può aiutare, spesso in collaborazione con altri professionisti, a dare una lettura della situazione in cui si trova la persona, ricostruendone la storia, il suo modo di cogliere la propria situazione e le sue aspirazioni future. Negli ultimi anni si è parlato degli assistenti sociali a partire da alcuni casi di allontanamento famigliare di minori. Quali sono le situazioni in cui intervenite sui minori? 9
A chiedere agli assistenti sociali di occuparsi dei minori ed in alcuni casi a ritenere necessario un allontanamento è la stessa Costituzione italiana negli articoli 30 e 31, dove si dichiara che compito dei genitori è mantenere e istruire i propri figli. Quando i genitori vengono però meno a questo compito è lo Stato che ha l'obbligo di intervenire. È importante richiamare il valore della Costituzione che legittima l'intervento dell'autorità giudiziaria e del servizio sociale. Si tratta di due poteri statali indipendenti e distinti, ma che sul tema della famiglia e dei minori hanno sicuramente un obiettivo comune: promuovere il benessere dei bambini e delle famiglie. Si tratta però di situazioni traumatiche. In questi casi è corretto parlare di trauma da allontanamento, è un trauma per tutti, per i bambini, per i genitori, per gli operatori che si trovano a dover accompagnare i bambini in questa difficile separazione, che a volte può essere consensuale ma a volte no. Come intervenite? Ci sono situazioni in cui gli allontanamenti avvengono col consenso della famiglia o con quello della parte più consapevole delle difficoltà. Cerchiamo sempre il consenso, perché aiuta il bambino a vivere la separazione in modo meno lacerante. Se è il papà o la mamma ad accompagnare il bambino alla comunità o alla famiglia affidataria, tutto acquista un altro significato. Questo non è sempre possibile perché le situazioni sono diverse, ci sono casi di violenza molto gravi dove il bambino va messo in protezione e sono stati proprio i suoi genitori a metterlo in situazioni di pericolo, a volte anche di vita. Come si arriva alla decisione dell'allontanamento? L'assistente sociale ha come strumento di lavoro il colloquio e incontra le famiglie in situazioni in cui sono chiari i ruoli e le competenze. Possiamo dire che per principio miriamo ad instaurare un rapporto di fiducia e di rispetto. È chiaro che questo necessita di tempo e non sempre il tempo è sufficiente perché magari si viene a conoscenza di alcuni fattori di rischio per il bambino per cui è necessario intervenire rapidamente. Quando la conoscenza rimane parziale si ricorre alla collaborazione di altre figure che conoscono il bambino o la famiglia e in questo modo si lavora in un'ottica multidisciplinare. Se il bambino è piccolo si 10
possono interpellare le insegnanti dell'asilo nido, della scuola materna, delle scuole elementari o altre figure come il pediatra o il medico di base della famiglia. Più persone portano la propria visione, più è facile che ci si avvicini a quello che la famiglia realmente vive e individuare quelle che possono essere le soluzioni più efficaci. Quali sono i motivi che portano all'allontanamento? Va sempre ribadito che per arrivare all'allontanamento devono esserci gravi difficoltà e non basta che la madre sia povera come si può leggere talvolta sui giornali; dietro al titolo di un giornale c'è una storia di sofferenze, dove la povertà è spesso una componente ma non è la vera motivazione. Vi sono genitori che magari hanno problemi di dipendenze e in questo modo la loro priorità non è sui figli, ma anche se stanno attraversando dei problemi continuano a voler loro bene. In questa prospettiva l'affidamento o l'allontanamento punta a recuperare le capacità genitoriali affinché possa ricostituirsi il nucleo familiare, in un ambiente sano ed equilibrato. Ma nel frattempo bisogna fare anche un lavoro con i bambini perché loro spesso hanno sperimentato una figura genitoriale parziale, fuorviante, poco rassicurante. Per il bambino possono diventare esempi da imitare? È importante che il bambino una volta divenuto adulto non metta in atto i comportamenti che lui ha vissuto. Faccio un esempio, se una bambino torna a casa e suo padre, che magari ha problemi con l'alcool, lo saluta e gli dà una sberla, il bambino imparerà che suo papà quando gli vuole bene gli dà una sberla. Il rischio è che quel bambino impari che l'affetto si trasmette con la violenza, fisica o verbale, con il rischio di circondarsi di persone con queste caratteristiche, oppure che diventi lui stesso un adulto e un padre che, per dimostrare il proprio affetto, assume comportamenti violenti. Questa è la famosa catena della povertà: tutti noi riportiamo sugli altri quello che abbiamo imparato. Come avviene l'allontanamento? Quando l'allontanamento avviene in maniera consensuale, viene preceduto da una fase di preparazione del bambino che viene fatta assieme ai genitori. Quando non è consensuale l'attenzione primaria è sempre sul bambino, quindi anche la scelta del luogo dove questo avviene ruota attorno a lui. 11
Tante volte avviene a scuola perché è un luogo normale, dove il bambino ha una rete di relazioni con insegnanti ed educatori che lo conoscono, verificando se c'è magari un insegnante di cui ha più fiducia e che lo possa accompagnare dal punto di vista affettivo in questo momento difficile, anche solo prendendogli la mano. Ovviamente il bambino si sente più sicuro parlando con una persona di fiducia piuttosto che con uno sconosciuto, anche se è un assistente sociale o uno psicologo. Per accompagnare i bambini in questi primi momenti ci sono attenzioni anche semplici ma importanti? Una possibilità per aiutare il bambino a superare il trauma iniziale consiste nel chiedere ai genitori qualcosa a cui il bambino era affezionato, come un peluche, il suo pigiama, il suo spazzolino da denti oppure chiedere qual è il suo piatto preferito, in modo da farlo sentire meno smarrito in seguito a questa separazione che lo lascia completamente senza riferimenti. Immaginatevi di trovarvi, dall'oggi al domani, a dormire in un letto che 12
non è più il vostro, con persone che non conoscete, senza più nulla che vi appartenga. Perciò si cercano veramente tutte quelle cose concrete che possono far sentire il bambino un po' meno smarrito e un po' meno solo. Lo si fa chiedendo al genitore di accompagnarlo e, se ciò non è possibile, sarà compito dell'assistente sociale coordinare tutte queste azioni, in modo da far avere tutto ciò che è necessario agli educatori della comunità o alla famiglia a cui il bambino viene affidato. I bambini come vivono l'allontanamento e quanto sono consapevoli della situazione in cui vivono? Ogni bambino ha la tendenza a difendere i propri genitori, ma le sofferenze che vivono in famiglia poi porteranno a delle conseguenze nello sviluppo psico-affettivo del bambino stesso. I bambini si confrontano con i compagni e per esempio possono notare che i compagni vengono con la maglietta corta in estate e un maglione in inverno, mentre loro indossano sempre la stessa maglia d'estate e d'inverno. Oppure i compagni vanno a letto alle nove e loro vanno quando vogliono, i genitori dei compagni possono discutere e litigare ma non arrivano mai a farsi del male o fare del male ai figli, come magari invece succede a casa loro. Nonostante possano rendersi conto di vivere in un ambiente dove la cura non è adeguata, le regole non sono presenti e i genitori litigano in modo forte, il bambino, la maggior parte delle volte, cerca di giustificare queste situazioni. Come si può aiutare un bambino a comprendere quello che sta vivendo? Se l'allontanamento è la conseguenza di una valutazione basata su dati reali, il bambino, pur soffrendo, capirà e soprattutto collaborerà se gli viene spiegato che qualcuno si prenderà cura di suo padre e di sua madre. È importante spiegare loro con parole semplici le motivazioni di queste decisioni e il bambino in questo modo può pensare ai tanti episodi che ha vissuto e riuscirà a collocare quello che sta accadendo e dargli un senso. Poi, una volta entrati in comunità o presso una famiglia affidataria, i bambini riescono a cogliere le differenze rispetto alla loro situazione precedente e possono comprendere il perché ora si trovano lì. Mi viene in mente la storia di due sorelle che si sono trovate improvvi13
samente sole dopo l'arresto della madre tossicodipendente e spacciatrice. La struttura che le ha accolte si era resa subito conto che la bambina più grande non sapeva dormire sdraiata, nel senso che dormiva sempre seduta, questo per essere sempre pronta ad aiutare la madre che, quando era sotto gli effetti della droga, spesso si addormentava sul divano con la sigaretta in mano oppure cadeva a terra. La bambina sentiva su di sé la responsabilità nei confronti della sorellina piccola e della stessa madre. Quando ne siamo venuti a conoscenza la bambina aveva sei anni, ma certamente viveva da tempo in questa situazione. Si tratta di una cosa banale, però gli educatori hanno impiegato dei mesi per insegnarle a dormire sdraiata e a farle capire che quando si dorme ci si rilassa. Come intervenite con bambini con queste difficoltà? A questi bambini si dovrà spiegare che, mentre loro verranno allontanati, i loro genitori verranno aiutati ad essere i genitori di cui hanno bisogno e che meritano, perché ogni bambino merita una mamma e un papà che si prendano cura di loro. Con il bambino si cercherà di comprendere quali sono i comportamenti che fanno star bene e quali quelli che non fanno star bene. È importante che il bambino si senta compreso, si senta capito, che senta di essere entrato nei pensieri e nelle attenzioni dell'adulto. È importante per tutti noi sentirci nei pensieri dei nostri compagni, insegnanti o colleghi. Quando si instaura questa relazione di fiducia, le esperienze che il bambino ha vissuto diventano uno strumento di lavoro per accompagnarlo in quello che sarà anche una sua ricostruzione. Nei bambini è presente un meccanismo psicologico che li porta a colpevolizzarsi: banalmente quando due genitori si separano il bambino si sente sempre colpevole di questa separazione anche se non c'entra nulla e non cambia se ha cinque o quindici anni. Possono pensare che sia colpa loro perché si sono comportati male a scuola, o perché con la palla hanno rotto lo specchietto della macchina del vicino: sono delle semplificazioni che i bambini fanno perché sentono che tutto il mondo ruota intorno a loro. Quindi è molto importante accompagnare questi bambini a cogliere dei dati di realtà, dando loro un senso, aiutandoli ad inserirli in una cornice che è quella dell'aiuto e della speranza. 14
Come si viene a conoscenza di questi casi problematici? Molte volte sono i genitori stessi che per qualche motivo si rivolgono al servizio, chiedendo un aiuto per svariati motivi. Molte famiglie si presentano per un problema che spesso non riguarda ciò di cui hanno realmente bisogno, ad esempio un divorzio, problemi economici, e spesso, instaurando un rapporto con queste persone, si mettono in luce nuove problematiche. Altre volte a segnalare una situazione di disagio possono essere la scuola, ma anche gli stessi ragazzi, soprattutto della scuola superiore, i quali si rivolgono personalmente all'assistente sociale. Altre volte ancora possono essere il pediatra, il medico di famiglia, psicologi, neuropsichiatri infantili, quindi un po' tutta l'area dei servizi sanitari, compreso il pronto soccorso nel caso il bambino presenti ferite. In un discreto numero di situazioni è l'autorità giudiziaria che chiede al servizio sociale di verificare un'ipotesi di pregiudizio per il bambino. Questo tipo di avvio di rapporto tra l'assistente sociale e la famiglia può essere in salita, nel senso che se noi riceviamo una richiesta dalla Procura siamo legittimati a convocare i genitori ma poi è tutto da costruire. Dobbiamo far capire che possiamo essere uno strumento di aiuto per la famiglia. Se riusciamo a comprendere assieme i problemi, possiamo anche trovare delle soluzioni assieme, perché le soluzioni non sono mai standardizzate, non c'è la medicina X per il dolore Y: anche il medico trova la risposta e la medicina giusta per ogni paziente. Più la persona è consapevole di quello che ha, più la risposta sarà efficace e meno invasiva. In queste situazioni l'assistente sociale ha un doppio compito: quello di verificare ma anche di aiutare, il famoso dilemma tra l'aiuto e il controllo. Pur avendo una richiesta della magistratura, prima di andare a scuola a parlare con gli insegnanti, ad esempio, la famiglia viene avvisata e può anche negare il suo consenso. Allora posso anche scegliere di andare a scuola assieme a loro, perché l'importante sarebbe che anche i genitori si rendessero conto dei problemi che sono in gioco e con loro dobbiamo non solo essere chiari ma averne anche sempre rispetto. I genitori del bambino rimangono sempre loro e questo non lo potrà cambiare nessuno. Anche quando un bambino viene allontanato, i suoi genitori hanno il diritto di essere informati su ciò che riguarda la vita del loro figlio. Parliamo di 15
cose semplici come il ragazzo che vuole cambiare look: prima di portarlo dal parrucchiere chiamo i genitori e questo non è solo un atto formale ma significa riconoscere l'autorità genitoriale. Non possiamo dimenticare che allontanando il figlio abbiamo leso in profondità l'identità del genitore e dobbiamo mettere in atto comportamenti riparativi ed educativi, che in qualche modo lo allenino a prendersene cura perché l'obbiettivo è il cambiamento, è il tornare capaci di essere genitori. Ovviamente stiamo parlando di genitori a cui non è stata tolta la potestà genitoriale, ci sono anche questi casi ma sono i più estremi. I bambini anche se allontanati continuano a vedere i propri genitori? I bambini allontanatati hanno di norma dei rientri a casa oppure dei contatti regolari con i genitori in maniera più o meno flessibile, ma la maggior parte torna a casa il sabato e la domenica. In questi momenti è importante che il genitore si assuma le proprie responsabilità, dimostri di saper passare con i figli momenti di svago ma di seguire, per esempio, gli impegni della scuola. Se il bambino il lunedì torna a scuola senza compiti, bisogna capire i motivi che stanno dietro a queste difficoltà, capire se il genitore riesce a differenziare i momenti ludici da quelli che invece sono degli impegni. Riuscendo a dare un significato a
come “giornalisti”, Prima di questa esperienza o zionasse il mondo dell'affid non avevo idea di come fun ltà le famiglie in diffico e dell'adozione. Sapevo solo che ti sociali per degli aiuti, potevano rivolgersi agli assisten Grazie a quest'occasione mentre ora è tutto più chiaro. ere rto un mondo, ed è bello sap che abbiamo avuto, mi si è ape ragazzi pano di crescere bambini e che ci sono persone che si occu do nel centro d'infanzia come fossero loro figli, ricrean che questi possano sentirsi vere e proprie abitazioni, così Angeli il più possibile a casa. Marianna
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questi comportamenti poi si inizia a crescere, ma noi da soli non possiamo fare nulla. Per questo motivo sono veramente tanti i servizi che ruotano attorno alle famiglie che hanno una sorta di malessere: dai servizi per i genitori, al servizio alcologia, al servizio di psicologia, ma anche il consultorio e tutti i servizi per il bambino quindi la neuro-psichiatria infantile, psicologia clinica, gli insegnanti di sostegno, centri diurni. Le famiglie affidatarie come riescono ad affrontare tutte le difficoltà legate al loro compito? Queste famiglie sono scelte e preparate da un corso. La famiglia affidataria dà la disponibilità ad accogliere un bambino che ha dei bisogni, ma queste famiglie sanno che il loro sarà un percorso di accompagnamento che andrà di pari passo con un recupero delle capacità genitoriali della famiglia naturale. Si tratta di accompagnare il bambino ad una gioia. Si crea una sorta di percorso in cui la famiglia affidataria mette a disposizione dei bambini le proprie capacità e risorse, poi la gioia di vedere un bambino che sta meglio è veramente grande. Quanto la crisi economica influenza anche questo settore? Ci troviamo in una situazione di ristrettezza economica che investe anche questo settore, nel senso che non sempre gli enti locali (Comuni, Comunità di valle, Province) hanno i soldi per pagare le strutture in cui vanno i bambini. Per dare delle cifre concrete: un giorno in una struttura per un bambino può arrivare a costare più di cento euro e se moltiplichiamo per trenta bambini, le cifre diventano importanti anche per l'ente pubblico. L'affidamento familiare viene supportato con un contributo spese che arriva ad un tetto massimo di settecento euro. Quindi vanno fatte delle scelte, ma è chiaro che la logica di chi pensa a un intervento non è quella economica. La scelta va costruita sulla base dei bisogno del bambino. Quali sono le differenze maggiori tra una famiglia affidataria e una comunità d'accoglienza? Una struttura può rispondere ai bisogni, aiutare a occuparsi di sé e a seguire delle regole, ma il rapporto unico, caldo e confidenziale di una famiglia è minore dentro una struttura piuttosto che in un ambiente familiare. Dipende anche da quanto il bambino ha bisogno di recupera17
re i propri genitori come figura di riferimento o quanto il bambino ha bisogno di costruire il sé psicologico/interno, dipende molto da qual è l'obiettivo in termini di prognosi temporale. Dipende anche dall'età del bambino. Per un bambino di tre anni passare due anni in affido è un periodo veramente lungo per la sua vita e forse una famiglia può dargli quel calore e quel significato che è più facile che resti nella testa del bambino rispetto ad un gruppo appartamento dove degli educatori ci sono e gli vogliono molto bene ma alle sette finiscono il turno. La legge infatti predilige l'affidamento alle famiglie rispetto alle comunità, anche se in realtà avviene un po' il contrario. Questo per vari motivi: anzitutto all'inizio è quasi preferibile che il bambino passi un po' di tempo in una comunità, nel senso che questo non scatena dei conflitti di lealtà che il bambino può avere nei confronti dei suoi genitori o di altri e anche i genitori stessi nei confronti della comunità hanno un atteggiamento più neutrale rispetto a quello che potrebbero avere nei confronti di un'altra famiglia. A meno che non siano affidamenti familiari a parenti: può anche capitare che il tribunale autorizzi una soluzione di questo tipo. Se nella famiglia allargata ci sono buone risorse, il tribunale può affidare il bambino a parenti: anche in questo caso però è richiesta ai servizi una valutazione approfondita della famiglia affidataria.
Anna ANNA BERLOFFA
ASSISTENTE SOCIALE PER LA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO DAL 1983; INIZIALMENTE HA LAVORATO NEI SERVIZI TERRITORIALI NELL'AMBITO DELLA POLIVALENZA, SUCCESSIVAMENTE È STATA IMPEGNATA PRESSO L'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO SEGUENDO LA FORMAZIONE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI. DA ANNI SEGUE, IN QUALITÀ DI SUPERVISORE, ASSISTENTI SOCIALI IN FORMAZIONE. DAL 2003 È DIRETTORE DELL'UFFICIO CENTRO PER L'INFANZIA, DIRIGENDO IL CENTRO DI ACCOGLIENZA DEI BAMBINI, IL SETTORE DELL'AFFIDAMENTO FAMILIARE E IL SETTORE ADOZIONE NAZIONALE E INTERNAZIONALE. DOCENTE DI “METODI E TECNICHE DI SERVIZIO SOCIALE”, AL CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE DELL'UNIVERSITÀ DI TRENTO.
CENTRO PER L'INFANZIA È UNA COMUNITÀ DI ACCOGLIENZA PER BAMBINI CHE SI TROVANO IN SITUAZIONI FAMIGLIARI PROBLEMATICHE, APERTO 24 ORE SU 24, GESTITO DIRETTAMENTE DALLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO. IL CENTRO RISPONDE AGLI OBIETTIVI INDIVIDUATI DALLA CONFERENZA STATO-REGIONI E DAL GRUPPO DI MONITORAGGIO PERMANENTE PRESSO L'OSSERVATORIO NAZIONALE PER L'INFANZIA E L'ADOLESCENZA PER L'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 149/2001, IN PARTICOLARE SULL'ATTIVAZIONE IN OGNI REGIONE DI CENTRI PER IL TRATTAMENTO DELLA CRISI. LA PERMANENZA AL CENTRO È TEMPORANEA E LEGATA ALLA NECESSITÀ DI TUTELARE UN MINORE IN STATO DI ABBANDONO O ACCOGLIERLO IN SEGUITO AD UN ALLONTANAMENTO URGENTE DAL NUCLEO FAMILIARE.
Vuole presentarci il Centro per l'Infanzia? Il Centro per l'infanzia fa parte del servizio per le politiche sociali abitative e si divide in tre settori: l'adozione nazionale ed internazionale, l'affidamento familiare e il centro per l'infanzia vero e proprio. 19
Il settore relativo all'affidamento familiare è seguito da un'equipe multidisciplinare, che si occupa di conoscere e formare le famiglie che si propongono come affidatarie e di abbinarle con i bambini seguiti dal servizio sociale o dal tribunale per i minorenni. Il centro per l'infanzia, invece, è una comunità di accoglienza per bambini piccoli, dai zero ai dieci anni, e si occupa di accogliere i bambini nei momenti di emergenza. Ci riferiamo a situazioni molto complesse, che possono verificarsi in qualsiasi ora del giorno, della notte, di sabato come di domenica o durante le festività. La nostra è una comunità sempre aperta, tutti i giorni dell'anno ed è costituita da appartamenti in cui i bambini vivono una realtà il più possibile vicina a quella di tipo familiare, hanno la cucina, la stanza da letto, il soggiorno e vengono divisi in tre gruppi con tre équipe che si occupano in maniera specifica di loro. All'interno delle équipe lavorano educatori, persone formate specificatamente per lavorare con i bambini, ma anche puericultrici, educatrici preparate per occuparsi dei neonati. Vi sono anche psicologi specializzati nell'età evolutiva, neuropsichiatri infantili, una pediatra, quindi abbiamo molte figure che
si occupano dei traumi che i bambini hanno subito e che fin che saranno accolti nel centro si cercherà di affrontare accompagnandoli in quello che sarà poi il loro progetto di uscita dal centro. Quanto può durare la permanenza dei bambini all'interno del vostro centro? Innanzitutto non si superano mai i due anni, che comunque, per un bambino piccolo è un tempo piuttosto lungo, infatti se voi immaginate un neonato, nel primo anno di vita, compie un'evoluzione di crescita non solo fisica, ma anche psicologica, talmente grande che non si riproporrà mai più nel corso della vita di una persona. Per cui i parametri per decidere la durata della permanenza devono essere fatti in relazione all'età del bambino e in ogni caso dipende dall'autorità giudiziaria, fino a che il tribunale per i minorenni non avrà preso una decisione. Una decisione significa valutare in maniera approfondita, sia le condizioni della famiglia d'origine, sia il bambino e i traumi che può aver subito e le possibilità che può avere di migliorare nel tempo. La fase di valutazione coinvolge più operatori, quelli presenti nel centro, ma anche e soprattutto operatori esterni, che possono essere l'assistente sociale, lo psicologo o lo psichiatra. I problemi che riguardano i genitori di questi bambini sono spesso legati alla salute mentale, all'utilizzo di alcol o alle droghe, problemi che influenzano fortemente la loro capacità genitoriale. Va anche detto che i genitori di questi bambini molto spesso sono stati anche loro bambini che hanno vissuto un'infanzia veramente difficile, in fatto di maltrattamenti e abusi, problemi profondi che molto spesso ha impedito loro di far acquisire una capacità genitoriale. Quindi, fatte queste valutazioni, il tribunale prende una decisione, che può essere il rientro in famiglia, oppure l'affidamento famigliare, dando in questo modo il tempo ai genitori naturali di fare un percorso di miglioramento. Quando il bambino soffre di problematiche troppo forti per entrare in una famiglia, si può decidere l'inserimento in un'altra comunità, dove può esserci una progettualità gestita da figure educative piuttosto che da figure genitoriali. Nelle situazioni ancora più gravi il tribunale può decidere per l'adozione e ciò comporta la chiusura definitiva nel rapporto tra il bambino e la famiglia d'origine. 21
Quindi la permanenza dei bambini nel nostro centro è legata a questo percorso, che è giudiziario ma anche di tipo valutativo: sulla genitorialità, sulle problematiche del bambino e sulla possibilità di fornire delle risorse per aiutare questi genitori. Vi è un modo diverso nel rapportarsi con i bambini in base all'età? Certamente, se pensiamo per esempio ai piccolissimi, zero dodici mesi, si cerca di creare un ambiente molto “soft” con l'attenzione anche ai suoni, per creare una condizione più possibile delicata e che li possa proteggere in questo momento così particolare della loro vita, dando una vicinanza da parte dell'educatore molto stretta. I nostri parametri sono comunque di un educatore ogni due bambini, questo perché sappiamo che è estremamente importante creare un rapporto più possibile individualizzato, quindi non è la situazione di una scuola materna o un nido, dove c'è un' educatrice ogni dieci/quindici bambini, qui siamo in una situazione totalmente diversa, dove la relazione educativa che si viene a creare è molto vicina ad una relazione quasi di tipo famigliare, uso il quasi perché non sarà mai come una relazione famigliare. Il fatto che i bambini vivano assieme diviene per loro un sostegno, si aiutano a vicenda? I bambini creano proprio delle relazioni quasi di fratellanza, nel senso che condividendo un'esperienza che non è facile, spesso si creano delle relazioni affettive molto forti. Vivono anche delle relazioni complicate, nel senso che non vanno sempre tutti d'amore d'accordo, ma questo succede anche tra fratelli, a prevalere sono però le relazioni affettive e succede che quando arriva un bambino nuovo i bambini che sono già in gruppo lo accolgono spiegandogli un po' com'è il loro appartamento, dove ci sono le cose... È veramente un'esperienza molto positiva, perché chi meglio di un altro bambino può fare questo tipo di accoglienza che è proprio vicina ai sentimenti che in quel momento il bambino che arriva sta provando. Ma non è un rischio per un bambino che magari ha subito un trauma e dopo aver creato legami molto forti con altri bambini venire poi affidato ad una famiglia? Qui i bambini non rimangono a lungo, c'è sempre movimento e queste situazioni avvengono di sicuro. Il discorso è molto complesso e riguar22
o ciò e funzionasse l'affido e tutt Non ho mai capito bene com o del tutt positiva, non mi ero fatta un'idea che ci stava intorno, però za ho cambiato idea. invece facendo quest'esperien una famiglia affidataria, Vedendo con i miei occhi ia normale, differente da una famigl non ci ho trovato nulla di idata, affidatari e un bambina aff non ho visto due genitori ia. igl gono una fam ma tre persone che compon i genitori si fida ciecamente dei suo Ho visto una bambina che bina idatari che aiutano la bam affidatari e dei genitori aff naturale ia ci sono nella sua famigl a superare i problemi che sereno alla bambina. e che danno un appoggio a
Nicole Lon
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da proprio il rapporto di attaccamento e di separazione che fa parte della vita di tutti noi e che in una situazione come questa viene enfatizzato. I bambini vivono un'esperienza di separazione dalla propria famiglia che per quanto sia problematica è sempre la loro famiglia e a cui va portato un grande rispetto. Qui poi vivono nuove relazioni, con gli educatori e con gli altri bambini da cui poi si dovranno separare. In questo cerchiamo di seguirli con molta attenzione, soprattutto con l'aiuto degli psicologi che lavorano con noi e che accompagnano i bambini in questo percorso, aiutandoli ad elaborare l'esperienza di separazione che comunque andranno a vivere, ma che noi speriamo sia quella che poi porterà a una vita, diciamo migliore, magari tornando anche nella loro famiglia. Sui giornali si parla spesso di affido, secondo lei se ne parla in modo appropriato? Si tratta di un terreno particolare, si parla di un argomento difficile che colpisce i sentimenti di tutte le persone, perché quando si parla di separare i figli dai genitori tocchiamo un nodo che in tutti noi, credo, risuoni fortemente, in maniera dolorosa, e ci sembra impensabile un'esperienza di questo genere. Questo, ovviamente colpisce l'opinione pubblica, quindi è un argomento che va a colpire i sentimenti di tutti in maniera assolutamente trasversale. È anche vero però che in questi articoli manca molto spesso la spiegazione del perché avvengono questi allontanamenti e si tratta di situazioni che veramente presentano dei rischi per i bambini e per i ragazzi. Si tratta di situazioni di confine oltre il quale c'è un rischio sia fisico ma anche psicologico per il minore. Rimanere in quella situazione familiare, in quel momento, potrebbe comportare un rischio di vita o comunque un trauma che potrebbe compromettere lo sviluppo psichico di quel bambino. Quindi l'autorità giudiziaria quando agisce lo fa per proteggere in quel momento il bambino o il ragazzo e per capire cosa sta succedendo in quella famiglia, in modo da poter trovare la strada per aiutarli. Diciamo che è una forma di protezione, che dall'altra parte guarda anche a come poter aiutare la famiglia a rendersi ad esempio consapevole dei problemi che sono all'interno. Quando avvengono questi fatti siamo già oltre quel confine di cui dicevo prima, perché pri24
ma di quel confine, se la situazione è conosciuta, già ci sono stati interventi da parte dei servizio sociali o di altri servizi che hanno cercato di aiutare la famiglia proprio ad affrontare quei problemi che potevano comportare appunto un rischio per il loro figli. A volte però questo non è sufficiente, perché la famiglia non accetta questo tipo di aiuto, non ci riesce per tutta una serie di problemi, ma non perché è cattiva. Voglio dire chiaramente una cosa: non esistono genitori cattivi, esistono genitori in difficoltà. Con alcune di queste persone è possibile, magari fin da subito, cominciare un percorso di cambiamento; purtroppo con altre questo risulta molto difficile e quando questa difficoltà si protrae troppo a lungo e il rischio per il bambino o per il ragazzo diventa troppo elevato, è lì che allora avviene questa decisione. Ecco, il riuscire a spiegare bene queste cose, credo che a volte sia mancato in quegli articoli, perché tendevano ad enfatizzare di più questo aspetto della cosiddetta sottrazione del minore dalla famiglia. Quindi come una atto quasi di abuso nei confronti della famiglia, ma anche nei confronti del minore. 25
Poi si è cercato con l'ordine professionale in particolare, ma anche con il contributo dei vari servizi come il nostro, di comunicare anche attraverso delle interviste all'opinione pubblica che forse questi temi vanno visti un po' nella loro interezza, perché se no rischiano di essere non realistici. Sui giornali si legge anche di bambini allontanati per motivi economici. È così? No, non esiste, cancellatelo, questa è propria una forma di strumentalizzazione che colpisce profondamente le persone. Se un bambino viene allontanato dalla famiglia lo si fa perché ci sono altri motivi, che però non si possono dire, l'assistente sociale o il giudice non potrà mai dire questi motivi al giornalista. Si tratta di segreto professionale e di riservatezza della storia personale di quel bambino e di quella famiglia che non si potrà mai dichiarare pubblicamente. Spesso i genitori soffrono di una grande fragilità, che nessun operatore vuole giudicare, ma invece di riconoscere i problemi reali risulta molto più comodo utilizzare il discorso economico. Soprattutto nella nostra provincia, abbiamo ancora molte risorse che vengono messe a disposizione per aiutare le famiglie. Ve lo posso assicurare certe situazioni raccontate sui giornali non esistono. Abbiamo letto che il Trentino sia dopo la Liguria la provincia dove c'è il maggior numero di allontanamenti. Come si spiega questo dato? Si spiega capovolgendo la cosa. Ci sono regioni che hanno risorse economiche investite nel sociale bassissime ma non perché non ci siano problemi ma perché non ci sono gli investimenti. Nella nostra realtà c'è un'organizzazione molto radicate sul territorio che esprime una grande capacità di cogliere i problemi e c'è anche la possibilità di offrire delle risposte. Ci possono essere dei numeri che possono stupire o preoccupare, questi numeri indicano la capacità di offrire interventi e progetti di aiuto che possono arrivare anche all'affidamento, ma non si tratta sempre di azioni coercitive ma possono avvenire anche con il consenso delle famiglie che sentono di non riuscire ad occuparsi del proprio figlio nel modo più adeguato e accettano di entrare in un progetto d'aiuto anche con l'accompagnamento di un'altra famiglia. I dati possono essere letti in modi molto diversi e dipende da come vengono letti. 26
Michela MICHELA DI PAOLO
LAVORA DA DODICI ANNI COME ASSISTENTE SOCIALE, NELL'AMBITO DELLA TUTELA MINORILE, FATTO SALVO UN ANNO E MEZZO IN CUI SI È OCCUPATA DI ANZIANI. HA OPERATO COME ASSISTENTE SOCIALE DI TERRITORIO E DA PIÙ DI QUATTRO ANNI LAVORA PRESSO L'EQUIPE MULTIDISCIPLINARE PER L'AFFIDAMENTO FAMILIARE DEL SERVIZIO POLITICHE SOCIALI DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO. DA ANNI SEGUE ASSISTENTI SOCIALI IN FORMAZIONE NEI PERCORSI DI TIROCINIO CON L'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO. È IMPEGNATA INOLTRE COME CONSIGLIERE PRESSO L'ORDINE REGIONALE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI DEL TRENTINO ALTO ADIGE DALL'OTTOBRE 2009.
EQUIPE MULTIDISCIPLINARE PER L'AFFIDAMENTO FAMILIARE L'EQUIPE È UNO DEI SOGGETTI PREPOSTI ALLA REALIZZAZIONE DEL PROGETTO E ALLA RIQUALIFICAZIONE DELL'AFFIDAMENTO FAMILIARE NEL TERRITORIO PROVINCIALE, INDICATO DALLA NORMATIVA LOCALE E NAZIONALE, L. 149/2001. L'EQUIPE SI OCCUPA DI:
PROMOZIONE E SENSIBILIZZAZIONE DELL'AFFIDAMENTO CONOSCENZA E VALUTAZIONE DELLE PERSONE E FAMIGLIE CHE SI PROPONGONO PER L'AFFIDO
ABBINAMENTO TRA FAMIGLIA AFFIDATARIA E MINORE SOSTEGNO ALLA FAMIGLIA AFFIDATARIA E AL MINORE, ATTRAVERSO MOMENTI DI GRUPPO E INDIVIDUALI
LAVORO INTEGRATO CON I SOGGETTI ISTITUZIONALI SIA PUBBLICI CHE PRIVATI
Come vengono scelte le famiglie affidatarie? Per divenire genitori affidatari non vi sono limiti di età, possono chiederlo coppie sposate o conviventi, ma anche single. Le famiglie devono seguire un percorso di valutazione, composto da varie fasi. Vi sono appuntamenti con l'assistente sociale e lo psicologo per capire l'orienta27
mento e la motivazione delle persone, vengono svolti dei test per capire l'attaccamento che le persone interessate hanno avuto come figli e che potrebbero proporre con il bambino in affido, vi è poi una visita domiciliare per capire il contesto di vita e per le famiglie che hanno già dei figli è importante capire anche cosa ne pensano loro. Vi saranno poi ulteriori incontri, per giungere ad una valutazione finale. Una volta iniziato l'affidamento, le famiglie lavorano in collaborazione con i servizi sociali, con la nostra équipe, con il tribunale, in un lavoro quotidiano di condivisione tra i vari soggetti coinvolti. L'affidamento è un evento pubblico, sociale, non può essere considerato un qualcosa di privato. Per questo, fin da subito, mettiamo assieme alcune famiglie per far capire loro che si lavora e ci si confronta di continuo sul tema e non si è mai soli. I figli della famiglia che si propone come affidataria sono sempre d'accordo? Non sempre, perché magari i figli hanno bisogno di avere i genitori tutti per sé. Mi è capitato con una ragazza di venti anni che è scoppiata in lacrime, non era il capriccio di un bambino, ma il disagio di una ragazza grande. Poi abbiamo ragionato con i genitori e si è concluso che era un periodo particolare per la vita della figlia e quindi hanno deciso di fermarsi. Perché è importante capire il rapporto che queste persone avevano con i propri genitori? 28
È fondamentale, nella valutazione delle famiglie è un passaggio molto importante. Ricordatevi che si tratta di bambini che hanno subito dei traumi di varia entità e di varia natura, bambini che hanno la necessità di trovare in una famiglia affidataria un contesto che possa “sposarsi” con la propria storia. In questo modo possiamo capire meglio con quali situazioni è più opportuno che una famiglia si confronti. Voglio chiarire che in questi momenti di valutazione non stiliamo una classifica, non dividiamo le famiglie in buone e cattive, famiglie di serie A o di serie B. Non esistono liste di attesa, esistono le famiglie. Quello che cerchiamo non sono i “supereroi”, ma le famiglie normali perché i bambini hanno bisogno di normalità. Ogni famiglia ha le sue difficoltà, l'importante è come la famiglia supera queste difficoltà, la capacità di far fronte a dei momenti di criticità, la capacità di confrontarsi con gli altri e questo significa chiedere molto alle famiglie. A fine del percorso non diciamo: “Grazie e arrivederci, vi chiamiamo quando abbiamo trovato il bambino giusto per voi”. No, nel momento in cui finisce il percorso le famiglie sono chiamate a partecipare ai nostri gruppi di sostegno. I gruppi sono gestiti dagli assistenti sociali o dallo psicologo dell'équipe, uniscono famiglie che hanno già un bambino in affido e famiglie che stanno ancora aspettando, perché tra la sola teoria e l'esperienza vissuta vi è una grande differenza ed in questo si può fare un vero “bagno di realtà”. La cosa ancor più interessante è che nella stanza a fianco a questa ci sono i figli, le famiglie infatti vengono con i propri figli, naturali e affidati e li dividiamo in gruppi per età. I bambini non rimangono da soli, vengono gestiti dalla psicologa dell'età evolutiva o dalla neuropsichiatra e dalle educatrici. I bambini quando vengono qui sanno di venire con un obiettivo specifico, sanno che non vengono a una festa, sanno che si parla di affido. Perché è vero che ci sono anche i bambini piccoli, ma già quando hanno quattro, cinque anni cominciano a parlare di affido e a confrontarsi. Per i bambini è molto importante, soprattutto per quelli delle famiglie che sono ancora in attesa e che in questo modo possono rompere le paure che circondano queste situazioni. Le famiglie naturali e quelle affidatarie si incontrano prima e dopo l'affido? Quando il bambino arriva nella famiglia affidataria, potremmo dire che 29
Grazie al percorso fatto quest'anno con il professor Paternoster, credo di aver imparato più di quanto mi aspettassi. Innanzitutto abbiamo trattato un argomento che solitamente non viene preso in considerazione da adolescenti come noi: si tratta appunto della tematica dell'affido, questione che non viene trattata a scuola, nessuna materia lo prevede. Abbiamo parlato, ma soprattutto approfondito un tema che riguarda i bambini e quindi così ricco di emozioni e sensazioni che i piccoli, soprattutto se messi nella situazione di “vittima”, per forza di cose ti fanno provare. Questo ovviamente ha reso l'argomento piuttosto delicato e anche impegnativo, non di certo da affrontare con superficialità. Ciò che lo ha reso ancora più interessante è il fatto che siamo riusciti ad affrontarlo osservandolo da vari punti di vista. Abbiamo parlato con gli assistenti sociali, con un avvocato minorile e con altre figure che devono essere prese in considerazione in queste situazioni. Devo ammettere che ciò che mi ha colpita maggiormente è stato l'incontro con l'avvocato. Mi ha affascinata il modo in cui questa giovane donna cercava di spiegarci i diritti dei bambini maltrattati, di come lei non è solo quella figura che li difende in tribunale ma anche colei che li ascolta, li segue e cerca di capirli. Pensando al mio futuro, per esempio, il lavoro di avvocato minorile potrebbe essere un mestiere che prenderei in considerazione. Riuscire ad aiutare le persone e in particolare i bambini, ancora così piccoli ed indifesi da non rendersi conto di ciò che gli sta capitando, mi fa capire come le ingiustizie riescono a colpire anche creature così innocenti e quanto questo per me è ancora così difficile da accettare.
Elisa Marchetti
porta con sé una “valigetta”, con dentro la sua storia e i suoi genitori naturali, per cui bisogna essere aperti ad accogliere il bimbo ma anche la sua famiglia. Anche per questo è importantissimo che le famiglie si incontrino prima ancora che cominci l'affido e l'incontro viene fatto con la presenza dell'assistente sociale e alcuni rappresentanti dell'equipe. Solitamente le famiglie sono agitate, tese e possono avere paure e sospetti reciproci, ma per la mia esperienza non è mai successo nulla di catastrofico; anche i più duri e difficili genitori naturali che sono contro la decisione del tribunale, si incontrano in maniera educata con la famiglia affidataria, a volte qualcuno ringrazia e saluta con una stretta di mano. Questo momento, che avviene qui all'équipe, è uno dei momenti emotivamente più delicati, puoi osservare i loro sguardi, come si muovono ed è sempre un momento molto toccante, soprattutto quando succede che i genitori naturali presentino al figlio la famiglia affidataria come degli amici con cui il bambino andrà a vivere per un po'. Nel caso si instauri un rapporto molto stretto tra ragazzo e genitori affidatari, come si gestisce il ritorno nella famiglia naturale? Il ritorno in famiglia non è mai una cosa immediata dall'oggi al domani. Solitamente è un percorso che passa attraverso tutta una serie di passaggi. Se c'è in mente un rientro del bambino ci saranno degli incontri più frequenti con la famiglia d'origine, dalla visita di un paio d'ore si arriverà alla mezza giornata, poi alla giornata intera, al fine settimana, fino a quando gradualmente il bambino rientrerà in famiglia. È chiaro che per quanto riguarda gli affetti, si tratta di un lavoro che facciamo fin dall'inizio, non possiamo pensare di lasciare le famiglie sole a gestire questa situazione. Iniziamo da quando vengono qua per la prima volta a parlare e non sanno neanche che cosa sia l'affido, lavoriamo sulla temporaneità e sul concetto di attaccamento e separazione. Va però detto che in realtà i legami tra famiglie affidatarie e i ragazzi sono molto forti e restano per sempre. Vediamo ragazzi grandi che sono ritornati con la propria famiglia o che vivono autonomamente, ma i loro genitori affidatari restano sempre un punto di riferimento. Se invece i genitori affidatari non riescono a gestire il ragazzo? Allora, queste sono situazioni molto rare ma possibili. Come dicevo prima, le famiglie non vengono lasciate sole. La famiglia affidataria viene 31
qui una volta al mese per gli incontri con le altre famiglie, abbiamo incontri individuali per verificare come procede l'affido, si fanno incontri allargati, con l'assistente sociale del territorio, magari con lo psicologo o la psicologa che segue il bambino, piuttosto che l'educatore che fa gli incontri tra bambino e famiglia naturale, per cui gli impegni sono veramente tanti. Ma al di là degli impegni, quando ci sono problemi o situazioni di difficoltà, ci vediamo, ne parliamo e ne discutiamo. Quindi arrivare a situazioni estreme, in cui si deve interrompere anticipatamente l'affido, è molto raro. È successo, non lo nego, ma questo non tanto perché la famiglia non fosse abbastanza brava, come dicevo cerchiamo famiglie normali, ma perché magari le problematiche del bambino sono tali per cui risulta più idonea una comunità di accoglienza dove ci sono degli educatori preparati professionalmente. Nella scelta della famiglia si tiene conto del parere del bambino? Certamente ascoltiamo il bambino, ma non può essere lui a decidere, significherebbe caricarlo di responsabilità troppo grandi. Nei casi in cui è il tribunale ad aver stabilito che è necessario l'affidamento famigliare, oltre alle informazioni che riceviamo dagli assistenti sociali, abbiamo bisogno di conoscere i bimbi in modo diretto e in relazione anche ai loro genitori, per capire che tipo di famiglia è più opportuna per loro. Non esistono graduatorie, non ci sono liste, ci sono i bambini. Quando arriva la richiesta del tribunale, prima conosciamo la storia e i bisogni del bambino, poi vediamo quale famiglia è più adeguata: magari è un bambino a cui serve una coppia con dei figli, magari non troppo piccoli o non troppo grandi, oppure dei genitori giovani... ci sono tante variabili da valutare. I bambini possono rimanere nella famiglia affidataria fino alla maggiore età? Negli anni '80 si è istituita la legge sull'affidamento famigliare e molti di questi ragazzi rimanevano nella famiglia affidataria fino alla maggiore età, nel 2001 è stato introdotto il limite dei due anni, in modo tale da spingere a costruire una progettualità in vista di un rientro nella famiglia naturale. Allo scadere dei due anni il tribunale dopo aver convocato tutti, genitori naturali e affidatari, servizi vari può decidere di prorogare per altri due anni. 32
Con la maggior età tutto dovrebbe terminare, ma abbiamo ragazzi che vivono con la famiglia affidataria anche dopo i diciotto anni, sono loro a chiederlo e la famiglia è felice di accoglierli ancora. Questi bambini come riescono a vivere con due famiglie? Questo è il grosso lavoro che fanno i ragazzi in affido e non è facile. Pensate solo alla scuola, magari quando parlano della loro mamma gli altri bambini gli chiedono: “la tua mamma vera o la tua mamma finta?”. È un lavoro impegnativo, provate voi ad avere due mamme e due papà, ad avere cinque fratelli, due da una parte e tre dall'altra. Esiste poi anche quello che in psicologia viene chiamato “conflitto di lealtà” per cui il bambino non sa più se stare dalla parte dei genitori naturali o da quella degli affidatari e magari pensano che se vogliono troppo bene al genitore affidatario fanno un torto ai genitori biologici e viceversa, hanno un po' la sensazione dalla doppia appartenenza. Questo è il nostro lavoro e questo è il motivo per cui siamo in tanti a lavorare, perché ognuno fa il suo pezzetto e ognuno in base alla propria professionalità aiuta i bambini a convivere con le famiglie. Ci sono bambini che chiedono alla mamma affidataria: “Perché non sono nato dalla tua pancia?” 33
Chiara
Chiara CHIARA PONTALTI
AVVOCATO ISCRITTO ALL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TRENTO DAL 2004, SI OCCUPA PREVALENTEMENTE DI DIRITTO MINORILE, IN AMBITO PENALE E CIVILE. SIN DALL'INIZIO DEL PERCORSO PROFESSIONALE HA PERFEZIONATO LA PROPRIA FORMAZIONE IN AMBITO MULTIDISCIPLINARE, SIA ATTRAVERSO LA FREQUENZA DI CORSI DI AGGIORNAMENTO, VOLTI ALLA DIFESA DEI MINORENNI E DEI SOGGETTI DEBOLI, SIA ATTRAVERSO L'ATTIVITÀ DI CURATELA E TUTELA LEGALE.
Prima di tutto chi è l'avvocato ed in particolare l'avvocato minorile? È una professione in difesa dei diritti di tutti e nel mio caso soprattutto dei diritti dei minori. Per diventare avvocato è necessario conseguire la laurea in giurisprudenza, a cui devono seguire due anni di tirocinio presso uno studio legale. Al termine di questo percorso è necessario sostenere l'esame di stato che consiste in uno scritto e in un orale; lo scritto viene passato da circa il 20% dei partecipanti, quindi c'è una grande scrematura. Poi è necessario iscriversi all'albo professionale, dimostrando di non aver mai avuto precedenti penali e prestare un giuramento in cui si afferma di adempiere alla professione con onestà e dovere. A questo punto abbiamo il titolo di avvocato e possiamo esercitare, però non abbiamo ancora una competenza specifica che ci permette di occuparci veramente di una materia e diventa necessario specializzarsi. Personalmente ho scelto il diritto minorile e questo comporta la conoscenza di altre materie che non siano solo il diritto, come la pedagogia, la sociologia, la psicologia. Tutte materie necessarie per capire il modo di ragionare del minore e per cercare di essere loro d'aiuto. Infatti, l'avvocato del minore si occupa sia di difendere i ragazzi che vengono accusati di aver commesso dei reati tra i quattordici e i diciot34
t’anni, ma può anche rappresentare le famiglie nel caso in cui ci sia un allontanamento o un'adozione. Nei casi di allontanamento qual è il suo ruolo e i suoi compiti? Nei casi di allontanamento, i genitori o i parenti naturali del minore, possono rivolgersi all'avvocato per cercare di opporsi, per cercare di dimostrare che i motivi per cui sono stati allontanati i loro figli non erano reali. In questi casi è necessaria una competenza specifica per trattare con tutte le istituzioni che si occupano di queste situazioni, come il tribunale dei minori, i servizi sociali, il centro per l'infanzia ed altri. Inoltre esiste una figura ancora più particolare, che è l'avvocato del minore, definito anche curatore speciale; è una figura un po' strana vista da fuori, perché si fa fatica a pensare che un bambino, magari molto piccolo, possa avere un avvocato. È una figura nuova, introdotta per rispondere al fatto che anche un bambino ha dei diritti da esercitare, anche lui può voler dire la sua. Chiaramente se il bambino ha un'età in cui riesce ad esprimersi, a parlare, interverrà in tribunale, ma ci sono dei bambini troppo piccoli per parlare, perché magari vengono allontanati quando hanno pochi giorni. Questo succede per esempio quando nasce un bimbo da una mamma tossicodipendente, che non ha smesso di farsi o di utilizzare il metadone durante la gravidanza. Il bambino che nasce soffre di crisi dovute all'assenza di droga e questo bambino viene immediatamente allontanato. Ora, chi dà voce a questo bambino? Chi ascolta i suoi diritti? Chi decide se per lui sia giusto andare in adozione o invece pensare che la mamma possa disintossicarsi e magari un domani prenderlo a casa con sé? A fare tutto questo è proprio l'avvocato del minore. Chiaramente non sempre potrà confrontarsi con lui, perché a volte i bambini sono piccolissimi, hanno pochi giorni, però attraverso il centro per l'infanzia, i medici, i pedagogisti, il pediatra, cercherà comunque di capire se quel bambino effettivamente può rientrare in famiglia o ha subito una sofferenza tale per cui è meglio allontanarlo dalla famiglia. Si tratta di situazioni drammatiche. Penso ad un caso di anni fa, che riguardava un bambino di tre anni. Ci troviamo di fronte ad una famiglia ordinaria, il bambino comincia ad andare al nido e poi alla scuola materna, ma le maestre si rendono conto 35
che pur avendo tre anni, rispetto agli altri bambini non riesce a camminare bene, fatica a rimanere in piedi e cammina storto. Si cominciano ad interrogare sul perché a tre anni continui a gattonare, mentre gli altri camminano e corrono. Le maestre fanno un'analisi approfondita e lo portano da un pediatra, il quale si rende conto che ha tutte le ossa delle gambe fratturate. Si tratta di fratture dovute al fatto che quando il bambino era piccolo gli sono state spezzate le gambe. Nessuno lo aveva ingessato e le sue gambine si sono ricomposte male, sono rimaste storte perché nessuno lo ha curato. Voi capite che davanti a una situazione di questo tipo, dove non si sa chi gli ha spezzato le gambe, ma qualcuno di sicuro lo ha fatto, la prima cosa che viene da fare è di toglierlo da dove vive, dai genitori che dovevano accudirlo e controllarlo. Le fratture purtroppo erano tante ed alcune erano fratture da torsione, certamente causate dall'intervento di qualcuno. In un caso come questo penso che per tutti sia chiaro che quel bambino non poteva rimanere dove era cresciuto fino a quel momento. In un caso come questo l'avvocato potrà cercare di parlare con il bambino, senza usare molte parole ma magari facendosi fare un disegno in cui il bambino possa spiegare cosa è successo o riuscirà a farsi raccontare una storia, per capire come sono andate le cose, per ricostruire tutto il suo vissuto. Qui, oltre al diritto, intervengono molti altri aspetti che un avvocato dei minori deve saper far emergere. Come è possibile riuscire a scoprire questi casi, quando magari si tratta di bambini piccoli? Non è facile, i bambini piccoli hanno difficoltà nell'esprimersi, ma spesso riescono a farlo attraverso i disegni. Qualche anno fa è stato realizzato un corso per imparare ad interpretare i disegni dei bambini, io ero l'unico avvocato in mezzo a tanti insegnanti, psicologi, educatori, ma è stato molto utile. Infatti ci sono bambini che denunciano le proprie ansie attraverso i disegni, se per esempio un bambino di quattro anni fa un disegno osceno, vuol dire che c'è qualcosa che non va, perché il bambino da solo non farebbe certi disegni. Diciamo che i bambini a volte sanno darci dei segnali, ma vanno colti e compresi. Anche quando un bambino arriva a scuola con l'occhio nero o con dei lividi, se arriva una volta può anche dirti che è caduto, e ci si può anche credere, ma 36
se la cosa si ripete troppe volte sarà il caso che qualcuno si prenda la responsabilità di andare a vedere cosa succede a casa. Oltre all'avvocato quali altre figure istituzionali si occupano di queste situazioni? Da una parte abbiamo gli assistenti sociali, gli altri istituti come il centro per l'infanzia dove i bambini arrivano una volta allontanati, ma l'anello di collegamento è il tribunale dei minori, che concretamente decide l'allontanamento. Qui a giudicare non trovate solamente il giudice togato: oltre a due magistrati di carriera che hanno studiato diritto, ci sono sempre uno psichiatra o un neurologo, un pedagogista o un sociologo e queste sono le persone che devono giudicare, ma lo fanno sempre con una particolare attenzione alle esigenze del minore. Chi segnala al tribunale le situazioni che possono poi portare all'allontanamento di un minore? Quando un bambino o una bambina si trovano in uno stato di pregiudizio, di difficoltà, chiunque può segnalare questa situazione al tribunale dei minori. Può capitare per esempio di avere un vicino di casa, una famiglia, da dove a volte si sentono delle urla, magari si può chiudere la porta e far finta di niente, ma dal momento in cui si vede un bambino piangere tutti i giorni, uscire di casa con gli occhi neri o arrivare a scuola con le gambe ricoperte di lividi, che io sia un assistente sociale, un avvocato, un magistrato ho l'obbligo di segnalarlo e se sono un cittadino ne ho il diritto. Le segnalazioni al tribunale per i minori possono, ripeto, arrivare da chiunque. Capita spesso che siano gli insegnanti a farlo. Solitamente sono, per essere molto chiari, gli insegnanti di educazione fisica, perché sono quelli che vedono i ragazzi spogliarsi. Allora su bambini di età scolare che fanno fatica a raccontare di essere stati picchiati, e picchiati forte, può darsi che l'insegnante sia quello che vede le gambe nere, che vede le bruciature sulle braccia... e quindi si rivolge al tribunale per i minori chiedendo che si faccia qualcosa in questa situazione. I cittadini non hanno il dovere di farlo, hanno soltanto, come dire, un obbligo etico, morale. Farlo non è facile, vuol dire esporsi, vuol dire mettersi contro i vicini, vuol dire prendere decisioni molto forti. Però credo che a volte, ognuno di noi, debba prendersi la responsabilità, soprattutto su cose molto gravi e avere il coraggio di dire: 37
“Guardate che c'è qualcosa che non va in quella famiglia”, altrimenti facciamo gli struzzi e poi scopriamo che i problemi andavano avanti da anni ma nessuno diceva nulla. Se invece le persone si rivolgono ai servizi sociali, questi, una volta che vengono a conoscenza di un possibile abuso, hanno l'obbligo di portare la denuncia in tribunale e a questo punto diviene difficile fermare questo processo. Per questo motivo prima bisogna verificare quello che si dice, non si può sparare a zero su tutti. Ma quando vediamo, come è capitato a me di vedere, bambini con le braccia martoriate dalle bruciature di sigarette, perché il loro papà quando beve non sopporta che guardino la tv con il volume alto, qualcuno deve avere il coraggio di denunciare queste cose. Quando le segnalazioni arrivano al tribunale dei minori, è lo stesso tribunale che indaga sulle situazioni e cerca di capire come stanno veramente le cose all'interno della famiglia. Le informazioni vengono raccolte innanzitutto dalla scuola, si chiede subito un colloquio con gli insegnanti o con chi possa essersi reso conto della situazione. Poi si cerca di parlare con persone in grado di fornire delle informazioni, per capire se veramente quel bambino o quella bambina sono in una difficoltà reale e non riescono a raccontarlo o se si è trattato soltanto di una lite passeggera in casa e questo non dà luogo a niente. Se le indagini confermano le accuse di partenza, cosa succede? Possono succedere due cose, il tribunale può valutare che non ci si trovi in una situazione preoccupante, oppure può allontanare il bambino e collocarlo in una struttura come il Centro per l'Infanzia o il Villaggio Sos, ma può anche affidarlo ad una famiglia terza. Dobbiamo dire che a Trento abbiamo un numero di allontanamenti molto alti rispetto alla popolazione e che il nostro tribunale è uno di quelli che allontana maggiormente. Abbiamo trovato anche noi questi dati e al Centro d'Infanzia ci è stato detto che la ragione si trova nelle maggiori risorse che abbiamo in Trentino e che permettono di intervenire anche in situazioni che in altre province non possono permettersi. Secondo me non è solo questo, è vero che in Trentino ci sono molte strutture dove i bambini stanno bene, pensate ad esempio a come è organizzato il Villaggio Sos dove ci sono casette che creano delle sorta di micro famiglie. Abbiamo però una percentuale elevata di allontanamenti in proporzione alla 38
popolazione, molti di più che nelle altre regioni. Mi è capitato di andare al tribunale di Milano e situazioni che qui venivano considerate difficili, perché magari c'era una mamma assente o non molto attenta, lì sono considerate quasi ordinarie. Diciamo che loro considerano solo i casi molto gravi, non perché manchino le risorse, ma solo perché cercano di gestire diversamente le situazioni. Quindi non è solo che abbiamo tante risorse. Credo che con onestà anche i servizi sociali lo possano confermare, la soluzione non è sempre prendere un bambino e allontanarlo ma magari aiutare la mamma a diventare una mamma migliore o a tornare ad essere una brava mamma, se no la situazione non la potrai risolvere. Perché dopo due, massimo tre anni, la situazione deve essere risolta. Anche se queste scadenze non vengono sempre rispettate e molte volte vengono prolungate. Infatti ci sono dei bambini che nascono al Centro d'Infanzia, finiscono al Villaggio Sos e quando hanno dieci, dodici anni non li prende più nessuno. I bambini grandi difficilmente vengono presi in adozione o in affido, hanno la loro vita, il loro modo di ragionare ed è difficile che si affezionino a te, tu a quel punto sei un estraneo. Diverso è se vengono dati in affido quando sono ancora molto piccoli. 39
L'allontanamento dalla famiglia naturale è una decisione definitiva? Per l'affido la durata massima di legge è di due anni e poi o il bambino viene fatto rientrare a casa, con la propria famiglia naturale, oppure si passa all'adozione. Se invece la situazione è molto grave, come per i bambini che subiscono violenze fisiche o sessuali, il tribunale può ritenere che sia meglio aprire subito una procedura di adozione e dare loro la possibilità di crescere in una famiglia diversa. Chiaramente è un provvedimento radicale, si tagliano tutti i rapporti con la famiglia d'origine e i bambini dati in adozione vengono spesso spostati geograficamente, non si può pensare che rimangano a Trento con la possibilità di incontrare casualmente i propri genitori. Si tratta di un provvedimento che viene emesso solo quando la situazioni è irrecuperabile. Per questi casi la legge prevede che si possano conoscere le proprie origini al compimento dei venticinque anni, da quel momento se lo si desidera si potrà cercare la propria famiglia naturale, ma prima non è possibile avere nessuna informazione, tranne per casi eccezionali, come la ricerca di un donatore compatibile, per esempio in caso di gravi problemi sanitari. Succede che quando il ragazzo vuole incontrare la sua famiglia biologica questa non voglia vederlo? Succede spesso, soprattutto ai genitori che hanno avuto il bambino molto presto, non c'è un obbligo di essere genitori e di voler bene a qualcuno. Quindi tu hai il diritto di sapere tutti i dati, di sapere che quella è tua mamma o tuo papà e che vivono nel tal paese, ma poi possono anche chiuderti la porta in faccia e questo succede in molti casi. I ragazzi vengono prepararti a sopportare l'idea della “porta in faccia”. Nel caso dell'affido, cosa viene fatto per cercare di aiutare i genitori naturali a poter riavere i propri figli? Il tribunale dei minori emette un decreto che decide l'allontanamento e invita i genitori a seguire un percorso per rivedere i propri errori e per dimostrare la propria volontà di recuperare e di essere dei bravi genitori. Questo percorso viene realizzato per mezzo dei servizi sociali, perché sono loro che tengono i collegamenti tra il bambino che viene allontanato e i suoi genitori. È importante avere un rapporto di collaborazione con i servizi sociali, far vedere che ci si sta impegnando, in modo 40
da ottenere la possibilità di incontrare il bambino. Queste visite avvengono in un luogo apposito dove il bambino incontra i genitori con il sostegno di un'altra persona. Il bambino che è stato allontanato quando era molto piccolo, potrebbe non ricordarsi più di loro e così attraverso giochi o altre attività si cerca di “introdurre” la figura del genitore naturale. Se questo percorso dovesse procedere in modo positivo quali sono i tempi per il rientro a casa dei genitori naturali? Una volta avvenuto l'allontanamento è difficilissimo far rientrare i bambini in tempi brevi, gli assistenti sociali per prassi fanno le relazioni di aggiornamento ogni sei mesi, quindi anche se un genitore dovesse recuperare le sue mancanze o risolvere i suoi problemi, per diverse settimane non succede niente. Per questo è importante che anche il bambino abbia un avvocato che possa ascoltare la sua voce. Quando i bambini sono piccoli, a volte neppure se ne rendono conto, però se pensate ad un bambino di dieci anni, lui ha la sua famiglia, le sue cose, il suo letto, i suoi fratelli e se viene preso e portato da un'altra parte, magari avrà una famiglia più attenta ai suoi bisogni ma non sono i suoi genitori e neppure i suoi fratelli. Non sono tra quelli che reputano che gli allontanamenti vadano sempre fatti, ma è anche vero che con il mio lavoro ho visto delle cose allucinanti, cose che succedono anche nella bella Trento. Si tratta di situazioni che devono comportare almeno un segnale forte per i genitori. Dobbiamo però comprendere che non tutte le famiglie devono essere perfette, ogni famiglia è diversa, ogni persona è diversa, quindi quello che può non andare bene al Tribunale per i Minorenni, magari a quella famiglia va bene. Oggi poi abbiamo una grande diversità culturale ed è molto più difficile giudicare una famiglia buona o una famiglia perfetta, perché ci sono degli equilibri difficili da comprendere dall'esterno. Spesso è molto più efficace aiutarli facendo seguire un corso di ricupero per tossicodipendenti alla mamma o un corso per alcolisti al papà, ma lasciando i bambini a casa. I bambini hanno i loro ricordi, i loro bisogni, pensate anche voi se quando avevate sei anni qualcuno vi avesse preso e tolto dalla vostra cameretta e messo in un posto che non conoscevate, poteva essere anche il posto più bello della terra, ma non era casa vostra. Il cambiamento geografico, 41
anche di pochi chilometri, può voler dire cambiare scuola, entrare in una nuova classe ad anno scolastico già iniziato ed è una cosa difficile. Prima di fare gli allontanamenti bisognerebbe pensare anche a questi aspetti, trovando il modo per fare si che il bambino possa mantenere le proprie radici, il proprio vissuto. Ovviamente non mi riferisco ai casi più gravi, che purtroppo esistono. Per me gli allontanamenti e gli affidi hanno senso quando il bambino è molto piccolo, in questo modo gli si dà una chance per una vita diversa e una possibilità di riprendersi. Se poi il genitore biologico, capisce i propri errori e dimostra di essere cambiato, come curatore del minore posso consigliare che il bambino torni a casa, se invece capisco che la situazione è troppo grave, è meglio dare subito al bambino una vita diversa. Cosa succede quando un bambino vuole stare con la sua famiglia anche se qui viene maltrattato? Avete centrato un punto molto forte. Ad esempio ho visto le lastre di un bambino da cui si riconoscevano le fratture delle sue ossa, mano a mano che vedevo queste ferite ero sempre più certa che il bambino non sarebbe mai e poi mai potuto tornare a casa. Ci sono però anche situazioni in cui la sofferenza non è fisica ma morale, psicologica. Ho rappresentato una ragazzina di otto anni, la mamma passa tutto il giorno a chattare in maniera davvero patologica e il padre non c'è mai, lei è la più grande dei figli e quindi anche se ha solo otto anni deve seguire anche i suoi fratelli. Lei non riesce a gestirli e così va nel panico, uno corre di qua uno corre di là, ha paura che uno finisca sotto una macchina o che qualcuno possa portargli via i fratelli e così vive un grandissima ansia, ma nonostante questo lei dice che quella è casa sua e che quelli sono i suoi genitori. Quando è stata data in affidamento, dove finalmente poteva fare la ragazzina, il pomeriggio poteva fare i compiti, guardare un po' di televisione o andare a giocare e non doveva fare la piccola adulta, lei voleva comunque tornare dalla sua famiglia. Abbiamo provato a spiegargli che in comunità avrebbe avuto altre possibilità e che sarebbe potuta essere più serena, ma scappava tutti i giorni e non possiamo obbligare a stare in queste strutture. Un avvocato in questi casi cosa può fare? Un avvocato prima di tutto deve parlare con chi la conosce bene. Quindi sono andata dalle sue insegnanti 42
delle elementari, dalla pediatra e da una serie di persone che mi dicevano che tutto sommato negli anni le cose non andavano poi così male. Con i servizi sociali abbiamo trovato un compromesso, la bambina andava a scuola e poi invece di tornare a casa e fare la cenerentola per tutti, andava ad un centro diurno dove faceva i compiti e giocava con altri ragazzi, lasciando a sua madre, aiutata da un'educatrice, l'occupazione dei figli più piccoli. La segnalazione di questa bambina è avvenuto per caso e ancora una volta a scuola. Un giorno questa bam-
tra esperienza di interviste Devo ammettere che la nos eressante, i mi è sembrata molto int riguardo l'affido dei minor une nell'interazione ia svelato anche molte lac abb che to fat il nte osta non a questa procedura. tra le diverse autorità legate e quella all'avvocato lla agli assistenti sociali Nelle nostre interviste, que impressa è stato è maggiormente rimasta mi che a cos la ile, nor mi non come istenti sociali e viceversa ass gli va cita ato voc l'av te che spesse vol ma piuttosto un rivale ratore del proprio lavoro, se stesse citando un collabo erso il totale entrambe le interviste è em in a, avi tutt ”; ere batt com “da o (e nient'altro) il bene del bambino/ragazz impegno di svolgere solo da entrambe le parti. Ilaria Segata 43
bina è arrivata a scuola con delle bruciature sui palmi delle mani e si è scoperta che la madre le faceva pulire il pavimento a carponi con il bruschino e la varechina, a mani nude. Per la sua esperienza i servizi sociali sono disposti all'ascolto e a cercare di migliorare? Loro ci provano, ma dipende anche dai singoli, perché sono tantissimi e ci sono le assistenti sociali giovanissime che escono dall'università magari ricche di nozioni ma con ancora poca esperienza sul campo e quelle che ti ascoltano e ti danno una mano senza riserve. Comunque proviamo sempre a lavorare insieme, perché, se non dialoghiamo, a perderci sarebbero solo i bambini. Talvolta gli assistenti sociali, un po' in maniera miope, ritengono che la strada da seguire sia quella dell'allontanato, loro poi fanno una relazione ogni sei mesi ma quello che succede in mezzo spesso deve essere affrontato dall'avvocato. Se un bambino mi dice che vuole tornare a casa io faccio di tutto per aiutarlo e mi è ancora capitato di mettermi contro l'opinione del tribunale dei minori ma ho giurato di difendere quel bambino e di proteggere i suoi diritti e in quel momento io sono la sua voce, le sue orecchie ed i suoi occhi. Il tribunale dei minori come si pone in queste situazioni, chi ascolta? Il tribunale di solito accoglie le richieste del servizio sociale, però ascolta anche l'avvocato del minore. I bisogni di un bambino vengono ascoltati, c'è uno psicologo che può ascoltare i bambini all'interno del tribunale dei minori. Un bambino non viene ascoltato da un giudice che siede in alto sopra di lui, ma viene sentito da uno psicologo dell'età infantile, magari mentre si gioca con lui, in una stanza colorata con tutti i pupazzetti e in queste situazioni può uscire fuori la verità. Se potesse, quali consigli darebbe ai servizi sociali? Il consiglio che darei oggi ai servizi sociali è quello di cercare di fare una prevenzione più a monte. Visto che siamo in Trentino e che i soldi ci sono per tantissime cose (percorsi, affidamenti, ecc), cerchiamo di aiutare i genitori prima che arrivino a spegnere le sigarette sulle braccia, perché a quel punto capisco anche io che bisogna prendere il bambino e spostarlo. Però ci sono delle cose che possiamo fare prima, per aiutare i genitori ad essere più presenti. 44
Cosa vi ha spinto ha scegliere l'affido piuttosto che l'adozione? Abbiamo fatto tutti e due i corsi, sia quello per l'affido che quello per l'adozione, e ci convinceva di più l'affido. Per le adozioni ci sono molte più famiglie che fanno richiesta che bambini adottabili, quindi una famiglia in più che fa richiesta non porta un bambino in più a trovare una nuova famiglia, ma aumenta solo le famiglie in lista d'attesa. Dell'affido invece ce n'è proprio bisogno, i bambini in questo caso sono più delle famiglie che danno la disponibilità. Noi non eravamo una coppia che voleva un bambino a tutti i costi, la nostra vita era già ricca di significato ma eravamo anche disponibili a dare una famiglia a chi non la aveva e quindi ci è sembrata la cosa più ragionevole. È la prima volta che avete in affido dei bambini? Sì, è la nostra prima esperienza. Come trovate questa esperienza? Un casino. Ci sono le difficoltà legate ad avere a che fare con dei bambini e queste ci sono anche quando i figli sono i tuoi, noi però di figli nostri non ne avevamo perciò tutta una serie di cose che avremmo dovuto imparare con dei figli naturali le abbiamo imparate con lei. Poi se sono in affido vuol dire che sono bambini che hanno sofferto e che si portano dietro delle storie anche abbastanza pesanti che devi cercare di accogliere e di curare come sei capace. Nel nostro caso è una bambina grande che ha un carattere già formato e questo non puoi sottovalutarlo. Poi c'è la complessità delle figure che ci girano intorno: la sua mamma e il suo papà, l'assistete sociale che segue il caso, l'educatrice che fa gli incontri con il papà e l'educatrice che fa gli incontri con la mamma e l'educatrice che aiuta con i compiti. Inoltre, periodicamente, facciamo incontri con l'assistente sociale e con i genitori. Il nostro affido è seguito dalla comunità Murialdo, un'associazione che ci segue e organizza incontri tra i vari genitori e incontri di formazione. 45
Perché avete scelto di accogliere una bambina coscienti del fatto che veniva da una famiglia in difficoltà? Perché sapevamo che ne aveva bisogno. Se non venisse da una famiglia che ha delle difficoltà, sarebbe a casa sua felice e contenta. Per l' esperienza che abbiamo noi, per le situazioni che abbiamo visto noi, in Trentino prima che ti tolgano i figli devi veramente combinarne di tutti i colori, altrimenti i bambini non te li tolgono. Secondo lei, quali sono gli aspetti che rendono più sereno l'affido? Quello principale è sicuramente la collaborazione fra la famiglia d'origine e la famiglia affidataria. Nel senso che se le due famiglie vanno d'accordo e soprattutto se la famiglia d'origine permette ai bambini di affezionarsi alla famiglia affidataria, le cose sono molto più semplici. Mentre ci sono tanti casi in cui la famiglia è gelosa e quindi fa di tutto per mettere zizzania fra i bambini e la famiglia affidataria. I bambini quando arrivano hanno bisogno di una famiglia e avrebbero bisogno di attaccarsi anche a te. Riescono a farlo se ricevono il “permesso” dai 46
genitori, altrimenti vivono dilaniati, sapendo che se si affidano a te tradirebbero la loro famiglia. All'inizio Sara faceva fatica, anche se da parte dei loro genitori non ci sono stati ostacoli, lei aveva paura di affezionarsi a noi, perché diceva: “Se io comincio a volervi bene vuol dire che non voglio più bene al mio papà e alla mia mamma e non posso smettere di volergli bene”. Durante il corso di formazione ci hanno spiegato che per quanto in difficoltà possano essere le famiglie d'origine, comunque i bambini hanno bisogno di sentirsi attaccati anche ai loro genitori naturali. Nel nostro caso Sara ha potuto affidarsi a noi senza “tradire” i suoi genitori e adesso riesce a stare in “tutte e due le scarpe” abbastanza tranquillamente. Quando va a trovare i genitori è felice di andare e quando deve tornare è felice di tornare e vive la cosa molto serenamente, anche se in realtà c'è sempre un sottofondo di rivalità. Sara spesso sogna che io e suo papà ci diamo le botte e lei deve aiutare uno dei due a picchiare l'altro. Quindi quest'idea che debba scegliere un papà o un altro c'è ancora, però se nessuno la rinforza, dicendogli per esempio: “Se vuoi bene a lui non vuoi bene a me”, sta molto meglio. Cosa ne pensa della legge che prolunga l' affido per un massimo di due anni con eventuali rinvii? È una cosa molto teorica, nel senso che in realtà gli affidi che durano due anni sono pochissimi, perché le situazioni nelle quali viene scelto di fare l'affido sono talmente gravi che in due anni è difficile che la famiglia riesca a tornare ad essere in grado di occuparsi del figlio. Succede, in casi rarissimi, quando magari la mamma è stata in ospedale per un anno e quando esce può rivedere i bambini. Quando si tratta di problemi sociali, molto spesso queste famiglie vengono a loro volta da famiglie in cui nessuno gli ha voluto bene, nessuno gli ha fatto capire che cosa vuol dire prendersi cura di un bambino e non sono cose che impari in due anni. Oltretutto la legge dell'affido non prevede che i genitori debbano fare un percorso, quindi in due anni può anche non succedere niente o può anche peggiorare la situazione. È rarissimo che dopo due anni i bambini possano effettivamente tornare in famiglia. Nell'adozione la famiglia d'origine e quella adottiva non dovrebbero sapere nulla dell'altra, però se un bambino è in affido per dieci anni 47
da una famiglia e poi per qualche ragione il giudice decide che deve essere adottato, toglierlo da quella famiglia per darlo in adozione ad un'altra sarebbe una tragedia. Quindi in vari casi si sceglie questa possibilità. Tornando alla domanda, in realtà, il procedere di due anni in due anni per i bambini è dannoso, loro avrebbero bisogno di dire: “Io sto qua, ci sto bene e posso considerare che sia una cosa per sempre”. Mentre tu teoricamente devi dire: “No guarda, tu sei qua solo per due anni, poi magari alla fine dei due anni vai da un'altra parte” e soprattutto per i bambini piccoli due anni, due mesi o due ore sono una cosa assolutamente vaga. All'inizio Sara non capiva questa cosa dei due anni, non capiva cosa fare e a chi affezionarsi e così le abbiamo detto che noi ci saremo stati per sempre. Poi ha tempo di diventare grande, di capire ed eventualmente di tornare con la mamma. Per i bambini la questione dei due anni non è utile. Probabilmente è più utile nella testa delle famiglie affidatarie che hanno la consapevolezza costante che potrebbe finire. Dopodiché non è che ti preoccupi, perché devi pensare a cosa devi fare giorno per giorno e non di cosa succederà dopo i due anni. Spesso ci chiedono: “Ma se tornasse a casa dai suoi genitori, voi come stareste?”; ci pensiamo dopo! Come avete inserito Sara nella vostra famiglia e nelle vostre abitudini? Allora, noi non abbiamo figli e quindi è cambiato tutto! Nel senso che prima eravamo una coppia single e ora siamo diventati una coppia con una figlia. Da una parte è stato molto naturale, dall'altra no, perché con l'affido è tutto molto più accelerato di quanto succeda quando ti nascono dei figli naturali. Con i nostri amici non c'è stato nessun problema, con loro abbiamo condiviso la nostra scelta e sanno tutto il percorso. Vi capita di vivere conflittualità con i genitori naturali? Uno dei punti cardini dell'affido è che tu ti occupi dei bambini, dei genitori meno ti occupi meglio è, perché comunque sono dei genitori che hanno dei problemi e se tu ti occupi anche dei loro problemi non ne vieni fuori. Quindi devi concentrati sui bambini e punto. Noi questa cosa la abbiamo fatta serenamente, ci occupiamo di Sara, ogni tanto capita che incontriamo i genitori e abbiamo dei rapporti civili però meno abbiamo a che fare con i genitori meglio è per Sara. 48
Perciò non sentite, diciamo, l'ombra dei genitori? No no, pur con tutte le difficoltà hanno fatto si che questo affido funzionasse. All'inizio poteva succedere che le dicessero cose strane però non lo vedevo come un problema per me, ma come un problema per Sara ed era una cosa da risolvere per lei e non una cosa che a me faceva star male. Quando facciamo degli incontri di supervisione con altre famiglie molte raccontano che hanno problemi con i genitori d'origine e si arrabbiano, la vivono male e ci sono rivalità. Probabilmente dipende anche da come sei fatto e da come si comportano i vari genitori. Per noi non è stato un problema. Crede che la famiglia affidataria abbia anche un ruolo educativo? Eheh, sì sì (risate). Sono domande che probabilmente da fuori vengono naturali, però da dentro tu sei in tutto e per tutto la sua famiglia. In teoria la patria potestà ce l'ha ancora il suo papà però tutte le scelte riguardo a lei le fai tu, condividendole con i genitori, tramite l'assistente sociale. In realtà sei tu il suo punto di riferimento, sia per le scelte grosse ma anche per la vita di tutti i giorni, sei tu che decidi quando va a dormire, sei tu che decidi se può o non può andare fuori la sera. Il porre delle regole, dei limiti, per questi bambini è spesso una novità? Sì, poi dipende da famiglia a famiglia. Nella famiglia di Sara ce n'erano abbastanza di regole, il loro problema era che poteva succedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento, ti svegliavi la mattina e non sapevi bene cosa sarebbe successo. Vi faccio un esempio: spesso alla fine della scuola Sara si chiedeva “ma oggi il mio papà o la mia mamma mi verrano a prendere?”. C'erano dei giorni che non andavano a prenderla, dei giorni che arrivavano un'ora dopo, dei giorni che arrivavano puntuali. Per lei ogni giorno c'era quest'ansia di uscire da scuola e chiedersi: “Ora che cosa succederà?”. In realtà nella sua famiglia forse di regole ce n'erano troppe e in questa famiglia gliene abbiamo date di diverse. Però ci sono altri bambini per i quali le regole non esistono e quindi fargliele seguire è abbastanza complicato. Ci raccontava una famiglia che il loro bambino per sei mesi ha mangiato sotto il tavolo e non c'era verso di farlo sedere sulla sedia. All'inizio nei confronti di un genitore affidatario potrebbe mancare la fiducia necessaria per riuscire a far rispettare delle regole? 49
Semplicemente, grazie a qualche intervista, mi sono fatta un'idea abbastanza chiara e spero corretta, di cosa sia l'affido, di quali siano i problemi principali e anche le soluzioni che si possono trovare. All'inizio del percorso tutto ciò che sapevo sull'argomento derivava da film o racconti, cioè poco o niente, pensavo fosse una situazione terribile: essere strappato dalle braccia della tua, anche se disastrosa, mamma e messo nelle mani di perfetti sconosciuti che fanno tutto ciò solo per denaro o altri assurdi motivi; è questo il messaggio che ti arriva se guardi uno di quei film americani strappalacrime. Tutto ciò posso dire che è falso. La prima intervista che abbiamo svolto era a due assistenti sociali che ci hanno spiegato il loro compito nell'ambito dell'affido, loro agiscono, sono loro che “strappano il figlio alla madre”, in realtà, dopo l'incontro ho realizzato che non è così: loro, nel bene del bambino si accertano che le cose nella sua famiglia avvengano normalmente, se non è così intervengono, ma solo nei casi più estremi ricorrono all'allontanamento. Abbiamo poi intervistato un avvocato che dopo averci raccontato come si diventa avvocato, in particolare minorile, e che lavoro effettivamente svolge con il bambino, ci ha fatto capire che lei è la voce del piccolo e in quanto portavoce agisce solo e unicamente nel bene di quest'ultimo. Per ultimi, ma non meno importanti, abbiamo intervistato una famiglia affidataria con la loro bambina, è stata l'intervista che ho preferito, mi ha aperto gli occhi riguardo all'argomento: le famiglie (che nella mia visione erano “i cattivi che accolgono il figlio per motivi secondari”) vengono accuratamente scelte da psicologi e altri esperti e che, solo dopo aver superato vari test e corsi, ricevono in affidamento un figlio. Il figlio sì, vive una situazione spiacevole, ma con possibilità di ritorno nella famiglia biologica: una visione positiva. In poche parole posso dire che queste interviste mi hanno aperto gli occhi su un mondo per me prima sconosciuto e posso affermare che l'esperienza mi è piaciuta molto.
si Francesca Debia 50
Sì, anche se nel nostro caso ci ha messo pochissimo a fidarsi e quindi anche a stare alle regole che decidevamo noi. Il fatto che quello che veniva detto in casa poi accadeva è stata una cosa che la tranquillizzava talmente tanto per cui lo ha fatto quasi volentieri. Certe volte ho avuto l'impressione che quando ponevamo dei limiti lei si rilassava, capiva che lì c'era un muro e tornava indietro. Qui ha capito che ci sono delle regole, ma che al loro interno c'erano anche delle sicurezze e credo che questo per lei sia stato già da subito molto rassicurante. Che giudizi dà del modo con cui i giornali trattano il tema dell'affido? Per la stampa più casino c'è più sono contenti. Soprattutto si attaccano alla cultura della mamma e del papà, al fatto che tu hai diritto ad avere un figlio e hai il diritto che sia tuo. Poi che sia o meno la cosa migliore per il figlio, questo è secondario. C'è qualcosa che vorrebbe dire a quelle famiglie che magari potrebbero essere interessate all'affido, per aiutarle a farsi un'idea il più reale possibile di quello che significa avere dei bambini in affidamento? Secondo me la strada migliore è il passaparola, conoscere delle famiglie che lo stanno facendo, altrimenti rischi di farti un'idea troppo idealizzata, sia nel bene che nel male. Perché da una parte c'è l'idea che chi sceglie l'affido sia una specie di eroe e poi c'è l'idea che tutto prima o poi possa finire, e questo è l'ostacolo più grosso. Sull'affido la maggior parte delle persone dice: “Sì, ma dopo vanno via”. Quello che hai costruito rimane e anche un figlio a diciott’anni può andarsene in Australia perché sei un pessimo papà, non basta avere lo stesso cognome sulla carta di identità per rimanere. Alla fine la cosa migliore è ascoltare le persone che hanno fatto questa esperienza. Sarebbe bello ci fossero dei momenti in cui parlare ed ascoltare queste esperienze. Sicuramente i corsi che fa la Murialdo possono essere interessanti. Sono dei corsi introduttivi, in cui spiegano come funzionano le cose e ci sono anche testimonianze di famiglie, quindi può essere un modo interessante per cominciare ad annusare questo mondo. È proprio vedendo le altre famiglie che ti rendi conto che è una cosa che effettivamente può funzionare, nel senso che finché non vedi un bambino in una famiglia non riesci a immaginarti che possa realmente affezionarsi a qualcuno che oggi c'è e che domani chissà e che possa nel frattem51
po continuare a vedere la sua mamma. Un giorno Sara ci ha chiesto delle foto con tutti noi assieme ed è tornata con un cartellone fatto con sua mamma. Mettendomi nei panni della madre, all'inizio pensavo fosse una pessima idea, è difficile immaginare che dopo che ti hanno tolto i bambini e li hanno dati ad un'altra famiglia, tu possa fare un cartellone in cui metti delle foto dove loro sono felici assieme, mentre tu sei da sola, in un appartamento che lotti con i tuoi problemi, eppure accade. Questo è un bel segno di una mamma che pensa al bene dei figli. Vuol dire che forse in questo caso questo percorso funziona, anche per la mamma. Può funzionare. Lei ha detto che in Trentino prima che ti portino via i figli devono succedere cose molto gravi, l'avvocato con cui abbiamo parlato diceva invece che nella nostra provincia succede con più facilità rispetto ad altre regioni. Non so, io le esperienze che conosco sono tutte di famiglie con grossissime difficoltà. Perciò in questi casi si tratta di mancanza di intervento, non un eccesso di intervento. Sì, anche perché normalmente gli assistenti sociali hanno troppi casi rispetto a quelli che dovrebbero seguire, quindi di intervenire troppo di solito se ne guardano bene. Quando possono stare via, stanno via. Comunque per un assistente sociale è un casino farsi carico di un bambino, perché quando l'hai tolto dalla sua famiglia devi trovargli un posto. Mi verrebbe da dire che il fatto che in Trentino sia “più facile” che i bambini vengano dati in affido sia un punto a favore. Sicuramente in Sicilia o a Napoli gli affidi saranno pochissimi, ma non credo che la situazione delle famiglie sia migliore, piuttosto i servizi sociali sono messi peggio e finché non lanciano un bambino fuori dalla finestra nessuno si accorge nemmeno che c'è il problema. Mentre in Trentino se ne accorgono un po' prima. Sara non veniva picchiata, non veniva mandata in strada a prostituirsi o a domandare la carità, probabilmente poteva essere considerata una bambina che nella sua famiglia tutto sommato ci stava discretamente, però i buchi e le sofferenze che ha dentro sono enormi. Certo se si considera che solo i gravi traumi visibili sono dei motivi per portarli via, allora sì, anche lei avrebbe dovuto rimanere 52
a casa sua. Però ad esempio all'inizio la psicologa diceva che Sara guardava fuori dalla finestra come se fuori ci fosse una meraviglia, lei era abituata ad andare a scuola e a stare chiusa in casa, per cui quello che succedeva nel mondo di fuori lo vedeva dalla finestra. Non aveva nessun altro tipo di contatto con l'esterno. Qualcuno potrebbe dire che se stai con la mamma va bene tutto, però...
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IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA UN FILM DI JEAN-PIERRE DARDENNE E LUC DARDENNE BELGIO-FRANCIA, 2011
Cyril, appassionato della bicicletta e delle magliette rosse, ha quasi dodici anni e sta vivendo un'adolescenza difficile, aumentata dall'assenza della madre (personaggio che nel film non appare mai) e quella di un padre decisamente immaturo, che dopo aver praticamente abbandonato il figlio in un istituto, venduto la moto e l'adorata bicicletta del figlio, sparisce con l'idea di rifarsi una vita, evidentemente priva della presenza del figlio e trova un lavoro come cuoco in un ristorante. Solo e alla disperata ricerca di un contatto con il padre, Cyril incontrerà Samantha, una giovane parrucchiera bisognosa di dare affetto che dopo aver aiutato il ragazzo a rintracciare il padre e a ritrovare la bicicletta, sarà perfino disposta ad ospitare il bambino nei fine settimana, e infine accetterà di tenerlo costantemente e di crescerlo come se fosse suo, nonostante i comportamenti del ragazzo. Spesso Cyril compie azioni violente e di ribellione (solitamente rivolte contro se stesso) ma in un'occasione si spinge perfino a ferire la stessa Samantha. Cyril, ancora arrabbiato con il mondo e con la sua sfortunata vita, dovrà passare attraverso altri sbagli e altre situazioni pericolose prima di riuscire a scrollarsi di dosso il rancore, e poter tornare, grazie all'aiuto e alla disponibilità di Samantha, alla serenità di una nuova casa e di una nuova vita. Il ragazzo con la bicicletta, ultimo lavoro dei fratelli Dardenne, coppia di registi belga, affronta le importanti tematiche e i comportamenti dei ragazzi problematici e invece che rendere pesante la storia, cerca di soffermarsi su dettagli più estemporanei, come la bicicletta o le magliette rosse, tuttavia non togliendo spessore alle vicende di fondo. ELENA CLAPPA
LA GUERRA DI MARIO UN FILM DI JANTONIO CAPUANO ITALIA, 2005
Diversi personaggi, diverse storie che si intrecciano: Mario, che si vede portato via alla madre naturale per andare a vivere con una donna che non conosce. Giulia, una giovane donna che brama di essere madre, ma che quando ne ha l'occasione non sa da dove cominciare. Sandro, innamorato di Giulia, si trova quasi minacciato dalla presenza di Mario e, implicitamente, lancia un ultimatum alla compagna chiedendole di scegliere tra lui o il bambino. La figura della madre biologica e dei suoi amici ci lascia intendere come Mario vivesse prima di essere affidato. Per ultimi troviamo dei personaggi apparentemente esterni alla vicenda: gli educatori, la psicologa e il giudice del tribunale; dalla nuova famiglia di Mario e da Mario stesso, vengono visti come dei “nemici” da sconfiggere ad ogni costo. Tutte queste storie che si intrecciano ci danno una visione del problema dell'affido, una visione se vogliamo un po' drastica, ma verosimile. Il film, per quanto freddo e duro possa essere, ci presenta una situazione che potrebbe realmente esistere e che molto probabilmente qualche bambino sta vivendo anche in questo momento. Non fa mai piacere vedere un film così, che ti sveglia dal torpore della tua famiglia perfetta e ti fa capire che nel mondo c'è chi sta peggio, insomma, fa pensare. Personalmente, penso che questo film sia un'esagerazione dei problemi che può comportare l'affido, solo in questo particolare non mi è piaciuto, ma nel darci una visione approfondita della situazione trovo che sia fatto bene. FRANCESCA DEBIASI 55
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L’Ordine collabora con la scuola - Michela De Santi Presentazione - Miriam Vanzetta Introduzione - Stefano Paternoster Francesca Ruozi e Zaira Oro Anna Berloffa Michela Di Paolo Chiara Pontalti La famiglia Cinema
Finito di stampare nel mese di Maggio 2013 da Lineagrafica Bertelli Editori S.n.c, Trento
Ordine degli Assistenti Sociali Regione Trentino Alto Adige Kammer der Sozialassistenten der Region Trentino S端dtirol
LICEO SCIENTIFICO
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