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n°13 /2016

QUESTO NATALE REGALA LA SOLIDARIETÀ

Periodico di Eurosystem SpA

il personaggio ANDREA PONTREMOLI

L’innovazione? Costruire ciò che ancora non esiste

incontri con PAOLO SCHIANCHI

Come comunicare nell’era del post-web?

CITRIX ITALIA

Le nuove frontiere dello spazio lavoro

NORDEST SERVIZI

Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano

stories FORTE SECUR GROUP Sicurezza a prova di ERP

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www.aism.it

stile libero BLABLACAR

Convivialità, fiducia e condivisione: gli ingredienti di BlaBlaCar IVAN ZAYTSEV Una vittoria dello sport, oltre i singoli atleti

L’ERA DELLA MOBILITY COSA CAMBIA NELLE AZIENDE E NELLE PERSONE


Noi pensiamo IT perché voi non abbiate pensieri solo risultati

®

tecnologie informatiche

La storia di Eurosystem S.p.A. inizia a Treviso, nel 1979; i nostri esordi incrociano quelli dell’informatica moderna e si legano indissolubilmente all’evoluzione di questo mondo.

per l’impresa

Da allora non esiste stagione tecnologica che non abbiamo attraversato, sempre guidati dalla stessa passione: sviluppare progetti IT che migliorano il vostro modo di lavorare e produrre.

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La nostra offerta comprende: soluzioni applicative (Software gestionale Freeway® Skyline e Freeway® Horizon, Business Intelligence, Crm), infrastrutture informatiche e servizi di assistenza da remoto e on site.

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Via Newton, 21 31020 Villorba (TV)

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Via IV Novembre, 43A 33010 Tavagnacco (UD)

Copyright © 2016 eurosystem spa. Tutti i marchi commerciali sono di proprietà dei rispettivi titolari.

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Siamo un’azienda di consulenza informatica attiva in tutto il Nord e Centro Italia: un team composito di tecnici, ingegneri, ricercatori che lavora al vostro fianco per offrire consulenza, soluzioni e servizi IT a tutto tondo.


EDITORIALE Gian Nello Piccoli Il tema di questo numero è la Mobility, intesa nelle sue vaste e variegate accezioni. E, in una declinazione particolare, i dispositivi, gli strumenti che oggi permettono di essere connessi, per lavoro o altro, 24 ore su 24, generando pareri discordanti sull’impatto di una continua commistione tra virtuale e reale. Recentemente a questo proposito ho letto che Stefano Tresca, il fondatore dell’acceleratore della startup londinese Level 39, in una conferenza internazionale ha detto che due miliardi di persone non hanno un conto in banca e non hanno una carta di credito, ma possiedono uno smartphone. Cinque miliardi di persone scambiano denaro senza bisogno delle banche, raccolgono fondi per il matrimonio o lanciano un’azienda con un cellulare. Per la prima volta nella storia la realtà supera la fantascienza, e nei prossimi 5 anni le nostre vite cambieranno in meglio, o in (molto) peggio, in base alla nostra capacità di adattarci a questa nuova forma di vita mobile. È a questo “movimento” che abbiamo voluto dare spazio in questo numero, mettendo in evidenza un quadro il più completo possibile. Che cosa sta succedendo alle aziende e alle persone? Come si stanno trasformando le relazioni, i modi di raccontarle, e quelli di intercettare il mercato, che poi dalle persone è fatto?

GIAN NELLO PICCOLI Eurosystem S.p.A.

Andrea Pontremoli, AD di Dallara Automobili, parla di un modello di business che, se non si adatta all’unità di misura del momento, il click, è destinato a fallire. Il giornalista Marco Minghetti, esperto di intelligenza collettiva, spiega come il Mobile possa essere utilizzato nella comunicazione interna per migliorare la produttività. Molte sono le opinioni e le interpretazioni che sono emerse da questo numero di Logyn. Quello che pare a noi è che siamo totalmente immersi nella transizione, quella fase di sospensione e di passaggio da uno stadio all’altro in cui ci sono ancora zone d’ombra, e non è netta e definita la divisione tra ciò che di buono e meno buono l’innovazione ha portato. Quali sono i vantaggi della Mobility, quali i rischi a cui andiamo incontro se non impariamo a governare tutto questo cambiamento? Abbiamo provato a raccoglierli qui, e ad offrire spunti di riflessione che possano essere utili agli imprenditori, a chi dipende, a chi è professionista. Perché sono queste, le persone, che poi fanno un’azienda, un servizio, un prodotto. Gian Nello Piccoli 3


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ANDREA PONTREMOLI L’INNOVAZIONE? COSTRUIRE CIÒ CHE ANCORA NON ESISTE

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il personaggio

PAOLO SCHIANCHI COME COMUNICARE NELL’ERA DEL POST-WEB?

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NORDEST SERVIZI “SE TUTTO È SOTTO CONTROLLO, STAI ANDANDO TROPPO PIANO”

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BLABLACAR IL VIAGGIO CONVIVIALITÀ, FIDUCIA E CONDIVISIONE: GLI INGREDIENTI DI BLABLACAR

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IVAN ZAYTSEV SPORT UNA VITTORIA DELLO SPORT, OLTRE I SINGOLI ATLETI

stile libero


incontri con

SOMMARIO 51 spazio a y 51 @EUROSYSTEM.IT

Enterprise Mobility Management

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@EUROSYSTEM.IT

Come meccanizzare il piano principale di produzione

69 stile libero 69 LAVORO Smart Working

CITRIX ITALIA LE NUOVE FRONTIERE DELLO SPAZIO LAVORO

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PRIVACY

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FISCO

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AZIENDA SICURA

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PAROLA DI AVVOCATO

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BENESSERE IN UFFICIO

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NATUROPATA

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ARTE E TECNOLOGIA

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IL VIAGGIO

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SPORT

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CUCINA

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FUMETTI

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3 editoriale

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di Gian Nello Piccoli

6 il personaggio

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ANDREA PONTREMOLI

L’innovazione? Costruire ciò che ancora non esiste

10 focus L’era della Mobility

14 pensare con le STEFANO MORIGGI

18 incontri con 18 PAOLO SCHIANCHI

Come comunicare nell’era del post-web? OSSERVATORI DIGITAL INNOVATION - POLIMI

Sfida economica della Mobility

CITRIX ITALIA

Le nuove frontiere dello spazio lavoro UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Come salvarsi dall’information overload MARCO MINGHETTI

Coinvolgere le community per condividere la conoscenza

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RUDY BANDIERA

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IUBENDA

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macchine!

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Che CRM serve alla mia azienda?

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Vita da Blogger La privacy on line NORDEST SERVIZI

“Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano” HPE

Verso “l’ecosistema data center”

prova di ERP

Mokador: dal dato al chicco: un progetto di BI

Bring Your Own Device Il lavoro al tempo della mobility Intercettazioni attraverso pc, smartphone e tablet Unioni civili, convivenze e “modello matrimoniale” Meditazione: per migliorare ambiente di lavoro e risultati Disintossicazione Reale e virtuale, il confine che non c’è. Parola di artista. BLABLACAR: convivialità, fiducia e condivisione Ivan Zaytsev: una vittoria dello sport, oltre i singoli atleti L’acqua di mare & l’erba voglio La matita di Sue


numero 13

ANDREA PONTREMOLI

L’innovazione? Costruire ciò che ancora non esiste Dora Carapellese

Mobility vuol dire muovere prodotti ma anche conoscenza Dj di sera e ingegnere di giorno, Andrea Pontremoli segue le sue passioni e diventa il numero 1 nel suo campo. Il suo modello di business: un sistema aperto che permette di far entrare le competenze e distribuirle. La conoscenza la considera la chiave di volta per la crescita di un’azienda. In questa intervista si racconta con la saggezza della sua esperienza, la stessa che lo ha portato ai vertici di una delle aziende più rinomate nel settore macchine da corsa, Dallara Automobili.

IBM. Da amministratore delegato, ho lasciato tutto per rimettermi in gioco, seguendo la mia passione, anche quella della velocità, delle moto, delle macchine. Sono le mie passioni fin da piccolo, insieme alla musica. Il sabato sera faccio il DJ, ho cominciato a 17 anni. Penso che questa sia la chiave di tutto il percorso, ovviamente sono stato anche molto fortunato, ho incontrato delle grandi persone, da cui ho imparato tanto, l’ultimo è proprio l’ingegner Dallara. Il messaggio che darei ai giovani è trovare al più presto la loro passione

Ci parli un po’ di lei e della sua storia professionale, da tecnico di manutenzione a CEO di IBM, ad amministratore di Dallara Automobili: qual è il valore più grande che ha accompagnato il suo percorso?

Tra le numerose cariche e competenze che le appartengono qual è la sua specialità prediletta?

Se devo riassumere tutto in un elemento, è sicuramente la passione. Sono stato un grandissimo appassionato di elettronica e informatica, per questo sono entrato in 6

La voglia e la capacità di costruire il futuro. Anche in IBM abbiamo costruito cose che non c’erano, che all’inizio sembravano delle utopie. Mi ritengo un costruttore di futuro.


IL PERSONAGGIO Andrea Pontremoli Lei ha portato in Dallara l’informatica in maniera preponderante e a lei possiamo chiederlo: in che modo l’innovazione tecnologica può cambiare davvero un’impresa e le sue persone? L’innovazione tecnologica cambia l’impresa e non si può prescindere da essa. Ma l’innovazione la fanno le persone, quelle che scelgono e che comprano una certa tecnologia. La vera sfida è fare in modo che le persone all’interno di un’azienda possano creare un modello di business con queste tecnologie. Non ho mai visto aziende innovative senza che dietro ci fossero persone che avevano voglia di innovazione.

Da dove nasce secondo lei l’innovazione? Nasce dal confronto, dall’apertura. In IBM avevamo fatto una ricerca su molti pezzi grossi di diverse aziende: solo il 30% dell’innovazione viene dai lavoratori, tutto il resto è esterno all’azienda. Proviene dai fornitori, dai clienti, dalla ricerca. Il futuro è delle aziende aperte. La sfida è usare le tecnologie per aprirsi sempre più al mondo che cambia.

Quando è passato a Dallara, qual è stata la sfida di fronte alla quale si è trovato? Aprire l’azienda. Il mondo delle corse è un mondo di segreti, non si può dire cosa si fa, ma bisogna restare aperti, vedere cosa fanno gli altri. Anche portare l’informatica in questo settore è stata una sfida.

E oggi qual è la nuova sfida che le si prospetta? Oggi abbiamo un modello di business in cui il 50% del fatturato viene dalle macchina da corsa, ma la sfida più grande viene dall’altro settore, quello della consulenza. Il mio competitor è il mio stesso cliente, devo fare in modo di essere più bravo di lui perché resti il mio cliente. Devo reinventarmi restando fedele alle mie competenze.

In questo numero di Logyn parliamo di Mobility. Le auto da corsa Dallara metaforicamente rappresentano questo tema, se intese come tecnologia che accorcia le distanze: la Mobility come sta cambiando le aziende italiane e i loro processi? I processi sono volti a fare efficienza. Mobility vuol dire muovere prodotti ma anche conoscenza. Oggi è più facile spostare conoscenza e spostare cose. In 24 ore posso 7


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Andrea Pontremoli Presidente e amministratore delegato di Dallara Automobili Andrea Pontremoli entra in IBM nel 1980. Assunto come semplice tecnico di manutenzione, percorre la carriera professionale fino ad essere nominato nel 2004 presidente e amministratore delegato IBM Italia. Nell’ottobre del 2007 lascia l’incarico di presidente e amministratore delegato di IBM Italia e accetta una nuova sfida, affiancando l’ing. Gian Paolo Dallara come partner alla guida della Dallara Automobili e assumendo la carica di amministratore delegato e direttore generale. Da novembre 2007, è direttore del “Executive Master in Technology and Innovation Management” presso ALMA Graduate School, Università di Bologna.

Non ho mai visto aziende innovative senza che dietro ci fossero persone che avevano voglia di innovazione.

avere qualunque cosa nel mio ufficio, grazie a internet. Chi riuscirà a usare al meglio queste risorse, riuscirà a crescere. Ma la chiave è il nuovo modello di business che in questo modo viene a crearsi. Con un click si spostano molti oggetti, questo cambia il modo di pensare nell’azienda, che deve sempre più concentrarsi sui propri valori distintivi 8

ma anche restare collegata con tutto il resto del mondo. Le tre competenze che abbiamo come azienda, le stiamo mettendo dentro processi di altre realtà. Il nostro modello si basa sul know-how. Questo sistema distrugge le vendite di posizione, la tecnologia mi dà la possibilità di ridurre incredibilmente la tempistica. Posso dividere il mio processo in tanti pezzi, e concentrarmi su uno.

E quali sono gli ostacoli che le Pmi devono ancora affrontare prima di trarre il meglio dalle trasformazioni in corso? L’ostacolo più grande, secondo me, è la capacità manageriale. Lo vedo sulla mia pelle. Sono stato in una multinazionale e sono diventato il numero uno perché è stata l’azienda a “costruirmi” affinché lo diventassi. Nella piccola azienda è diverso, sei il più bravo dei


IL PERSONAGGIO venditori e diventi il capo, ma non sei preparato a farlo. Le PMI devono compiere uno sforzo in questa direzione, formando chi deve ricoprire certi ruoli. Io stesso, proprio per aiutare le aziende che lavorano con noi, sono direttore di un master post-universitario in Innovation and Technology, volto a preparare i manager di oggi a gestire la nuova tecnologia. Le PMI non ritengono importante questa attività e molte volte non ne hanno il tempo. Ma come faccio a costruire un modello di business se non so che cos’è un modello di business? Il mondo è talmente veloce che in qualsiasi mestiere a volte ci si sente un po’ inadeguati. Lavorare su questo porterà molti benefici alle imprese. Devo avere personale innovativo ma anche manager innovativi. La piccola-media impresa non ha mai avuto questo tipo di priorità, e mette in secondo piano la formazione. Tutti devono essere formati, anche quelli che svolgono un mestiere statico. Chi non si forma continuamente rimane escluso dal mercato.

E lei, invece, come accorcia le distanze nel suo lavoro? In tantissimi modi. Quando pensi hai bisogno di tempo, quando fai hai bisogno di velocità. Ormai ci siamo abituati a fare soltanto. Io cerco di fare più velocemente il mio lavoro, così da avere più tempo per pensare. Ad esempio, invece di andare di persona negli Stati Uniti a parlare con un cliente, con la tecnologia posso risparmiare tempo facendolo telefonicamente oppure online. Ma se, con quello stesso cliente, devo pensare a un nuovo modello di business, ho bisogno di incontrarlo di persona, quindi mi prenderò il tempo necessario per farlo. A volte noi pensiamo al telefono e facciamo le cose fisiche di persona, dovremmo invece fare il contrario.

Quali sono gli elementi che un manager deve avere per gestire un’azienda di successo?

le risponderei che è il territorio dell’Oxfordshire in Inghilterra, dove ci sono Mercedes, Renault, Red Bull. Il nostro territorio è l’Emilia Romagna, con Lamborghini, Ferrari, Maserati… se faccio formazione con loro, se le persone che formo vanno in parte a lavorare per me e in parte per loro, avrò aumentato le competenze del mio sistema territoriale.

Se pensa a quello che sarà la “mobilità” nel futuro, cosa le viene in mente? Sulle automobili, vedo delle auto sempre più green, che si guidano da sole. Poi ci sarà un altro tipo di auto che si guiderà su un circuito, per piacere. Le strade saranno progettate sempre più per la mobilità, sicura e efficiente. Anche il tempo sarà gestito diversamente, per avere la possibilità di dedicarsi alle proprie passioni. Già molte aziende offrono la possibilità di noleggiare auto diverse a seconda delle esigenze che si hanno, pagando una certa somma mensile. Anche al lavoro sarà così: il concetto di mobilità sarà disegnato sempre più sulla persona e non sullo strumento.

I processi sono volti a fare efficienza. Mobility vuol dire muovere prodotti ma anche conoscenza. Oggi è più facile spostare conoscenza e spostare cose.

Quello che ho visto nei manager che considero di successo è la capacità di vedere il futuro e costruire la propria azienda su di esso, non sul passato. Bisogna sempre pensare in prospettiva: di cosa ci sarà bisogno tra dieci anni? Che formazione devo fare per dare alle persone ciò che sarà utile e spendibile tra dieci anni? Nel mondo globalizzato, a mio avviso, la competizione non sarà più tra singole imprese, ma tra sistemi territoriali, che al loro interno abbiano la capacità produttiva, di pensiero, di formazione, che possa nell’insieme costruire un modello di business. Se lei mi chiedesse chi è il mio competitor, 9


numero 13

L’ERA DELLA MOBILITY Cosa cambia nelle aziende e nelle persone Mentre il progresso avanza ci pone nella perenne condizione della transizione. La transizione esige il cambiamento e oggi abbiamo un caleidoscopio di possibilità che impone a sua volta una focalizzazione, se non vogliamo perderci. La Mobility è parte integrante di questo processo; la transizione e il cambiamento non esistono senza movimento. Tutte le aziende investite dal progresso si chiedono come adeguarsi ad un mercato in movimento, ad una cultura che cambia. E quelle che non lo fanno sono destinate a scomparire. Quali sono le evoluzioni a cui stiamo assistendo?

La sharing economy è, per esempio, una di queste; basti pensare al successo della mobilità condivisa, sintomo evidente di una società che passa da egocentrica a mettere in comune. Un altro esempio eclatante è il viaggio condiviso come recupero della convivialità. La Mobility non sposta solo gli uomini, ma anche prodotti e conoscenza. In poco tempo posso avere qualsiasi cosa grazie a internet. Chi riuscirà a usare al meglio queste risorse potrà crescere, anche l’azienda che deve ripensare il proprio modello di business.

Tutte le aziende investite dal progresso si chiedono come adeguarsi ad un mercato in movimento, ad una cultura che cambia. E quelle che non lo fanno sono destinate a scomparire.

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FOCUS L’era della Mobility

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numero 13

La copertina L’ Era della Mobility sta cambiando lo skyline della nostra vita quotidiana, professionale e personale. Ci sembra di essere più reali quando comunichiamo tramite il virtuale, di lavorare di più quando non siamo in ufficio, costruiamo immagini con post e hashtag e raccontiamo storie con una serie infinta di foto. In questo movimento, in cui ancora non è chiara la distinzione tra ciò che di positivo e di negativo l’innovazione abbia portato, persone e aziende rischiano di perdere l’equilibrio. Ma non esiste evoluzione senza sospensione, né crescita senza crisi. Perché mentre il progresso avanza ci pone nella perenne condizione della transizione.

La tecnologia aiuta in questo senso con la nuova definizione dello spazio e del tempo lavorativo. L’ufficio non è più il luogo privilegiato dove lavorare, lo si può fare a casa, in un bar… sempre e ovunque. Da un’indagine condotta da Citrix in Italia emerge che il lavoro in mobilità piace al 70% degli intervistati, e che gli stessi sarebbero anche disposti ad aumentare il numero di ore di lavoro settimanali fino a cinque in più, pur di beneficiare dell’elasticità che lo status di lavoratore mobile garantisce (il 52% del campione lavora già oltre l’orario d’ufficio almeno una volta al mese). Un’esigenza di fronte alla quale l’azienda non può rimanere sorda perché il mercato offre nuove strategie di enterprise mobility che richiedono necessariamente l’integrazione con il proprio business. Queste strategie devono, però, avere una visione a lungo termine, proprio per governare la velocità evolutiva a cui siamo soggetti, e prevedere integrazione. Questo significa che il telefonino deve parlare la stessa lingua di qualsiasi altro device che uso per lavoro. Lavorare per comparti stagni non funziona, non ci sono sinergie e aumento di produttività. Occorre avere un progetto generale per rivedere i sistemi. Effettivamente la Mobility incide positivamente sulla produttività lavorativa? Sì, nella misura in cui si definiscono dei perimetri. La Mobility passa, poi, attraverso la comunicazione, che per essere efficace deve diventare più immediata e veloce. L’uso del visual aiuta in questo. Il mix ideale è tra immagine e parola, il visivo deve essere capace di recuperare la storia dell’azienda legata ad un racconto. Il designer della comunicazione oggi deve sapersi muovere su tutti e due i piani, soprattutto quando entra nella superficie del web in cui il confine si è perso. La corporate identity non deve più essere la ripetizione dello stesso messaggio, ma la declinazione secondo il canale che si sta utilizzando. Ecco che l’azienda oggi non può più esimersi dal cambiare, prima però deve prendere consapevolezza che per rimanere in vita deve modificare e adeguarsi ai numerosi movimenti che la società, il mercato, la vita - in generale - impongono.

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FOCUS

IL PUNTO SU... L’era della Mobility Mobile Economy: quanto vale Fonti:

www.osservatori.net

miliardi

Il valore della Mobile Economy, pari all’1,65% del PIL in Italia.

miliardi

Il valore di mercato che raggiungerà nel 2017, pari al 2,3% del PIL in Italia.

Crescita dei fondi dedicati da imprese e PA per lo sviluppo di soluzioni mobili a supporto dei processi aziendali.

Smart Working*: cosa ne pensano i lavoratori Fonti:

www.tecnologopercaso.com

Significa accedere ai dati e alle app da più dispositivi.

Significa usufruire di procedure di accesso e autenticazione semplificate.

È disposto ad aumentare le ore di lavoro per beneficiarne.

Teme che produca una perdita della dimensione sociale del lavoro.

Lo sostiene sottolineando l’importanza della divisione lavoro-vita privata.

Pensa che la Mobility sia frutto dell’iniziativa dei dipendenti, non di una politica codificata.

Pensa che la Mobility causi diminuzione dello spirito di gruppo e di appartenenza al team.

Utilizza applicazioni di lavoro su dispositivi personali.

7 casi su 10 I dispositivi aziendali non sono utilizzabili dai membri della famiglia.

Pensa che all’interno della propria azienda il lovoro mobile sia sostenuto.

*Ricerca svolta da Ales Market Research per Citrix Italia su un campione di 600 persone (smart worker) diviso equamente tra uomini e donne (rispettivamente 46% e 54%) di età compresa tra i 18 e i 50 anni ed equamente divisi sul territorio nazionale.

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STEFANO MORIGGI

UN BOSTONIANO, LA FIGLIA DEL SENATORE E POKÉMON GO OVVERO, COME LE TECNOLOGIE CI IMPONGONO DI RIDISCUTERE SEMPRE E DI NUOVO IL CONFINE TRA “PUBBLICO” E “PRIVATO” “Sussurrare dentro l’armadio sarà come lanciare proclami dai tetti” - così suonava la (pre)visione apocalittica dell’avvocato Samuel D. Warren. Immaginando un futuro prossimo in cui “la frenesia e la complessità della vita che accompagnano il progredire della civiltà” renderanno sempre più necessario un certo ritiro dal mondo”, il legale 14

di Boston non aveva dubbi nel diagnosticare i sintomi di un’epoca, ormai incombente, in cui le “iniziative moderne” e le “invenzioni”, tramite le “invasioni della vita privata”, avrebbero provocato “danni e sofferenze psicologiche di gran lunga peggiori di quelle che possono essere inflitte per mezzo di un’aggressione fisica”.


PENSARE con le macchine! potuta passare inosservata l’unione, celebrata nella chiesa dell’Ascensione, tra uno sconosciuto rampollo di una benestante famiglia di imprenditori bostoniani e la figlia del senatore Thomas F. Bayard? Un giovane insignificante - così lo etichettò il Washington Post - riusciva a impalmare nientemeno che la figlia di un esponente di spicco del Partito Democratico già candidato alla Presidenza degli Stati Uniti - e destinato, di lì a poco, a essere nominato addirittura segretario di Stato.

Tali preoccupate osservazioni, messe per iscritto insieme all’amico e collega Louis Brandeis in un articolo dal titolo “The Right to Privacy” (e pubblicate sulla prestigiosa Harvard Law Review in data 15 dicembre 1890), sono ormai convenzionalmente considerate l’atto di nascita del dibattito sul cosiddetto diritto “di essere lasciati in pace” (“to be let alone”). Ovvero, della rivendicazione (in termini giuridici) di quello spazio di libertà inviolabile che il pensatore americano Ralph Waldo Emerson (1803-1882) aveva già identificato nel concetto filosofico di “solitudine”. Ma, a ben vedere, non furono solo le riflessioni dell’intellettuale statunitense a ispirare i due rampanti e giovani legali nel voler provare a tutelare a norma di legge “il diritto alla riservatezza” dei singoli individui. Quanto piuttosto un episodio che toccò molto da vicino l’intimità di Warren e che lo fece molto ragionare su come “fotografie istantanee e iniziative giornalistiche hanno ormai invaso i sacri confini della vita privata e domestica, mentre un gran numero di congegni meccanici minaccia di realizzare - appunto - la [sopracitata] predizione secondo cui sussurrare dentro l’armadio sarà come lanciare proclami dai tetti”. Accadde infatti che, nel dicembre 1882, tornato a Washington per le festività natalizie, Samuel Warren si unì in matrimonio con la fidanzata, Miss Mabel Bayard. Un evento che non sfuggì all’occhio sempre più indiscreto della stampa. D’altra parte, come sarebbe

Da quel momento la vita (privata) dei due sposi e delle rispettive famiglie sarebbe stata sempre più oggetto delle attenzioni morbose e invadenti dei mezzi di comunicazione. Dal chiacchierato acquisto da parte di Mrs. Warren di un quadro del ritrattista George Fuller per una cifra di 3.500 dollari fino al discusso secondo matrimonio del senatore Bayard che, rimasto vedovo, nel 1889 si risposò con una donna di vent’anni più giovane. La “solitudine” (e dunque la libertà) teorizzata da Emerson, per i protagonisti di questa storia americana, pareva ormai un miraggio. E fu così, come si accennava, che nel 1890 Warren e Brandeis concepirono l’articolo che, per la prima volta, inquadrava in termini dottrinali un problema che sembrava avere più storia che soluzioni. Se, infatti, il pettegolezzo - come anche il gossip - è una consuetudine le cui origini si perdono nella notte dei tempi; è stata piuttosto la violenta e dirompente irruzione nelle vite dei cittadini (più o meno noti) resa possibile da quei “moderni congegni” a trasformare l’irritazione di un avvocato balzato (suo malgrado) agli “onori” della cronaca, nell’inedita sfida di un’epoca intera. Per dirla con il filosofo Friedrich Engels era in corso un tipico fenomeno di “conversione della quantità in qualità”. Ovvero, l’incremento (in termini quantitativi) del potere dei mezzi comunicazione aveva raggiunto un livello tale da ridefinire (in termini qualitativi) il contesto in cui riflettere sulla distinzione tra pubblico e privato. Da qui l’urgenza da parte di Warren e di Brandeis di ritagliare in una ontologia sociale mutata da una comunicazione sempre aumentata dalla tecnologica norme e regole che avrebbero al contempo tutelato - ma ancor prima descritto - lo spazio e il significato della “privatezza”. 15


numero 13

Non è questa la sede per entrare nello specifico giuridico dei fatti in questione. Quanto piuttosto di sottolineare come la soglia che idealmente separa, qualificandole, la sfera della vita pubblica da quella della vita privata sia da ripensare sempre e di nuovo, tenendo conto di come e quanto le tecnologie ridefiniscano nel corso della storia i modi e i tempi delle relazioni (e delle comunicazioni) interpersonali. Di recente, nel suo Mobilitazione totale (Einaudi, 2016), Maurizio Ferraris notava come la diffusione capillare del web e dei suoi dispositivi abbia dato origine a quella che il filosofo torinese ha battezzato “età della registrazione”. Se, infatti, spiega Ferraris in questa direzione, sino a metà del secolo scorso abbiamo vissuto l’“epoca della produzione” (in cui, appunto, si producevano artefatti) e

a questa sarebbe seguita quella della “comunicazione” (che si sostanzia in una articolata trasmissione “degli ordini”); oggi tutto ciò che viene prodotto e trasmesso “è un documento registrato, destinato a rimanere lì dove si trova e inoltre a circolare per un tempo e uno spazio indefiniti”. Nell’epoca del web ogni cosa - e ogni individuo - lascia traccia indelebile di sé. Il che ci impone una riflessione che va oltre la definizione di un confine, quello tra pubblico e privato. Scrive ancora Ferraris, “ogni contatto sul web produce automaticamente informazioni e documenti sugli utenti”. E quella che si viene creando è pertanto una “indistinzione tra sociale e mediale, tra privato e lavorativo”. Ma se Ferraris ricostruisce puntualmente le tappe fondamentali di questo processo ripercorrendo l’evoluzione - tecnologica e culturale insieme - del telefonino (da quando era solo una “macchina per parlare” a quando è diventato soprattutto una “macchina per scrivere”); con maggiore evidenza si possono rendere palesi alcuni dei tratti distintivi della suddetta età della registrazione esaminando un fenomeno più recente che ha avuto eco e diffusione planetarie: Pokémon Go. Oggetto di critiche e anatemi da più parti, come sistematicamente accade con la comparsa di qualsiasi novità tecnologica, il gioco di Niantic solo da pochi osservatori - in, Italia, per esempio, l’antropologo Marino Niola (http://video.repubblica.it/tecno-e-scienze/ pokemon-go-niola--tra-gioco-e-nostalgia-ci-riportadal-virtuale-al-reale/246901/247010) - ha innescato riflessioni nel merito che sottolineassero, nel bene e

Stefano Moriggi Storico e filosofo della scienza Si occupa di teoria e modelli della razionalità, di fondamenti della probabilità, di pragmatismo americano con particolare attenzione al rapporto tra evoluzione culturale, semiotica e tecnologia. Già docente nelle università di Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine (SEMM), attualmente svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e l’Università degli Studi di Bergamo. Esperto di comunicazione e didattica della scienza, è consulente scientifico Rai, e su Rai 3 è uno dei volti della trasmissione “E se domani. Quando l’uomo immagina il futuro”. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: “Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora. Le streghe prima di Loudon e Salem” (Bompiani, 2004); (con E. Sindoni) “Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero” (Itaca 2004); con P. Giaretta e G. Federspil ha curato “Filosofia della Medicina” (Raffaello Cortina, 2008). Più recentemente (con G. Nicoletti) ha pubblicato “Perché la tecnologia ci rende umani. La carne nelle sue riscritture sintetiche e digitali” (Sironi, 2009); (con A. Incorvaia) “School Rocks. La scuola spacca” (San Paolo, 2011); Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine (San Paolo, 2014). 16 16


PENSARE CON LE MACCHINE nel male, le potenzialità delle tecnologia di cui Pokémon Go è solo una delle prime avanguardie. Da più parti si è gridato alla pericolosità del gioco puntando l’indice con supponenza e distacco contro le orde di ragazzi (e non solo) che hanno invaso Central Park o Piazza del Popolo per catturare Pikachu e le altre creature fantastiche immaginate dalla Nintendo. Dando conto di ingorghi o di incidenti stradali provocati da giocatori scellerati, per molti commentatori si è dimostrato facile e intuitivo individuare nell’ultima frontiera del videogioco un passo ulteriore - e per alcuni decisivo - verso una innaturale e alienante dematerializzazione dell’esistenza. E non è mancato addirittura chi - nella fattispecie mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto - ha incaricato ben due avvocati per valutare gli estremi di una denuncia dal momento che, sostiene il presule, “c’è in campo la sicurezza sociale degli uomini e delle donne da preservare”. A ben vedere qualcuno dovrebbe avvisare Staglianò che i suoi “colleghi” Salesiani del Collegio Maria Ausiliatrice di Bernal (Argentina), estensori di una visione meno tecnofobica e apocalittica, stanno per lanciare Don Bosco Go. In occasione del 201° anniversario della nascita del sacerdote educatore, infatti, hanno inaugurato una “caccia a santi e beati” che impegna i ragazzi durante le ore di svago (http://www.infoans.org/sezioni/notizie/ item/1594-argentina-don-bosco-go-studenti-di-unascuola-salesiana-alla-cattura-di-santi-e-beati). Ma il punto non è questo. Che si vada a “caccia” di santa Maria Ausiliatrice o di Pikachu, ciò che, di questo gioco, meriterebbe più attenzione è il suo essere il primo esperimento di massa di realtà aumentata. Ovvero, di una nuova ontologia dalle potenzialità di sviluppo di cui, appunto, Pokémon Go (o, se si vuole, anche Don Bosco Go) rappresenta solo la punta dell’iceberg. Presto la realtà aumentata - e ben al di fuori della dimensione prettamente ludica - sarà esperienza diffusa e quotidiana. Dovremmo farci i conti, in tutti sensi. Sia imparando a orientarci in un mondo implementato di dati e informazioni che si andranno sempre più a sovrapporre ai segni e ai significati propri della cosiddetta “realtà fisica”; sia diventando consapevoli, una volta di più, che in tale contesto si tratterà di ripensare non solo cosa potrà essere inteso nei prossimi anni come “pubblico” e come “privato” - ma, ancor più radicalmente, quali saranno i confini fisici e digitali che ridisegneranno il concetto stesso di “individuo”.

Rimandando le riflessioni più filosoficamente impegnative a una delle prossime rubriche, l’ambizione di questo articolo è quanto meno quella di sollevare un problema che, come si è visto, ha una lunga storia ma che non ammette una soluzione definitiva e metastorica. La descrizione fenomenologica e la tutela normativa del “privato” si profila come un compito che, lo si è visto, non può trascurare l’evoluzione della tecnologia e dunque l’emergenza di pratiche e consuetudini sociali impensabili per altre epoche. Nell’età della registrazione, oltre a stare attenti per non andare a sbattere contro un palo mentre si insegue Pikachu, occorre altresì diventare consapevoli che i dati sempre più numerosi a cui si potrà accedere grazie a dispositivi più o meno indossabili (wearable) costituiscono l’altra faccia delle informazioni che ciascuno inevitabilmente (ri)lascerà in rete. Come scrive Kevin Kelly, fondatore di Wired Usa, nella sua ultima fatica “The Inevitable. Understanding. The 12 Technological Forces That Will Shape Our Future” (Viking, 2016): “Il futuro sarà un posto immateriale e creativo, dove ogni bene è un servizio e il web si estende nello spazio del pianeta e nel tempo delle nostre vite, rendendo il passato ricercabile a piacimento”. Lungi dall’essere una (pre)visione ingenuamente ottimistica, lo scenario tratteggiato da Kelly - non meno di quello immaginato dall’avvocato Samuel D. Warren centoventisei anni prima - si sforza di far riflettere su come “ogni tecnologia risolve dei problemi ma ne crea altri mai visti prima: i successi tecnologici di ieri (ad esempio il motore a combustione) causano i problemi di oggi (il riscaldamento globale) e le soluzioni tecnologiche di oggi causeranno i problemi di domani”. Un destino cui l’uomo-artigiano, come direbbe Richard Sennet - non può sottrarsi. Ma soffermarsi sul continuo sforzo nel risolvere i problemi è solo un altro modo per richiamare l’attenzione sull’esercizio intellettuale come pratica di emancipazione individuale e di responsabilità sociale. Condividere e indagare in modo spregiudicato e critico le sfide dell’immateriale e della registrazione vorrà dire comprendere e tutelare l’individuo (pubblico e privato) che diventeremo e che ancora non conosciamo.

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PAOLO SCHIANCHI Come comunicare nell’era del post-web? Il design tra parole che costruiscono sguardi e immagini che raccontano storie 18


INCONTRI CON Paolo Schianchi I Millennials hanno già trent’anni, la realtà aumentata sta entrando nella nostra quotidianità, l’immagine domina sulla parola: cosa succede a livello comunicativo? Ne parliamo con Paolo Schianchi, docente Visual communication e interaction design e creatività e problem solving presso l’Università IUSVE – Venezia e Verona. Come si è evoluta la cultura della comunicazione? Da dove siamo partiti e come siamo arrivati alle tecnologie mobili? Partiamo dal fatto che la cultura, il modo in cui noi veniamo a conoscenza delle cose, ha avuto un’evoluzione. Prima orale, poi scritta, poi visiva. Cos’ha creato in noi questo percorso, dal punto di vista cognitivo? Nella prima fase dovevamo ricordare ciò che vedevamo per poterlo raccontare. Le immagini erano dentro di noi. La scrittura ha portato la cultura fuori di noi e la cultura visiva inizia a mescolare le due precedenti: l’immagine è in parte fuori da noi, in parte simbolo da riconoscere e ricordare dentro di noi. Quando abbiamo iniziato a comunicare con le immagini, con la diffusione nel Novecento di fotografia e grafica, abbiamo iniziato a leggere le cose in modo diverso. Dalla fine degli anni Novanta, le immagini sono arrivate in tutti gli elementi che utilizzavamo, internet, computer e oggi i mobile device. Impariamo a conoscere le cose non più attraverso ciò che leggiamo, ma ciò che vediamo. Quando vediamo su Facebook le immagini forti di una strage, immediatamente ci viene alla memoria quello che già conosciamo ma, al tempo stesso, viene passato un messaggio nuovo rispetto a ciò che sta accadendo.

Muoversi ogni giorno pur restando fisicamente fermi in un posto: questo oggi è possibile. Come identifica il rapporto tra i vari device e l’uomo? Credo che in questo momento ci troviamo nella seconda fase del cambiamento. Nella prima, i device ci permettevano di restare fermi in un luogo, la casa o l’ufficio, e essere in collegamento col mondo; oggi con i dispositivi portatili possiamo uscire, ma quando usciamo, per riconoscere il luogo in cui siamo, abbiamo bisogno di collegarci. A cosa serve il selfie? Serve a identificare chi siamo in un luogo. La realtà, per esistere, deve essere resa irreale, cioè portata nella realtà del web. Questa interconnessione tra uomo e riproduzione dell’immagine è diventata la nostra condizione. Personalmente non trovo

sia negativa, è soltanto un modo nuovo di uscire, un modo nuovo di conoscere luoghi.

L’immagine prima di tutto: è questo il motto della società odierna. Come si evita di cadere tutti nello stesso calderone? Questa è una domandona. Spesso la parola immagine, se si arriva da una cultura pre-visiva, è considerata “negativa”, solo apparenza. La nuova cultura visiva ci ha insegnato che l’immagine è una cosa molto più complessa, ricca di layer da interpretare. Una nuova lingua, difficilissima perché ancora non la conosciamo appieno, siamo quasi degli analfabeti. Chi sa già scrivere attraverso le immagini è in grado di farci passare dei messaggi senza che noi ce ne accorgiamo. Molto spesso, a lezione, quando invito i miei studenti a leggere un libro, mi dicono che è lungo; se chiedo di vedere un’immagine, nessuno mai mi chiede quanto è grande. Ma in realtà un’immagine costruita in modo corretto, oggi, è molto ricca, piena di significati tanto quanto lo era una volta il libro scritto. Tra tutta la spazzatura visiva che invade oggi il web, le immagini che bucano sono veramente poche: quelle che possiedono un substrato culturale e visivo che permette di comprendere l’intenzione di chi l’ha costruita.

E la parola? Che fine ha fatto? Secondo me la parola è molto interessante in questo momento, merita di essere studiata. Non è scomparsa, si è semplicemente trasformata. Prendiamo Twitter, dove in 140 caratteri dobbiamo far passare un messaggio. Non possiamo usare la parola a livello descrittivo, ma occorre generare delle immagini visive. La parola viene utilizzata in frasi che rimandano a delle immagini. “Siamo sul baratro”: non stiamo guardando al significato delle parole, ma immaginiamo di trovarci in una situazione pericolosa, la quale rimanda attraverso il contesto a un’altra situazione che ci fa capire cosa sta succedendo. La parola è in completa evoluzione, il significato nuovo della composizione della frase ha cambiato il nostro modo di intendere le cose.

Non crede che l’immagine possa essere sinonimo di una società superficiale, ovvero, incapace di approfondire, di farsi delle domande, di capire che oltre l’immagine può esserci una storia diversa, 19


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[...] un’immagine costruita in modo corretto, oggi, è molto ricca, piena di significati tanto quanto lo era una volta il libro scritto.

Paolo Schianchi, Webcreativity - Creatività e visual marketing post web: Teorie, idee ed esercizi per conoscere e sviluppare la creatività post-web, Flaccovio Dario editore.

anche se il mezzo di espressione non è più la pittura a olio. La maggior parte di quello che resterà di noi nel futuro, sarà costituito da immagini, che per essere capite hanno bisogno di una chiave di lettura. Così come è accaduto con la Stele di Rosetta.

È in forte crescita l’attenzione verso l’immagine virtuale, quella della realtà aumentata. La realtà “vera” non ci basta più! Perché abbiamo bisogno di allargarla? La realtà “vera” dovrebbe bastarci. Possiamo potenziarla per avere nuove informazioni. Ad esempio, dopo l’applicazione della realtà aumentata attraverso il gioco dei Pokémon, sono stati pubblicati degli studi molto interessanti, due in particolare. Il primo sull’applicazione della realtà aumentata da parte del Museo Rubin di New York, che ha iniziato a far conoscere opere del passato attraverso la possibilità di entrare nel museo e scoprire cosa c’è dietro l’immagine, tramite il mobile device. E lo stanno facendo anche gli urbanisti del Nord Europa, stanno studiando attraverso i movimenti della realtà aumentata le abitudini delle persone e la possibilità di sopperire a certe dinamiche, quali la paura. Gli urbanisti hanno cercato per anni di portare le persone nei parchi della periferia, senza riuscirci, ma ci è riuscito Pokémon Go. La realtà aumentata cambia il nostro modo di usare la città. Ovviamente la quotidianità deve avere il sopravvento, la realtà aumentata deve essere al suo servizio.

Qual è la verità oggi?

dei sentimenti, delle persone? Proprio come dice Fernando Pessoa, tutto ciò che vediamo è qualcos’altro, oppure è paura di nascondersi? Torniamo a quello che dicevamo prima. Se consideriamo la civiltà dell’immagine come semplice superficialità della visione, la risposta è sì. Ma se costruiamo l’immagine come un nuovo lessico, a quel punto possono nascere delle cose che narrano la profondità delle persone, l’esperienza delle persone, e possono raccontarci. La cultura dell’immagine in cui viviamo è figlia di tutta la storia dell’arte visiva. Anche davanti a un quadro costruiamo delle storie, perché dietro quel quadro c’è una grande cultura visiva. Possiamo fare lo steso discorso oggi, 20

Dico sempre che la verità è solo la bugia che ci piace di più. Non siamo mai riusciti a trovare una verità “vera”, unica. È tutto una trasposizione di quello che pensiamo sia la verità. L’Undici settembre, ad esempio, è stato uno dei primi eventi a poter essere documentato coi telefonini, e nessuno può sindacare se sia o meno avvenuto, ma poi sono state raccontate milioni di storie diverse a riguardo.

Creatività e visual marketing post-web: in che modo le aziende possono muoversi in questa direzione? Sono assolutamente da tenere in considerazione. Ci tengo a specificare la scelta del post-web, perché significa che siamo già oltre la cultura del web, che è entrata in noi. Usiamo il web senza porci la domanda “perché lo


INCONTRI CON sto facendo”. I nuovi intellettuali sono già immersi nel web. Molti artisti lavorano soprattutto con elementi multimediali, e anche se lavorano con la carta, il pennello, la matita, per dare vita al lavoro devono buttarlo nel web. Come dicevamo prima, per esistere deve essere lì.

ad azzerare la storia, che invece non deve assolutamente perdersi. Tutti i medium a disposizione devono essere utilizzati a seconda delle loro caratteristiche. La corporate identity non deve più essere la ripetizione della stessa cosa, ma la declinazione secondo il canale che si sta utilizzando.

Qual è il design della comunicazione di oggi? Quello che è in grado di essere altamente visivo ma capace di recuperare la nostra storia legata alla parola. Il designer della comunicazione oggi deve sapersi muovere su tutti e due i piani, soprattutto quando entra nella superficie del web in cui il confine si è perso. Potenzialmente un file word è infinito. Siamo noi a decidere quando mettere il punto.

In che modo, secondo lei, un’azienda b2b che vende servizi dovrebbe progettare la propria comunicazione nel tempo del mobile?

Dico sempre che la verità è solo la bugia che ci piace di più.

Anche nel b2b il comunicare deve avvenire dal punto di vista visivo. È fondamentale trasmettere una visione di sé che contenga storia e cultura dell’azienda. Il web tende

Paolo Schianchi Professore di Creativity and problem solving presso IUSVE - Istituto Universitario Salesiano Venezia Paolo Schianchi è riconosciuto fra i principali teorici italiani del visual marketing. È docente di Visual communication e interaction design e creatività e problem solving presso l’Università IUSVE – Venezia e Verona. Dal 2014 è Gallery manager di Spazio FMG per l’architettura contemporanea di Milano. Tra le sue pubblicazioni recenti: L’immagine è un oggetto. Fondamenti di visual marketing con storytelling (2013); Webcreativity. Creatività e visual marketing postweb (2016)

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OSSERVATORI DIGITAL INNOVATION - POLIMI La sfida economica della Mobility L’azienda che non segue il cambiamento scompare

I dispositivi portatili stanno rivoluzionando il mondo sotto ogni aspetto, soprattutto le aziende e il modo di lavorare: ma l’economia italiana sta accettando la sfida del Mobile? Intervista a Umberto Bertelè, 22

professore emerito di Strategia e presidente degli Osservatori Digital Innovation della School of Management al Politecnico di Milano.


INCONTRI CON Osservatori Digital Innovation

Il digitale è un po’ come l’elettricità, non c’è nessun settore che non venga toccato.

Qual è l’impatto della mobile economy sul sistema economico italiano? È in atto una trasformazione profonda, con l’uso del Mobile sempre più esteso. Nessuna economia può sottrarsi a questo cambiamento, se gli italiani vogliono restare in vita devono adeguarsi. Bisogna pensare che nei prossimi anni molta della nostra vita si svolgerà sul Mobile. Questo fenomeno ha toccato negli anni scorsi in maniera prevalente il settore consumer delle aziende, adesso c’è una crescita nell’uso del mobile anche nell’ambito b2b. Gli accordi firmati di recente tra Apple e IBM tendono a creare una sorta di patto: Apple dà i suoi dispositivi e IBM li integra nella gestione di impresa, sperano di trarne vantaggio entrambi ovviamente, perché strumenti come tablet e smartphone sono sempre più diffusi anche nel mondo dell’impresa, non solo nei rapporti con i consumatori finali. È un fenomeno irreversibile, che potrebbe cambiare solo se si inventasse qualcosa di veramente nuovo.

Quali sono i settori maggiormente influenzati? Il digitale è un po’ come l’elettricità, non c’è nessun settore che non venga toccato. Finora ha riguardato soprattutto il consumer. Adesso sono “sotto attacco” l’automobile e la finanza. Nel mio libro “Strategia” si parla, ad esempio, dei modi in cui l’automotive è influenzato dal digitale. Riguardo alla finanza, invece, sta crescendo

molto la componente FinTech, con due prospettive: possono nascere aziende che si quotano e vanno in gara con le banche tradizionali, oppure, arrivate a un certo livello, vengono vendute a un grosso gruppo bancario al quale forniscono una serie di prestazioni. Nel settore finanziario assistiamo a fenomeni abbastanza curiosi. Blackrock ha comprato una serie di software che distribuisce a chi piazza i suoi prodotti, in maniera da poter dare una serie di consigli in ambito finanziario, che non saranno rivolti a chi possiede grandi patrimoni, ma a livelli meno elevati della consulenza finanziaria. I robot andrebbero di fatto a sostituire i consulenti in carne e ossa.

Qual è il ruolo e la sfida delle telecomunicazioni all’interno della mobile economy? I telecomunicazionisti sono disperati. No, è un’esagerazione ma, mentre all’inizio degli anni ’90, quando sono stati messi in piedi i nostri osservatori, sembrava che fossero loro a gestire tutta una serie di fenomeni che avvenivano attraverso la loro rete complessiva; oggi c’è una deriva verso le imprese che operano dentro internet, quelle che si chiamano “over the top”. Alcune attività che venivano fatte dai telecomunicazionisti adesso passano da altri canali. Molte telefonate passano da internet, come anche i servizi di messaggistica, pagando solo il costo della connessione. Le operazioni che prima erano chiamate 23


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VAS, value added services, di gran moda all’inizio degli anni duemila, sono state totalmente surclassate dalle imprese che passano all’interno di internet.

Quali sono i benefici e quali gli ostacoli che le aziende italiane percepiscono derivare dall’introduzione di soluzioni mobile a supporto dei dipendenti?

Quali sono i principali comportamenti degli italiani nei confronti del Mobile, in ambito lavorativo?

Le rispondo molto semplicemente. Se applica le nuove tecnologie nella maniera giusta deve spesso fare cambiamenti abbastanza profondi nell’organizzazione dell’impresa. La scelta giusta è avere un CEO bravo, che sappia come cambiare l’organizzazione attraverso queste tecnologie, che sappia sfruttare al massimo le potenzialità su tutti i fronti.

Dal 2007, quando la Apple ha iniziato a fare smartphone di uso generale, che si sono diffusi rapidamente, si è rovesciata la situazione tra le imprese e i consumatori. Prima c’era l’informatica “buona” in azienda e quella meno buona a casa. Progressivamente, col perfezionamento dei pc, l’informatica “buona” ha iniziato a diffondersi anche nelle case, e adesso c’è la situazione opposta, a casa si dispone di prodotti spesso più potenti di quelli che si hanno a disposizione nell’azienda. Le imprese avevano persone all’interno che colloquiavano sui telefoni personali, con grossi problemi sulla privacy e la segretezza. Si è cercato di riprendere il controllo dell’utilizzo di questi mezzi. Prima parlavo dell’accordo IBM-Apple: è interessante perché l’azienda si rende conto che alcuni dispositivi sono importanti all’interno nell’impresa, con lo smart working lo sono sempre più, quindi deve cercare di riprendere il controllo su questa situazione, non facendo usare al dipendente il proprio dispositivo.

Quali sono le principali soluzioni e tecnologie mobile che secondo lei avranno un ruolo significativo in ambito business? Una risposta banale. Adesso “va di moda” il cloud computing. Col cloud ho un’impostazione radicalmente diversa rispetto a ciò a cui ero abituato. Il mobile è uno strumento per utilizzare il cloud. Questo mi permette di accedere ai dati in qualunque posto io mi trovi. Oggi leggevo dello scontro tra Oracle e Azure. La filosofia di Oracle è dare un sistema proprietario, mentre Azure gestisce tutto sul cloud, ma con i costi contenuti va a sottrarre molti clienti a Oracle. Il mobile contribuisce di

Qual è il livello di diffusione dei dispositivi mobili a supporto dei processi di business nelle PMI italiane? Quando si parla di PMI credo occorra fare una distinzione forte, tra PMI che sono piccole ma con una quota importante, su un mercato anche molto piccolo (un’impresa che ha il 30% del mercato mondiale ma con bassi fatturati), e le PMI che fanno un’attività “banale” e hanno livelli di conoscenza e di sensibilità abbastanza bassi. Se, ad esempio, si prendono dei dirigenti o dei ricercatori che fuoriescono da un’impresa grande per creare un’impresa innovativa, si tratta di persone con un altissimo livello di specializzazione e di tecnologia. È un’impresa piccola ma molto avanzata, non paragonabile ad altre imprese piccole che si occupano, ad esempio, di salumi. Riguardo all’applicazione di tecnologia, dipende molto da quanto sono lungimiranti le persone che prendono queste decisioni. Negli ultimi due anni vedo che è cresciuto molto il numero di persone che cercano di aggiornarsi, ma questo avviene spesso solo quando l’imprenditore – grande o piccolo che sia – si accorge che senza la tecnologia un’azienda può morire. 24

Negli ultimi due anni vedo che è cresciuto molto il numero di persone che cercano di aggiornarsi, ma questo avviene spesso solo quando l’imprenditore – grande o piccolo che sia – si accorge che senza la tecnologia un’azienda può morire.


INCONTRI CON sicuro a velocizzare questi processi. Tornando all’accordo Apple-IBM, ci sono molte app che hanno un utilizzo aziendale, non solo personale.

Quanto verrà condizionata la mobile economy italiana dalla Brexit? Si sa ancora molto poco. Ci sono mille sfumature diverse, quindi mille soluzioni. I due casi che potrebbero essere di riferimento sono la Svizzera e la Norvegia. Entrambe hanno una serie di obblighi riguardo gli spostamenti delle persone in Europa, che sono inclusi negli accordi relativi al mercato unico. Sembrerebbe che la Gran Bretagna voglia uscire anche dal mercato unico per non dover accettare imposizioni riguardo il flusso delle persone. A seconda dell’accordo che verrà raggiunto, la situazione cambierà. Nella peggiore ipotesi, moltissime strutture finanziarie, quindi anche i servizi che lavorano con esse, abbandonerà Londra.

Cosa può fare il governo italiano per favorire la mobile economy a livello enterprise? L’iniziativa che stanno portando avanti ora è quella dell’Industria 4.0. Non riesco a valutare in maniera adeguata che portata avrà, ci sono ancora troppi fattori di cui sappiamo poco. Il provvedimento dovrebbe passare in fretta per evitare che il settore manifatturiero resti vittima della cosa, visto che molti Paesi hanno già fatto tempo fa questi cambiamenti. Occorre poi che ci sia una rete adeguata a copertura del territorio, e in Italia non siamo ancora a una situazione soddisfacente. Un altro elemento importante è la sensibilizzazione sull’importanza di questo aggiornamento.

Umberto Bertelè Professore ordinario presso la School of Management del Politecnico di Milano Umberto Bertelè, veronese di origine e milanese di adozione, è Professore ordinario di Strategia e sistemi di pianificazione presso la School of Management del Politecnico di Milano, ove si è laureato in Ingegneria nel 1967 e ove è stato più di vent’anni fa tra i fondatori della Laurea in Ingegneria Gestionale. È presidente della School of Management del Politecnico stesso e del Consorzio MIP. È presidente di TAV-Treno Alta Velocità dal 1998. È consigliere di amministrazione di diverse società, fra cui: ATM-Azienda Trasporti Milanesi, nei servizi di trasporto; Aurora Assicurazioni, nel comparto assicurativo; Borsa Italiana, nell’ambito delle società-mercato. È editorialista de Il Sole 24 Ore. È stato tra l’altro prorettore delegato del Politecnico di Milano fra il 1990 e il 1994, presidente dell’AiIGAssociazione italiana di Ingegneria Gestionale fra il 1991 e il 1993 e membro del Collegio per il controllo interno del Ministero del Tesoro fra il 1997 e il 2001.

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Il luogo di lavoro non sarĂ piĂš definito dallo spazio fisico al quale eravamo abituati, un ufficio, una scrivania, telefoni, pc e stampanti, ma dal servizio che forniremo.

CITRIX ITALIA Le nuove frontiere dello spazio lavoro Oltre lo smart working, intervista al Country Manager Benjamin Jolivet

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INCONTRI CON Citrix Italia Un workspace sincronizzato su tutti i device per lavorare comodamente da qualsiasi luogo. Lo spazio ufficio diventa sempre meno necessario, la tecnologia trasforma il modo di lavorare: gestire il lavoro con PC, smartphone, tablet, smartTV sincronizzati e per questo motivo con l’ufficio sempre a portata di mano. Intervista a Benjamin Jolivet, Country Manager di Citrix Italia. Come si sta trasformando secondo lei lo spazio di lavoro o “workspace”? Abbiamo articolato da tanto una visione che dice ai nostri partner e ai nostri clienti che il luogo di lavoro non sarà più definito dallo spazio fisico al quale eravamo abituati, un ufficio, una scrivania, telefoni, pc e stampanti, ma dal servizio che forniremo. Questa trasformazione in atto dipende da fattori tecnologici ma anche culturali. Un primo fattore IT è stato l’avvento della Mobility, in seguito i telefonini sono diventati degli oggetti sui quali si può anche concepire una forma di lavoro, e infine c’è stata l’esplosione di tutti i device. L’impresa che vuole offrire strumenti per lavorare in mobilità ha oggi di fronte a sé un’ampia scelta. Anche l’uso del cloud va nella stessa direzione. Il lavoro può essere erogato in maniera produttiva e sicura su altri luoghi diversi dall’ufficio tradizionale, che ne guadagnerà in intelligenza. Le imprese così potranno evolversi e andare verso un’organizzazione del lavoro più diluita, che in inglese si chiama contingent working. Per farlo però bisogna concepire dei nuovi workspace, più aperti; non serve dare una scrivania a ognuno ma occorre dotare gli impiegati di strumenti, applicazioni e servizi, che permettano di operare in mobilità.

Dispositivi, dati, applicazioni: ma da dove dovrebbe partire una media azienda per introdurre una strategia interna “mobile oriented”? La Mobility è un fattore abilitante, nel senso che rende capace l’azienda di ottenere più produttività, e di avvicinare i clienti in contesti al di fuori dell’ambiente di lavoro. Per capire come effettuare questa trasformazione bisogna però studiare il proprio business case. Occorre capire che tipi di dati l’azienda tratta, quali sono gli scenari di connettività, e che cosa si offre in più o di migliore all’organizzazione, per costruire quello che chiamiamo l’Entreprise Mobility Management, una strategia che consente di utilizzare tutti i dispositivi in totale sicurezza. Bisogna poi attuare uno studio della mobile application management, ossia delle necessità che ogni impiegato ha a livello di potenza e utilizzo del servizio, per capire quali applicazioni rendere disponibili. Infine, focalizzarsi sul contenuto che si vuole offrire in mobilità (Mobile Content Management). Quello che facciamo in Citrix è proprio creare un “continuum” di esperienza che assicura la produttività, ma ciò è possibile solo se ci sono degli apparati di nertworking che assicurano la trasmissione, l’erogazione e l’ottimizzazione dei contenuti verso i device. Citrix oggi è leader sul mercato, perché ha capito che questa strategia va a controllare il flusso di trasmissione del contenuto, dal data center al device.

Quali sono i pro e i contro in termini di produttività interna delle risorse? Comincio con i contro. Una strategia fatta male ti espone a problemi di sicurezza. Cloud e Mobility ti espongono di più, quindi se non hai una strategia efficace, puoi andare

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incontro a gravi danni relativi ai dati. I pro sono sul piano della produttività, che aumenta, in tutti i settori, dalle banche all’agricoltura. Tra chi sceglie la Mobility e chi non lo fa, verrà a crearsi un gap di competitività. Stiamo vedendo risultati molto positivi ovunque. E le nuove generazioni sono sempre più abituate a lavorare in questo modo; io ho quarant’anni, ad esempio, e non potrei mai accettare un lavoro che non posso continuare anche a casa.

Come si supporta una strategia di Enterprise Mobility Management? Quali sono le tecnologie e le soluzioni innovative su cui Citrix sta puntando? Ci sono tre aspetti principali nell’adozione della Mobility in azienda. Il primo è il rischio di partire da “un’esplosione

che non controllo”, impostare una strategia a scatti che non vede oltre e che non coglie a pieno il potenziale dell’Entreprise Mobility. Poi c’è il caso in cui si arriva a chiedersi perché si sta facendo una scelta del genere, come va integrata nel business, come può migliorarlo. Per associare il business a quello che si può fare con una certa piattaforma. Spesso vedo piattaforme potentissime che però non riescono a “discutere” con il business e quindi a portare risultati. Il terzo rischio è considerare che sia un ciclo eterno, costruire ad hoc la strategia senza tenere conto della legacy. Non associare i sistemi informatici di oggi al mondo che si costruisce è un errore. Spesso vedo clienti che non considerano le evoluzioni che ci potranno essere. La strategia deve essere ampia, qualunque sia la base di programma che offro all’impiegato.

Un workspace definito dal software: di cosa stiamo parlando concretamente? Il workspace è costituito da due elementi essenziali: le applicazioni e il dato, che deve essere supportato da un infrastruttura networking Intelligente. Al bisogno di accessibilità da tutti i device Citrix risponde con una soluzione che è leader nel mercato, Citrix XenApp and XenDesktop, che permette di distribuire le applicazioni su qualunque piattaforma. Abbiamo annunciato a fine settembre l’uscita della versione 7.11 e stiamo accelerando sulla sua innovazione da due anni. Con questa soluzione, qualunque sia il device, l’utente ha a diposizione un portale da dove sceglie cosa avere. Tutta la soluzione

Benjamin Jolivet Country Manager Citrix Italia

È entrato in Citrix nel 2006 come Senior Legal Counsel EMEA, prima di essere nominato System Integrator Partner Manager e poi Channel Manager per Citrix Italia. È avvocato, laureato in diritto degli affari e proprietà intellettuale, ha conseguito un Executive MBA presso l’ESSEC nel 2011. Dal 2014 ricopre il ruolo di Country Manager per Citrix Italia. 28


INCONTRI CON si integra poi in un prodotto che si chiama Workspace suite, che ti dà accesso al dato e ti permette, quando sei nell’applicazione, di avere sempre i file a disposizione, senza che siano sul dispositivo. Per quanto riguarda la parte di networking intelligente. Citrix offre apparati che sono in grado di ottimizzare e mettere in sicurezza la distribuzione delle applicazioni e del dato all’utente ovunque si trovi. La piattaforma di Citrix Netscaler permette oggi di tirare il meglio delle connessioni (MPLS, ADSL, 3G, 4G) disponibili nell’ambito di mobilità e gestire al meglio le risorse dei Datacenter e dei Cloud pubblici, ibridi o privati dei nostri clienti, garantendo la sicurezza nei diversi casi d’uso della Workspace.

Mercato italiano e smartworking: a che punto siamo? Come si pongono le aziende italiane nei confronti dell’innovazione? C’è stata un’accelerazione negli ultimi due anni, sia nel contesto privato che in quello pubblico, nel quale c’era la necessità di consolidare le architetture IT. C’è stata la volontà del Governo, e delle Regioni, di rendere più coerenti le infrastrutture. L’Italia ha più data center pubblici di Germania e Francia insieme ma c’è stata una forte spinta verso il consolidamento in questo senso. Anche la legge sul telelavoro è stata modernizzata, era estremamente limitante, poneva moltissime restrizioni. E da qui anche nasce la necessità di lavorare per riconcepire il workspace.In particolare nel privato la globalizzazione ha funzionato come motore di accelerazione ed è valso l’esempio delle altre nazioni. I progetti che sono partiti sono stati orientati a ripensare la presenza sul territorio e fare di più con Mobility e Cloud. Gli uffici sono stati ripensati e in alcuni progetti sono stati messi insieme l’IT e l’HR, per creare un migliore ambiente di lavoro. Ma ancora troppo spesso vediamo nel mondo italiano che l’IT viene collocato ad un livello troppo basso del management: è visto come un costo e non come un fattore di innovazione. L’Italia resta un po’ in coda per quanto riguarda la velocità di realizzare questi cambiamenti. Il mio lavoro, il nostro lavoro, è diffondere queste idee nella dirigenza, che troppo spesso capisce le potenzialità ma non ne prende atto.

occorre organizzare la giornata, ma c’è molta più libertà. Vedersi di persona, resta importante comunque, ma non si è vincolati a rispettare al minuto gli orari perché si pensa sia l’unico modo di far bene il proprio lavoro. L’HR deve essere ben integrata su questo argomento. Per la sicurezza, si possono impostare i device in modo che quando ci si allontana da un certo perimetro, i dati vengono cancellati. Questo è utile ad esempio per gli ospedali, che lavorano con dati molto sensibili. La questione della sicurezza non deve quindi generare paura.

Quali sono i principali dubbi e le difficoltà nell’adozione di strategie e soluzioni di Mobility Enterprise per le aziende? La prima è non avere la visione d’insieme, del quadro globale. Ad esempio, se i propri dipendenti usano Dropbox per l’invio di grandi quantità di documenti e dopo vanno via, cosa si fa? Occorre partire dal problema e analizzarlo. La seconda è non affrontare la questione di che possibilità queste strategie offrono effettivamente all’organizzazione. Se non c’è integrazione, non ci si confronta. Lavorare per comparti stagni non funziona, non ci sono sinergie e aumento di produttività. Occorre avere un progetto generale per rivedere i sistemi. La terza problematica è sottostimare l’aspetto trasformazionale del networking. Faccio un esempio. Se si metteono a disposizione dei collaboratori delle applicazioni sul telefonino ma poi questi devono ogni volta autenticarsi per accedere è troppo complicato, la user experience non sarà positiva. Noi ci concentriamo molto sulla user experience, bisogna sempre stare attenti a garantirla e integrare tutto ciò che si sta utilizzando all’interno del nostro ufficio intelligente.

Il mobile workspace favorisce la libertà degli utenti o l’incremento del controllo aziendale? L’innovazione porta sempre la paura. L’elemento positivo è che si può scegliere quando si vuole lavorare meglio, e quando lo si fa la produttività aumenta. Ovviamente 29


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UNIVERSITÀ DI BOLOGNA Come salvarsi dall’information overload Essere sempre connessi e sommersi da informazioni riduce creatività e produttività

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INCONTRI CON Università di Bologna Chi ha detto che la tecnologia fa male al cervello? Occorre però evitare di esagerare. Elvis Mazzoni e Sergio Sangiorgi, ricercatori presso il dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna, spiegano perché impostare dei limiti nell’uso di dispositivi mobili e ristabilire il giusto work-life balance sono fondamentali sia per il benessere del singolo che per quello dell’azienda. Esiste il multitasking? Elvis Mazzoni: «Con questa parola possiamo intendere il

fatto che contemporaneamente si portano avanti quattro o cinque attività, ma non è vero e proprio multitasking. Stiamo solo facendo una serie di attività, interrompendole e poi riprendendole rapidamente. All’aumentare della complessità del compito e delle informazioni da elaborare, il multitasking è pressoché impossibile e passiamo in modalità monotasking. Per fare un esempio: quando guidiamo l’auto, contemporaneamente pensiamo a ciò che dobbiamo fare, ascoltiamo musica, ecc., ma se ci troviamo improvvisamente in situazione critica o vediamo un ostacolo davanti a noi, la guida torna in modalità di controllo cosciente e tutto il resto viene momentaneamente accantonato».

In che cosa consiste l’information overload? Sergio Sangiorgi: «Potremmo definirlo come il carico

All’aumentare della complessità del compito e delle informazioni da elaborare, il multitasking è pressoché impossibile e passiamo in modalità monotasking.

cognitivo eccessivo. È una sensazione personale, non rilevabile per tutti con gli stessi livelli. Ad esempio, se chiedo “l’acqua per la pasta è abbastanza salata?”, per qualcuno lo sarà poco, per qualcun altro troppo. La psicologia ha mostrato che ci sono margini oltre i quali non possiamo andare, oltre i quali la nostra prestazione decade drasticamente. La memoria a breve termine è in grado di trattenere sette, più o meno due elementi, continuando a elaborarli fino a che sedimentano in quella a lungo termine. Se facciamo qualcos’altro nel mentre, la traccia che stiamo elaborando viene disturbata e si perde. Se ti chiedo di ricordare sei lettere (A, L, B, E, R, O) e tu le ricordi come la parola ALBERO, diventa un solo elemento da memorizzare. Dipende da quanti elementi riusciamo a mettere all’interno di un’unica unità. Le notifiche che riceviamo dai vari tool connessi ad Internet non fanno altro che disturbare continuamente l’elaborazione delle informazioni, peggiorando (in alcuni casi molto sensibilmente) la qualità di ciò che stiamo portando davanti». 31


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Elvis Mazzoni Ricercatore e analista social network presso il Dipartimento di Psicologia - Università di Bologna

Quanto influisce in termini di produttività nel lavoro? Sergio Sangiorgi: «Può influire moltissimo sulla

produttività, perché abbassa la qualità del lavoro. Soprattutto nelle decisioni complesse. Il multitasking funziona molto bene sulle attività routinarie, quelle che ho automatizzato bene. Ma se sono un manager e devo decidere su più linee, valutare i rischi di una certa operazione e tanto altro, devo prendere decisioni complesse e, in quel caso, il multitasking diventa pericoloso. Rischio infatti di essere sommerso dai dati che contemporaneamente devo elaborare».

Qual è il costo fisico, cognitivo e sociale da sostenere a livello di benessere, individuale e aziendale? Elvis Mazzoni: «Da un punto di vista aziendale, il costo è

soprattutto in termini di qualità della prestazione, quindi per qualcuno è un rischio affrontabile. Ma nelle attività in cui la creatività è un aspetto essenziale, dove arrivare primi con un’idea consente di superare i competitor, diventa insostenibile. Dal punto di vista sociale e del lavoratore, di sicuro il costo è dovuto ai livelli di forte stress, che potrebbero portare non solo al decadimento dal punto di vista lavorativo, ma anche a dover prendere periodi di pausa e rivolgersi a servizi clinici specifici».

Cosa succede nel nostro cervello? Sergio Sangiorgi: «Si va incontro a un forte stress

lavorativo. Da un punto di vista psicologico, può avvenire un blocco e una sensazione di impotenza, oltre ad una minore soddisfazione e motivazione al lavoro. Non si riesce a procedere, con tutto quello che ne consegue. Dal punto di vista delle conseguenze fisiche, può subentrare insonnia, 32

e anche il metabolismo e l’alimentazione possono subire alterazioni. Se non curato adeguatamente, il disturbo potrebbe avere dei costi altissimi».

In cosa consiste la ricerca che state portando avanti da qualche anno? Elvis Mazzoni: «La ricerca, da cui nasce anche la

collaborazione con il dottor Sangiorgi, riguarda la “tecnologia positiva”: anziché partire dal presupposto che il web in particolare possa rappresentare un problema, siamo partiti dall’opposto, vedendo la tecnologia come uno strumento che può sostenerci, aiutandoci ad avere prestazioni migliori nel quotidiano. Il risultato delle analisi evidenzia che i gruppi che hanno avuto uno scambio (partecipazione alle cliques) più basso sono anche quelli che hanno avuto una qualità peggiore in termini di originalità del prodotto finale. Questo perché, pur avendo la possibilità di utilizzare le tecnologie web a disposizione per condividere le informazioni e collaborare, hanno preferito demandare il tutto ad una o due persone. Ciò può aver determinato: a) il fatto che queste persone abbiano dovuto gestire troppe informazioni all’unisono (information overload), per cui la qualità della soluzione al compito ne ha risentito; b) il fatto che gli altri membri di questi gruppi, anziché proporre soluzioni alternative, abbiano appoggiato le prime soluzioni prodotte e, dunque, la creatività/ originalità ne ha risentito. Al contrario, i gruppi che hanno condiviso, scambiato e discusso maggiormente, utilizzando al meglio le tecnologie web a loro disposizione per suddividere responsabilità e compiti fra tutti i partecipanti del gruppo, hanno fatto sì che nessuno venisse sommerso da una mole di informazioni ingestibile, hanno considerato molteplici alternative producendo soluzioni finali di maggiore originalità».


INCONTRI CON

Sergio Sangiorgi HR advisor in organizzazioni di grandi dimensioni e in ambito internazionale

L’uso sconsiderato di device on e off line, possiamo parlare di dipendenza patologica? Sergio Sangiorgi: «Assolutamente no. La dipendenza

patologica ha connotazioni specifiche, misurate da una scala apposita. Nelle dipendenze conclamate da internet si trovano le stesse disfunzioni celebrali che ci sono nel caso di dipendenza da droghe. La dipendenza patologica mette l’accento sul fatto che la persona non riesce a fare a meno di qualcosa. È più corretto parlare di utilizzo problematico di internet».

Voi studiate gli effetti negativi della tecnologia sull’uomo ma avete pensato anche ai rimedi? Qual è il work-life balance funzionale al raggiungimento degli obiettivi tanto dell’ambito lavorativo quanto della sfera privata? Elvis Mazzoni: «Abbiamo individuato quattro fattori

principali connessi all’utilizzo di internet: elevata autostima; supporto sociale off-line; mindfulness, consapevolezza di ciò che la persona sta facendo; elevato autocontrollo. Se ci sono questi elementi, i rischi che si corrono sono molto bassi. Si sta discutendo molto sulla Teoria della Compensazione: spesso internet non è il problema, ma un sintomo. La carenza di autostima nella vita quotidiana può spingere alcune persone a cercare di colmarla su Internet, grazie ai “Mi piace”, ai followers, ecc. Se parto dal presupposto della dipendenza, devo togliere internet al soggetto in questione; ma il problema resterebbe comunque. Detto questo, certamente Internet ha fatto sì che la divisione fra lavoro e vita privata sia pressoché scomparsa, mentre trovare il giusto equilibrio e adeguati confini è quanto mai importante e salutare per il benessere della persona. In Francia si sta discutendo su proposte

riguardanti il diritto alla disconnessione, che sarebbe improponibile per molte figure. È necessario, però, definire spazi e tempi da dedicare a ogni aspetto, altrimenti non si stacca mai».

C’è qualcosa di positivo per il nostro cervello usando nel giusto modo la tecnologia? Sergio Sangiorgi: «Lungi da me pensare che la tecnologia o il web non abbiano risvolti positivi. Creatività, condivisione, collaborazione aumentano. Dal punto di vista fisiologico, il fatto di dover affrontare il multitasking, di dover gestire più informazioni, richiede maggiore elasticità mentale e maggiore capacità di elaborazione. Quando non diventa eccessivo, questo ha sicuramente dei risvolti positivi».

Come cambiano i rapporti tra le persone? Elvis Mazzoni: «Cambiano molto, pensiamo alle persone

che lavorano l’una accanto all’altra e si scambiano delle mail. Nella comunicazione online decido io se e quando rispondere, non c’è l’imprevedibilità della comunicazione in presenza. Come sostiene Sherry Turkle, siamo ancora “in viaggio di nozze” con le tecnologie, non capiamo fino in fondo tutte le potenzialità e i rischi, ci buttiamo un po’ alla cieca, senza pensare alle conseguenze. Preferiamo scrivere un testo piuttosto che telefonare, costa di meno in termini cognitivi e emotivi.

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informazione pubblicitaria

Semplificazione dell’IT Intervista ad Aldo Rimondo, Country Manager Landesk IT semplificato: questo il claim di Landesk. Cosa significa per voi e come si pone Landesk in questa mission? Chi si occupa della gestione dell’IT ha visto un notevole aumento della complessità. Non mi riferisco solo all’ambito infrastrutturale ed applicativo. La veloce digitalizzazione delle organizzazioni ha comportato un utilizzo sempre più esteso e profondo dell’IT. Al centro c’è l’utente. Il “posto di lavoro”, un tempo chiamato PC, non è più un “posto”, e non è più nemmeno una device. L’utente ha a disposizione più device (inclusi i propri) e richiede flessibilità e velocità di utilizzo delle applicazioni e del software in generale. Il problema per gli IT Manager diventa il bilanciamento tra la libertà dell’utente (da dove, con quale device, con quale applicazione) e la necessità di monitorare e gestire le componenti IT. Tra queste due esigenze si insinua il tema della sicurezza, sempre più minaccioso. La semplificazione, quindi, vale in due sensi: per gli utenti nell’utilizzo, e per chi gestisce l’IT nel dotarsi di strumenti che nascondano la complessità e rendano il compito meno difficile ed oneroso.

documentare e riconciliare le componenti.

L’output che si ottiene è la base per fare una gestione efficace: ripristino delle device, provisioning, aggiornamenti hw e sw, gestione delle patch, controllo delle licenze software, etc.

E quali gli strumenti che possono facilitare questo processo? Gli strumenti a disposizione devono poter eseguire processi critici partendo dai dati ottenuti: gestire il parco hardware installato e pianificare acquisti e dismissioni; gestire le licenze software (non è raro trovare organizzazioni che pagano un numero di licenze superiore rispetto a quelle utilizzate, oppure organizzazioni impreparate rispetto alle azioni di auditing intraprese dai software vendor); ripristinare un sistema; gestire correttamente aggiornamenti del sistema operativo e le patch del software utilizzato; fare migrazioni software; fornire report puntuali e personalizzabili (disporre di Business Intelligence acquisendo dati da più fonti, non necessariamente dello stesso fornitore). È fondamentale poter contare su strumenti integrati in grado di generare output affidabili e standard e, successivamente, partendo da questi dati, coordinare ed eseguire tutte le fasi delle operazioni.

La missione di Landesk è quella di mettere a disposizione strumenti (tecnologie) professionali per aiutare gli IT manager nella gestione completa ed efficace degli asset IT.

Landesk si propone come leader di mercato su tutti gli aspetti citati sopra. È da sempre impegnata nel consolidare e nell’evolvere le proprie tecnologie proprio per fornire strumenti aggiornati per gestire ambienti con device di diverse tipologie , sistemi operativi, ambienti applicativi. A questo scopo sono state fatte diverse acquisizioni di tecnologie specializzate (Appsense, Shavlik, Xtraction).

Quali sono gli step che un’azienda deve affrontare per la semplificazione?

Perché e come questi temi si ricollegano agli aspetti della sicurezza?

Gestire efficacemente l’IT passa necessariamente attraverso la conoscenza di tutto ciò che è presente nel sistema, e per sistema si intendono tutte le componenti, server, notebook, PC, smartphone, stampanti, device speciali, firewall, software, etc. Per questo è importante avere strumenti in grado di:

Partiamo dal principale problema di sicurezza che si sta diffondendo: il Ransomware e facciamo due considerazioni. La più importante è relativa proprio alla gestione dei sistemi. Dalla nostra esperienza è possibile ridurre dell’85% i rischi di attacchi concentrandosi su 4 azioni che agiscono sulle vulnerabilità:

acquisire e fare import di informazioni (esempio data di acquisto, aggiornamento, eliminazione)

Whitelisting

fare discovery ed inventory di ciò che è nel sistema (scoprire ciò che è presente e rappresentarlo in modo normalizzato e standard)

Patch dei sistemi operativi

Patch delle applicazioni

Gestione dei privilegi degli utenti


La seconda considerazione riguarda la possibilità di impedire l’esecuzione del file malevolo, di solito allegato ad una mail contraffatta, se non rispetta caratteristiche di “proprietà” adeguate. Questa contromisura è possibile grazie alla tecnologia Appsense, di LANDESK. La combinazione di questa tecnologia con gli strumenti tradizionali di LANDESK consente di ridurre al minimo i rischi. Una gestione efficace del sistema impedisce lo sfruttamento delle vulnerabilità da parte di chi attacca.

Nell’ambito della vostra offerta c’è anche il Service Desk. Di cosa stiamo parlando esattamente? Oltre all’utilizzo di strumenti di gestione efficaci le aziende si stanno dotando di tecnologie per il Service Desk. LANDESK Service Desk (LDSD) è una soluzione disponibile on premise, nel cloud (SaaS) o ibrida che permette di abilitare le funzioni ed i servizi di supporto agli utenti aziendali, ai fornitori ed ai clienti di una organizzazione. Permette di integrare la gestione di incidenti (Incident Management), privilegi basati su ruoli, azioni automatiche, assegnazioni, livelli di servizio ed escalation, in un’unica soluzione.

LANDESK Service Desk eroga queste funzioni e servizi attraverso diversi tipi di interfacce, per utenti, analisti e altri profili che è possibile definire e personalizzare. L’interazione tra le diverse funzioni è basata su processi guidati, tramite un workflow integrato che permette di applicare criteri e processi ITIL 2011 certificati, in modo facile ed immediato (out of the box) per funzioni quali Incident, Problem e Change Management, Service, Asset e Configuration Management. La soluzione gode di funzioni di integrazione native tra i diversi moduli, come ad esempio il CMDB che può essere popolato in forma integrata ed automatica fruendo dei dati di inventario ricavati dalle componenti di Discovery, Inventory ed Asset Management. In questo senso il vantaggio della soluzione LANDESK è dato dalla integrazione tra le varie componenti dell’offerta. È comunque possibile utilizzare strumenti di altri fornitori, rinunciando tuttavia ai vantaggi di una completa integrazione tra gli strumenti, elemento di differenziazione tecnologica ed economica.

Aldo Rimondo Laureato in Ingegneria, ha consolidato la propria esperienza nell’ambito di aziende multinazionali nel mondo dell’IT, in particolare nei settori della sicurezza, virtualizzazione e cloud (Trend Micro, Citrix, Microsoft).

Per avere avere maggiori informazioni scrivi a

sales.it@landesk.com


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MARCO MINGHETTI IL SOLE 24 ORE

Coinvolgere le community per condividere la conoscenza Plat-firm thinking e interaction first

Marco Minghetti racconta il caso Heineken, spiegando perché la conoscenza condivisa è la nuova potente arma dell’azienda per crescere nell’era della digital transformation. 36

HR e innovazione: come si coniugano questi due aspetti? È un punto interessante, spesso l’HR è visto all’interno delle aziende non come promotore di innovazione, ma come una


INCONTRI CON Marco Minghetti sorta di “carabiniere”, un polo di conservazione. In parte è ancora vero, ma ormai sempre più frequentemente si vedono direttori che hanno accettato la sfida della digital transformation. C’è una evoluzione nella sensibilità e nella competenza delle direzioni HR verso i temi del digital, ed è un’ottima notizia. In passato ho visto progetti bellissimi da un punto di vista tecnico ai quali però è poi mancato il sostegno della direzione HR.

Heineken, un progetto su Mobile: da dove sei partito? Sono stato ingaggiato in prima battuta dal direttore HR di Heineken, la sollecitazione mi è arrivata da Mario Perego, che mi ha chiesto di presentare a Massimo Barboni, direttore vendite Italia, e a Mara Maffei, responsabile ICT Italia, una progettualità che consentisse maggiore collaborazione nell’ambito della rete vendita della filiera HORECA (hotel, ristoranti, caffè), cioè tutti i duecentomila punti vendita che non fanno parte della grande distribuzione. Fino a un anno e mezzo fa, i venditori, anche molto bravi, lavoravano ognuno per sé, penalizzando il business: il know-how del singolo non veniva messo a frutto dagli altri. Heineken non fornisce solo la birra, ma un servizio: design della vetrina, allestimento del negozio, strumenti di marketing che vanno dalle tovagliette ai menu. Se un bravo venditore immagina un evento nel luogo in cui si trova e la stessa idea è replicabile in altri posti, perché non condividerla?

Che cosa ti hanno chiesto esattamente? Serviva un’idea per una community collaborativa, che consentisse di mettere a fattor comune tutte le conoscenze e le esperienze, aumentando la produttività della squadra, oltre che del singolo. È uno spostamento concettuale. Negli anni ’80, uno studioso giapponese – Nonaka – ha teorizzato l’idea di rendere esplicita la conoscenza tacita, per far crescere l’organizzazione nel complesso.

Come si realizza tutto ciò? Valorizzando il concetto di Plat-firm. Qual è la caratteristica saliente dei social disruptor, da Airbnb, a Uber, allo stesso Facebook? Distruggono interi settori di business, creandone dei nuovi, per una serie di ragioni, sintetizzabili in una sola: sono aziende-piattaforma (plat-firm). Non hanno strutture fisiche costose. Facebook è la più grande società di comunicazione del mondo, ma siamo noi utenti a produrre i contenuti. È il modello preponderante legato

Il Pan Bauletto di BARILLA Esigenza: ottimizzare i tempi di produzione Il caso: i turni di lavoro della catena di montaggio per la produzione del Pan Bauletto sono di otto ore, un tempo inferiore a quello che la produzione richiede. Quando sorge un problema, i capiturno appuntano tutto a mano, su cartaceo. Questo tipo di indicazioni comporta molta fatica già per capire la calligrafia, ma anche la causa del problema. La soluzione: la direttrice dello stabilimento ha avuto un’idea brillante, semplificando il processo con una semplice innovazione digitale. Sono stati identificati dei knowledge-owner e la carta è stata rimpiazzata da tablet e smartphone, mediante i quali è possibile documentare i malfunzionamenti sulle linee attraverso fotografie e video per poi condividerli in tempo reale con il team dei manutentori e scatenare tempestivamente le opportune azioni correttive. I tempi di manutenzione sono ridotti quasi a zero, dall’altra parte c’è un incredibile ritorno di engagement: chi lavora in questo modo si è mostrato entusiasta di collaborare. Un risultato incredibile, se si pensa che si è sostituito soltanto un libro cartaceo con un iPad. CollaborAction, questo il nome del progetto, è anche un primo importante step verso il knowledge management: la conoscenza viene costruita collettivamente di giorno in giorno, capitalizzando l’esperienza per strutturare le best practice di stabilimento.

all’avvento dei device mobili: nel progettare le piattaforme, si deve porre al centro il concetto di interaction first. Qualche anno fa c’era la user experience. È stato messo in luce che l’esperienza veramente importante è invece l’interazione che si svolge tra tutti i membri della community. Nel particolare di Heineken – ma lo facciamo con tutti i nostri clienti – abbiamo sviluppato un modello architetturale che riuscisse a mettere al centro l’interazione tra gli utenti. Siamo partiti dall’utente, fin dallo sviluppo, non dall’esperienza vissuta retroattivamente dall’esperto di tecnologia. 37


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In pratica avete coinvolto la community dei venditori? Esatto. La parte relativa al plat-firm thinking è partita con la ricerca continua di indicazioni da parte della community della rete HORECA. Una volta avuta la vision dal direttore vendite, l’abbiamo confrontata con un campione attraverso delle interviste. Abbiamo identificato dei business pain che le persone devono affrontare durante la giornata di lavoro. Poi abbiamo proposto delle soluzioni tecniche che recepissero la vision del manager, ma contemporaneamente risolvessero i problemi concreti di ogni venditore. È la visione top-down, ma immediatamente calata nell’esperienza quotidiana delle persone, che rende vincente questo progetto. È stata una grande soddisfazione per noi ricevere il premio della CIONET Italia, siamo stati selezionati tra i tanti progetti con budget milionari. Il nostro è costato poco, ed è stato premiato perché è stata colta l’innovazione nel cambio di paradigma: un approccio architetturale di plat-firm thinking, declinato sui problemi quotidiani.

Qual è stato il feedback ricevuto dalle persone coinvolte nel progetto? Dopo le interviste siamo passati a una survey più generale. È venuta fuori una app molto semplice, articolata in cinque aree funzionali. Una di queste riguarda il profilo del venditore, con le conoscenze che gli vengono riconosciute da altri, un po’ come su Linkedin. Poi c’è un meccanismo con cui vengono create delle leaderboard, per diventare leader si valuta l’utilizzo che viene fatto, da parte della community, delle risposte fornite. Non c’è più il capo che decide chi è il più bravo.

Una volta individuata una best practice, come viene processualizzata? Viene proposta dall’azienda agli altri venditori? Ci sono diverse modalità. Quando siamo partiti con il go live finale dell’app, un venditore ha postato la sua esperienza, dicendo di essere stato in un certo punto vendita e aver posizionato il pitone (il tubo che collega la spina al barilotto di birra) in un certo modo. La proponeva come best practice, ma era l’opposto della procedura proposta qualche settimana prima, che probabilmente non è arrivata, attraverso i canali ufficiali. Il direttore vendite era presente, così in trenta secondi è stata individuata una situazione che magari non sarebbe saltata all’occhio per mesi. Il venditore ha commesso quell’errore in buona fede ed è stato possibile evitarne molti altri. Una seconda possibilità è legata al sistema di Governance. Rispetto agli argomenti vengono nominati dei knowledge-owner esperti. Quest’estate un venditore voleva organizzare una festa in spiaggia e aveva il problema di tenere in fresco la birra. Hanno risposto in molti, poi è intervenuto il knowledgeowner responsabile, dicendo che si faceva in un certo modo: quella è diventata la procedura da usare ogni volta che un venditore vuole organizzare una festa in spiaggia.

Quali sono i risultati raggiunti finora? Quando si parte con delle community, ci si dà sempre dei KPI. Nel corso di un certo numeri di mesi, voglio ottenere un tot di utenti attivi e di utenti reattivi. Ci sono percentuali stabilite, sui primi tre mesi. Siamo riusciti a andare oltre il doppio delle percentuali attese, con il 40% degli utenti attivi e quasi il 60% di utenti reattivi. Nei primi tre mesi, nella funzione forum, c’è stata una media di cinque domande per ogni quesito posto. Un tasso di know-how condiviso assolutamente soddisfacente.

Marco Minghetti Giornalista de Il Sole 24 Ore Associate Partner di OpenKnowledge, docente di Humanistic Management presso l’Università di Pavia, giornalista per NOVA100 Il Sole 24 Ore. Ha al suo attivo una decina di volumi, fra cui Intelligenza Collaborativa (EGEA 2013).

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INCONTRI CON Rudy Bandiera

RUDY BANDIERA Vita da blogger

Come la Mobility semplifica il lavoro Nell’era della mobilità, si può lavorare senza device? Per la maggior parte dei lavoratori probabilmente no. Una chiacchierata con Rudy Bandiera, che di mestiere fa il blogger e il giornalista, per capire quanto questa necessità sia indispensabile e quali sono le app che permettono il lavoro prêt-à-porter. Spazio, tempo e strumenti ripensati per chi lavora dal telefonino, dal tablet o da qualsiasi altro device. Collegati fra loro è una prerogativa fondamentale: prendo un caffè al bar e leggo un articolo sulla mia testata preferita, butto giù qualche idea su Keep per il mio prossimo articolo. Nel frattempo Google Calendar mi avvisa che di lì a 5 minuti ho una Skype call con il mio cliente di Palermo. Questo è un frammento della vita di un blogger giornalista, Rudy Bandiera, blogger nel suo DNA che parla di Mobile e flessibilità lavorativa, definendo il Mobile come un paradosso. “Ci siamo messi in testa o ci hanno messo in testa che il Mobile, quindi il poter lavorare in mobilità, ci avrebbe permesso la massima flessibilità e ci avrebbe poi liberati dal lavoro – racconta Bandiera – In realtà è l’esatto opposto: il Mobile tende a legarti al lavoro per tutto il giorno. Pensavamo ‘posso andare in un parco e rispondere alle mie email’. Ma non rispondi solo quando sei al parco, rispondi la mattina, rispondi la sera prima di dormire, quindi il Mobile è da un certo punto di vista una liberazione che è diventata una prigione”. Per un lavoro come quello di Bandiera, il collegamento dei vari device e la possibilità di essere presente sui vari social 39


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Nome: Evernote Cosa è: un applicazione che si usa per prendere appunti, raccogliere contenuti interessanti.

Segni particolari: sincronizzazione immediata

tra dispositivi, inserimento delle registrazioni audio delle varie conferenze a cui si assiste, immagini e file allegati. Inoltre è possibile fotografare gli appunti scritti a mano sul vostro block notes “analogico” e se scritti in stampatello in maniera decente verranno riconosciuti dal software e diventeranno ricercabili come i testi battuti sulla tastiera. Si usa come una to-do app, aggiungere la possibilità di porre un allarme nelle note e poi fornire all’utente una lista delle note “con scadenza”, o meglio ancora dei promemoria, ordinata per data o per taccuino di riferimento.

network, anche in contemporanea, è di vitale importanza. Il rischio dell’effetto FOMO (Fear of Missing Out), la cosiddetta paura di perdersi qualcosa di importante mentre non si è collegati alle reti sociali, è molto forte. Già nel 1984 Craig Broad affermava che l’utilizzo eccessivo di strumenti tecnologici crea diversi disturbi causati dallo stress e genericamente definiti come “Tecnostress” pertanto è molto possibile che anche con l’uso eccessivo dei social network si possono avere diversi disturbi, dall’ansia, all’insonnia, alla depressione, etc. “Dovremmo darci delle regole legate a momenti della vita reale – sostiene Bandiera – ad esempio, mezz’ora prima di andare a letto non apro il computer e non controllo il telefono; quando sono con altre persone non tiro fuori il telefono dalla tasca; quando sono a pranzo non metto il telefono sul tavolo. Il punto è che, non essendo un’assuefazione fisica ma mentale, nel momento in cui ce ne rendiamo conto dovremmo anche essere in grado di farla regredire”. La maggiore flessibilità nel lavoro ha cambiato il paradigma dell’operatività dello stesso: non più uno spazio ufficio dove lavorare, ma si lavora in viaggio, al ristorante, a casa, ovunque. Anche il mercato si adegua fornendo gli strumenti per poter lavorare al meglio: vari device ultratecnologici ma anche software che permettono di collegare le informazioni oltre che di gestirle e organizzarle al meglio. 40

“Per quello che riguarda il mio lavoro, al di fuori di Facebook, Twitter o la posta, che considero veri e propri strumenti, – prosegue Bandiera – non potrei vivere senza Google Keep. Ti permette di segnare delle note e sincronizzarle coi diversi dispositivi, tipo Evernote. La metà del mio secondo libro l’ho scritta in viaggio attraverso Keep. Ci sono ovviamente le app dei vari social, che secondo me sono insostituibili. Una cosa che spesso non si pensa quando si usa il mobile, è che può capitare di non avere le password per accedere a dei servizi. Io uso un tool che si chiama Safe in Cloud, che ti permette di registrare tutte le tue password e in più si sincronizza con tutti i dispositivi. La sicurezza è data da una Masterpassword che usi per accedere, poi dentro ci sono tutte le altre. L’app di Trenitalia, anche. Molto interessanti, anche se non necessariamente legate al lavoro, le app come Stocard, che ti permettono di tenere sul cloud tutte le tue carte fedeltà. Poi le app per la musica, ovviamente. E ho anche Netflix, nel caso mi venisse voglia di guardare un film mentre sono in trasferta”. Il blogger deve essere in grado spesso in tempo reale di postare una foto, editare un post, un video, pertanto torna utile usare dei tool che permettono di fare tutto questo anche in movimento. “Uso molto Google Drive, – dice Bandiera – che ha uno strumento che va benissimo per i contenuti. Per i video uso moltissimo l’app di Instagram. Registra fino a un minuto e puoi inserire anche filtri e copertina. C’è un’altra app che trovo adorabile, si chiama

Nome: Teamviewer Cosa è: L’ app permette di accedere al proprio computer e ai file in esso contenuti da remoto.

Segni particolari: In pratica il desktop, con tutti

i documenti più importanti, è sempre a portata di mano. In più tutto può essere condiviso con i propri colleghi. È possibile comunicare con la persona che si trova dall’altra parte dello schermo selezionando una delle funzioni disponibili: si può instaurare una chat testuale oppure una conversazione vocale cliccando o avviando una videochiamata. È possibile collaborare su elementi comuni conservati in rete e in tempo reale, e fare presentazioni. La piattaforma permette anche di organizzare dei veri e propri meeting online, dove invitare fino a 25 persone: in questo modo si possono anche prevedere degli incontri di formazione tagliando i costi.


INCONTRI CON Nome: CamScanner Cosa è: CamScanner serve per scansionare, modificare

e inviare copie in PDF di un qualsiasi documento cartaceo da un mobile.

Segni particolari: riconosce automaticamente la parte

dell’immagine da eliminare, e permette di ritagliare il documento nei minimi dettagli. Si può migliorare la qualità dell’immagine in maggiore o minore misura a seconda del tipo di documento, l’illuminazione, il tipo di caratteri. CamScanner include varie modifiche predefinite, ma si può anche optare per il comando manuale, che permette di cambiare le impostazioni di colore, contrasto e luminosità. Se si sta scannerizzando un documento ufficiale di diverse pagine, CamScanner permette di combinarle tutte nello stesso documento e di unirle tutte insieme in un unico file PDF. Il documento scannerizzato lo si può condividere esportandolo in PDF per posta elettronica, o su vari social network. Prisma, con la quale puoi dare effetti che riproducono lo stile di un particolare pittore. Questo perché nei miei contenuti uso le foto che faccio io, o con me o comunque scattate da me, non uso fonti esterne. Un app di cui per me è difficile fare a meno e che trovo davvero utile è Swift Key: una tastiera virtuale, c’è sia su Android che su iPhone. Predice come scriverai. Se scrivo spesso la frase ‘tu sei un burlone’, dopo un po’ quando scriverò ‘tu’ mi proporrà di continuare con ‘sei un burlone’. Puoi dargli l’accesso a Facebook, Twitter e anche al sito, e importa il tuo modus scribendi”. Il lavoro 2.0 è una modalità che investe molte categorie e che andrà sempre più avanti nella sua evoluzione, il mercato stesso si adegua con le infinite proposte di app e sistemi gestionali che permettono di collegare le informazioni sui vari device in modo light. Sta a ciascuno di noi darsi delle regole ed evitare che la tecnologia prêt-àporter ci faccia trascorrere gran parte della giornata con gli occhi su uno schermo.

Rudy Bandiera Blogger Docente e giornalista ma soprattutto ama essere un blogger: racconta storie in digitale, fa ciò che quelli bravi chiamano “storytelling” su ogni cosa che abbia un valore da raccontare. Ferrarese da sempre, nel tempo libero legge, non si muove e si nutro di grassi saturi.

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IUBENDA La privacy on line Un servizio accessibile a tutti i possessori di siti web Un dato o un contenuto messo online potrà prima o poi essere accessibile a tutti: condividere significa anche perdere il controllo. Come utenti, è importante la consapevolezza nelle scelte; come aziende, bisogna puntare sulla trasparenza. Cosa significa per lei privacy: ci piacerebbe una sua definizione e anche un commento su come sta cambiando questo concetto oggi. La mia idea è questa: privacy, online, significa soprattutto controllo, poter scegliere chi ha l’accesso ai nostri dati personali e quando questo accesso dev’essere revocato. Il problema di qualunque contenuto online nasce dalla facilità con la quale può essere condiviso, e dalla semplicità con cui dopo la condivisione se ne può perdere il controllo. Privacy è poter scegliere come, quando e perché gli altri hanno accesso ad un dato.

In un mondo dove l’etere permette il controllo dei nostri dati, delle nostre persone, secondo lei ci può essere davvero ancora privacy? Secondo me l’unico principio al quale attenersi è quello di condividere online solo quello che si è pronti a condividere con il pubblico. Facendo l’esempio più semplice, quando si condivide qualcosa su Facebook, l’aspettativa è che venga visto da chiunque; se non ci sta bene, la soluzione è non condividerlo. Un problema ulteriore nasce dal fatto che le violazioni della privacy possono essere dovute a un accesso illecito, vedi il caso “Ashley Madison”, quando sono state violate le identità delle persone che frequentavano questo sito di dating. Quando mettiamo qualcosa online, purtroppo esiste il rischio che prima o 44

poi possa essere pubblicato senza il nostro consenso. Possiamo tutelarci con delle password adeguate, ma non possiamo fare molto di più. Vivere così connessi ci offre innumerevoli vantaggi, ma anche lo svantaggio che qualcuno possa un giorno violare la nostra privacy e diffondere i dati.

Come nasce Iubenda? Nasce dalla necessità che ha ogni possessore di un sito web o app, come io stesso ero al tempo, di mettersi in regola con il sistema di norme vigenti. Uno degli adempimenti più importanti per chi opera online riguarda informare gli utenti riguardo al trattamento dei dati personali, è a questo bisogno che ho voluto rispondere. È possibile creare in modo molto semplice un documento che viene tradotto dal sistema in otto lingue. Con un costo molto contenuto, si ottiene un risultato professionale, per tutti coloro che non hanno la possibilità o l’intenzione di rivolgersi a un avvocato per una consulenza. Abbiamo oltre ventimila clienti in centotredici Paesi. L’azienda è nata quasi cinque anni fa, con un anno di sviluppo. Siamo operativi da quattro anni, quindi, siamo cresciuti con le nostre forze e siamo arrivati a ricoprire una posizione importante in questa nicchia di mercato, affermandoci un po’ ovunque.

Chi c’è dietro l’azienda? Ci racconta le persone e le loro competenze? Siamo un ibrido tra uno studio legale e un’azienda di software, ecco le nostre due anime. Siamo una ventina di persone, sparse tra Italia, Germania, Stati Uniti ed oltre. Gli uffici principali sono a Bologna e Milano; all’interno del team operano legali, sviluppatori e una serie di


INCONTRI CON Iubenda

Siamo un ibrido tra uno studio legale e un’azienda di software, ecco le nostre due anime.

Siamo un ibrido tra uno studio legale e un’azienda di software, ecco le nostre due anime.

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figure classiche, commerciali e di supporto. Quello che cerchiamo di fare è utilizzare il software per semplificare gli adempimenti legislativi in generale, il nostro prodotto principale ruota intorno a privacy e cookie, ma ci occupiamo anche di termini e condizioni, quindi più legate al consumatore, soprattutto nella gestione degli e-commerce, con la redazione, ad esempio, dei documenti relativi al recesso. Infine, da circa un mese, abbiamo lanciato un servizio che permette di costruire una SRL online, grazie a una nuova legge in vigore dal 20 luglio, che permette di non dover ricorrere necessariamente al notaio per tutte le SRL che si configurano come start up innovative. Su www.iubenda.com/srl c’è questo servizio, lanciato da poco, grazie al quale si può mettere su l’SRL senza muoversi da casa. Bisogna ovviamente rientrare in alcuni requisiti per l’accesso al Registro delle start up innovative. È un’opportunità molto interessante, è facile che ci sia una componente innovativa nelle società che nascono adesso. Ci siamo lanciati subito su questa iniziativa. I notai hanno fatto ricorso al Tar, ma hanno ritirato la sospensiva, non so come intendono andare avanti. A febbraio ci sarà una nuova udienza, ma nel frattempo si può operare tranquillamente.

Quali sono le esigenze e i problemi che volete risolvere con il vostro servizio? E dove finisce la vostra azione ed è più giusto che inizi quella di un consulente legale? In un certo senso ci poniamo in mezzo tra chi non fa nulla e finisce col non informare gli utenti finali riguardo

Andrea Giannangelo Fondatore e AD di Iubenda

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Non si possono più “seppellire” le informazioni su come verranno trattati i dati, ma occorre adoperarsi per assicurarsi che ci sia, da parte dell’utente, consapevolezza su come questo trattamento avverrà.


INCONTRI CON il trattamento dei dati personali, e chi retribuisce un consulente legale, una spesa che non tutti possono permettersi. Il nostro servizio costa diciannove euro all’anno per ogni sito e per ogni lingua, molto professionale. Ci sono oltre cinquecento clausole personalizzabili, tutte tradotte in otto lingue. Il sistema è molto potente e ricco, ma anche molto semplice da utilizzare. Il risultato che si raggiunge è decisamente professionale, con una piccola spesa. Ovviamente, laddove ci fosse un budget sufficiente, consigliamo sempre una consulenza legale. Abbiamo il nostro legale interno che si occupa di questo tipo di personalizzazioni, redigendo documenti personalizzati, ad esempio.

Google sta modificando la privacy policy a favore degli utenti italiani, cosa comporterà per noi utenti? Google non solo ha il motore di ricerca, ma è proprietaria anche del più diffuso sito di statistiche per siti web del mondo. Possiede la storia di navigazione sul conto di ognuno di noi. Nel momento in cui ci iscriviamo, questa storia viene ricondotta a ognuno di noi. Questa mole di informazioni viene utilizzata per fini pubblicitari. Nessun’altra azienda al mondo possiede tutti questi dati, ed è ciò che preoccupa il Garante: ad esempio, se si ha un account Google, si è dato il consenso al trattamento dei dati, ma quando si visita un sito senza essere loggati con le credenziali (o nel caso in cui non le si possieda), i dati vengono raccolti ugualmente, ad esempio con Google Analytics. Il Garante chiede che anche per questi utenti ci sia la possibilità di esprimere un consenso, di venire a conoscenza del meccanismo. È possibile comunque controllare come Google utilizza le informazioni su di noi a fini pubblicitari.

Invece cosa pensa della notizia che WhatsApp sta cambiando la sua privacy policy per collegare i dati degli utenti con facebook? WhatsApp non ha fatto finora utilizzo commerciale dei dati, né dello spazio all’interno dell’applicazione. Questo non deve far pensare che la situazione resterà sempre così, perché Facebook introdurrà degli strumenti che permetteranno di avere dei profitti dall’acquisto di WhatsApp. Il postulato che c’è dietro ognuno di questi colossi “gratuiti” è che paghiamo tramite i nostri dati personali. Così come quando guardiamo la tv “paghiamo” col nostro tempo che dedichiamo alle pubblicità che vanno in onda. È il primo passo mosso da WhatsApp verso

lo sfruttamento dei dati a fini pubblicitari. Sicuramente Facebook cercherà di unire le banche dati, identificando tramite il numero di telefono l’account Facebook, e arrivando pian piano a usare quei dati in maniera estesa. È lo scambio che fai quando usi un servizio del genere. La tutela della privacy non ruota tanto su quali dati vengono condivisi e per quali scopi, ma sul controllo che possiamo avere per “spegnere” questo trattamento. Facebook, da questo punto di vista, è l’azienda più trasparente. Il fatto che non si possa cercare al suo interno qualcosa di vecchio può essere un “tampone”, ad esempio.

In una precedente intervista ha parlato di “bulimia di informazioni” sul tema della privacy: non si vuole informare gli utenti, le informazioni non sono chiare e definite, o il tema è troppo complesso per essere accessibile senza il supporto delle persone competenti? E, come districarsi allora? La risposta a tutto ciò viene direttamente dal comportamento delle persone, che sta cambiando. L’utente oggi ha imparato a essere più attento a ciò che condivide, il filtro è tutto lì.

Come vede il futuro della nostra privacy? Secondo lei, c’è più o meno tutela rispetto al passato? Anche se, soprattutto in ambiente aziendale, privacy significa adempimenti e quindi fastidio, non dobbiamo dimenticarci le origini da cui questo diritto è nato, dopo la seconda guerra mondiale, quando il diritto alla privacy era stato praticamente cancellato, come risposta a quell’estremo. È un diritto molto radicato in Europa e soprattutto nel Paesi che, come Italia e Germania, sperimentato le dittature totalitarie. Ovviamente, più noi saremo legati a ciò che condividiamo online, più è importante che il sistema venga regolato e controllato. Da un lato è “comodo” per le aziende che ci sia molta libertà, ma dall’altro è necessario che la privacy venga garantita. La frontiera non è tanto la legislazione, ormai abbastanza evoluta, ma il trattamento che i vari soggetti fanno dei dati. Tra due anni entrerà in vigore in tutta Europa il nuovo regolamento, nel quale si sottolinea l’importanza dell’informazione dell’utente. Non si possono più “seppellire” le informazioni su come verranno trattati i dati, ma occorre adoperarsi per assicurarsi che ci sia, da parte dell’utente, consapevolezza su come questo trattamento avverrà.

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NORDEST SERVIZI “Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano” Nordest Servizi ed Eurosystem si aggregano: nasce una nuova collaborazione nel mondo IT “Se tutto è sotto controllo, stai andando troppo piano”: la citazione del pilota Mario Andretti calza a pennello con l’incontro di due realtà del mondo IT, Eurosystem SpA e Nordest Servizi Srl, che, forti delle loro competenze, oggi si proiettano nel futuro e verso una sempre maggiore soddisfazione del cliente attarverso la formula dell’aggregazione societaria e della collaborazione professionale.Fangna 48

Nicola Bosello, titolare assieme al fratello Massimo Bosello di Nordest Servizi: come si sono incontrate le due aziende? La prima volta ci incontrammo qui in sede, parecchi anni fa… Gian Nello Piccoli, presidente di Eurosystem, ci raggiunse ad Udine e nell’incontro parlammo di com’era strutturata la nostra realtà, che obiettivi aveva, qual era la


INCONTRI CON Nordest Servizi “governance”. Al tempo eravamo alla fase conclusiva di un passaggio generazionale maturato negli anni, quindi il focus per noi era quello di ultimare questo delicatissimo percorso nel migliore dei modi. Per un po’ di tempo perdemmo i reciproci contatti. Nel momento in cui la strategia aziendale aveva maturato l’idea di stringere delle alleanze con altre società, cominciammo una “partner selection” sul territorio, cercando di capire quale collaborazione si sarebbe potuta innescare per raggiungere i nuovi ambiziosi obiettivi che avevamo in mente. In quel periodo, tra i vari partner, c’era anche Eurosystem, che stava facendo la stessa cosa in direzione opposta. Di li a poco, ci ritrovammo al tavolo per condividere, con menti più mature, quali percorsi avremmo potuto intraprendere insieme.

Quando avete incontrato Eurosystem, qual era la vostra sfida? Obiettivo numero uno: crescere. Il mercato governa e le sue esigenze mutano costantemente. Le nostre aziende devono essere rapide, sempre più competenti, solide e strutturate e la nostra realtà non ha le dimensioni sufficienti per garantire il meglio di tutti questi aspetti. Le strade erano quindi quelle di crescere per linee interne, affidandoci a risorse finanziarie interne o esterne, ma con grande fatica e tempi più lunghi, oppure investire nella collaborazione di un partner attraverso una politica di M&A (Merger and Acquisition). Dovevamo capire con chi poter mettere a fattor comune le reciproche capacità, che dovevano essere complementari e non sovrapposte. Il fatto che il core business di Eurosystem fosse la componente software, mentre quello di Nordest fosse fortemente sbilanciato sui servizi infrastrutturali, in un’ottica di “IT Outsourcing”, ha agevolato l’incontro tra le nostre due realtà, in territori di comune interesse. La sfida ora, come allora, è dare al mercato ed ai nostri clienti una “IT governance” di sempre più alto prestigio.

Aggregarsi per crescere è la vostra ricetta per il futuro. Come state affrontando la decisione di un cambiamento così importante? Quella tra noi ed Eurosystem è un’aggregazione societaria, un mettere a fattor comune le competenze delle due aziende che andranno ad integrarsi con l’obiettivo di creare, nel tempo e attraverso altre collaborazioni societarie, un unico gruppo, per solidità e dimensioni tra i primi del Nord Italia. Queste decisioni non sono mai facili ed entrambe le parti in gioco sanno che, per

ottenere di più, devono rinunciare a qualcosa. La mentalità “tipicamente friulana” di non volersi fermare mai, di non accontantarsi per consolidare sempre più una garanzia di presenza ai massimi livelli ai nostri clienti, ma in primis ai nostri ragazzi e alle loro famiglie, i collaboratori e certamente noi stessi, è quella che anima quotidianamente il nostro modello di azienda. Perché è naturale che ci sia una ragione legata al business e al suo successo, ma in realtà questo conta tanto quanto il fattore sociale e l’interesse per il contributo che si riesce a dare al territorio.

Come hanno reagito le vostre risorse? Inizialmente erano chiaramente spiazzate dalla novità! Le abbiamo riunite per poter parlare direttamente a tutti, cercando di far capire che certe strategie ed operazioni si possono innescare quando le aziende sono sane e capaci di investire. E questa era la nostra esatta situazione, venendo da un biennio di crescita consolidata in termini di fatturato ma soprattutto di risultati utili, nei settori per noi focali quali i servizi gestiti ed il cloud. Chiaramente la strada intrapresa non sarà un passaggio repentino ma un percorso che co-condurremo: da oggi al completamento di questa aggregazione passerà circa un anno.

Cosa cambierà adesso? Tutto e niente. Si continua a lavorare, ma come fossimo un gruppo più allargato, con più risorse a cui attingere, più collaborazioni, più servizi da offrire, più possibilità di comunicare e farci conoscere. Dobbiamo impegnarci a costruire un senso di appartenenza, perché il gruppo è geograficamente dislocato, la nostra sede principale è a Udine e quella di Eurosystem a Treviso, e la distanza non aiuta mai nei rapporti “amorosi”. Di certo l’approccio al mercato sarà molto più allargato, potendo contare sulle 2 filiali di Eurosystem presenti a Bergamo e Bologna. Possiamo dire che entriamo in un’ottica più industriale ma con la volontà di mantenere tutti gli aspetti qualitativi che hanno fatto la fortuna di queste due realtà.

Gian Nello Piccoli, presidente Eurosystem, invece cosa cambierà a Treviso? Sicuramente il nostro potenziale d’offerta migliorerà sia sulla parte infrastrutturale che sulla parte di organizzazione servizi, dove ci saranno a disposizione più tecnici, più pre-sales e la struttura sarà organizzata con nuove modalità di erogazione dei servizi.i 49


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Nicola, quali saranno gli step dell’integrazione con Eurosystem? Abbiamo già condiviso la strategia. Come già detto, Eurosystem è un’azienda consolidata nelle competenze software, Nordest nella parte di servizi IT: integreremo le due anime e lo step numero uno sarà condividere. Ci sarà poi una ristrutturazione commerciale e dal punto di vista organizzativo, la parte marketing verrà consolidata, le due aree amministrative verranno integrate e verranno unificate logistica ed acquisti. I servizi IT saranno migliorati con l’ integrazione delle competenze e l’introduzione di risorse nuove sotto il supporto direttivo di una nuova governance. L’ obiettivo è chiaro, una miscela di asset e competenze che portino a ristrutturare i reparti completando le carenze ed efficientando i processi.

Quali sono i principi inderogabili per Nordest e che conserverete nell’integrazione? Per noi il primo fattore di scelta nei confronti del partner è stato quello umano; i valori espressi dalla controparte dovevano essere in piena sintonia con i nostri: sincerità, correttezza, serietà. Dobbiamo condividere un lungo percorso insieme e l’affinità è fondamentale per il buon esito di questo progetto che, ne siamo certi, porterà a noi ed ai nostri clienti molte soddisfazioni.

Nicola Bosello Titolare Nordest Servizi Srl È titolare, assieme al fratello Massimo Bosello, di Nordest Servizi Srl, una delle più importanti realtà di Information Technology del Friuli Venezia Giulia.

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La vostra è un’azienda che nasce dalla famiglia, quale sarà il valore aggiunto che questa caratteristica può dare ad Eurosystem, che invece ha un DNA più industriale? Come già detto, forse proprio il fattore umano. Per noi la relazione con i collaboratori è alla base del successo di un’azienda. Se c’è una strategia condivisa, gli attori sanno recitare e nel contesto stanno bene tra loro e si divertono, il copione è già scritto ed il “lieto fine” è garantito. Abbiamo intrapreso un percorso di team building ed effettuato un lavoro sulla corporate identity durato quasi due anni. È stato un cammino molto impegnativo ma fondamentale perché, sebbene nell’immediato non abbia dato i risultati sperati, a lungo termine ha permesso di costruire una squadra coesa e vincente. Da quel momento, con affiancata una strategia Marketing ed un Business Model orientato al cliente ed ai servizi, l’azienda ha cominciato a volare.

Invece Eurosystem cosa porterà a Nordest? Avere alle spalle un’azienda che ha nel proprio DNA la componente software permette di avere un notevole vantaggio competitivo nei confronti dei clienti. Il cliente può così contare su una struttura completa, dinamica ed unica, nativa del territorio. La forza di Eurosystem nei confronti dei partner commerciali e dei brand è un altro aspetto da non sottovalutare. Insieme possiamo mettere a fattor comune un peso di mercato rilevante nei loro confronti ed essere visti come dei player di primordine per molti di essi. Il fatto, inoltre, di essere presenti in un territorio molto vasto è di fondamentale importanza per i clienti ma anche per gli stessi Brand.

Piccoli, secondo lei invece? Eurosystem porterà a Nordest Servizi maggiore visibilità nel Centro-Nord Italia, porterà tutta l’organizzazione di una grande struttura e una solidità economico-finanziaria che permetterà progressi importanti in Friuli-Venezia Giulia. Il progetto di M&A continuerà per tutto il 2017 ed insieme pianificheremo l’acquisizione di altre realtà al fine di consolidare ulteriormente il Gruppo. Un progetto importante, che ci sta portando non solo ad una crescita esponenziale ma anche verso la certezza di poter dare al cliente tutto quello di cui ha bisogno dal punto di vista informatico.


SPAZIO A Y @eurosystem.it

ENTERPRISE MOBILITY MANAGEMENT Smartworking e strategia mobile: un connubio vincente Massimo Bosello redazione@logyn.it

La sfida della competitività Le medio-grandi aziende hanno capito che buona parte della loro competitività si sta giocando sul nuovo modello del lavoro. Smartworking, per essere agili, flessibili...liberi, ma estremamente efficaci, rapidi, perché connessi, in condivisione continua di informazioni e persone. Per fare tutto ciò è necessaria una rivoluzionaria, matura e responsabile partecipazione al nuovo mondo del lavoro. Non solo, un ecosistema capace di garantire ogni tipo di attività ed everywhere! Collegare tra loro persone, aziende, sistemi e istituzioni. La sfida per l’IT manager è dunque coniugare tali esigenze dell’utente con la continuità operativa e protezione della PI aziendale (Proprietà Intellettuale). Impossibile senza una soluzione di Enterprise Mobility Management (EMM)! Sarebbe l’anarchia totale; i sistemi e il dato aziendale (riservato o meno) sarebbero in balia inconsapevole di utenti interni ed esposti alle minacce esterne. La stessa business continuity dell’utente sarebbe affidata alla fortuna!

Le 5 M dell’Enterprise Mobility Management Parliamo dunque di “Enterprise” perché incorpora tecnologie che servono a garantire l’efficienza e il governo. Le principali sono: • MDM: (Device) per la protezione fisica del dispositivo, autorizzazione all’uso delle sue features ed assistenza a distanza (OTA Over The Air). • MAM: (Application) per sfruttare la potenzialità del mondo delle App che più di ogni altra cosa, oggi, sono apprezzate da utenti e aziende perché migliorano la modalità di lavoro. Esse, però, sono anche il canale più importante di minacce e pertanto la soluzione agisce in termini di sicurezza.

• MCM: (Content) per rendere fruibili le informazioni aziendali (es. documenti) in totale sicurezza. • MIM: (Information) per riconoscere, profilare e dunque permettere specifici accessi alle informazioni, al singolo utente. • MTCM: (Telecom Cost) per governare i costi del traffico e garantire la disponibilità dello stesso all’utente, per gli usi consentiti.

Soluzioni EMM: un quadro E quali soluzioni di EMM possiamo scegliere? La lotta è serrata e a colpi di annunci innovativi, tra i big player. MobileIron, unica azienda e tecnologia non acquisita, è dalla nascita focalizzata esclusivamente sul tema. Vanta una specificità e profondità di dettaglio che la rende ideale anche negli ambienti di estrema sensibilità alla sicurezza, unendo (con le ultime versioni) una semplicità di gestione. AirWatch, azienda acquisita da VMware e oggi parte del pianeta Dell Technology, ha sempre vantato la caratteristica di semplicità di utilizzo, ampio market share e ultimamente velocità di innovazione. Citrix XenMobile e IBM MaaS360, ovviamente, meglio si adattano alle loro relative tecnologie; di client e software virtualization la prima e di sicurezza e gestione client la seconda (BigFix). Blackberry con le varie acquisizioni di aziende tecnologiche sta riportato la sua soluzione a livelli di alte esigenze restrittive in termini di sicurezza. Ma se all’inizio si diceva che solo le grandi aziende stanno cavalcando questa opportunità, le PMI cosa fanno? Purtroppo, 1 sola azienda su 5 (Osservatori Politecnico Milano 2016) crede nelle potenzialità delle App e del Mobile, mettendo a budget investimenti, nel prossimo anno. Sarà lei, che in questo modo coglierà l’opportunità di emergere, nel sempre più ampio gap tra piccola e grande azienda. 51


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SPAZIO A Y Che CRM serve alla mia azienda? Stefano Biral

redazione@logyn.it

Il software per gestire la relazione con il cliente: come fare la scelta giusta Prodotti che vivono all’interno dell’ERP aziendale, soluzioni Open Source, software internazionali: molti e diversi sono i sistemi di Customer Relationship Management (CRM) disponibili in commercio. Piccola guida tecnica sulle classi di soluzioni esistenti e su come scegliere la più adatta alla propria realtà. La gestione delle relazioni con i clienti (Customer Relationship Management, più comunemente abbreviato in CRM) è un argomento molto importante perché trovare nuovi clienti e mantenere quelli attuali è imprescindibile per qualsiasi azienda. Crescita e competizione, anche in questo ambito, devono avvenire sul terreno dell’efficienza delle attività commerciali, che possono essere meglio definite, ottimizzate e automatizzate proprio attraverso un software CRM. Negli anni le aziende hanno ottimizzato molti processi, come la produzione, la logistica, il controllo di gestione, che ritenevano cruciali, ma hanno sempre dedicato poco spazio a meccanizzare i processi di vendita poiché ritenuti – erroneamente – meno strutturabili. Con il tempo, i cambiamenti del mercato e la più recente necessità di ottimizzare tutti gli asset, le imprese hanno abbandonato strumenti ad uso individuale del commerciale e si sono dotate di sistemi professionali e centralizzati per gestire tutte le fasi di vita di un cliente. Perché accedere, in tempo reale e possibilmente da qualsiasi dispositivo, a tutta la storia di un cliente, dal primo contatto alle sue preferenze di acquisto, costituisce un patrimonio informativo fondamentale per tutta l’azienda. 52

Prima di introdurre un CRM è però necessario capirne gli obiettivi, individuare i bisogni a cui può rispondere e i passaggi da affrontare: perché un CRM non è solo un software ma è anche un cambio culturale e, per la buona riuscita del progetto, è necessario che venga preceduto da una riorganizzazione e ottimizzazione dei processi di marketing, vendita e post vendita.

Come scegliere un CRM Riteniamo indispensabile prima definire la strategia di approccio al problema, solo dopo individuare la tecnologia perché la scelta del software ha un effetto ridotto sulla probabilità di successo. Questo non significa che i CRM siano tutti uguali, ma solo che nessun prodotto porterà al successo un progetto sbagliato. Viceversa, se strategia e progetto sono stati ben pianificati, si hanno buone probabilità di successo anche con un prodotto di una qualità medio-bassa. Ma, una volta avviata una strategia, che software scegliere? Come? Affidandosi ad un partner, assoldando un consulente esterno oppure provando a fare una software selection con un responsabile interno? Questo articolo cerca di guidare l’azienda sulla prima cosa da fare: decidere quale fascia di prodotto valutare.

Il mercato dei CRM Oggi il mercato dei CRM può essere suddiviso in tre segmenti o classi di prodotto:


SPAZIO A Y Tipologia di CRM

CRM integrati al sistema ERP

Per quale azienda • Fino a 100 utenti • Budget di spesa da 5.000 a 30.000 €

Caratteristiche • • •

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CRM open source

• Fino a 150 utenti • Budget di spesa da 10.000 € a 50.000 € • Per progetti speciali si arriva a budget superiori

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CRM di fascia alta (italiani • Solitamente almeno 20 utenti, ma consigliabile su aziende con un minimo o internazionali) di 30-50 utenti o per realtà con sedi e stabilimenti esteri • Budget di spesa significativi da 30.000 € in su

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• • •

Produttori italiani Soluzioni gestite dal produttore dell’ERP Applicazioni tendenzialmente Web Based oppure in ASP (Application Service Provisioning) con utilizzo attraverso browser Vengono gestite le funzionalità basilari ma con la possibilità di creare funzioni a necessità Utilizza la stessa base dati del sistema ERP, con qualche estensione Tempi di configurazione e costi molto ridotti Tempi di avviamento: alcune giornate Produttori italiani e internazionali Prodotti open source, solitamente da utilizzare con server in locale In alcuni casi, possibilità di utilizzare piattaforme in Cloud e APP off-line Progetti da gestire tramite rivenditori qualificati o società di consulenza Piattaforme flessibili alle esigenze del cliente tramite personalizzazioni Necessità di definire i processi in fase preliminare Base dati separata dal sistema ERP Costi/benefici adeguati alle scelte di personalizzazione richieste Tempi di avviamento nell’ordine di 3-6 mesi Produttori italiani o internazionali Piattaforme specializzate per il mondo CRM Possibilità di utilizzare piattaforme in Cloud privato o pubblico, oltre alle APP off-line Progetti gestiti tramite rivenditori qualificati o società di consulenza Necessità di definire i processi in fase preliminare Piattaforme tendenzialmente rigide e molto adatte per grandi organizzazioni Grandi possibilità di gestire progetti complessi tramite configurazione o programmazione Base dati separata dal sistema ERP Costi rilevanti Tempi di avviamento: da 4 mesi in su 53


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1. CRM integrati al sistema ERP Alcuni produttori italiani di sistemi ERP hanno evoluto la suite gestionale con dei moduli specifici dedicati alle attività su clienti potenziali e in essere. La forza di queste soluzioni è la perfetta integrazione con il sistema ERP che permette di usufruire di suite CRM molto efficaci ma basilari. Si tratta di applicazioni Web Based che solitamente lavorano solo on-line e difficilmente prevedono l’estensione APP mobile. Vanno quindi molto bene per raccogliere le informazioni sul campo (nuovo contatto, attività effettuata), e per effettuare facilmente analisi dei dati gestionali del cliente (ordinato, venduto, listino etc.). Insomma, questi CRM fanno poche cose ma in modo semplice e veloce, comportano una formazione dell’utente che è minima, e costano poco. L’integrazione nativa con l’ERP fa sì che i due sistemi siano bidirezionalmente aggiornati in tempo reale: ad esempio, sia nell’inserimento ordine cliente dal CRM verso la sede che nella ricezione degli insoluti clienti o qualsiasi altra informazione gestionale, senza nessuna duplicazione di dati o necessità di creare database specifici per il CRM.

2. CRM Open Source Sono disponibili in commercio una molteplicità di CRM Open Source, da software molto semplici a piattaforme molto complete e complesse, di produttori italiani e internazionali. Questi software hanno tutti i pregi ed i difetti dei sistemi Open Source: da una parte la possibilità di accedere a discrete applicazioni senza grosse spese, se utilizzate nell’ottica in cui sono state progettate, dall’altra andare incontro a investimenti, in alcuni casi anche pesanti, nel momento in cui si voglia implementare un progetto complesso. L’importante è affidarsi a società specializzate (implementatori) che abbiano le opportune competenze oltre che la conoscenza della piattaforma CRM proposta. Un aspetto delicato e da considerare con attenzione, nel caso si introduca una soluzione Open Source, è la connessione con il sistema gestionale, necessaria a condividere le informazioni anagrafiche e gestionali dei clienti. Creare un progetto CRM senza questo collegamento significa, infatti, dar vita ad un progetto dipartimentale sconnesso dal motore principale dell’azienda che è il sistema ERP.

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Eurosystem entra nel mondo dei CRM internazionali con Microsoft Dynamics CRM Anna Zanin, project specialist, ci racconta la nuova sfida

Perché Eurosystem ha voluto entrare nel mercato delle soluzioni software enterprise CRM? Lavoriamo da oltre 35 anni sui sistemi gestionali e da oltre 15 anni molti dei nostri clienti che utilizzano l’ERP Freeway® Skyline sono consolidati utilizzatori di Freeway® CRM, due prodotti perfettamente integrati che lavorano sulla medesima base dati Oracle. Con una divisione dedicata al CRM, Eurosystem intende in primis acquisire nuova clientela in ambito dipartimentale come già avviene per altri settori aziendali; inoltre desidera rispondere alle esigenze di tutti quei clienti che vogliono processi CRM più estesi, con modalità di lavoro off-line o pensate per utilizzi nativi di dispositivi mobili o, ancora, in modalità cloud. Per questo abbiamo pensato di affiancare alle nostre applicazioni Freeway® una soluzione internazionale che in questi ultimi anni è riuscita ed emergere prepotentemente nel mercato della Customer Relationship Management: parliamo di Microsoft Dynamics CRM. Quali sono i contenuti della suite Microsoft Dynamics CRM? Dynamics CRM è una soluzione molto completa, con ampie possibilità di personalizzazione, e accessibile via web: la soluzione è multilingua, per cui si adatta bene anche a società che devono utilizzarlo da più filiali, anche estere, ed è fruibile sia in cloud che on premise. La suite comprende tre aree principali, Marketing, Vendita e Post Vendita, e permette di automatizzare tutti i processi di queste aree, dalla creazione di elenchi marketing organizzati per filtri alla gestione delle campagne, con l’invio integrato delle mail, alla gestione di tutte le fasi di avanzamento dell’opportunità di vendita, gestione dell’offerta, creazione di listini, pianificazione di interventi


SPAZIO A Y di post vendita. Si può addirittura arrivare a gestire gli SLA (Service Level Agreement) e i contratti di servizio, che andranno associati al ticket in modo che venga mostrato a video l’eventuale tempo rimanente per risolverlo e non andare incontro ad una penale, ovviamente nel caso in cui questo sia contemplato nel contratto con il proprio cliente finale. Tutte attività che Dynamics supporta e ci consente di svolgere agevolmente per facilitare agli utenti il processo di conversione di un lead iniziale in cliente vero e proprio. Secondo te, Microsoft Dynamics CRM potrà diventare il gestionale del futuro? Domanda molto interessante, poiché il CRM inizia potenzialmente a fare una piccola concorrenza anche ai rigidi sistemi ERP di fascia alta. Poiché il CRM permette di gestire tutte le attività relazionali sul cliente, è ipotizzabile che qualche fornitore di tali sistemi internazionali cerchi di implementare il proprio CRM nell’ottica di andare a lavorare anche sulle aree non prettamente legate al cliente, ossia l’approvvigionamento, la logistica, la produzione e l’amministrazione. Nel momento in cui l’azienda valuti di passare da MRP centrica (Material Requirements Planning) a CRM centrica, tutto può succedere: è possibile che nei prossimi anni vedremo delle spinte verso tale direzione ma è molto probabile che il mondo ERP rimanga comunque il collettore principale di tutte quelle applicazioni, dal CRM ai big data, al CRP, ai sistemi CAD etc., che hanno necessità di collaborare per mantenere interconnesse tutte le informazioni aziendali.

3. I CRM di fascia alta (italiani o internazionali) I CRM di fascia alta sono piattaforme che supportano ampiamente lo svolgimento dei processi di marketing, vendita e post vendita. Nel caso li si adotti, il primo consiglio è di validare i processi commerciali all’interno della propria organizzazione prima di avviare uno qualsiasi di questi CRM. Tali piattaforme sono assimilabili ad un sistema gestionale e per questo necessitano di budget importanti e del supporto di consulenti esperti. Alcune di queste piattaforme potrebbero risultare tendenzialmente rigide, ossia presentare all’utente troppi passaggi per svolgere attività semplici, aspetto che diventa più utile e adatto nel caso di grandi organizzazioni. È altrettanto vero, però, che tali piattaforme possono gestire tutti i processi legati al cliente finale di tipo operativo (inserimento di un nuovo contatto, attività di relazione, invio massimo di email, analisi dei dati) e anche interfacciarsi con i sistemi social quali Facebook, Twitter, Linkedin etc., probabilmente più e meglio utilizzati in aziende ben strutturate. I CRM di fascia alta comprendono anche piattaforme predisposte per alcuni settori verticali (es. medico, assicurazioni, farmaceutico, automotive), cosa che, per questi mercati, facilita l’avviamento di progetti molto complessi. Si tratta, ad ogni modo, di prodotti molto configurabili ma che, per personalizzazioni complesse, necessitano che si scriva codice applicativo, e questo di solito fa lievitare i costi di progetto. Anche in caso di scelta di questi prodotti, la base dati del CRM è separata dal sistema ERP e l’implementazione dell’interfacciamento con lo stesso può divenire molto onerosa. L’interfacciamento può essere di tipo semplice quando è possibile effettuare una importazione giornaliera dei dati relativi ad anagrafiche clienti e informazioni gestionali tramite file in formato testo o

Anna Zanin CRM consultant presso Eurosystem SpA

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Excel o con tabelle su di un database di frontiera; di tipo complesso quando è necessario utilizzare dei servizi (solitamente Web Service) per integrarsi al sistema gestionale, con costi che possono aumentare in funzione dei processi e delle connessioni con i dati presenti nel sistema ERP. In buona sostanza, si può arrivare a gestire sistemi completi ed integrati con l’ERP ma a costi decisamente sostenuti. Allo stesso modo, i tempi di avviamento di un progetto sono, nel migliore dei casi e nel momento in cui ci ferma ad un primo step, di almeno 4-6 mesi.

Acquisto “on premise” oppure in “cloud”? Aggiungiamo un’ultima nota che vale trasversalmente riguardo alla piattaforma prescelta e la modalità di licencing: ancora oggi la soluzione mediamente prescelta è “on premise”, ovvero con acquisto della licenza d’uso una tantum ed installazione in locale che garantisce autonomia operativa da parte, ad esempio, del Ced aziendale, ma per contro necessita di risorse hardware e servizi (es. back up, aggiornamenti, ecc.) continuativi. La modalità “in cloud”, in continua espansione, offre un servizio geografico alle aziende distribuite, ad esempio con più sedi anche in paesi diversi, e maggiore flessibilità per l’utilizzatore esterno (es. agenti) ma un costo continuativo nel tempo (canone d’uso del software per utente/mese) e la necessità di appoggiarsi ad un data center strutturato con costi di locazione anche per la parte infrastrutturale.

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INCONTRI CON HPE

HEWLETT-PACKARD ENTERPRISE

Verso “l’ecosistema data center” Come la convergenza, in tutte le sue forme, semplificherà la vita delle aziende Infrastrutture veloci, fluide e distribuite per assecondare i bisogni dei clienti. HPE è leader di mercato, grazie a una vision improntata sul valore, che ricerca e promuove anche nei partner, sull’evoluzione e sulla crescita. Yari Franzini, dal 2015 Country Manager di HPE Converged Infrastructure per l’Italia, raccontaci qualcosa di te: qual è il tuo percorso e quale la tua missione oggi in HPE?

Sono circa 15 anni che lavoro nell’IT. Precedentemente ho lavorato in una società di consulenza. Dal 2001 mi occupo di infrastrutture tecnologiche, prima in EMC, azienda leader nell’ambito dei sistemi di storage, successivamente in HP. Ho ricoperto prevalentemente ruoli di vendita, in EMC mi sono occupato di diversi mercati, poi sono entrato in HP con il ruolo di sales manager in ambito storage; una serie di step successivi mi hanno portato al ruolo che ho adesso, di responsabilità sul business legato alle soluzioni infrastrutturali HPE, siano esse server, storage o networking; coordino le attività ad esse relative. 57


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informativa che fornisce le giuste risorse a seconda delle necessità. Questo è decisamente disruptive come messaggio rispetto a un mercato che sta andando sempre più in cloud. Mentre in passato avevamo la necessità di assegnare il tutto o a risorse interne o ad un cloud pubblico, che stava man mano erodendo l’ambiente IT dei clienti, ora abbiamo l’opportunità di decidere cosa spostare nel cloud pubblico e cosa tenere nell’azienda, certi di avere la stessa flessibilità in entrambi gli ambienti.

Prima Converged, poi Hyperconverged ed ora Composable Infrastructure: ci aiuti a disegnare l’evoluzione dell’infrastruttura tradizionale attraverso questi 3 step? Il mio ruolo nasce proprio dalla convergenza degli elementi che abbiamo nominato prima: server, storage e networking. In HPE si sta sviluppando un’integrazione tra le componenti della nostra offerta infrastrutturale, già da tempo. Le soluzioni sono state inizialmente convergenti: abbiamo cominciato a integrare i tre elementi in sistemi preconfigurati e hardware-defined, dove il plus per il cliente era quello di avere un’architettura già integrata. È stato il primo passaggio che abbiamo fatto, già diversi anni fa, avendo i tre elementi in casa. Quando abbiamo intrapreso il percorso dell’iperconvergenza, invece, il nostro obiettivo era sempre quello di semplificare di più la vita dei clienti, ma dal punto di vista dell’automazione e del deployment delle applicazioni: qui abbiamo realizzato soluzioni per ambienti virtualizzati, introducendo i primi concetti di sofware defined storage. Nell’iperconvergenza è come se avessimo un tassello infrastrutturale, immaginiamo un comunissimo server standard x86, che a bordo ha anche funzionalità di software defined storage e che si può estendere a piacimento a seconda delle specifiche esigenze che arrivano dalle applicazioni. In sintesi si è trattato di un grosso salto evolutivo in termini di flessibilità strutturale. Il passo ancora successivo, la composable infrastructure, mira ad un’infrastruttura ancor più fluida, più dinamica, che segue le richieste di business e che si pone nei confronti delle applicazioni stesse come un codice (infrastructure as a code). In questo caso le applicazioni vedono l’infrastruttura attraverso delle general purpose, dette API, che vanno ad alimentare a seconda della specifica necessità, bypassando una serie di step e operations che oggi i nostri clienti devono rispettare per governare questa dinamica. L’abbiamo chiamata infrastructure as a code ma potremmo definirla anche as a service: un’infrastruttura 58

Per dirla in con una metafora? L’infrastruttura fluida si plasma a seconda di quello che il mio business richiede, si adatta sia verso l’alto che verso il basso. Volendo utilizzare una metafora, è come se avessimo una grande costruzione Lego, possiamo aggiungere mattoncini ma anche toglierli, la costruzione è elastica e si adatta a seconda di quanto vado ad estenderla.

HPE è un’azienda che ha visto molti cambiamenti negli ultimi anni ed è in continua evoluzione: qual è la visione aziendale? I due fronti innovativi su cui stiamo lavorando sono legati all’evoluzione del data center con tutte le soluzioni che abbiamo citato nell’ambito dell’hybrid cloud. Oltre all’infrastruttura abbiamo una serie di layer software che consentono al cliente di governare queste funzionalità e questi flussi di informazioni verso le applicazioni, diventando il centro nevralgico non soltanto dell’IT ma anche del business. Oggi vediamo tante realtà industriali che hanno linee di business che necessitano di applicazioni e informazioni molto più velocemente di prima. Se l’IT aziendale non è in grado di rispondere reattivamente e gestire queste richieste, queste funzioni aziendali si vanno ad autoalimentare nel public cloud, che citavamo prima. Da qui alcune azioni individuali, come l’utilizzo di Dropbox, che comportano dei rischi perché portare dei dati sensibili sul public cloud senza il dovuto controllo può causare anche forti danni all’azienda. L’IT deve essere centrale nei confronti del business e noi forniamo le infrastrutture adeguate affinchè possa esserlo. Questo tipo di evoluzione è uno dei due cardini della nostra strategia. L’altra è più legata all’Internet of the Things (IoT) e al Mobile. Abbiamo acquisito recentemente Aruba Networks, leader mondiale in soluzioni di mobile engagement, un ambito che racchiude soluzioni relative a infrastrutture wireless, che si integrano a quelle wired che già avevamo, ma la


INCONTRI CON cosa più importante che abbiamo acquisito da Aruba sono i software, che consentono di dare servizio alle utenze in mobilità, clienti, colleghi o fornitori, che poi accedono alle applicazioni con facilità, la giusta velocità e funzionalità di localizzazione (in base a dove sei, ti offro un servizo diverso o personalizzato).

Quindi, per voi cosa significa IoT? IoT per noi significa non soltanto infrastrutture a corredo dell’IoT, cioè gli oggetti (Things) che trasmettono l’informazione, la rete che la trasporta e il data center che la elabora, ma anche tutto il software di piattaforma che consente di gestire, analizzare e dare cruscotti ai decision maker per prenedere decisione in base a quella che è l’esigenza. Pensate ai droni che vengono utilizzati per monitorare campi di agricoltura e tenere controllato il livello di irrigazione con apertura e chiusura automatica di dighe, ad esempio.

E tutto questo sul canale come si declina? Sul fronte dei data center e delle infrastrutture, il percorso è attraverso il valore. Ci differenziamo sul mercato oggi perché portiamo valore con architetture sempre più innovative. Non vogliamo farlo da soli, ma abbiamo dei business partner sui quali stiamo lavorando da tempo, per farli crescere, definendo un sistema di canale a valore, più ristretto rispetto ad una volta ma in grado di governare il

mercato adeguatamente, di supportare i progetti e poi di supportare anche il cliente. Questo è il DNA di partner su cui stiamo puntando, tra questi Eurosystem.

Torniamo a parlare di Mobility: a circa un anno dalla acquisizione di Aruba Networks e dell’allargamento dell’offerta Networking HPE all’ambito wireless, come ha reagito il mercato? Ha reagito molto bene. Stiamo crescendo costantemente sul fronte wireless e mobility, sia a livello Europa che a livello Italia. Siamo riusciti a dare una bel contributo ad Aruba, che non è una start up ma il secondo player a livello mondiale in ambito wireless. I clienti prendono molto bene questa evoluzione, perché ci consente di completarci e abbiamo chiuso molti progetti sul territorio nazionale, soprattutto in ambito SMB e Commercial. Altri mercati target sono il Finance, con le sue evoluzioni sul tema delle filiali e della multicanalità, ma anche i clienti enterprise, che si stanno sviluppando ovviamente a una velocità diversa.

Come immagini il tradizionale data center di una medio-grande azienda tra 10 anni? Il data center oramai sta cambiando completamente faccia. Il data center fine a se stesso non esisterà quasi più, ci sarà un “ecosistema datacenter” dove le applicazioni saranno distribuite in modalità as a service, in ottica cloud, public and private, con le informazioni più importanti mantenute all’interno della stessa azienda. Con lo sviluppo dell’IoT avremo un ecosistema distribuito, perché magari ci doteremo di soluzioni di branch office, di edge, che consentiranno di recepire informazioni più velocemente e prendere decisioni in fretta. L’infrastruttura sarà fluida e distribuita, non più monolitica, e la missione dell’IT sarà di controllarla e gestirla in maniera adeguata.

Yari Franzini Country Manager HPE Converged Infrastructure Italia Hewlett Packard è presente nel mondo dell’innovazione da più di 75 anni. L’ampio portafoglio di proprietà intellettuali e le capacità di ricerca e sviluppo a livello mondiale dell’azienda fanno parte di un progetto d’innovazione, destinato ad aiutare le organizzazioni di ogni dimensione, dalle multinazionali alle startup locali, a passare dalle piattaforme tecnologiche tradizionali, ai sistemi IT del futuro. Yari Franzini, dal 2015, è Country Manager di HPE Converged Infrastructure per l’Italia. 59


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FORTE SECUR GROUP Sicurezza a prova di ERP

Consulenza e servizi di sicurezza più solidi e reattivi grazie al software gestionale La vocazione a proteggere, un passato nell’Arma dei Carabinieri e anni di esperienza nel settore della sicurezza: Forte Secur Group nasce da qui, l’insieme di più pezzi che si incastrano tra loro e oltre 10 anni fa decollano in un progetto. Innovativo e solido. Salvatore Forte, il fondatore di una vera eccellenza trevigiana in tema di sicurezza anticrimine, è prima colonnello dell’Arma, poi Security Manager dell’Aeroporto Marco Polo di Venezia, e fa sua una missione: colmare un vuoto, prima di tutto culturale, e offrire conoscenza e formazione nell’ambito della salvaguardia delle persone e dei beni materiali. GSI Consulting Training, il primo dei 3 filoni di attività del Gruppo a nascere, oggi opera proprio in questo senso: forma il personale di enti pubblici e privati nei settori aeroportuale, portuale e delle polizie locali, con uno staff altamente qualificato e certificato direttamente dall’ENAC. Corsi di formazione in Aviation Security, corsi informativi anti-terrorismo, verifiche e analisi su rischi e vulnerabilità sono tra i principali contenuti della formazione, che viene erogata in tutta Italia. Completano le attività ASG Security Network e GSI Security Service: la prima ha come fiore all’occhiello la Centrale Operativa Focal Point, il “cervello” in cui vengono monitorati tutti i sistemi tecnologici dei clienti e che gestisce - con procedure customizzate - le attività di security della clientela italiana ed estera; la seconda eroga direttamente i servizi di sorveglianza e controllo accessi presso le grandi aziende. Piantonamenti armati, trasporto 60

valori, gestione allarmi con pronto intervento, sono alcune delle attività che ASG coordina mettendo insieme un network di fornitori selezionati. Un’impresa a governance 4.0: così il Sole24Ore ha definito Forte Secur Group in un articolo dedicato alle realtà più innovative del Nordest. E Andrea Forte, Chief Operations Officer e figlio del fondatore, ci spiega anche perché: “per essere competitivi in questo settore, anche rispetto a player più grandi di noi, abbiamo introdotto una gestione dei servizi di qualità ma anche molto snella, basata su una filiera aziendale corta e con una forte assegnazione delle responsabilità. Nella nostra organizzazione ogni settore cardine è affidato ad un componente della famiglia, a cui riferiscono dei funzionari che coordinano l’azione operativa; questo modello ci aiuta a portare molto velocemente all’attenzione della direzione gli esiti delle attività eseguite, le problematiche e i margini di miglioramento. Così possiamo offrire progetti estremamente personalizzati ma soprattutto rapidi e reattivi alle richieste dei clienti”. E per ottenere sempre più efficienza, velocità e controllo, nel 2015 Forte Secur Group decide di introdurre l’ERP Freeway® Skyline della trevigiana Eurosystem SpA. “Abbiamo incontrato Eurosystem all’interno dell’associazione degli industriali di Treviso, e riconosciuto la storicità dell’azienda nel mercato degli applicativi, in particolare la sua flessibilità nella realizzazione di una soluzione che si presta molto bene per le aziende di servizi (oltre che per altri settori). Il nostro obiettivo era introdurre un prodotto strutturato ma semplice, in grado


STORIES Forte Secur Group

Forte Secur Group, l’azienda a governance 4.0 Cinque milioni di fatturato, 100 dipendenti, e una centrale operativa che monitora h24 allarmi, videosorveglianza, GPS di flotte veicoli, ed eventuali segnalazioni di anomalie per i clienti del Gruppo su tutto il territorio nazionale: sono i numeri del successo di Forte Secur Group, frutto del lavoro di squadra e di un personale fortemente motivato sotto la guida della famiglia Forte, i cui componenti ricoprono oggi i ruoli chiave dell’azienda. Centro nevralgico dell’azienda è la Controll Room, il cervello operativo del Gruppo da dove vengono monitorati tutti gli impianti tecnologici di sorveglianza installati presso i clienti, nonché gestiti i servizi. L’azienda è stata riconosciuta dal Sole 24 Ore come una tra le imprese venete con la governance più avanzata, per la filiera organizzativa corta ed efficiente e per l’investimento nel benessere del personale. Il Gruppo, che ha sede a Treviso, ha in progetto di estendere l’attuale haedquarter, collocato all’interno di una struttura dell’archeologia industriale, per aumentare gli spazi a libera disposizione dei propri dipendenti e favorire modalità di lavoro più rilassate e produttive.

di automatizzare e velocizzare i flussi interni e di tracciare l’andamento aziendale, sia da punto di vista economico che operativo. Il software Freeway® Skyline si è rivelato il più adatto a rispondere all’insieme dei nostri criteri di selezione”. Forte Secur Group ha introdotto la soluzione gestionale di Eurosystem nella sua versione completa con l’obiettivo di automatizzare tutti i processi amministrativi e contabili, e la gestione delle richieste di interventi in un progetto per step. Nella prima fase l’azienda ha meccanizzato la generazione della fatturazione ai clienti che oggi avviene a seguito di 2 flussi principali, l’inserimento di un Contratto oppure di un Ordine Cliente. “Grazie a Freeway® Skyline – racconta Andrea Forte - oggi, quando vendiamo uno dei nostri servizi con canale diretto, possiamo inserire nell’ERP tutte le informazioni relative al contratto stipulato, come il canone mensile di servizio, il costo complessivo, la tipologia di richiesta, il cliente e la filiale dell’azienda cliente associata a quel contratto, nonché il codice di riferimento del progetto. L’inserimento di tutti questi dati avvia in automatico la generazione dei documenti di fattura nelle modalità e nei tempi concordati, la registrazione dei documenti nella gestione contabile e l’avvio del pagamento. Attraverso il codice di progetto è poi possibile risalire al Contratto, dunque alle condizioni di vendita e servizio accordate, e a tutta la relativa 61


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documentazione, digitalmente archiviata. Lo stesso avviene quando gli utenti preposti inseriscono un Ordine cliente, legato alla vendita di servizi che coinvolgono più fornitori, e, anche in questo caso, registrando tutte le tariffe e le condizioni di vendita sulla base delle quali viene poi creata la fattura finale”. Con l’adozione della funzionalità Centri di costo, inoltre, l’azienda ha la possibilità di tracciare nella gestione della contabilità analitica tutti i costi sostenuti e i ricavi ottenuti per tipologia di servizio (formazione, consulenza, tutte le tipologie di servizi diretti e chiavi in mano), per cliente, per filiale-cliente (in quanto l’aziende vende a società con strutture ed esigenze multiple), per progetto, e avere un quadro estremamente preciso di quelle che sono le aree di business che stanno generando fatturati o investimenti maggiori. Tutte le analisi dell’andamento possono poi essere gestite tramite il modulo Freeway® Business Intelligence che consente alla direzione di creare facilmente e in autonomia report, grafici e cruscotti. “Freeway® Skyline ha impresso una grande accelerata al processo di innovazione già in corso nel Gruppo. Abbiamo abbandonato l’archiviazione cartacea dei documenti, i processi di gestione che avvenivano manualmente, via mail o per telefono, e velocizzato le operazioni interne. E oggi siamo in grado di controllare in modo analitico e puntuale

tutte le informazioni che riguardano il nostro business, a partire da quelli che sono i centri di maggiore redditività. Tutte le aree aziendali hanno beneficiato del processo di automazione che non è ancora terminato”. Una nuova sfida, infatti, attende l’azienda di sicurezza e si concentra tutta intorno alla sua Controll Room, una centrale operativa presidiata da operatori h24 che, attraverso moderne strutture tecnologiche, monitorano tutti i sistemi di sorveglianza gestiti e rispondono a segnalazioni e richieste del cliente che arrivano attraverso canali dedicati. L’obiettivo è quello di creare un portale web, collegato al gestionale, per la ricezione e gestione di tutte le richieste clienti, che da sistema permetta di assegnare gli incarichi ai vari commerciali di riferimento, di selezionare e ingaggiare la fornitura di servizio internamente o tramite incarichi di conferimento a terzi, e di avviare in definitiva le gestione del processo attraverso il collegamento con l’ERP. “È un progetto ambizioso, data la varietà di dati e operazioni da informatizzare per gestire questo tipo di flusso, ma i risultati finora ottenuti ci spingono a crederci e ad investire in un salto tecnologico e culturale che siamo sicuri ci permetterà di essere ancor più competitivi e vincenti sul mercato”, conclude Andrea Forte.

“Freeway® Skyline ha impresso una grande accelerata al processo di innovazione già in corso nel Gruppo. [..] E oggi siamo in grado di controllare in modo analitico e puntuale tutte le informazioni che riguardano il nostro business.

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SPAZIO A Y @eurosystem.it

COME MECCANIZZARE IL PIANO PRINCIPALE DI PRODUZIONE Stefano Biral

redazione@logyn.it

Il contesto dell’offerta Il piano principale di produzione (MPS, ovvero Master Production Schedule) serve a raccogliere l’indicazione di domanda previsionale sia per singolo articolo prodotto sia per richieste aggregate: il livello di aggregazione e le gerarchie sono potenzialmente illimitate. L’input del piano MPS è costituito dal forecast commerciale, in pratica dalle previsioni di vendita. Da qui nasce l’esigenza di mettere insieme una serie di informazioni in modo singolo, per prodotto, o strutturato per famiglie di prodotti similari al fine di definire la previsione di produzione utile per alimentare il sistema MRP (Material Requirements Planning, detto anche pianificazione dei fabbisogni di materiali) con i dati gestionali reali (es. ordini clienti, giacenze, ordini a fornitore) e previsionali (piano MPS).

Il problema dell’utente L’utente ha di solito la necessità di creare e mantenere uno o più piani MPS, mettendo insieme informazioni relative ai prodotti di magazzino o alle famiglie che aggregano gerarchicamente prodotti, oltre alle ipotizzate quantità da produrre nel tempo. Gestire una mole di dati importante non è proprio una cosa tecnicamente semplice e molto spesso si ricade nell’utilizzare grandi fogli Excel® che elaborano i dati delle vendite o delle potenziali vendite per arrivare ad estrapolare le previsioni mensili per il singolo articolo. Nel caso poi di settori e/o mercati particolari quali la gestione di articoli configurati, o gestiti a varianti, la problematica diventa estremamente complessa.

Ma una soluzione a misura di utente esiste...

arrivare a definire uno o più piani MPS con un nome specifico e una serie di proprietà generali che condizionano le sue caratteristiche di più alto livello. Il piano MPS potrà contenere dichiarazioni previsionali relative a delle famiglie, che possono comporsi di altre famiglie gerarchicamente inferiori, e così le previsioni rispecchieranno anch’esse questa struttura gerarchica: una qualunque famiglia può contenere dichiarazioni previsionali per determinati codici, intesi come articoli anagrafici di magazzino. Il piano MPS presenta le seguenti proprietà: nome e descrizione del piano, data di inizio, ampiezza e numero di periodi (ad esempio 12 mesi), stato del piano (Provvisorio, Rilasciato, Esecutivo, Terminato, Annullato, Sospeso). In funzione di tale stato è possibile comprendere se esso debba ritenersi valido: un solo piano tra tutti può essere correntemente esecutivo. La domanda previsionale da inviare al sistema MRP viene raccolta esplorando tutte le schede articolo del piano MPS: per come è strutturato, tutte le schede articolo riguardano articoli fisici reali, e su essi viene esercitata la nettificazione MRP, in pratica l’ottimizzazione della pianificazione dei fabbisogni di materiali. Tutte le altre entità sono di servizio, utili alla generazione del piano MPS, ma la scheda articolo è l’unico vero punto di raccordo tra il piano MPS ed il sistema MRP in Memory presente all’interno dell’ERP Freeway® Skyline. La domanda previsionale è quindi visibile tramite un apposito simbolo e relativo dettaglio, all’interno del cruscotto MRP o nell’albero di pegging, consentendo di capire le connessioni con gli ordini di produzione. Infine, la domanda previsionale deve essere stornata con la domanda reale che giunge all’interno del periodo di riferimento dalle vendite effettive ai clienti: in questo modo la domanda totale effettiva che elabora il sistema MRP, sostanzialmente, coincide sempre con la maggiore tra la previsionale e l’effettiva.

All’interno del nostro ERP Freeway® Skyline è possibile 63


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MOKADOR

Dal dato al chicco: un progetto di BI La torrefazione di Faenza introduce con successo la Business Intelligence Smettere di navigare a vista, capire esattamente il come e il perché di un andamento, e sfruttare questa conoscenza per migliorare in efficienza e investire nelle aree di redditività. Cercando di risparmiare più tempo possibile. E ciò che ha fatto Mokador, lungimirante torrefazione romagnola, con un progetto di Business Intelligence targato Eurosystem. Mokador è una torrefazione che festeggerà fra pochi mesi i suoi primi 50 anni. Azienda familiare nata dalla visione imprenditoriale di Domenico Castellari, è dalla fine degli anni ‘90 guidata dai figli del fondatore, Niko e Matteo. La filosofia di qualità ed eccellenza è un tratto distintivo di questa realtà che ha sede a Faenza, e che si è affermata negli anni non soltanto sul territorio di riferimento, ma su scala nazionale, raccogliendo brillanti risultati anche all’estero. I principali canali di riferimento dell’azienda sono l’ho.re.ca, il vending ed il retail, per ognuno dei quali sono stati sviluppati prodotti e strategie specifiche. Mokador, che detiene 2 siti produttivi a Faenza e un deposito commerciale nelle Marche, ha nel suo portafoglio altri due brand, anch’essi sinonimo di qualità ed eccellenza, Sacao e Caffè Gualtieri. Con un fatturato annuo di 13.200.000 di euro nel 2015, una previsione per il 2016 a circa € 14.000.000, e 70 fra dipendenti e collaboratori, la torrefazione di Faenza si attesta come una realtà costantemente in crescita. Nel 2015, a seguito di un’attività di assessment sui sistemi informativi aziendali, l’azienda realizza l’importanza di introdurre un sistema di Business Intelligence. Per velocizzare le attività di analisi e reportistica, automatizzarle e conferire ai dipartimenti interessati una più ampia autonomia nella scelta di indicatori e KPI per la 64

La piena realizzazione del progetto di Business Intelligence delineato ci consentirà di valorizzare del tutto i dati disponibili in azienda e di guardare a questi come ad una vera e propria bussola verso la crescita.


STORIES Mokador generazione di report sull’andamento aziendale. “Quello del caffè – racconta Gaia Brunetti, Responsabile Risorse Umane e Sistemi Informativi di Mokador – è indubbiamente un settore con grandi particolarità, sia dal punto di vista produttivo, che commerciale. Il nostro partner ideale doveva aver maturato un’esperienza significativa in questo comparto, per comprendere meglio e più rapidamente le nostre necessità. La software selection ha avuto, fra gli altri, l’obiettivo ricercare una società che avesse queste caratteristiche, perfettamente incarnate da Eurosystem”. Eurosystem SpA, società trevigiana di Information Technology specializzata nello sviluppo di applicativi per la gestione dei processi aziendali e produttore di un ERP specifico per le aziende del caffè, ha accompagnato Mokador nell’introduzione di un sistema di BI basato Freeway® Business Intelligence. La prima parte del progetto aveva come obiettivo confrontare i dati sulle vendite raccolti dall’ERP e il sistema di budget e canvass, poi automatizzare la realizzazione della reportistica destinata all’area vendite interna ed esterna. “Prima dell’introduzione di Freeway® Business Intelligence – racconta Stefano Bacci, responsabile del progetto per Eurosystem – i report dell’area vendite erano il frutto di diverse operazioni manuali e di continui adattamenti: gli utenti dovevano, infatti, estrapolare i dati necessari dal database Sql, trasportarli in file dal formato Excel e, da lì, generare di volta in volta grafici, tabelle e quanto richiesto sulla base delle esigenze interne, con un grande investimento di tempo e risorse, ogni volta che questo si rendeva necessario. Come Eurosystem, abbiamo interfacciato direttamente il database esistente, attraverso la mappatura logica dei dati fisici, aiutato il cliente a definire in questo meta-strato il proprio modello e realizzato poi nella soluzione di BI i report standard. “Il risultato – commenta Gaia Brunetti – è che oggi il personale Mokador dell’area IT, Trade Marketing e Controllo di gestione, tramite la soluzione di BI implementata e a seguito di una corretta formazione, è in grado di generare, in autonomia, analisi e statistiche costruiti sulla base di questi modelli, ma anche nuove tipologie di report, non codificati, che incrociano più e diversi indicatori”. Freeway® Business Intelligence ha, quindi, completamente rivoluzionato il modo di fruire i dati aziendali. Oggi i 65


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UNA DEFINZIONE DI BUSINESS INTELLIGENCE La BI è l’insieme di modelli matematici e metodologie di analisi che esplorano i dati per ricavare informazioni e conoscenze utilizzabili nel corso dei processi decisionali.

FREEWAY® BUSINESS INTELLIGENCE Freeway® BI è un software di business intelligence sviluppato da Eurosystem SpA per trasformare e rielaborare i dati in reportistica di sintesi, andamenti e previsioni. La soluzione di basa sulla piattaforma SAP Business Objects.

funzionari commerciali ricevono via mail e periodicamente, con una frequenza decisa dalla Direzione, il quadro riepilogativo del loro portafoglio clienti e prodotti, mentre ai responsabili di canale è resa disponibile una dashboard per seguire day by day l’andamento a consuntivo e prospettico del fatturato. Un cambiamento non da poco che permette di avere visibilità diretta ed effettiva sull’andamento del business. “Nella seconda fase del progetto ci concentreremo – aggiunge Gaia – sul controllo di gestione, arrivando a creare una dashboard direzionale che evidenzi i KPI gestionali dell’azienda nel suo complesso e dei diversi canali. Per fare questo andremo ad allargare la mappatura del database anche a dati di natura finanziaria e patrimoniale”. L’obiettivo è riuscire a delineare con certezza e dettaglio tutti i costi di prodotto in modo da poter derivare quali di questi abbiano un maggiore impatto e, di conseguenza, valutare i margini effettivi generati. Grazie all’adozione dei KPI sarà possibile calcolare quanto incide, per Kg di caffè, ad esempio, il costo del crudo, o quello delle operazioni di tostatura, o degli omaggi ai clienti. Allo stesso modo si potranno evidenziare le città, le province o le aree più produttive, gli agenti più efficienti, le tipologie di prodotto più richieste. Tutto questo permetterà all’azienda di capire rapidamente e con immediatezza se esistono delle efficienze – o delle aree di miglioramento – e come gestirle.

MOKADOR SRL Da quasi 50 anni Mokador a Faenza è sinonimo di caffè di alta qualità. Un caffè che ha molto di più di qualsiasi altro perché è ricco di storia e di magia. Domenico Castellari nel 1967 crea la prima tazzina di caffè Mokador, fortemente voluta e selezionata già da innumerevoli viaggi alla scoperta delle migliori piantagioni. Morto prematuramente lascia l’azienda di famiglia ai figli Niko e Matteo che portano la ricerca e il prestigio di Mokador alla conquista dell’Italia e del mondo seguendo la politica di qualità intrapresa dal padre, imprenditore illuminato e con una visione ben precisa. Qualità premiata nell’ottobre del 2016 con la Medaglia D’oro all’International Coffee Tasting per la Gran Miscela Mokador e per la cialda Aroma Top. Oggi Mokador, azienda controllata da Castellari Holding, rappresenta un’importante realtà nel mondo del caffè da bar e del monoporzionato, in cialda e in capsula, con un fatturato in crescita costante ed una realtà produttiva sviluppata su un’area complessiva di circa 5.000 metri quadrati.

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Quando il sistema sarà a regime, i report operativi destinati alla forza vendita saranno ottimizzati ed automatizzati sia nella fase di redazione che in quella di diffusione. Questo consentirà di ridurre i tempi di diffusione delle informazioni e di aumentare la frequenza delle comunicazioni, senza appesantire lo staff interno. Inoltre, mettendo a disposizione dei vertici aziendali degli indicatori e delle previsioni si riuscirà a dare stabilmente dei riferimenti ed elementi a supporto delle decisioni di business. “La condivisione dell’informazione e la sua disponibilità in real time – conclude Gaia Brunetti – sono elementi chiave per supportare la corretta gestione del business e delle vendite. La piena realizzazione del progetto di Business Intelligence delineato ci consentirà di valorizzare del tutto i dati disponibili in azienda e di guardare a questi come ad una vera e propria bussola verso la crescita”.


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STILE LIBERO Lavoro

Smart Working Obiettivi e possibilità per aziende e lavoratori

STUDIO LIZIER, BOTTARI E ASSOCIATI

p.dallarmi@studiprofessionali.org

Lo smart working (o lavoro agile), che potrebbe diventare legge entro la fine dell’anno, rappresenta il tentativo di promuovere la flessibilità di esecuzione del rapporto di lavoro allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.

Obiettivi

Che cosa implica Esso implica un nuovo modello di organizzazione del lavoro in cui risulta importante valutare in un’altra prospettiva la gestione del personale dipendente, il quale deve essere considerato per i risultati che è in grado di garantire. Si lascia pertanto il dipendente più libero di organizzarsi sia a livello di tempi che di luoghi di lavoro, fissando degli obiettivi di produttività da raggiungere in una più ampia autonomia. Il lavoro agile, infatti, deve essere svolto in parte all’interno ed in parte all’esterno dei locali aziendali entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, con assenza di una postazione fissa di lavoro e con il possibile utilizzo delle moderne tecnologie.

Attraverso questo nuovo modo di intendere il lavoro si cercano di raggiungere diversi effetti positivi: da una parte ridurre i tempi di spostamento casa-lavoro, ampliando la possibilità per il dipendente di occuparsi delle normali incombenze della vita familiare e sociale, dall’altra consentire alle aziende un maggiore e più efficiente utilizzo delle risorse aziendali, sia in termini di spazi (come ad esempio gli uffici per i dipendenti) che di consumi.

Cosa prevede la legge Il disegno di legge prevede che l’accordo sullo smart working debba risultare da atto scritto a pena di nullità regolamentando l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, sia per quel che concerne l’esercizio del potere direttivo datoriale che per gli strumenti utilizzati dal lavoratore. Tale accordo può essere sia a termine che a tempo indeterminato, in quest’ultimo caso è possibile recedere con un preavviso non inferiore a 30 giorni, in presenza poi di un giustificato motivo il recesso può avvenire prima della scadenza del termine ovvero senza preavviso se si tratta di accordo a tempo indeterminato.

Antesignano dello smart working è il telelavoro il quale non risulta regolato da alcuna norma di fonte legislativa, essendo disciplinato esclusivamente da accordi collettivi (tra cui l’Accordo Interconfederale del 9 giugno 2004). Nonostante ciò, il nuovo lavoro agile pare una sua evoluzione, essendo possibile apprezzarne alcune diversità.

Cosa cambia Prima di questo provvedimento è mancata una vera e propria cornice normativa statale e ciò ha forse contribuito alla scarsa diffusione del telelavoro, ora invece alcuni aspetti (si consideri l’espressa applicazione della tutela sugli infortuni sul lavoro anche per gli eventi accaduti al di fuori dei locali aziendali) vengono esplicitamente chiariti. Da notare poi che se il telelavoro spesso era concepito come un mero spostamento del luogo lavorativo presso l’abitazione del dipendente o in locali di cui egli avesse la disponibilità, con l’introduzione del lavoro agile sembra esserci un cambio di mentalità con l’intenzione di rimodellare il modo di lavorare al di fuori dei locali aziendali e di misurare la prestazione sulla base dei risultati conseguiti. 69


numero 13

Bring Your Own Device Dispositivi personali sul lavoro, con le dovute cautele

UNIS&F

Tel. 0422 916465

privacy@unindustriatv.it

Con il termine Bring Your Own Device si vuole indicare la tendenza, sempre più attuale, di utilizzare i propri dispositivi personali nel ciclo produttivo aziendale. Ma quali cautele deve porre l’azienda nell’implementare tale strategia? A cosa essere attenti Le principali attenzioni si possono cosi riassumere: • Soppesare i vantaggi di utilizzare questi nuovi dispositivi mobili per ogni operazione specifica e prendere in considerazione, caso per caso, tutti i rischi e le invasività che il loro uso può comportare. Tale valutazione deve considerare tutte le funzionalità e le caratteristiche dei dispositivi e l’impatto della loro introduzione sulla sicurezza delle infrastrutture IT già presenti. • Applicare il principio di responsabilità che è di fondamentale importanza nel contesto dell’uso dei dispositivi mobili. La complessità deve essere chiaramente definita in modo specifico per ogni singolo 70

soggetto coinvolto e secondo gli svariati casi d’uso possibili. • Individuare e successivamente mantenere una politica relativa ai limiti e alle modalità di utilizzo anche in funzione di una responsabilizzazione e guida dei comportamenti tenuti dai lavoratori. Lo scopo della policy è quello di chiarire i diritti e gli obblighi dell’azienda e del suo personale, quando i dispositivi privati sono utilizzati per scopi di lavoro. • Adottare procedure scritte per la gestione del ciclo di vita dei dispositivi mobili, siano essi di proprietà delle aziende o dei privati. Tali procedure devono essere usate per controllare correttamente i dispositivi mobili e devono tener conto di tutte le operazioni da eseguire su essi. • Impostare i dispositivi in maniera tale che venga evitata la raccolta e l’elaborazione di dati personali in eccesso, in applicazione del principio di minimizzazione dei dati. • Nell’adottare le misure di sicurezza da applicare ai singoli dispositivi, fare propri i principi

di privacy by design del nuovo Regolamento Europeo sulla Privacy. • Adottare procedure interne per la gestione delle violazioni dei dati. • Implementare un processo di gestione del rischio e implementare misure idonee ad affrontarli. Tali misure di sicurezza devono essere sia organizzative, come ad esempio l’adozione di politiche di sicurezza, un adeguato piano di formazione per il personale, che tecniche, come le soluzioni Mobile Device Management (MDM), prevedendo per esempio idoneo PIN, o anche il backup, il blocco a distanza del device, l’antivirus, la crittografia, etc. • Fornire l’idonea informativa ad ogni singolo dipendente che usa il device in qualità di interessato indicando chiaramente le informazioni inerenti il trattamento dei dati, come ad esempio: chi è il titolare e quali sono i dati trattati, quali sono i dati personali che l’utente può raccogliere ed elaborare tramite


STILE LIBERO Privacy

il dispositivo, quali applicazioni sono autorizzate e possono essere scaricate sul dispositivo, qual è la politica per quanto riguarda l’uso dei servizi cloud etc.

Rischi per le aziende? Non solo È bene specificare che il rischio non è del solo datore di lavoro, ma è anche proprio del dipendente. Si ricorda infatti che sebbene l’art. 2049 c.c. non permetta prova liberatoria i dipendenti e collaboratori potranno risultare parimenti responsabili per ogni

violazione intervenuta e per ogni danno da loro cagionato. Il trattamento dei dati personali è infatti equiparato dal Codice della Privacy alle attività pericolose, come specificato nell’articolo 15:

responsabile per l’illecito trattamento dei dati personali, anche il dipendente, laddove non dimostri di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.

1. Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile. 2. Il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell’articolo 11. Ciò implica che chiunque effettui il trattamento potrà essere ritenuto 71


numero 13

Il lavoro al tempo della Mobility Aspetti economici e alcune case history RUGGERO PAOLO ORTICA - ENRICO FANTUZZI

Il recente disegno di legge 2233 sul lavoro autonomo e sul lavoro remoto, definisce il lavoro agile (o smart working) una “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, tema da sempre dibattuto e molto vicino soprattutto alle donne per la necessità di coniugare i tempi di lavoro con quelli della famiglia. Ma quali, se ci sono, i vantaggi economici di queste nuove modalità lavorative? Chi ne beneficia? Vediamolo approfondendo le implicazioni economiche che impattano su aziende e lavoratori e facendoci ispirare da qualche buona case history in quest’ambito. Qualche numero sullo smart working Dalla ricerca del Politecnico di Milano emerge che il 17% delle grandi imprese italiane ha già avviato nel 2015 (nel 2014 erano circa l’8%) progetti organici di smart working, introducendo in modo strutturato nuovi strumenti digitali, policy organizzative, comportamenti 72

info@studioassociatopiana.it

manageriali e nuovi layout fisici degli spazi. A ciò deve aggiungersi che circa il 14% delle grandi imprese si dichiara intenzionata ad avviare progetti di smart-work ed un ulteriore 17% ha invece già avviato iniziative per particolari profili, ruoli o esigenze del personale. In pratica dalla ricerca del Politecnico Milanese emerge che quasi una grande impresa su due sta andando verso l’introduzione di un progetto di smart-work quale nuovo modello di organizzazione del lavoro e di gestione aziendale.

Il caso Siemens e altri casi significativi Siemens è stata una delle prime aziende ad attuare un progetto di smart-work. Introdotto dalla casa madre in Germania, nel 2011 Siemens ha introdotto lo smart-work anche in Italia ed oggi sono 1.700 (su 3.800) i dipendenti del gruppo che “lavorano agile” senza timbrare il cartellino e senza una scrivania fissa. I primi settori a scegliere il lavoro agile sono stati quelli dell’informatica, delle tecnologie e della consulenza, ne sono esempi Fastweb, Microsoft, ed Accenture. Anche Vodafone, Bayer ed

American Express hanno già iniziato ad introdurre lo smart-work nelle aziende italiane, ed anche le banche come Unicredit, Intesa Sanpaolo, Bnl e Ubi banca stanno introducendo questo nuovo modello organizzativo. Anche in settori manifatturieri si apre, seppur in maniera limitata, la possibilità di sfruttare questo nuovo strumento, come avviene già alla Tetra-Pack di Modena. A conclusione, volendo lasciare il lettore con il numero forse più significativo tra quelli finora snocciolati, sulla base delle esperienze di smart-work censite, si parla di circa 250 mila lavoratori agili in Italia, prima tra tutte Telecom con oltre 9.000 “smart-workers” (su circa 53.000 collaboratori).

I benefini economici per le aziende Diversi sono i vantaggi per le aziende. Dal punto di vista economico si potrebbero abbattere costi fissi quali quelli afferenti gli spazi aziendali, ottenendo un netto risparmio sugli affitti e sui costi generali; sul fronte dei costi del personale invece, le imprese potrebbero risparmiare sui buoni pasto e sui rimborsi chilometrici.


STILE LIBERO Fisco Sempre secondo la ricerca del Politecnico di Milano, l’adozione dello smart-work porterebbe numerosi benefici all’azienda, tra cui: • aumento di produttività dei lavoratori fino al 20%; • riduzione dei costi di gestione dello spazio fisico aziendale, fino ad un 30%; • riduzione del tasso di assenteismo.

I benefici economici per i dipendenti Il vero tratto distintivo del lavoro agile è che il dipendente non viene valutato per il numero di ore che lavora in azienda ma per i risultati che è in grado di raggiungere. In

quest’ottica l’azienda non dovrà più monitorare quando il dipendente “timbra il cartellino”, ma piuttosto se gli obiettivi aziendali ad esso associati sono stati raggiunti alla fine del mese o ad ogni step di monitoraggio; una volta entrati in quest’ottica, il fatto che si lavori da casa o alle Maldive o in ufficio diventa del tutto ininfluente.

Una ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano identifica possibili benefici per i lavoratori “smart” quali un risparmio economico, un incremento del tempo libero ed una maggior soddisfazione.

Dal punto di vista economico invece, il disegno di legge stabilisce che il lavoratore abbia il diritto a ricevere un trattamento economico e previdenziale non inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le stesse mansioni all’interno dell’azienda.

Lo smart work si propone come nuovo modello “smart” di organizzazione aziendale, atto a produrre risparmi di costi, ottimizzazione dei tempi ed efficentamento generale di tutta l’azienda.

Un nuovo modello gestionale

Lo smart work potrebbe dunque significare l’inizio di un nuovo paradigma organizzativo aziendale, in cui si assisterebbe ad una rivoluzione di tutti i processi aziendali, specialmente interni: dall’organizzazione del lavoro, alla comunicazione, alla gestione delle risorse umane, alla valutazione delle performance. Non si tratta pertanto di sola implementazione di nuova tecnologia nel sistema azienda ma di un vero e proprio “nuovo modello gestionale”, che potrebbe avere un impatto significativo anche sui bilanci di aziende e dipendenti.

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numero 13

Intercettazioni attraverso pc, smartphone e tablet Aperta una nuova frontiera GIULIA TEBALDI

giulia.tebaldi@gmail.com

La nuova forntiera raggiunta nelle intercettazioni informatiche e telematiche consiste nell’uso di un software trojan horse, definito in giurisprudenza quale captatore informatico. Esso viene installato a distanza attraverso metodiche “classiche” di inoculazione dei virus informatici, quali invio di email, sms oppure o durante la navigazione in internet e il download di applicazioni aggiornamenti. Un trojan per intercettare Il software trojan horse è costruito con due componenti: la prima, server, è il programma che infetta il dispositivo, la seconda, client, è l’applicativo che consente il controllo del dispositivo attaccato. Attraverso l’inoculazione del virus è possibile captare tutto il traffico dati sia in entrata sia in uscita del dispositivo, attivare il microfono e la web cam, carpendo suoni e immagini, copiare quanto archiviato in memoria, decifrare quanto viene digitato e visualizzare gli screenshot. Il trojan in questione non viene identificato dai normali sistemi antivirus ed è in grado di trasmettere 74

in tempo reale informazioni agli organi investigativi. Le intercettazioni secondo il codice di rito possono essere effettuate solo per determinati tipi di reati, (tra gli altri traffico di stupefacenti, delitti contro la P.A., stalking) o la cui pena superi i 5 anni di reclusione nel massimo. In caso di intercettazione ambientale e tra presenti il limite è quello del domicilio in quanto il codice prevede che sia possibile superare i limiti costituzionali di inviolabilità del domicilio solo qualora vi sia il fondato sospetto che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.

Tecnologia e diritto Il primo aspetto problematico circa l’utilizzo di questa tecnologia in ambito penale riguarda la mobilità del captatore. Un’intercettazione così congegnata può captare informazioni continuativamente oltre che ubiquitariamente violando i diritti fondamentali dell’inviduo a presidio della riservatezza della vita privata. Difficile perciò predeterminare i luoghi in cui dette intercettazione siano effettuabili in quanto il mezzo utilizzato non lo consentirebbe.

Urge una normativa ad hoc che disciplini nel rispetto del principio di tassatività i casi in cui si possa fare riscorso a questo nuovo strumento, bilanciando la necessità dell’impiego con il sacrificio dei diritti costituzionalmente garantiti. Dovranno essere poi dettagliatamente normate le modalità di svolgimento e l’utilizzabilità dei risultati acquisiti. Per ora ci si può affidare esclusivamente alla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione anche se sono state proposte diverse recenti iniziative parlamentari in tal senso. Da ultimo la proposta di legge datata 20/04/2016, C3762 restringe il campo di applicazione di questa particolare tipologia di intercettazioni ambientali ai reati di maggiore allarme sociale, quali associazionismo criminale, terrorismo, traffico di droga, tratta di essere umani, adescamento di minorenni, ma anche per prevenire e perseguire i reati informatici, dall’accesso abusivo a sistema informatico alla truffa, comprese le ipotesi di danneggiamento del sistema e di intercettazioni illecite.


STILE LIBERO Azienda sicura Data l’inerzia del legislatore sono state le Sezioni Unite della Cassazione per ora a porre i limiti di ammissibilità dell’uso dei trojan in ambito investigativo riprendendo ed adattando al captatore normativa e giurisprudenza esistenti in materia di intercettazioni tra presenti, ritenuta l’intercettazione mediante trojan di tipo ambientale.

Quando utilizzare il Trojan Gli Ermellini hanno innanzi tutto escluso la possibilità di attivare il captatore nei luoghi di privata dimora, conformemente a quanto già prevede il codice di rito per le intercettazioni ambientali. Tuttavia qualora vi sia fondato motivo di ritenere che si stia svolgendo l’attività criminosa presso il domicilio si potranno effettuare intercettazioni ambientali in precisi luoghi indicati espressamente nel decreto di autorizzazione. Tale criterio non è estendibile al domicilio di terzi. Fa eccezione l’indagine in ambito di criminalità organizzata ex art. 13 della L. 203/1991, in cui si prescinde sia dal fondato sospetto di svolgimento dell’attività criminosa quale condizione facoltizzante l’intercettazione che dall’indicazione del luogo nel decreto autorizzativo. In altre parole limitatamente a tale ipotesi l’intercettazione attraverso captatore è certamente consentita anche nei luoghi di privata dimora, senza restrizioni né condizioni. Per quanto concerne luoghi assimilabili a quelli di privata dimora (carceri, autovetture, capanni per attrezzi ecc…) bastera l’indicazione nel decreto autorizzativo che consentira l’intecettazione anche in luoghi dello stesso tipo rispetto a quelli indicati.

La Cassazione poi si è occupata di meglio definire quali sono in concreto i reati di criminalità organizzata per cui si può applicare la suddetta estensione, fermo restando che comunque è sufficiente l’integrazione provvisoria dell’illecito quale qualificazione giuridica in fase di indagine. Si potrà fare ricorso de iure condendo a tali strumenti in ambito di indagini condotte per reati di stampo associazionistico in cui al di fuori delle ipotesi di mero concorso di persone nel reato si debba riconoscere l’esistenza di una stabile struttura organizzativa programmata al fine di perpetrare reati di diverse specie.

contempli la corretta impostazione di password, back up, crittografia, protocolli privacy e che consentono quindi di evitare il coinvolgimento della società in indagini in materia di reati informatici, che primariamente possono interessare le aziende tra gli illeciti per cui si può procedere con l’intercettazione.

Resta aperta la discussione circa la possbilità di impiegare il Trojan Horse anche al di fuori dei delitti di più alto allarme sociale e cioè quale alternativa alle tecniche ordinariamente impiegate nelle intercettazioni tra presenti, ovvero le microspie. Infatti non può non essere osservato che il programma controlla una moltitudine di informazioni che vanno ben oltre quelle indispensabili ai fini dello svolgimento dell’indagine penale accedendo a contenuti privati e professionali. Basti pensare al contenuto del computer o dello smart phone di ciascuno di noi contenente foto, file audio, messaggistica, documenti in ambito professionale. Le aziende poi possono avere interesse a proteggere disegni tecnici, brevetti, progetti, formule, liste clienti, che potrebbero finire nelle reti investigative al vaglio degli inquirenti senza che abbiano poi nessun collegamento con l’indagine in corso. Sempre attuali quindi in ambito aziendale le raccomandazioni in materia di web security, che 75


numero 13

Unioni civili, convivenze e “modello matrimoniale” Nuovi scenari nel contesto del diritto di famiglia ANDREA MANUEL

La Legge 20.05.2016 n. 76, avente ad oggetto la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze di fatto, apre nuovi scenari nel contesto del diritto di famiglia, comportando ulteriori e significative evoluzioni per quel che concerne il tradizionale approccio all’istituto matrimoniale. La regolamentazione giuridica della vita familiare Con la Legge sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto l’Italia si colloca nel perimetro degli ordinamenti che nel mondo prevede una regolamentazione giuridica di legami affettivi stabili, eterosessuali e omosessuali, adottando, però, un sistema in verità quasi unico, costituito dalla compresenza, nel diritto di famiglia, di tre forme di regolamentazione giudirica della vita affettiva e stabile familiare. E cioè: • il matrimonio (cui si accede con la celebrazione); • l’unione civile tra persone dello stesso sesso (cui si accede con la registrazione); 76

• la convivenza di fatto (per cui è prevista, ma non quale registrazione obbligatoria sebbene ai fini probatori, la sola iscrizione anagrafica). La scelta operata nell’ambito della Legge 76/2016 è stata nel senso di contemplare due modelli distinti: il primo, quello dell’unione civile, riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso; il secondo, quella della convivenza di fatto, aperto a tutte le coppie eterosessuali e omosessuali. Nell’unico articolo (comprendente 69 commi … !) sono dislocate le disposizioni sulle unioni civili (commi 1-35), sulle convivenze di fatto (commi 35-65), nonché norme finali di copertura finanziaria.

Le unioni civili tra persone dello stesso sesso La prima parte (art. 1 comma 1-35) è dedicata alle unioni civili tra persone dello stesso sesso. Le unioni civili sono – di fatto – disciplinate in modo pressoché simmetrico a quanto previsto nell’ordinamento vigente per le coppie coniugate. Vi è, però, una particolare attenzione (nel rispetto della tradizione giuridica del nostro

Paese e nelle convinzioni religiose di buona parte della popolazione) al fine di evitare una totale “identità” dell’unione civile al matrimonio. Il Legislatore ha dovuto fare una scelta: da un lato dando una risposta alle esortazioni della Corte Costituzionale che sollecitava strumenti per garantire alle coppie dello stesso sesso dignità giuridica non diversa da quella che l’ordinamento garantisce ai coniugi, dall’altro evitare di prevedere direttamente (il che avviene in quasi tutti i principali paesi occidentali) la possibilità dell’unione in matrimonio di persone dello stesso sesso: così evitando prevedibili obiezioni di costituzionalità nel nostro sistema (v. art. 29 della Costituzione). Per evitare questa assimilazione formale al matrimonio il regime primario dell’unione civile non viene definito con riferimento alle norme che indicano il regime primario del matrimonio (in buona sostanza gli artt. 143 e 144 del c.c.) ma attraverso l’indicazione dei diritti e dei doveri che i partners assumono allorchè costituiscono l’unione civile. Non è una totale sovrapposizione: ad esempio è esclusa la fedeltà reciproca e, inoltre, la Legge esclude espressamente l’applicazione alle unioni civili di tutta la normativa


STILE LIBERO Parola all’avvocato

vigente in tema di adozione dei minori. L’unione civile garantisce i diritti successori e alla pensione di reversibilità. La nuova Legge introduce per le unioni civili il “divorzio immediato” (cioè non proceduto dalla separazione) a cui i partners potranno accedere almeno 3 mesi dopo aver manifestato l’intenzione di sciogliere il loro vincolo all’Ufficiale di Stato Civile.

un’unione civile”. Dal che si deduce con chiarezza l’intento del Legislatore di escludere forme di convivenza diverse da quelle more uxorio, che, sia pure presenti nella realtà sociale, presentano un minor grado di diffusione. I commi da 50 a 63 fissano la disciplina del contratto di convivenza mediante cui i convivienti di fatto “possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune”.

l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati, sia per il caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, in relazione alle decisioni concernenti la salute, sia in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

La disciplina giuridica della convivenza

Senza voler compiere un’analisi approfondita basterà ricordare (tra i possibili contenuti del contratto) l’indicazione della residenza, la possibilità di fissare le modalità di contribuzione alla necessità della vita in comune, la possibilità di optare per il regime patrimoniale della comunione dei beni.

In conclusione non può non sottolinearsi come la L. 76/2016 si inquadri in un più ampio contesto di riforme che stanno incidendo profondamente sulla valenza giuridica dell’istituto matrimoniale. Si tratta, pertanto, di un intervento legislativo fortemente impattante sul tema delle relazioni affettive che, in ultima istanza, contribuisce a restituire un’immagine al diritto di famiglia in rapida, incessante ed irrequieta evoluzione.

La seconda parte della nuova Legge (l’art. 1 commi 35-65) è dedicata alla disciplina giuridica della convivenza. Questo secondo modello, che la riforma ha collocato accanto all’unione civile, configura una relazione avente effetti giuridici decisamente più attenuati, secondo una logica marcatamente differenziante; un modello quindi “ad intensità minore” ancorchè alla convivenza si ricolleghino effetti di non poco momento. Il 36° comma enuncia la nozione di conviventi di fatto: “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale” ma “non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione da matrimonio o da

Con riguardo al delicato profilo della solidarietà tra ex conviventi il 65° comma per il caso di cessazione della convivenza di fatto riconosce “il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento”. Particolare attenzione, inoltre, merita la disposizione cui si riferisce il 40° comma: ove si prevede che ciascun convivente di fatto possa designare

Un diritto di famiglia in evoluzione

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numero 13

Meditazione: per migliorare ambiente di lavoro e risultati Cosa si può ottenere con la meditazione? LUCIANO CAMPAGNARO

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Da alcuni anni mi occupo della riduzione dello stress attraverso programmi e corsi di meditazione. Ho riscontrato un sempre maggiore interesse sull’argomento da parte di molte aziende. Recentemente Eurosystem Spa ha adottato un mio programma di riduzione dello stress. L’azienda ha deciso di realizzare uno specifico spazio di benessere fisico e temporale all’interno dell’ambiente lavorativo capace di offrire le condizioni necessarie per favorire lo sviluppo e il potenziamento della concentrazione, incrementare le prestazioni, gestire lo stress e determinare le migliori condizioni lavorative. Meditazione e percorsi aziendali: un connubio vincente Considerando le potenzialità della meditazione diventa abbastanza intuitivo comprendere in quali modi l’utilizzo di tale pratica può declinarsi all’interno di un progetto di formazione aziendale. Il razionale dell’implementazione della meditazione in azienda consiste fondamentalmente nel promuovere 78

nell’individuo un cambiamento profondo nel modo di rapportarsi alla dimensione lavorativa: nel modo in cui le persone percepiscono il loro ruolo, la relazione con gli altri, il significato stesso di lavoro. La forza infatti dell’esperienza meditativa si manifesta quando riusciamo a spostarci progressivamente dall’attenzione centrata su di sé all’empatia verso l’altro; dalla percezione di sé come individui isolati alla percezione di sé come interdipendenti; da un atteggiamento che affronta gli eventi secondo il modello lineare del problem solving, ad un atteggiamento creativo di ristrutturazione cognitiva delle situazioni determinato da un nuovo modo di “usare” la mente tramite l’intelligenza emotiva. Lo “stato meditativo” non è mai una condizione passiva, in realtà in tale pratica l’individuo attivamente e intenzionalmente impara ad aprire spazi nuovi nella propria vita, apprendendo il valore del fermarsi, per verificare la validità di ciò che sta facendo e trovando la direzione più vantaggiosa rispetto al proprio operato.

Qualche esempio di successo Quali aziende adottano oggigiorno programmi formativi basati sulla meditazione? Tra le aziende più importanti che hanno deciso di implementare percorsi e programmi basati sulla meditazione per i manager e i collaboratori troviamo: • Apple (fornisce spazi dedicati ai dipendenti consentendo loro di avere 30 minuti al giorno per meditare in ufficio, fornendo corsi sulla meditazione e yoga, in una sala allestita allo scopo); • Nike (i dipendenti hanno accesso a sale relax, e possono prendere parte a corsi di meditazione e yoga, senza dover mai lasciare l’azienda); • Google (ha sviluppato un programma di corsi di meditazione volto ad aiutare i dipendenti a imparare a respirare consapevolmente, ascoltare i colleghi e a migliorare la propria intelligenza emotiva); • Procter & Gamble (l’azienda offre un’ampia gamma di programmi di salute e fitness che comprendono


STILE LIBERO Benessere sul lavoro corsi di meditazione e spazi per il rilassamento all’interno degli spazi aziendali): • Deutsche Bank (all’interno di questa multinazionale sono stati offerti corsi di meditazione e di rilassamento, in specifici spazi dedicati, allo scopo di ridurre lo stress dei dipendenti e di creare benefici mentali e operativi sul posto di lavoro). L’Italia è ancora un po’ in ritardo. Da noi, per ora, sono i singoli, spesso professionisti e manager che si avvicinano a queste tecniche per migliorare la loro performance lavorativa e il loro livello generale di benessere.

Programmi e obiettivi Ma quali sono i programmi formativi sulla meditazione più adatti per le aziende e quali obiettivi perseguono? Esistono corsi di vari livelli e durata, atti a soddisfare esigenze e a raggiungere obiettivi di diverso tipo all’interno delle aziende. Vi sono ad esempio programmi formativi sulla meditazione

implementati nel contesto lavorativo con frequenza quotidiana o settimanale e corsi o ritiri formativi intensivi in formato residenziale della durata di solito di 3, 5 o 7 giorni, volti a rafforzare non solo l’efficienza e le capacità attentive, ma anche l’empatia, la comprensione e lo spirito cooperativo tra i colleghi. Altri interventi sono volti a creare degli appositi spazi di meditazione all’interno dell’azienda, le cosiddette “Quiet Room”, dove i dipendenti possono prendersi delle pause meditative e di relax in particolare nei momenti di maggiore stress. L’utilizzo della Meditazione in un contesto aziendale è volto a creare principalmente i seguenti effetti e benefici: • Determina maggior efficienza e chiarezza nello svolgimento del lavoro. • Sviluppa la capacità di rispondere in modo efficace (scelta ponderata) alle situazioni problematiche invece di reagire (modalità automatica). • Sviluppo di competenze quali intuizione, creatività, consapevolezza emotiva.

• Aumento della produttività. • Forte riduzione e migliore capacità di gestione dello stress. • Maggiore propensione e potenziamento del lavoro in team. • Mente più libera e attiva per prendere decisioni e gestire i problemi. • Miglioramento delle dinamiche relazionali all’interno dell’azienda e nelle interazioni con l’esterno favorendo l’attivazione del fattore cooperativo e la collaborazione nei rapporti interpersonali e di gruppo. • Miglioramento generale nelle prestazioni professionali. • Migliora la comunicazione interpersonale. • Estinzione dei condizionamenti e sblocco degli automatismi mentali (piloti automatici). • Contribuisce a risolvere i conflitti e armonizza la personalità. • Previene il “rimuginio” mentale che suscita ansia, perdita di concentrazione e inefficienza. • Migliora il clima umano all’interno delle organizzazioni. Le persone veramente interessate al loro lavoro sono quelle molto più concentrate su quello che fanno e molto di meno sui risultati. E la consapevolezza orienta sui processi, piuttosto che verso gli obiettivi. È forse solo un percorso consapevole che garantisce il raggiungimento della meta? Una domanda su chi è bene meditare… Luciano Campagnaro, Psicologo Zen 79


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Disintossicazione Un efficace rimedio per pulire corpo e psiche VANIA LOT

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L’estate è spesso un’occasione per fermarsi, rivedere le abitudini alimentari, e riscoprire il proprio ritmo, tradito a volte dalla fretta. In questo periodo è più facile dedicare energie a se stessi e ripartire con un nuovo approccio agli stili di vita per affrontare meglio un nuovo anno lavorativo. Il metodo migliore per farlo è disintossicare il corpo da scorie e tossine, e gettare le fondamenta per un benessere che possa mantenersi a lungo. L’autunno è proprio uno dei momenti migliori per mettere in atto questa pulizia. Cosa significa disintossicazione? La disintossicazione aiuta ad eliminare dal corpo tossine e sostanze di scarto accumulate che hanno un effetto negativo sull’organismo e a lungo andare possono portare a problematiche serie. Ogni patologia più o meno grave è sempre associata ad un’intossicazione eccessiva del corpo. Quando si parla di disintossicazione non si può far a meno di pensare al fegato, che ha il compito importantissimo di filtrare gli elementi più tossici dal sangue per convertirli in sostanze non tossiche, eliminandole poi tramite urine e feci, e al tessuto connettivo che elimina le scorie metaboliche.

Cos’ è il tessuto connettivo e perché serve tenerlo pulito? Il tessuto connettivo è il luogo in cui tutte le scorie metaboliche vengono riversate per poi essere eliminate. Se il connettivo è intossicato, può diventare teatro di patologie infiammatorie causate da cellule nutrite poco e scarsamente ossigenate. L’infiammazione è la prima risposta dell’organismo per eliminare tossine e dovremo imparare a non bloccarla. La classica febbre, che spesso blocchiamo con antipiretici, non è altro che una strategia messa appunto dal nostro corpo per eliminare tossine e purificarsi, se noi non lasciamo che questo processo avvenga, continuiamo ad andare contro la saggezza del corpo.

Quali sono le sostanze intossicanti? Un’ alimentazione eccessiva e squilibrata, un elevato stress che provoca accumulo di cortisolo, farmaci, sostanze additive e conservanti contenuti negli alimenti, tossine ambientali come fumo e tabacco, pesticidi, alcool e i metalli tossici, ossia metalli che si assimilano da quello che mangiamo, che respiriamo e con cui veniamo in contatto e che possono provocare

gravi danni all’organismo. L’alluminio, per esempio, provoca danni al sistema nervoso centrale, perdita di memoria e demenza; il cadmio dolori di stomaco, fratture ossee, danni immunitari, disordini psicologici; il tanto menzionato mercurio (accumulato anche dall’assunzione di pesce) porta a distruzione del sistema nervoso, danni al DNA e al cervello.

Come ci si disintossica? L’approccio naturopatico alla disintossicazione prevede un atteggiamento alimentare reimpostato in funzione di un corretto stile di vita. Ricordiamo che i fluidi interni richiedono un ambiente alcalino, mentre il metabolismo cellulare produce sostanze acide che richiedono di essere eliminate. I residui di ceneri lasciati da frutta e verdura contengono minerali alcalinizzanti che abbassano l’acidità del corpo e svolgono un effetto altamente depurativo e rivitalizzante. La migliore disintossicazione si basa quindi su una valutazione completa dello stile di vita, associata a dei supporti fitoterapici mirati. La riflessologia plantare infine è una tecnica utilissima che può essere utilizzata per aiutare il corpo ad eliminare scorie metaboliche e abbassare il carico di stress. 81


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Arte e tecnologia

Reale e virtuale, il confine che non c’è. Parola di artista. Elettra Battini

elettra@artelaguna.it

Sono tanti i progetti creativi high-tech che esplorano una nuova dimensione spaziale definita dalle nostre interazioni digitali con il mondo, verso una sempre più totale immersività Finestre pop-up che si aprono da ogni parte, assistenti virtuali che ci compaiono davanti a ricordarci i task della giornata – come da un flashback del film Her di Spike Jonze – insegne fluorescenti, schermi di ogni dimensione, richieste di rating, in un overload sonoro e sensoriale di un ambiente che è saturo di informazioni, in modo inquietante, quasi opprimente. Non si può certo definire utopico lo scenario disegnato da Keiichi Matsuda nel suo cortometraggio HyperReality. Il giovane artista, architetto e designer immagina dal suo studio londinese un mondo dove non esiste più distinzione tra reale e virtuale, in una continua stratificazione di piani esperienziali e di stimoli multisensoriali. Uno scenario dove la pervasività del digitale è completa, e ci segue in ogni nostra interazione quotidiana nel tessuto urbano. Il video di 6 minuti, girato nella città di Medellín, in Colombia, segue i movimenti della protagonista attraverso la città: ogni gesto, ogni azione, equivale a una raccolta di punti fedeltà, trasformando questo viaggio in un grande videogame a punti, che non esclude nessun aspetto della quotidianità e sembra inglobare la vita privata. Ma siamo così distanti da questo scenario? Sono moltissimi gli artisti che si stanno interrogando sulla onnipresenza del digitale nelle nostre vite e sui cambiamenti che questo porta nella percezione della realtà, utilizzando proprio le nuove tecnologie attraverso esperimenti creativi in realtà aumentata: per Keiichi è lo spazio urbano ad essere il sito di indagine, un luogo in cui la gamificazione prende il 82


STILE LIBERO Arte e tecnologia sopravvento e le relazioni sono sempre mediate attraverso il filtro del virtuale e del mobile, mentre lo spazio diventa spazio relativo, ed è l’architettura stessa degli edifici, così come il branding dei prodotti e dei servizi a variare a seconda di chi li sta guardando. Questa realtà ibrida nata dalla collisione di due mondi è un territorio soggettivo, dove la tecnologia mobile ha offuscato la demarcazione tra sfera pubblica e privata, e la città diventa la cornice in cui ognuno si muove nella propria personalissima mobile bubble. Siamo in una media city, un tessuto urbano che nella definizione di Rem Koolhas diventa uno “junk space”, fatto di infinite accumulazioni e sovrapposizioni. Uno scenario portato all’estremo da Matsuda, ma già rilevato dallo studioso Scott McQuire nella città contemporanea, definita un “media-architecture complex”, un panorama determinato dall’ubiquità dei media real-time, che vanno a costituire una nuova modalità di esperienza sociale. Si tratta di uno “spazio relazionale”, il risultato di una “collisione di scale di misura e velocità, tale per cui determinati luoghi e situazioni sono stati privati delle loro qualità intrinseche, come dimensioni, apparenze durevoli e significati certi”. Ciò che è mobile, ciò che è trasversale, ciò che non ha confini definiti è il nuovo orizzonte, fatto di interconnessioni mutevoli ed evanescenti. È su questo terreno che accanto ad opere provocatorie come quelle di Matsuda, fioriscono le sperimentazioni più poetiche del collettivo Team Lab, una squadra ultra tecnologica che dal 2001 crea suggestive installazioni multimediali, come l’opera interattiva che è stata

protagonista al Padiglione Giappone durante Expo Milano 2015. La ricerca del gruppo si basa sulla nozione di “spazio ultra soggettivo”: un processo che attraverso un software costruisce oggetti 3-D in un mondo tridimensionale, per poi farlo sembrare appiattito, come nell’arte giapponese tradizionale. Questa struttura logica permette la produzione di opere creative interattive ed in continuo mutamento, generando esperienze visive inedite. Installazioni come Wander Through the Crystal Universe e Floating in the Falling Universe of Flowers sono veri e propri universi luminosi in cui il visitatore può muoversi liberamente, cambiando la sua posizione il suo punto di vista. Non solo, ma è il movimento stesso dei visitatori che trasforma l’opera rendendola una creazione irripetibile: ogni individuo fa esperienza dell’installazione e interagisce con essa dalla propria posizione centrica, disegnando letteralmente lo spazio e divenendo consapevole della presenza degli altri. “È la natura stessa a diventare arte”: un capovolgimento in termini insomma, dove lo spazio in perenne mutamento è definito dalle reciproche interazioni di coloro che si muovono al suo interno. Questo aspetto diventa ancor più esplicito e determinante nelle performance digitali di Adrien Mondot e Claire Bardainne, artisti di Lyon che dal 2004 utilizzano innovativi strumenti IT ponendo il corpo umano al centro della loro ricerca artistica e tecnologica. Tra le opere più significative troviamo Hakanaï, una dance performance digitale che combina proiezione mappata a sensori e CGI. I proiettori rivelano un “universo grafico in costante evoluzione”,

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generato in tempo reale, mentre il ballerino entra in dialogo con le immagini in movimento, rispondendo alle sollecitazioni spaziali digitali e allo stesso tempo contribuendo alla creazione dello spazio attraverso i suoi gesti: “il sincronismo tra reale e virtuale si dissolve e il confine che li teneva separati scompare, formando un unico spazio investito da una potente carica onirica”. Ciò che queste opere ci svelano è uno spazio sempre più immersivo, in cui la distinzione tra reale e virtuale è ormai scomparsa: smartphone, wifi, dispositivi mobile e wearable diventano parte integrante della persona, finché sono i suoi stessi movimenti a delineare non solo la percezione dello spazio circostante e le interazioni con esso, ma addirittura la sua stessa composizione e le coordinate spazio-temporali. Un mondo che diventa user-centric, viewer-centric, personalizzabile al punto che la realtà rimane soltanto come substrato: per dirla con le parole dei giapponesi Team Lab, queste opere ci mostrano “lo spazio di una nuova era; lo spazio liberamente disegnato attraverso la tecnologia digitale, che si adatta al cambiamento e al movimento delle persone che vi si trovano”, mentre, nella visione di Matsuda, “la tecnologia sarà il collante per ogni interazione ed esperienza, offrendo possibilità incredibili, e allo stesso tempo controllando il modo in cui interpretiamo il mondo”.

ARTE LAGUNA Lo studio Arte Laguna nasce come team di sole donne professioniste, specializzate in progetti di branding, digital p.r., social media strategies, media relations. Dal 2006, in collaborazione con l’associazione culturale MoCA, hanno inaugurato il Premio Arte Laguna, un concorso internazionale finalizzato alla valorizzazione dell’Arte Contemporanea, quest’anno giunto alla sua undicesima edizione. I finalisti delle varie sezioni esporranno le loro opere presso l'Arsenale di Venezia, uno dei luoghi più ambiti dagli artisti e spazio di riferimento nel mondo dell’arte contemporanea. 84


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BLABLACAR ConvivialitĂ , fiducia e condivisione: gli ingredienti di BlaBlaCar Intervista ad Andrea Saviane, Country Manager Italia BlaBlaCar

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STILE LIBERO Il viaggio fine settimana, solo a Milano e a Roma, la piattaforma permette di viaggiare a più di 40.000 persone.

Quali sono i bilanci oggi al suo decimo compleanno? Il successo raggiunto è stato al di sopra di ogni aspettativa. Gli inizi, per Mazzella, non sono stati semplici: dieci anni fa, in Europa, in pochi parlavano di start-up; in molti sostenevano che nessun viaggiatore avrebbe mai accettato di condividere il proprio tragitto in auto con persone che non conosceva. I 10 milioni di persone che ogni trimestre si spostano da una città all’altra grazie alla piattaforma dimostrano l'importanza di credere nei propri progetti.

In Italia quali sono le regioni che usano di più questo servizio? BlaBlaCar è molto usata in tutto il Paese, soprattutto per le tratte che collegano le grandi città come Milano e Roma con le province delle regioni circostanti.

Muoversi attraverso la condivisione, come risolvete i problemi della sicurezza? Chi chiede un passaggio in Italia ha in media 32 anni e lo fa più per motivi familiari che per lavoro, cercando nel carpooling ciò che gli altri trasporti non offrono. Le grandi città come Milano e Roma, con le province delle regioni circostanti, sono le più attive. Da dove è nata l’idea di BlaBlaCar? In Francia, nel 2006, da un’intuizione di Frédéric Mazzella, ingegnere allora trentenne: doveva tornare dalla famiglia per Natale, ma sui treni da Parigi non c’era posto, così è stato costretto a chiedere alla sorella di fare una deviazione per passare a prenderlo. Durante il tragitto, Mazzella ha notato che la maggior parte delle auto trasportavano al massimo un paio di persone: i posti vuoti sui veicoli in circolazione erano una risorsa che andava ottimizzata. Il servizio si è rapidamente esteso in Europa e nel mondo e oggi BlaBlaCar è la più grande piattaforma per i viaggi condivisi: 30 milioni di utenti in 22 Paesi. I vantaggi sono numerosi sia per i conducenti che per i passeggeri, uniti ai benefici sul traffico e sulle emissioni di CO2. Il Italia, BlaBlaCar è arrivata nel 2012 e l’abitudine ai viaggi in auto condivisi si è rapidamente diffusa: ogni

La nostra community ha strumenti che la rendono sicura e affidabile: gli utenti sono incoraggiati a completare interamente il loro profilo, in modo che gli altri viaggiatori possano avere un’idea delle persone con cui condivideranno il viaggio; ogni profilo è completato dai feedback ricevuti dai precedenti compagni di viaggio. La New York University Stern ha studiato gli strumenti per la sicurezza nella community di BlaBlaCar: dai risultati è merso che i viaggiatori si fidano più delle persone che appartengono alle community di cui fanno parte e non dei colleghi o dei vicini di casa. Un’altra ricerca realizzata da TNS Sofres in 10 nazioni ha rilevato che i conducenti avvertono l’esigenza di guidare in modo più responsabile quando hanno passeggeri a bordo. Per viaggi ancora più sereni, la community di BlaBlaCar può beneficiare di una copertura assicurativa gratuita stipulata con AXA.

Qual è il vostro cliente tipo? I viaggiatori italiani hanno un’età media di 32 anni e con ogni viaggio percorrono circa 321 km. Per quanto riguarda i conducenti più attivi della community, le cinque motivazioni principali che li portano a viaggiare in auto sono: rivedere la famiglia (35%), lavoro (31%), rivedere il partner o il coniuge (17%), turismo (7%), incontrare amici (3%). Si tratta nel 35% dei casi di impiegati. 87


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Quanto viene usato per viaggi di lavoro BlaBlaCar? La maggior parte dei viaggi condivisi sulla piattaforma viene effettuato nei fine settimana, quando lavoratori e studenti che vivono in una città diversa da quella di origine rientrano dalle proprie famiglie, ma ci sono anche numerosi utenti che scelgono il carpooling per viaggi di lavoro e per recarsi ai colloqui in altre città.

Quali sono le differenze tra l’Italia rispetto agli altri Paesi BlaBlaCar? Francia e Spagna sono i Paesi in cui BlaBlaCar si è affermato fin da subito e il successo della piattaforma non accenna a diminuire. In Italia, BlaBlaCar è stato accolto in modo fenomenale fin dal suo arrivo. Per via della conformazione geografica del Paese, ci sono tratte e aree che sarebbero difficilmente percorribili in modo rapido o raggiungibili con comodità se non in auto; si tratta di zone in cui BlaBlaCar è sempre più utilizzato, soprattutto grazie al passaparola: ben il 69% degli utenti dichiara di aver iniziato a usare la piattaforma su suggerimento di un amico o di un conoscente.

Un progetto imprenditoriale nato quasi a ricavi zero, come è cresciuto nel tempo? BlaBlaCar negli ultimi anni ha potuto contare sul sostegno di investitori internazionali: la società oggi è considerata tra gli unicorni europei, ovvero tra le start-up

valutate oltre 1 miliardo di dollari. In ogni paese in cui è presente, BlaBlaCar viene lanciata come una piattaforma gratuita: soltanto in una seconda fase il business diventa sostenibile grazie all’introduzione della prenotazione online che prevede una piccola commissione su ogni posto in auto prenotato. Al momento, questa seconda fase è stata attivata solo in Francia, Spagna e Italia, Paesi in cui BlaBlaCar sta iniziando a rientrare negli investimenti effettuati.

Quanto la cultura del Paese fa di questo servizio un successo? Il successo di BlaBlaCar è pressoché identico in tutte le nazioni in cui il servizio è presente. Al di là degli stereotipi culturali, ovunque ci sono viaggiatori interessati all’esperienza del viaggio condiviso e alla convivialità che lo contraddistingue.

Dove contate di espandervi geograficamente parlando? Oggi BlaBlaCar è attivo in quasi tutta Europa, in Russia, Turchia, India, Messico e Brasile. I suoi mercati storici si stanno consolidando; altri stanno procedendo rapidamente la loro crescita; negli ultimi arrivati, come India e Messico, BlaBlaCar inizia a essere riconosciuto come un’opzione di viaggio comoda ed economica. È su questi mercati che stiamo concentrando le nostre energie, prestando attenzione ad altre opportunità di espansione in America Latina.

Quali sono i prossimi step a medio e lungo termine di questo servizio?

Andrea Saviane Country Manager Italia di BlaBlaCar

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Creare e consolidare la propria community presente in quanti più Paesi possibili: ci piace pensare che un giorno, magari non troppo lontanto, tutti possano avere sul proprio smartphone l’opportunità di condividere un viaggio in auto ovunque si trovino e sempre con lo stesso spirito di convialità e fiducia che ovunque caratterizza lo spirito della piattaforma.


STILE LIBERO Sport

IVAN ZAYTSEV Una vittoria dello sport, oltre i singoli atleti Lo zar della pallavolo racconta l'esperienza olimpica e non solo

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Preparazione atletica, sacrificio e lucidità mentale: ecco gli ingredienti dell’argento olimpico vinto dalla nazionale italiana di pallavolo. Intervista allo “zar” Ivan Zaytsev. L’argento delle Olimpiadi è stato un grande risultato, difficile però essere completamente soddisfatti... Quando arrivi a due passi dall’oro olimpico e te lo vedi sfuggire così, per pochi punti, sapendo che hai battuto per la prima volta il Brasile, resta un po’ l’amaro in bocca. Ce la siamo giocata con loro per la seconda volta, in finale. Resta comunque la soddisfazione di aver fatto un grande percorso per essere arrivati lì. Abbiamo fatto una cosa che non è da tutti i giorni, sicuramente, e ne siamo consci.

Com’era il tuo stato d’animo durante l’ultima partita? Ero molto tranquillo, attento, focalizzato. Durante altre partite non è stato così, sono contento di come ho vissuto il torneo olimpico, che è molto stressante, dal punto di vista mentale. L’ho vissuta bene, cercando di fare il massimo e essere al servizio della squadra, come tutti gli altri. Penso di poter generalizzare, eravamo sulla giusta lunghezza d’onda, abbiamo fatto un gran percorso e siamo arrivati molto carichi alla finale.

A questi livelli la sfida si sposta sul piano psicologico, più che su quello fisico? Sicuramente in parte è così. In queste Olimpiadi c’erano molte squadre di pari livello, potevano vincere in molti. Se fossero passati gli Stati Uniti, avrebbero vinto loro contro di noi. Quando le squadre si equivalgono, più o meno, conta molto anche il fattore mentale. È molto difficile da spiegare, è un meccanismo che si innesca in momenti particolari.

La vostra cavalcata ha entusiasmato un Paese intero: cinque milioni di italiani davanti alla tv per la finale. Cosa significa questo per il movimento pallavolistico italiano? È da una vita che giochiamo a pallavolo, la squadra maschile è sempre stata abbastanza vincente, è sempre arrivata a medaglie. Il risultato che abbiamo avuto è stato raggiunto grazie ai media che hanno permesso di coinvolgere tantissima gente. L’amore per la maglia e l’onore di giocare per il proprio Paese è tanto e gli italiani se 90


SPORT ne sono accorti. Una parte di quei cinque milioni speriamo si sia affezionata a noi come persone, come ragazzi. Dobbiamo essere bravi a sfruttare questo momento per la pallavolo in generale, per cercare di ampliare il nostro bacino di appassionati, di tifosi. Siamo offuscati dal calcio, come tutti gli altri sport. Da un altro punto di vista, posso dire “meglio così”, non si rischia di cadere in trabocchetti, in facili polemiche appartenenti al mondo del calcio, quindi teniamoci stretto quello che abbiamo.

Avete appassionato le persone non soltanto per i risultati ottenuti in campo, ma anche per la capacità di essere davvero uniti. Quali sono le tre cose che servono per diventare una vera squadra?

Qual è stato il ruolo di tuo padre nella tua carriera? È stato un ruolo forte all’interno della famiglia, anche se sentivo molto la pressione addosso. È stato lui a insegnarmi i valori dello sport, ma fino ai diciannove anni giocavo nello stesso ruolo di mio padre, quindi il confronto era inevitabile. Tutti dicevano che sarei diventato fortissimo, ma io ero molto giovane e ancora non avevo la testa sulle spalle. Nel complesso, però, c’è sempre stato un buon rapporto. Ultimamente, da quando vivo da solo e ho anche cambiato ruolo come giocatore, dico sempre che è iniziata la mia seconda vita: il rapporto con mio padre è cambiato molto, adesso somiglia più a un rapporto tra uomini, che tra padre e figlio.

Devi essere te stesso, non devi avere una facciata, devi essere sincero. La condivisione dei tuoi pensieri è importante in una squadra. Io sono sempre stato così, preferisco dire ciò che penso e non una cosa “politicamente corretta”. L’unione dei caratteri di dodici giocatori diversi, unito al lavoro dello staff tecnico e medico, fa la squadra. Deve esserci onestà. Questo porta a lavorare meglio, a dare il massimo quotidianamente, a essere concentrati, perché quando conosci le persone che hai intorno e sai che condividete un obiettivo importante, sei più sicuro in campo. Bisogna aver voglia di lavorare, poi. Anche passare il tempo insieme, fuori dalla palestra, è importante: per noi era più semplice, perché in ritiro si sta tutti insieme, mentre durante l’anno è più complicato, dopo gli allenamenti ognuno va a casa.

Quanto si deve sacrificare della propria vita privata quando si pratica sport a questi livelli?

Siete già tornati in campo con la finale di Super coppa: sei felice di essere tornato in Italia?

Come ti vedi tra vent’anni?

Assolutamente sì, non vedevo l’ora di giocare di nuovo. L’entusiasmo che abbiamo trovato è stato bellissimo, inoltre il nostro campionato sta tornando a essere il più competitivo al mondo. È stato bello sentirsi di nuovo a casa, poter uscire la mattina e andare a bere il caffè.

Sei spesso definito “lo zar della pallavolo”: in cosa ti senti più italiano e in cosa più russo? Mi sento più italiano in quasi tutto. La mia parte russa di carattere è la testardaggine, la voglia di non mollare mai, la voglia di sfida: prendo un po’ tutto sul personale, ma nel senso buono della parola. Non voglio perdere. Per il resto sono al centouno percento italiano.

Beh, molto, perché il tempo da dedicare agli interessi personali e familiari è poco. Cerco di ritagliarmi tutto lo spazio possibile, soprattutto adesso che sono padre. Vorrei avere più tempo da dedicare a mio figlio, ma per fortuna mia moglie in questo mi aiuta tantissimo.

Quali sono i tuoi prossimi progetti sportivi? Innanzitutto vorrei qualcosa a Perugia. Vincere in Italia è bellissimo, il calore della gente ti fa sentire importante e rispettato per quello che fai. La società mi piace molto, è ben organizzata e merita davvero.

Acciaccato fisicamente. Dicono sempre che lo sport faccia bene, io dico che fa bene a chi lo guarda in tv, praticarlo ad altissimi livelli è anche abbastanza stressante per il fisico. Tra vent’anni spero di avere qualcosa di bello da raccontare ai miei figli, che possa servire come insegnamento. Sono sicuro che sarà così. Mi sento fortunato, il mio non è un lavoro, è una passione, oltre a quello che mi dà da vivere. Ci metto anima e cuore. Tra vent’anni ci saranno tante cose da raccontare, da condividere, e magari questo mi permetterà di crearmi una carriera extra sportiva. Magari quando smetterò non vorrò sentire parlare di pallavolo per qualche anno, avrò bisogno di staccare la spina. Spero di riuscire a buttarmi in qualcosa di separato, ma vedremo cosa succederà, manca ancora tanto tempo, ho ventotto anni adesso.

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L’acqua di mare & l’erba voglio

La cucina a modo mio: cucina trendy, facile o un po’ elaborata, ma alla portata di tutti e di tutte le situazioni di Luisa Giacomini cuoca per passione luisa.jackomini@gmail.com

C’era una volta “la faraona”… Oggi reinterpretata in “Chantilly di zucca profumata con petto di faraona alla senape su ridotto di porro gentile” C’era una volta un classico della cucina francese “la faraona alla senape e limone”, ora in una deliziosa reinterpretazione si presenta nella nuova sfiziosa, attualissima proposta, perfettamente in linea con la stagione autunnale. Questa ricetta, forse potrà sembrare un poco elaborata, ma non è affatto

difficile. Anche in una vostra versione, magari semplificata, non l’abbandonerete più. Buonissima! Sempre ottima, sia abbinata alle varianti con verdure di stagione, sia interpretata con un petto di pollo di qualità superiore.

Il petto della faraona e la sua marinata alla senape e limone

Chantilly di zucca (per chi possiede un sifone)

Ingredienti per 4

Attenersi alle istruzioni del proprio sifone. È importante che la preparazione sia fluida e ben filtrata con un passino o colino cinese a maglia finissima, senza grumi o granellini per non otturare il sifone.

4 petti di faraona, 5 cucchiai di senape di Digione, 2 limoni non trattati medi (buccia grattugiata: solo il giallo e il succo filtrato), 2 cucchiai di paprika dolce, 2 spicchi d’aglio, sale e pepe nero al mulinello, olio EVO.

Esecuzione In una terrina capace mettere la senape, la paprica, il succo di limone con il giallo grattugiato, uno spicchio di aglio tritato finemente, poco sale, facoltativo pepe nero macinato. Mescolare la marinata omogenea e immergervi completamente i petti di faraona per almeno 2/3 ore, ancora meglio per una notte. Portare il forno a 100 °C con una pirofila a scaldare. Sgocciolare il più possibile dalla marinata i petti di faraona, mettere da parte la marinata. In una padella capace, profumare l’olio con aglio schiacciato, dorarlo appena ed eliminarlo. A fiamma vivace ma non troppo, rosolare velocemente i petti in tutte le loro parti. Porli nella pirofila riscaldata e cuocere in forno. Abbassare la temperatura a 75°C e cuocere a bassa temperatura per un’ora. Versare nella padella della rosolatura la marinata con un goccio d’acqua, con un cucchiaio sciogliere e amalgamare la marinata al sugo caramellato dalla carne. Far restringere e passare al colino a maglia stretta, ottenere un sughetto vellutato e lucente. 94

Ingredienti 300g di zucca a cubetti, 250 ml di latte 3,5 % o latte intero, 50 ml di panna, 15g di zenzero tritato, un cucchiaio da te di scalogno tritato, 6 foglie di salvia, poco succo di limone, ½ spicchio d’aglio, sale, pepe nero, olio EVO.

Esecuzione Profumare dolcemente lo scalogno nell’olio, versare i cubetti di zucca, lo zenzero, la salvia e far insaporire gli ingredienti, regolare di sale e pepe macinato e infine unire il latte e l’aglio, cuocere per circa 15/20 minuti. Eliminare la salvia lasciandone una sola foglia. Frullare il tutto, passare il frullato ottenuto al colino. Aggiungere la panna e amalgamare; se il composto non dovesse risultare ben fluido aggiungere poco brodo vegetale o acqua. Unire delle gocce filtrate di limone, quanto basta per regolare l’acidità. Passare il fluido di zucca profumata nel sifone e tenere in frigorifero per almeno tre ore. Per una preparazione servita tiepida “a la minute”, tenerlo invece in caldo a 75°C a bagnomaria. Agitare energicamente il sifone prima dell’uso.


STILE LIBERO Cucina Ridotto di porro gentile Ingredienti 2 porri medi mondati e tagliati a rondelle, un buon pizzico di semi di coriandolo in polvere, alcuni grammi di clorofilla di prezzemolo, sale, pepe nero macinato, facoltativo, una noce di burro oppure olio EVO.

Esecuzione Sciogliere il burro in una padella e stufare dolcemente il porro, profumare con il coriandolo in polvere. Regolare di sale, pepe. Cuocere e ridurre il porro a fiamma molto bassa. Frullare e passare setacciando al passino fine la crema di porro ridotta. Colorare il ridotto con la clorofilla quanto basta per ottenere un bel verde brillante. Porre il composto in frigorifero, versato dentro ad un dosatore con beccuccio sottile. Estrazione della clorofilla di prezzemolo: 100g di foglie mondate di prezzemolo, 300g di acqua fredda, ghiaccio, telo di cotone o lino, una bacinella, colino o passino a maglia stretta, cutter o frullatore. Mettere nel cutter le foglie di prezzemolo e l’acqua, frullare alla massima potenza molto finemente, schiumare in superficie. In un pentolino appoggiare il colino, filtrare il frullato di prezzemolo e porlo sul fuoco medio. Nel frattempo preparare una bacinella con il colino appoggiato, mettere all’interno di questo abbondante ghiaccio, coprire col telo di cotone e ricavare una nicchia, schiacciando il telo dentro al ghiaccio. Portare a 64°C il frullato filtrato, a questa temperatura avviene la coagulazione della clorofilla che si separa dal liquido acquoso, notare questo particolare sollevandola con un cucchiaio dal siero. Spegnere subito, versare la clorofilla dentro la nicchia di cotone sul ghiaccio, a colare tutto il siero possibile in un luogo fresco. Raccogliere i lembi del telo, strizzare ulteriormente per ottenere la una clorofilla concentrata. Si mantiene in frigorifero per alcuni giorni coperta con un velo d’olio o preparata a cubetti in congelatore. Pochi grammi colora e insaporisce pasta fresca, gnocchi e preparazioni varie.

Comporre il piatto disegnando una raggiera di ridotto di porro gentile. Disporre a corolla le fettine di petto di faraona con piccole perle del suo sugo. Adagiare un fiocco di chantilly di zucca profumata. Completare il piatto con fettine di barbabietola rossa al vapore e citronette classica.

Chantilly di zucca per chi non possiede un sifone: l’alternativa è una delicata mousse in sac a poche. Uguali ingredienti come descritti nella ricetta del sifone, a questi aggiungere 5 fogli di gelatina. Mettere a bagno la gelatina in acqua fredda. Per cuocere e insaporire gli ingredienti, procedere come la ricetta precedente. Diversamente la panna: andrà montata ferma con una frusta e incorporata per ultima. Quindi strizzare la gelatina, versarla nel composto frullato tiepido, amalgamando il tutto molto bene, in questo caso il composto di zucca dovrà risultare meno fluido. Aggiungere ora la panna montata mescolando dall’alto verso il basso. Mettere in una ciotola in frigorifero fino al rassodamento completato. Travasare la mousse ottenuta in una sac a poche dotata di bocchetta dentellata media. Tenere in fresco. 95


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STILE LIBERO Fumetti

La matita di Sue

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N. 13 Pubblicazione semestrale Registrazione Tribunale di Treviso n. 201 del 09/11/2012 ROC n. 22990/2012 direttore responsabile Leonardo Canal caporedattore Dora Carapellese responsabile organizzativa Giovanna Bellifemine hanno collaborato Gian Nello Piccoli, Dora Carapellese, Stefano Moriggi, Stefano Biral, Massimo Bosello, Ruggero Paolo Ortica, Enrico Fantuzzi, Patrik Dall'Armi, Andrea Manuel, Giulia Tebaldi, Unis&F, Luciano Campagnaro, Vania Lot, Elettra Battini, Luisa Giacomini, Sue Maurizio. realizzazione grafica Franco Brunello, Giulia Zangrando segreteria e sede operativa Via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711, fax 0422.928759 redazione@logyn.it editore Eurosystem S.p.A., via Newton 21, 31020 Villorba (TV) redazione@logyn.it per la pubblicità e per i numeri arretrati Eurosystem S.p.A., via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711 redazione@logyn.it stampa Trevisostampa Srl Via Edison 133, 31020 Villorba (TV) telefono 0422.440200 info@trevisostampa.it Nell’eventualità in cui immagini di proprietà di terzi siano state qui riprodotte, l’Editore ne risponde agli aventi diritto che si rendano reperibili. Porrà inoltre rimedio, su segnalazione, a eventuali involontari errori e/o omissioni nei riferimenti.


#13

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