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n°11

Settembre 2015 Eurosystem S.p.A.

L’ESPLORAZIONE, LA CHIAVE DELL’EVOLUZIONE VISIONI, PROGETTI, IDEE CONCRETE

incontri con

scenari

stile libero

LUCIANO CANFORA ESPLORARE LA STORIA PER CONOSCERE CHI SIAMO PIRELLI NUOVI TALENTI PER PRESERVARE IL FUTURO AZIENDALE STAR SMART WORKING PER FAVORIRE L’INTERAZIONE INTERNA

ALDO SOLIGNO FOTOGRAFARE PER VIVERE L’UMANITÀ DEL LUOGO VIEWTWOO LA REALTÀ AUMENTATA PER CONOSCERE UN MONDO PARALLELO FICO LA VETRINA ENOGASTRONOMICA PIÙ IMPORTANTE AL MONDO

IL VIAGGIO 2NYC: EMOTION LEARNING PER IMPARARE LA LINGUA SPORT FIAS: IL FASCINO DEI FONDALI MARINI TRA FAUNA, FLORA E RELITTI PERCORSI FRANCO MICHIELI: SOLO, CON IL PROPRIO ISTINTO


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editoriale

GIAN NELLO PICCOLI Eurosystem S.p.A.

L’esplorazione è il tema di Logyn 11 che abbiamo voluto affrontare interpretando il concetto secondo diverse declinazioni. Quello che abbiamo imparato è che l’esplorazione è un aspetto della vita di ciascuno di noi, ci ha portato a quello che siamo oggi e inevitabilmente si riflette sulla società, sull’ambiente, sul lavoro e sulle persone che viviamo e conosciamo. La pluralità delle interviste di questo numero in particolare fa riflettere sul fatto che l’esplorazione è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi. Si inzia con uno sguardo alla cultura storica linguistica e un’intervista al professore Luciano Canfora, che ci spiega come non si possa prescindere dallo studio e dall’esplorazione di una lingua, antica o moderna, per capire le sfumature e le radici di un popolo. Logyn racconta poi che, in alcune aziende, nelle risorse umane, l’esplorazione dei talenti è una modalità per trovare profili che non rispecchino solo i canoni professionali classici ma identifichino, in maniera strutturata, condivisa e globale, figure adeguate a ricoprire ruoli di maggiore responsabilità e di guida dell’azienda verso sfide future. Per altre aziende sul mercato, invece, esplorazione significa nuove modalità di lavoro, informali, più attente ai rapporti tra le

persone: ossia, responsabilità piena ai collaboratori che lavorano e gestiscono l’orario di lavoro in modo autonomo e con frequenti interazioni con la dirigenza. È interessante vedere come ognuno riesca a fare dell’esplorazione una metodologia di crescita: che sia un’azienda o che sia un artista, tutto va nella direzione di implementare la conoscenza. Questa, a seconda dei casi, porta all’ottimizzazione delle performance aziendali, della vita personale e del lavoro creativo. Nel Medioevo i primi esploratori furono commercianti che andavano nelle lontane terre d’Oriente per acquistare nuove mercanzie, perché quelle esistenti non erano più sufficienti. Oggi, come allora, esploriamo nuove vie per fare impresa perché quello che c’è non basta più, forse per motivi diversi. È la crisi che ci porta verso l’esplorazione, di nuove possibilità di vita, di lavoro e sociali. Nella criticità del periodo l’azienda italiana, oggi, ha una concreta possibilità di emergere e di imporre al mondo la sua grande abilità di innovarsi e reinventarsi. A noi imprenditori, un po’ esploratori moderni, il compito di guidarla in questo viaggio affascinante. Gian Nello Piccoli 5


incontri con

LUCIANO CANFORA ESPLORARE LA STORIA PER CONOSCERE CHI SIAMO

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18 PIRELLI ESPLORARE I TALENTI PER SALVAGUARDARE IL FUTURO DELL’AZIENDA

scenari

42 ALDO SOLIGNO FOTOGRAFARE PER VIVERE LA CULTURA E L’UMANITÀ DEL LUOGO

46 VIEWTWOO AUMENTARE LA REALTÀ PER ESPLORARE UN MONDO PARALLELO


stile libero

80

IL VIAGGIO EMOTION LEARNING: A SCUOLA SENZA BANCHI E A SPASSO PER LA CITTÀ

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FIAS SPORT IL FASCINO DEI FONDALI MARINI TRA FAUNA, FLORA E RELITTI

72 Arbitrato e controversie internazionali 74 Il nuovo che avanza e la rivolta del vecchio mondo

SOMMARIO 3 6 6

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scenari STEFANO MORIGGI PENSARE CON LE MACCHINE!

editoriale

32 Bizen: esplorare il mercato con il

di Gian Nello Piccoli

34 La felicità aumenta la produttività

incontri con

social web

in azienda?

38 Expo 2015: non solo una bella

s

52 tories 52 Eurosystem a fianco di Essse Caffè per rinnovare l’ERP

64 Cucchi BLT: migliorare le prestazioni virtualizzando le work station

s

56 pazio a y 56 Quando il software gestionale ha la

testa piena e... la memoria corta immagine dell’Italia Esplorare la storia per conoscere 42 Fotografare per vivere la cultura e 76 tile libero chi siamo l’umanità del luogo 18 PIRELLI 76 CONOSCIAMOCI Nuovi talenti per salvaguardare il 46 ViewTwoo: aumentare la realtà per Lavorare con IT e ICT futuro dell’azienda esplorare un mondo parallelo 78 MEDICINA 22 STAR ORAS: la riabilitazione d’eccellenza 49 Fico: nasce la vetrina Smart working: un’agorà per enogastronomica italiana più 80 IL VIAGGIO favorire l’interazione interna grande del mondo Emotion learning per imparare la 25 GIULIO BARBIERI lingua 61 @EUROSYSTEM.IT L’esplorazione come motore dello Conoscere e valorizzare i propri 84 SPORT sviluppo economico clienti con il CRM Fias: il fascino dei fondali marini LUCIANO CANFORA

s

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ASTORIA

Dalla macchina al caffè espresso, un marchio italiano senza eguali

f

10 ocus 10 L’esplorazione, la chiave dell’evoluzione

62 Minacce informatiche, impossibile 88 proteggersi senza una strategia

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PERCORSI

F. Michieli: solo, con il proprio istinto

@EUROSYSTEM.IT

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CUCINA

Ma ‘ndò vai se il backup non ce l’hai?

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UFFICIOVERDE

L’acqua di mare & l’erba voglio Il melograno

69 Evoluzione delle mansioni lavorative 97 FUMETTI 70 Credito R&S e Patent Box La matita di Sue


SETTEMBRE 2015

ESPLORARE LA STORIA PER CONOSCERE CHI SIAMO Intervista al filologo classico, storico e saggista Luciano Canfora DORA CARAPELLESE

redazione@logyn.it

Il passato ci è servito per correggere gli errori della storia? Il principio di libertà è davvero trionfato sulla schiavitù? L’uomo si è finalmente reso conto di essere artefice dei suoi misfatti? Con Canfora attraversiamo un po’ di storia per sapere quanto l’uomo si sia evoluto.

Lei è un profondo conoscitore della storia antica: in che modo la conoscenza e l’esplorazione di una lingua può aiutare a capire la storia e le origini della nostra civiltà? Lo studio di una civiltà per essere valido deve fondarsi sulla conoscenza diretta dei documenti, anche se è inutile nasconderlo: tanti documenti dell’epoca sono stati tradotti e ritradotti, per cui chi vuole farsi un’idea di quel mondo riportato nelle lingue moderne può cavarsela benissimo. Al contrario se invece intende svolgere una ricerca che porta delle novità alle conoscenze già disponibili, allora l’uso delle lingue come il latino, greco, ebraico, e forse anche sanscrito diventa indispensabile. Perché questo? Perché le lingue non si sovrappongono mai del tutto. Cioè non esistono delle corrispondenze perfette. Per esempio in francese 8

“canaille” indica non solo una persona poco raccomandabile ma anche un ceto sociale reietto, in italiano invece pensiamo a persone sgradevoli e pericolose. Lo stesso vale per le lingue antiche. Le traduzioni devono essere corredate sempre da note, perché possano colmare i «silenzi del testo». Questo significa che per intendere bene i contenuti è necessario conoscere le lingue, questa è la ragione per la quale l’esplorazione e la conoscenza vanno di pari passo. Qual è, secondo Lei, l’insegnamento più importante che la storia classica lascia a quella moderna e contemporanea? In realtà non pensavano di lasciarci nessun insegnamento, siamo noi che abbiamo tratto degli spunti. Secondo me il nodo


centrale intorno al quale ruota, non solo l’azione pratica ma anche la riflessione teorica e la ricerca storiografica degli antichi, è il conflitto tra libertà e schiavitù. Infatti, in quasi ogni norma del diritto romano, vengono ogni volta specificati gli effetti se si tratta di un libero o di uno schiavo. Da questa dicotomia è nata la scoperta filosofica dell’unità della natura umana (i sofisti per primi l’hanno rilevata), scoperta che mette in crisi alla radice l’istituto della schiavitù. È una questione che ci riguarda ancora direttamente, ed è quello che la storia antica ci ha lasciato come modello e come monito.

incontri con

Ci sono degli elementi comuni che si ripetono “da sempre” nel comportamento umano? Abbiamo appena parlato di unità della natura umana. Ciò non vuole dire che è perfettamente immobile, perché in tal caso bisognerebbe immaginare delle idee innate, una sorta di predestinazione naturale. Tutto è storia, quindi anche i

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SETTEMBRE 2015

comportamenti umani. Dopo milioni di anni di esperienza della vita sul pianeta l’uomo ha alle spalle un accumulo, che gli studiosi chiamano accumulo coscienziale, quello che si è sedimentato nella coscienza e che noi crediamo sia un dato di natura ma che è pur sempre un dato storico. I comportamenti che si ripetono sono quelli legati all’egoismo, al difendere se stesso contro l’altro, che scatta purtroppo nella vita associata. Questo è un dato materiale poco rallegrante. La cultura, la riflessione, l’analisi filosofica, sono un correttivo. Non si nasce altruista ma si diventa, si nasce egoisti, non perché sia un’eredità genetica, ma perché da subito il rapporto con l’altro si risolve in questo orientamento di carattere prepolitico e istintuale. Se Lei dovesse immaginare la storia di domani, come la descriverebbe? Premetto che le previsioni negli scacchi non vanno oltre le tre o quattro mosse, vale a dire che i pronostici a lungo termine

sono un po’ difficili. Bisogna basarsi sull’esistente. La storia che stiamo per costruire appare già segnata. Siamo di fronte ad una migrazione di popoli. Fenomeno che già si manifestò tra il secondo e l’inizio del sesto secolo. Fu allora il fenomeno principale: i barbari che migravano verso il mondo romano, e per quanto questo si sforzasse di trovare una soluzione, che fosse di inglobarli o di combatterli, alla fine l’esito fu che questi popoli sono diventati i soggetti di una storia nuova mescolandosi con quella precedente. È molto probabile che siamo all’inizio di una fase simile. La differenza è che i romani non avevano una superiorità tecnica militare agghiacciante da poterli annichilire. Noi, invece, viviamo in un’epoca in cui la potenza delle armi è davvero distruttiva. Uno scenario temibile è quello che intravide un grande scrittore americano Jack London nel suo libro Il tallone di ferro: “chi detiene il potere e la ricchezza, dinanzi ad un rischio globale di perderlo porta alla rovina tutti”. Questo può essere possibile proprio per la presenza di armi distruttive di cui alcune grandi potenze dispongono. Qual è, secondo Lei, il contributo che la tecnologia ha dato alla storia? Un notevole pensatore vivente, Emanuele Severino, martella sempre su questo tasto, che gli storici, gli studiosi, i filosofi, hanno trascurato: l’importanza della tecnica come asse portante della storia umana. Dalla scoperta del fuoco, alla ruota, al ferro, fino a quello a che abbiamo oggi, che quasi ci frastorna per la sua grandiosa evoluzione, imprevedibile solo qualche decennio

Luciano Canfora Filologo classico, storico e saggista

Luciano Canfora, nato a Bari, è ordinario di Filologia greca e latina presso l’Università di Bari. Laureatosi in Storia romana, ha svolto il perfezionamento in Filologia classica alla Scuola Normale di Pisa. Assistente di Storia antica, poi di Letteratura greca, ha insegnato anche Papirologia, Letteratura latina, Storia greca e romana. Fa parte del Comitato scientifico della “Society of Classical Tradition” di Boston e della Fondazione Istituto Gramsci di Roma. Dirige la rivista “Quaderni di Storia” e la collana di testi “La città antica”. Fa parte del comitato direttivo di Historia y critica (Santiago, Spagna), Journal of Classical Tradition (Boston), Limes (Roma). Ha studiato problemi di storia antica, letteratura greca e romana, storia della tradizione, storia degli studi classici, politica e cultura del XX secolo. Molti dei suoi libri sono stati tradotti in USA, Francia, Inghilterra, Germania, Grecia, Olanda, Brasile, Spagna, Repubblica Ceca. 10


incontri con fa. Uno degli effetti positivi nella seconda parte del ventesimo secolo del deterrente atomico è stato che non si sono fatte più guerre mondiali, da circa 70 anni. Le potenze europee hanno adesso un atteggiamento quasi verginale, di bontà infinita, non dimentichiamo che hanno portato alla catastrofe il mondo per ben due volte: tra il 1914 e il 1945 hanno fatto due guerre mondiali distruggendo tutto quello che era possibile. Questo non si è ripetuto più con la bomba atomica, poiché il pericolo è tale che avrebbe potuto portare alla distruzione dell’umanità. Anche i più feroci guerrafondai sono stati fermati dalla politica, dalla mobilitazione umana, dalla chiesa. La tecnica, in questo caso, è servita a dimostrare che non bisognava servirsene. Chi non si rende conto dell’importanza e centralità della tecnica è cieco.

illuminato di un sovrano inquietante. È allora che il pensiero stoico riscopre l’unità del genere umano: nuovo colpo inferto all’istituto della schiavitù. Questa scoperta dell’unità del genere umano continua a rispuntare ma di fatto non ne facciamo tesoro. Avremmo potuto imparare dal passato ma non lo abbiamo fatto. Un’altra cosa che avremmo potuto imparare dalla tragedia greca è la responsabilità soggettiva: non c’è un altro che è responsabile delle cose che facciamo, siamo noi, la responsabilità umana nella sua interezza; un lascito importantissimo dal quale assai spesso rifuggiamo.

Secondo Lei come il progresso tecnologico sta cambiando la nostra lingua e attraverso la lingua il nostro modo di conoscere e interpretare la realtà?

La risposta la diede Lucrezio, grande poeta romano. Di lui sappiamo poco o nulla, è vissuto al tempo di Cicerone. Abbiamo di lui un poema in cui si legge che da quando fu scoperta la proprietà privata cominciò il conflitto tra gli esseri umani.

Intanto la tecnica fa nascere delle parole nuove, come diceva Machiavelli: quando entrano delle cose nuove in una repubblica, entrano anche delle parole. Le parole sono lo specchio delle cose, quindi la tecnica crea un lessico. Anzi, bisogna mettere ordine e creare lessici adeguati perché la tecnica venga resa accessibile a tutti.

Qual è una scoperta, nel bene o nel male, che Lei ritiene più significativa nella lunga storia dell’uomo?

Con la repressione in alcuni Paesi islamici si sta rischiando seriamente di non riuscire a costruire la loro storia, Lei cosa ne pensa? Si è fatta avanti in modo allucinante una forma di radicalismo che ha presa in alcune aree del mondo islamico. Si propone di fare tabula rasa del passato degli altri. È recente la notizia della decapitazione dell’archeologo Khaled al Asaad, uno dei massimi esperti siriani di antichità e la distruzione di uno dei principali templi del deserto siriano. Questi mentecatti vogliono distruggere le tracce greco-romane perché le ritengono estranee all’islamismo e vorrebbero far partire la storia dall’anno zero con il loro Maometto. Le grandi potenze occidentali hanno delle colpe molto grandi, perché li hanno prima aiutati contro il socialismo arabo, e ora hanno perso il controllo e credo che non sappiano cosa fare. Adesso questi soggetti dispongono delle vite e delle tracce storiche di aree sempre più ampie. Lo vediamo noi in prima persona grazie ai moltissimi che fuggono e approdano in Italia. Cosa avremmo potuto imparare dal nostro passato, che invece non abbiamo saputo cogliere? La scoperta dell’unità del genere umano, i sofisti lo spiegarono molto bene. I Greci si sono scannati fra loro nella guerra del Peloponneso per trent’anni, Alessandro Magno conquista l’Oriente e mescola i Greci e i Persiani: un grande disegno 11


SETTEMBRE 2015

L’ESPLORAZIONE, LA CHIAVE DELL’EVOLUZIONE Visioni, progetti, idee concrete L’esplorazione applicata alle aziende e non solo, in quale ambito e come sono riuscite a creare nuovi spazi di mercato. Il trend condiviso è rivisitare l’organizzazione delle risorse umane partendo non dall’aspetto produttivo ma dal benessere della persona.

La copertina Esplorare significa avvistare il nuovo, riconoscere le differenze, farle proprie e sperimentare. L’esperienza della scoperta ha guidato e dato un metodo all’evoluzione del genere umano (evoluzione dell’uomo): dalla consocenza del fuoco (falò) alle prime forme di artigianato e commercio, alla scoperta dell’America, dello spazio e all’avvento di Internet (smartphone in rete): ogni nuova conquista di ciò che prima era sconosciuto ha posto un tassello nel puzzle del nostro percorso evolutivo, e nella nostra capacità di innovarci e reinventarci come persone, aziende e collettività.

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focus

“L’uomo deve dubitare: il dubbio è un atteggiamento di ricerca, di esplorazione: la certezza, soprattutto quella ideologica o dogmatica, possono forse renderlo più integrato, e in un certo senso più felice, ma con un costo intellettuale molto elevato, che è quello della sua rinuncia a dubitare, esplorare, e quindi pensare.” Piero Angela, nel suo libro Da zero a tre anni, parlava così di esplorazione. Un concetto che accompagnerà il viaggio in questo numero e che sarà multiforme. Non parleremo come la logica avrebbe consigliato di esplorazione dello spazio, ma di tutte quelle forme di ricerca che riguardano la società, il lavoro, la vita, l’individuo, l’artista. Le aziende in questo numero hanno seguito il concetto di esplorazione legandolo, per esempio, al capitale umano, nella la ricerca di particolari talenti scelti non solo in base alle caratteristiche professionali ma anche umane. È il caso della Pirelli. L’esplorazione per STAR, invece, ha significato trovare approcci di lavoro innovativi che hanno portato all’ottimizzazione della resa qualitativa dei lavoratori. C’è anche l’azienda che si è chiesta se la felicità dei suoi dipendenti potesse giovare alla produttività. Effettivamente Adriano Olivetti è stato un antesignano di questo aspetto e solo adesso le aziende iniziano ad attivare delle strategie che vanno in questa direzione. In Italia sono ancora poche le imprese attente alla felicità del proprio dipendente... Come si dice: l’importante è cominciare. Esplorazione vuol dire anche analisi, approfondimento, per questo non abbiamo potuto fare a meno di scrivere di Expo 2015, i numeri, lo stato dell’arte, le prospettive, e lo abbiamo fatto con l’economista Andrea Fumagalli.

Esplorare per arrivare alla fase più meramente creativa: è il caso del fotografo Aldo Soligno che trova in questa esperienza la sua musa ispiratrice. L’idea geniale è quella che invece ha spinto il giovane Dorian Lazzari nel mondo virtuale attraverso un progetto davvero originale sulla realtà aumentata. La visione, la determinazione, la capacità: in una parola sola, FICO, un grande progetto che avrà il suo sito a Bologna ma che coinvolgerà tutta l’Italia e il mondo enogastronomico dal “forcone alla forchetta”. Non poteva mancare un esploratore a tutti gli effetti, Franco Michieli, che parla di esplorazione abbinata al caso: “Il mio viaggiare è una sorta di serendipity: immagino un possibile percorso attraverso un territorio, ma poi ciò che mi interessa sono gli imprevisti, gli eventi che rivelano qualcosa di sconosciuto, le deviazioni dovute a qualche ostacolo, la bellezza dei momenti non programmati dal cervello umano”. C’è chi invece attraverso un viaggio ha avuto l’illuminazione diventata la sua passione e il suo lavoro, ed è il caso di Matteo Rignanese che ha fatto delle sue passeggiate newyorkesi il banco di scuola per insegnare l’inglese ai suoi allievi. Visione, determinazione, creatività, innovazione e capacità di andare fino in fondo, è questo che fa dell’esplorazione una parola pregna di tanti significati. Per finire, una citazione di buon auspicio di Mark Twain: “Tra vent’anni sarete più delusi per le cose che non avete fatto che per quelle che avete fatto. Quindi mollate le cime. Allontanatevi dal porto sicuro. Prendete con le vostre vele i venti. Esplorate. Sognate. Scoprite”. 13


SETTEMBRE 2015

STEPBYSTEP Alcune delle esplorazioni che hanno rivoluzionato la nostra vita

La scoperta del fuoco

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2,5 milioni di anni fa

La scoperta, o meglio ancora il controllo, del fuoco da parte dei primi uomini rappresenta una svolta nell’evoluzione umana. Il fuoco infatti permetteva di cucinare i cibi, assumendo così più proteine e carboidrati e migliorando la nutrizione; di poter lavorare o spostarsi anche nelle ore notturne; e di potersi difendere dai predatori. Il controllo del fuoco da parte dell’Homo Erectus avviene durante il Paleolitico Inferiore, periodo storico che va da circa 2,5 milioni a circa 120.000 anni fa. Le prove più antiche dell’utilizzo del fuoco da parte dei primi ominidi sono state ritrovate in diversi siti archeologici nell’Africa orientale.

La proprietà privata 12000 - 8000 a.C.

Lucrezio, grande poeta romano vissuto al tempo di Cicerone, diceva che da quando fu scoperta la proprietà privata cominciò il conflitto tra gli esseri umani. Infatti, le prime forme di proprietà privata risalgono al periodo del Neolitico, quando, a causa dell’incremento demografico legato alla diffusione dell’agricoltura, gli spazi vuoti si fecero sempre più rari e il rischio di scontri armati fra tribù divenne endemico. La nuova situazione fu tale che chi non era forte abbastanza sapeva che, presto o tardi, sarebbe stato espropriato della sua terra e dei suoi beni. Da questo momento la proprietà privata venne a dipendere dai rapporti di forza.

Le prime forme di artigianato e commercio 8000 - 3000 a.C.

Con la scoperta dell’agricoltura e l’allevamento del bestiame, per la prima volta, l’uomo non fu più costretto ad andare a caccia per procurarsi del cibo. Quando le tecniche di coltivazione dei campi migliorarono, si iniziò ad avere l’abbondanza del cibo per tutti gli uomini del villaggio. Alcuni di essi, quindi, non avendo la preoccupazione di doversi procurare il cibo, poterono dedicare il loro tempo allo svolgimento di altre attività. Nacquero così i primi artigiani. Le prime attività artigianali che si diffusero nel Neolitico furono la lavorazione della ceramica, la produzione di utensili per l’agricoltura e la produzione di armi da difesa e da caccia. Insieme all’artigianato nacquero anche le prime forme di commercio. Esse erano basate sul baratto, cioè sullo scambio di prodotti.

Invenzione della ruota 3500 a.C.

L’invenzione della ruota rappresenta un momento molto importante della storia dell’umanità: ha modificato infatti non solo i trasporti, ma il progresso tecnologico in generale. Secondo gli studiosi la ruota è stata inventata intorno al 3500 a.C., in Mesopotamia dai Sumeri. E veniva utilizzata per la lavorazione del vasellame. In seguito le ruote iniziarono ad essere utilizzate anche in altri ambiti. Le prime ruote erano dei semplici dischi di legno con un foro in mezzo per l’asse.


focus La scoperta dell’America 1492

Cristoforo Colombo il 4 agosto 1492 salpò da Palos (Spagna). La scoperta dell’America si basò su un errore di calcolo: Colombo era convinto che la circonferenza terrestre fosse molto minore di quanto non sia effettivamente e credeva di riuscire a raggiungere in tempi relativamente brevi l’Oriente descritto da Marco Polo, ovvero intendeva buscar el Levante por el Poniente. Questo errore e l’aiuto dei venti alisei permisero a Cristoforo Colombo di scoprire l’America il 12 ottobre 1492, di venerdì alle ore 2:00 del mattino, e sbarcare il giorno seguente su una delle isole Lucaie, che venne battezzata San Salvador (attuali Bahamas).

Il primo uomo nello spazio 1961

Jurij Alekseevic Gagarin cominciò la sua grande impresa il 12 aprile 1961, alle ore 9:07 di Mosca, all’interno della navicella Vostok 1 (Oriente 1), del peso di 4,7 tonnellate. Compì un’intera orbita ellittica attorno alla Terra, raggiungendo un’altitudine massima (apogeo) di 302 km e una minima (perigeo) di 175 km, viaggiando a una velocità di 27.400 km/h. Durante il volo, guardando dalla navicella ciò che nessuno aveva mai visto prima, comunicò alla base che “la Terra è blu [...] Che meraviglia. È incredibile”. Dopo 88 minuti di volo intorno al nostro pianeta, senza avere il controllo della navicella spaziale, guidato da un computer controllato dalla base, la capsula frenò la sua corsa accendendo i retrorazzi, in modo da consentire il rientro nell’atmosfera terrestre.

L’avvento di Internet 2000

Internet (contrazione della locuzione inglese interconnected networks, ovvero “reti interconnesse”, “rete internazionale”) è una rete mondiale di reti di computer ad accesso pubblico. Offre all’utente una vasta serie di contenuti potenzialmente informativi e di servizi. Si tratta di un’interconnessione globale tra reti informatiche di natura ed estensione diversa, resa possibile da una suite di protocolli di rete comune chiamata “TCP/IP”, la lingua con cui i computer comunicano a prescindere dall’architettura hardware e software. L’avvento e la diffusione di Internet e dei suoi servizi hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione tecnologica e socio-culturale dagli inizi degli anni Novanta (assieme ad altre invenzioni quali i telefoni cellulari e il GPS), nonché uno dei motori dello sviluppo economico mondiale nell’ambito dell’Information and Communication Technology (ICT).

Fonti: https://it.wikipedia http://www.nwglobalvending.it http://www.studenti.it/foto/superiori/le-50-date-piu-importanti-della-storia/fuoco_1.php https://it.wikipedia.org/wiki/Jurij_Gagarin http://storiaepolitica.forumfree.it/?t=59459050 http://www.storiafacile.net/preistoria/artigianato_neolitico.htm https://it.wikipedia.org/wiki/Internet 15


SETTEMBRE 2015

STEFANO MORIGGI

PENSARE CON LE MACCHINE!

LA PSICOLOGIA DI COLOMBO

ESPLORARE IL MONDO FUORI DI NOI PER SCOPRIRE QUALCOSA DI SÉ. Che il mondo sia sempre più un villaggio globale è innegabile. Corpi, merci, capitali e informazioni circolano per l’orbe terracqueo a velocità che solo qualche anno fa erano impensabili. Opportunità e scompensi di tale complesso fenomeno socio-economico - che a molti, e non senza motivo, pare un destino preoccupante e ineluttabile - si intrecciano in un rompicapo che genera più conflitti che accordi. Su fronti opposti, infatti, si confrontano (e si scontrano) prospettive e ideologie convinte, ciascuna a suo modo, di custodire in una formula o addirittura in una filosofia di vita la ricetta salvifica. C’è da un lato chi, erede più o meno spregiudicato della “mano invisibile” di Adam Smith, canta le magnifiche sorti e progressive del libero mercato e di una globalizzazione incontrollata; dall’altro, invece, fa da contro canto la voce di coloro che, elevando

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la “lentezza” a dogma pseudo-teologico, diffondono il loro verbo contrapponendo (troppo) “ingenuamente” tradizione e innovazione. Ora, al di là delle convinzioni e degli interessi degli uni e degli altri, ci si potrebbe anche chiedere se le dinamiche di tale contrapposizione non possano essere interpretate, su un altro piano della riflessione, come un prodotto della globalizzazione medesima. O, per lo meno, di quella fase del villaggio globale compiuto e totalizzante che stiamo vivendo. In che senso? Procediamo per gradi e facciamo un salto indietro nel tempo... che potrebbe rivelarsi utile anche per prendere in considerazione aspetti che troppo spesso rimango in ombra di una questione tanto complessa e sfaccettata. Come è noto “globalizzazione” è un concetto relativamente recente che, però, con le dovute cautele e precisazioni,


viene utilizzato da studiosi di differente formazione per comprendere e descrivere diversi periodi della storia planetaria. Un esempio classico è rappresentato dall’analisi delle ripercussioni, per molti versi tragiche e traumatiche, innescate dall’approdo nelle Americhe di Cristoforo Colombo, ovvero dalle conseguenze generate da una delle più importanti e sconvolgenti esplorazioni della storia. A tal proposito, per citare un esempio, il geografo Alfred W. Crosby, nel 1986, ha introdotto il concetto di imperialismo ecologico. E lo ha fatto partendo da una considerazione apparentemente lapalissiana: “I migranti europei e i loro discendenti sono dappertutto, e questo richiede una spiegazione”. Già, si parla proprio di migranti europei, un’espressione che oggi, per molti versi potrebbe suonare come un ossimoro; ma invece racconta di come e quando il Vecchio Mondo ha cercato fuori da sé nuovi orizzonti di sviluppo e di conquista, facendo incontri ed esperienze che avrebbero profondamente segnato la storia a venire. Ma non solo. Tale diffusione, dopotutto, se ben letta, non può che generare un interrogativo meritevole di attenzione e di approfondimento. Come mai, infatti - e proprio questo iniziarono a chiedersi studiosi di formazione differente qualche decennio fa - gli africani vivono per lo più in Africa; gli asiatici in Asia, mentre i discendenti degli europei sono numerosi in molti continenti: dall’Australia alle Americhe fino agli Stati più meridionali dell’Africa? Si tratterebbe, in altre parole, di chiedersi ragione e motivo del successo di tali “trapianti”, visto che in alcune delle aree citate il ceppo europeo rappresenta addirittura la maggioranza della popolazione. Non accontentandosi di liquidare la faccenda con il tradizionale riferimento alla superiorità tecnico-scientifica del Vecchio Mondo, Crosby si spese invece nello spiegare come, sul lungo

scenari periodo, ciò che avrebbe consentito nei fatti ai migranti europei l’occupazione e lo sfruttamento di tali e tante terre fu anzitutto un vantaggio di ordine biologico. In sintesi - argomentava Crosby, gettando con i suoi contributi nel merito le basi di una nuova disciplina: la storia ambientale - a partire dal 1492 cominciarono a “incontrarsi” e a “mescolarsi” interi ecosistemi dando origine a quello “scambio colombiano” in conseguenza del quale, per esempio, il mais arrivò in Africa, la patata dolce in Asia orientale, i cavalli e le mele sul continente americano e il rabarbaro e l’eucalipto in Europa. Ma con i prodotti viaggiarono anche insetti, batteri, virus... Proprio in quest’ottica, chiosava opportunamente Charles Mann nel suo 1493. Pomodori, tabacco e batteri (Mondadori, 2013) lo “scambio colombiano non fu né pienamente controllato né pienamente capito da chi lo effettuò”. E da più di un punto di vista. Se da un lato, infatti, è dentro il più ampio orizzonte ecologico che occorre ricostruire come gli europei riuscirono a “trasformare buona parte delle Americhe, dell’Asia e in misura minore, dell’Africa in versioni ecologiche dell’Europa” - ovvero, “in paesaggi che i nuovi venuti potevano usare più agevolmente degli abitanti originari”; d’altro canto, non andrebbe neppure trascurato, nella logica di questo scambio, quanto l’impatto con un Mondo Nuovo abbia cambiato inciso sulle coscienze dei conquistatori. La scoperta di “nuovo occidente” abitato da genti che nessuna religione o filosofia aveva contemplato o previsto, scardinò

Stefano Moriggi storico e filosofo della scienza Si occupa di teoria e modelli della razionalità, di fondamenti della probabilità, di pragmatismo americano con particolare attenzione al rapporto tra evoluzione culturale, semiotica e tecnologia. Già docente nelle università di Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine (SEMM), attualmente svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e l’Università degli Studi di Bergamo. Esperto di comunicazione e didattica della scienza, è consulente scientifico Rai e su Rai 3 è uno dei volti della trasmissione “E se domani. Quando l’uomo immagina il futuro”. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: “Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora. Le streghe prima di Loudon e Salem” (Bompiani, 2004); (con E. Sindoni) “Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero” (Itaca 2004); con P. Giaretta e G. Federspil ha curato “Filosofia della Medicina” (Raffaello Cortina, 2008). Più recentemente (con G. Nicoletti) ha pubblicato “Perché la tecnologia ci rende umani. La carne nelle sue riscritture sintetiche e digitali” (Sironi, 2009); (con A. Incorvaia) “School Rocks. La scuola spacca” (San Paolo, 2011); Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine (San Paolo, 2014). 17


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convinzioni e credenze consolidate attorno a cui prendeva forma la stessa idea di umanità. E ha colto nel segno chi ha sottolineato come, ben oltre lo sfruttamento e il controllo, gli Europei cercarono di addomesticare - omologandola quell’alterità incarnata e profonda che metteva radicalmente in discussione la propria identità. Un’operazione, quest’ultima, ben più facile a dirsi che a farsi - il cui studio condusse il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov a concepire in un testo ormai classico La conquête dell’Amérique (Édition du Seuil, 1982) - la sequenza dei viaggi di Colombo nel Nuovo Mondo come “la storia della scoperta che l’io fa dell’altro”. Ma non di un altro qualsiasi, bensì - spiega ancora Todorov - di quell’“altro assoluto” in relazione al quale il sé si imbatte drammaticamente in una diversità irriducibile; di quell’altro al cui contatto le aspettative e i pregiudizi o vanno in frantumi o si irrigidiscono fino a diventare pericolose verghe ideologiche. Lo stesso Colombo fa esperienza delle novità che incontra tentando di comprenderle dentro le sue credenze e convinzioni. Per esempio, il grande navigatore italiano - come molti al suo tempo - è persuaso circa l’esistenza delle sirene, e pertanto è assolutamente convinto della veridicità della testimonianza di un ammiraglio che, invece, aveva visto solo delle donne indigene: “...quando l’Ammiraglio - scrive Colombo raggiunse il Rio Oro, dice di aver visto tre sirene che sporgevano assai dal mare, ma non erano così belle come vengono descritte; infatti il loro volto assomigliava a quello di un uomo” (Giornale di bordo, 9 gennaio 1943). E similmente, senza esitazione sostenne di avere la prova concreta circa l’esistenza del paradiso terrestre in un anomalo rigonfiamento della rotonda della Terra. Ne “l’Imago Mundi” di Pierre d’Ailly aveva, infatti, letto che tale paradiso doveva trovarsi in una qualche temperata regione al di là dell’Equatore. E così lui scriveva ai sovrani di Spagna al tempo del suo terzo viaggio, il 31 agosto 1498: “Trovai che il mondo non era rotondo così come viene descritto [...] aveva la forma di una palla rotonda, su un punto della quale fosse posta una mammella femminile; la parte dove si trovava la mammella era la più elevata e la più vicina al cielo, ed era situata sotto la linea equinoziale in questo mare Oceano”. E aggiungeva, mostrando una volta di più quanto le credenze di Colombo condizionassero la sua esplorazione: “Sono convinto che quel luogo è il paradiso terreste, dove nessuno può giungere se non per volontà divina. [...] Non ritengo che il paradiso terrestre abbia la forma di una montagna scoscesa, come ce lo descrivono gli scritti a esso dedicati, ma che si trovi invece su quella sommità nel punto da me indicato che corrisponde al picciolo di una pera”. I pregiudizi con cui tentiamo di addomesticare il nuovo di cui facciamo esperienza tendono a resistere ad ogni contraddizione: i tratti somatici delle donne indigene non mettono in discussione 18

l’esistenza delle sirene, ma ne rivedono la proverbiale bellezza; la presunta anomalia terrestre non cancella il mito de paradiso terrestre, ma corregge le scritture. Ha ragione Todorov quando ricorda che Cristoforo Colombo aveva poco a che spartire con un approccio empirico alla conoscenza. Nella sua ottica - spiega ancora Todorov - “l’argomento decisivo è un argomento di autorità, non di esperienza”. Tuttavia, la dipendenza culturale e psicologica dalla propria visione del mondo, più o meno religiosa, più o meno dogmatica, non è cosa che si archivia con facilità. La tentazione a modellare ciò che ci sorprende per diversità o alterità secondo i nostri schemi più consolidati è istintiva, per alcuni insopprimibile. Tale approccio, come si accennava, non si preclude solo la possibilità di conoscere più e meglio ciò che meno ci assomiglia (e dunque che meno sappiamo); ma, paradossalmente, ci impedisce di apprendere qualcosa di più di noi stessi nel confronto. Un aspetto questo che ben aveva intuito il russo Michail Bachtin quando notava: “Tutto ciò che tocco - a cominciare dal mio stesso nome - perviene alla mia coscienza dal mondo esterno passando attraverso la bocca degli altri, con la loro intonazione, la loro tonalità emozionale e i loro valori. Non prendo coscienza di me se non attraverso gli altri”. Oggi, per certi versi, la situazione pare speculare. Ancor più del diverso (per quanto ancora ben lontano dall’essere riconosciuto), è piuttosto il timore dell’indistinto che accende nuove ansie identitarie, dai regionalismi più folcloristici ai razzismi più violenti. Il terrore anche inconscio del venir meno di un Altro in cui cogliere quelle diversità che rimarcano (in negativo) la nostra specificità è chiaro sintomo del fatto che anche noi, cittadini del villaggio globale, siamo attori di uno “scambio” che né comprendiamo né controlliamo pienamente. Né fuori né dentro di noi. Per lo meno, non ancora...


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NUOVI TALENTI PER SALVAGUARDARE IL FUTURO DELL’AZIENDA Intervista a Christian Vasino, responsabile Risorse Umane di Pirelli S.p.A.

Una scelta che va oltre il curriculum vitae. Il nuovo talento viene misurato sulla base dell’agilità mentale del candidato, sulla sua propensione al cambiamento e sulla sua capacità di adattamento e raggiungimento dell’obiettivo. Intervistiamo Christian Vasino, Responsabile Risorse Umane di Pirelli, che ci spiega questa nuova metodologia di ricerca e valutazione dei candidati. 20


L’esplorazione dei talenti che cosa significa per Pirelli? L’esplorazione dei talenti in Pirelli significa identificare in maniera strutturata, condivisa e globale le figure aziendali adeguate a ricoprire ruoli di maggiore responsabilità all’interno dell’organizzazione e a guidare l’azienda verso le sue sfide future. Strutturata perché ci avvaliamo di una metodologia che, seppur in costante evoluzione, è allineata alle best practice di aziende leader nello sviluppo dei talenti. La metodologia per l’individuazione è stata inserita nel 2014, utilizzando un combinato di analisi della performance dell’ultimo triennio, valutazione del potenziale di leadership che si basa sui fondamenti della learning agility, e analisi della readiness per la presa in carico di una posizione superiore. Condivisa, perché riteniamo che l’esplorazione del talento non debba essere solo ad appannaggio di un dipartimento, ma debba essere una responsabilità, appunto, condivisa tra tutti i leader dell’organizzazione. Selezionare e far crescere i talenti è un compito fondamentale di tutti coloro che in Pirelli occupano ruoli di responsabilità. Globale perchè deve essere trasversale e coerente attraverso tutte le organizzazioni in cui l’azienda opera ed è presente. Una metodologia unica, a livello globale, permette di avere chiarezza di linguaggio e di intendimenti su “what good looks like” e non trovarsi quindi una babele ingestibile di politiche e prassi variegate nelle varie regioni geografiche. Qual è il vostro candidato tipo, al di là delle specifiche caratteristiche professionali? Al di là delle caratteristiche professionali ricercate, in Pirelli sono fondamentali alcuni aspetti manageriali che vengono valutati nel momento in cui si discute e si identifica un talento. La sustained performance, cioè una positiva valutazione di performance aziendale duratura nel tempo, rappresenta la chiave di accesso per ogni discussione relativa al potenziale. Riteniamo infatti che un talento debba innanzitutto essere un high performer. A seguire si valutano le potenzialità, misurando la learning agility, che è un strumento innovativo per molte organizzazioni e che abbiamo introdotto in Pirelli da un paio di anni in collaborazione con Korn Ferry. La learning agility è la capacità di imparare che si sostanzia in cinque dimensioni chiave: la mental agility (ovvero la curiosità mentale, la ricerca delle cause, la capacità di ambientamento in situazioni complesse e la capacità di trovare soluzioni a problemi difficili); la people agility (Self e situational awareness); la change agility (amore per la sperimentazione e tentativi di provare cose nuove); la result agility (ovvero essere flessibili e adattabili e cercare sempre di raggiungere alte performances). Queste quattro dimensioni ruotano attorno alla awareness, che permette di avere maggior coscienza e consapevolezza dei propri mezzi.

incontri con Pirelli è collegata alle università, un approccio molto americano e poco usato in Italia. Secondo Lei, perché? E in che modo collaborate con le università? Riteniamo che il processo di selezione sia parte fondamentale nella creazione di un bacino di risorse dall’alto potenziale. Per questo motivo siamo convinti che una forte collaborazione con le università sia imprescindibile per identificare con anticipo i talenti. Non seguiamo un “modello” preciso (americano o italiano che si voglia), ma ci atteniamo alle necessità del nostro business in ogni specifica area. Abbiamo accordi con atenei nazionali e internazionali, in varie parti del mondo. In totale abbiamo relazioni e partnership con oltre 80 università nel mondo, per lo più specializzate in business o ingegneria meccanica. Il capitale umano fa parte degli asset intangibili di un’azienda: come lo misurate e quale valore gli date? Il capitale umano è l’asset intangibile per eccellenza di un’azienda. In Pirelli diamo estrema importanza a questo aspetto e da sempre trattiamo con rigore e serietà il tema della crescita professionale delle persone. Avere risorse di qualità nelle posizioni chiave e di comando all’interno dell’azienda è una priorità per essere in grado di assicurare continuità al business. Da qualche anno all’interno dei cicli di talent review, abbiamo stabilito un processo di valutazione del rischio associato alle risorse che occupano posizioni di alto impatto sul business all’interno dell’azienda. Nell’ottica di un miglioramento del ritorno sul capitale umano, le nomine nei ruoli chiave aziendali devono essere fatte con attenzione e programmazione, proprio per evitare quelle inefficienze che possono verificarsi scegliendo uno staff sbagliato. Quanto conta la tecnologia nella scelta di un talento? Quello che conta nell’individuazione di un talento è l’oggettività della valutazione unita a processi chiari, trasparenti e coerenti, e la tecnologia ci permette di accelerare questo processo. In Pirelli ci siamo dotati di una serie di strumenti che vanno a integrare lo storico della persona, in primis l’analisi della performance, che ogni anno viene discussa e certificata all’interno di un processo strutturato di calibration a cui partecipano capi diretti e funzionali. Al risultato della performance si unisce la valutazione del potenziale di 21


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leadership che viene effettuato incrociando la valutazione del potenziale fatta dai manager (attraverso una valutazione basata sulla learning agility) e un’auto-valutazione online che restituisce un posizionamento rispetto a un benchmark di settore. Quali sono i talenti per Pirelli? Per noi i talenti sono coloro che ricopriranno posizioni guida all’interno dell’organizzazione e guideranno la Pirelli del futuro. Sono persone che incarnano lo spirito aziendale, ma allo stesso tempo sono ambasciatori del cambiamento. I talenti Pirelli devono essere estremamente performanti, rapidi di pensiero, flessibili, motivati, entusiasti e, soprattutto, capaci di lavorare in team. Siamo estremamente contrari a etichettare il “talento” come qualcuno di “speciale” al quale riconoscere un trattamento diverso dal resto del team. Preferiamo piuttosto responsabilizzare la persona, fornendo opportunità di supporto e di coaching nei confronti dei colleghi. Siamo estremamente esigenti perché riteniamo che una delle forme migliori per preparare i nostri futuri manager sia proprio la pressione positiva e la delivery dell’eccellenza. Quali sono a suo avviso le 5 caratteristiche che un’azienda di successo deve avere oggi? Una cultura di alta performance, processi trasparenti, innovazione, capacità di ascolto e velocità. Mi spiego meglio. Una cultura di alta performance è l’attitudine all’eccellenza, al non accontentarsi mai del “dovuto”. Significa andare oltre il semplice “so fare” per spingersi fino al “so fare meglio della concorrenza”. Rappresenta quella voglia di mettersi in discussione sempre, indipendentemente dai traguardi raggiunti. Dotarsi di processi trasparenti significa, invece, poter far leva su una cultura aziendale basata sulla fiducia e sulla meritocrazia. Innovazione vuol dire investire in sviluppo tecnologico, cercando di esplorare nuove frontiere per offrire nuovi servizi - quindi maggior valore - ai propri clienti. Capacità di ascolto significa dotarsi di strumenti di costante e continuo dialogo con la base dell’organizzazione. Velocità intesa come velocità di pensiero e di azione. In un mondo che viaggia alla velocità della luce, è fondamentale connettere nel minor tempo possibile i fenomeni, analizzare scenari ed elaborare soluzioni sempre innovative.

L’esplorazione quale posto occuperebbe? L’esplorazione intesa come voglia di scoprire, di conoscere quanto è sconosciuto o nascosto o quanto altri cercano di tenere celato - servendosi dei mezzi opportuni, spesso tecnologici deve essere il motore principale che guida un’organizzazione. In qualche modo racchiude le cinque caratteristiche precedenti, perchè le fonde all’interno di un unico concetto, quello dell’imprenditorialità e della voglia di rischiare, per scoprire nuove opportunità di business. Esplorazione dei talenti significa anche esplorazione delle potenzialità future: ossia provare ad immaginare che tipo di manager potrà essere un giovane talento di oggi. Come fate a fare questo tipo di valutazioni cercando di mantenere un buon grado di probabilità? Esplorare le potenzialità di una risorsa è un esercizio che da solo non è sufficiente a identificare la “tipologia” di manager che la Pirelli vuole creare per il futuro. È importante sempre attivare i piani di carriera e di sviluppo in un arco di tempo ragionevole e compatibile con le dinamiche di un mondo in costante e continuo mutamento. Programmare troppo in là nel tempo, soprattutto in contesti economici estremamente volatili, rischia di diventare un esercizio teorico e slegato dalla realtà. Le organizzazioni devono guardare a un medio periodo quando esplorano il potenziale di un talento: 12-18 mesi al massimo sono un tempo corretto per implementare un percorso di sviluppo e poter lavorare sui punti di forza e di debolezza della risorsa e per tracciare un percorso intelligente, puntuale e aderente alle necessità del business.

Christian Vasino Responsabile Risorse Umane di Pirelli S.p.A. 22


informazione pubblicitaria

EMC estende la propria leadership nel mercato degli array all-flash con XtremIO 4.0 (“The Beast”)

Ecco una lista delle nuove funzionalità di XtremIO 4.0:

Esclusiva protezione dei dati XtremIO supporta la scalabilità e la potenza della replica di RecoverPoint. I dati su XtremIO possono essere replicati su altri array XtremIO o su qualsiasi array supportato da RecoverPoint. La replica XtremIO può offrire RPO di un minuto anche durante carichi di lavoro impegnativi.

Le nuove funzionalità aggiunte al principale array all-flash del mercato ne incrementano i livelli di prestazioni, scalabilità, automazione e consolidamento dei workload

Nei 18 mesi da quando è divenuto disponibile, XtremIO è diventato il prodotto di maggior successo nella storia di EMC e il più venduto AFA (All Flash Array) del mercato secondo Gartner. XtremIO è stato anche riconosciuto nel 2014 come l’array leader allo stato solido nel Gartner Magic Quadrant. XtremIO 4.0 estende ulteriormente le sue funzionalità missioncritical per i data center grazie alle sue caratteristiche uniche di scale-out, e permette il consolidamento di carichi di lavoro con milioni di IOPS con bassa latenza sempre costante e prevedibile. Le sue esclusive capacità di riduzione dei dati in linea offrono le stesse performance a tutti i workload e a tutte le applicazioni; produzione, test, sviluppo, analisi, reporting che ora possono essere eseguiti sullo stesso array per semplificare l’infrastruttura con una massiccia riduzione dei dati e dei costi.

Cluster di maggiori dimensioni e più veloci Con questa versione, XtremIO introduce i nuovi X-Brick da 40TB, il doppio della densità dei sistemi XtremIO precedenti. Inoltre, i cluster XtremIO possono ora scalare fino a otto X-Bricks con 16 N controller attivi, in grado di erogare petabyte di capacità in un unico rack attraverso la riduzione dei dati in linea e le funzionalità di copie ”space efficient”.

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Il nuovo XtremIO 4.0 supporta ora nuove configurazioni di maggiori capacità, amplia le funzionalità on-demand e consolida i carichi di lavoro con livelli di prestazioni e disponibilità senza precedenti. Soprannominato “The Beast” da parte dei clienti, XtremIO 4.0 sfrutta la sua architettura di scalabilità orizzontale (scale-out) raddoppiando la densità precedente con X-Brick da 40TB. XtremIO 4.0 offre configurazioni di cluster fino a otto X-Brick (16 controller) e permette espansioni di prestazioni e capacità nondisruptive con riequilibrio automatico dei dati per mantenere prestazioni costanti e prevedibili al di sotto del millisecondo.

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XtremIO 4.0 aiuta i clienti a trasformare le proprie applicazioni e data center con i sui esclusivi servizi di copia dati in memoria, consentendo ad interi flussi di lavoro di essere semplificati e automatizzati dall’array attraverso l’integrazione con hypervisor e applicazioni. Questo approccio sta guidando la rapida adozione di XtremIO in ambito DevOps , analisi in tempo reale, accelerazione database, SAP, cloud privati / ibridi, VDI e cartelle cliniche elettroniche (EMR).

Scopri di più su

www.italy.emc.com


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SMART WORKING: UN’AGORÀ PER FAVORIRE L’INTERAZIONE INTERNA Intervista a Matteo Melchiorri, responsabile HR di STAR

L’innovazione, per STAR, questa volta ha coinciso con una rivisitazione della comunicazione interna, partita da un nuovo modo di concepire lo spazio e le modalità di lavoro che ora seguono le regole dello smart working: nessuna postazione assegnata, autonomia di gestione dell’orario di lavoro e frequenti riunioni con il direttore generale. Dal 1948, un’azienda tradizionale che si è adattata ai tempi per conservare le posizioni conquistate sul mercato. Dietro questo adattamento c’è sempre un processo di ricerca ed esplorazione. Qual è stato il vostro? Sicuramente la capacità di innovare seguendo sempre un filone di tradizione; è questo il binomio che ci caratterizza dall’inizio. Negli ultimi anni STAR ha attraversato una fase di cambiamento che si manifesta nel nuovo posizionamento del brand, ovvero 24

un’azienda che vuole essere identificata come una marca in grado di offrire prodotti buoni, in grado di semplificare i processi culinari e anticipare nuove tendenze in ambito food. STAR ha infatti deciso di rivolgersi a un target finora inesplorato: quello dei giovani, attraverso l’ingresso sul mercato di prodotti innovativi, gustosi e facili da consumare quali Saikebon®. Parallelamente, STAR ha avviato un processo di riorganizzazione delle competenze orientato, da un lato, alla valorizzazione delle risorse interne e,


dall’altro, all’acquisizione di nuovi giovani talenti; la volontà di STAR è infatti quella di entrare in contatto con giovani laureati e offrire loro percorsi formativi. La prima linea dell’azienda è stata quasi del tutto rinnovata e alcuni dei suoi manager ricoprono ruoli direttivi anche a livello internazionale. L’ultimo cambiamento è stato la sede, volutamente studiata per rispecchiare particolari principi di comunicazione interna. Quali sono e come si è arrivati a questo risultato? Da circa un anno STAR ha rinnovato i propri uffici, a dimostrazione della crescita e del rinnovamento dell’azienda. I nuovi spazi si trovano a Milano presso il nuovo centro MAC7 e sono stati realizzati dallo studio di architettura “Il Prisma”, per rappresentare un nuovo modo di concepire lo spazio di lavoro inteso senza postazioni fisse e senza una suddivisione gerarchica. Abbiamo voluto uno spazio che favorisse una maggiore interazione tra tutte le funzioni. Venivamo da una concezione dello spazio molto gerarchica e abbiamo deciso di operare un cambiamento risolutivo; i nuovi uffici hanno agevolato questi cambiamenti. Abbiamo voluto ricreare uno spazio di grande accoglienza, improntato al colore e alla creatività del nostro marchio, senza perdere quel senso di tradizione che da sempre ci contraddistingue. Oggi è a disposizione di tutti l’Agorà, un elemento architettonico che permette una condivisione anche del tempo libero. L’Agorà è un vero e proprio spazio aperto di incontro e di condivisione, all’interno di un contesto che richiama l’ambiente familiare della cucina, con un bancone, un frigorifero, vending machine, tavolini e divanetti. Un’area break flessibile e multifunzione che può essere utilizzata per rilassarsi o lavorare in maniera informale. Il risultato finale è frutto di un percorso che ci ha visto molto vicini ai dipendenti. Abbiamo illustrato tutte le fasi di realizzazione dei nuovi spazi attraverso un website dedicato e organizzato un focus group interno per ascoltare i dubbi e gli spunti delle nostre persone. Non abbiamo dato niente per scontato e abbiamo cercato di rispondere a tutte le domande che abbiamo ricevuto.

incontri con Come hanno reagito i dipendenti? Dalle survey interne vediamo che hanno apprezzato i nuovi spazi. È stato un passaggio graduale, ma ora tutti sono abituati al nuovo approccio; lavorare fianco a fianco con il Direttore Generale è diventata un’abitudine per tutti! E oggi, dopo il primo anno, siamo davvero soddisfatti. Lo smart working è stato un passaggio preparato? Lo smart working come lo intendiamo noi, con caratteristiche di flessibilità, come la gestione della giornata lavorativa e di conseguenza anche dell’orario di entrata e uscita e l’assenza di timbratura, è stato un percorso naturale che si è sviluppato di pari passo con i nuovi uffici. Abbiamo voluto scegliere un ambiente open space uguale per tutti, senza postazioni assegnate, in modo da permettere ai componenti dei vari team di gestirsi in maniera autonoma, in base al carico di lavoro. Non è raro vedere i nostri colleghi cambiare postazione anche più volte nel corso della giornata, per seguire i diversi progetti anche fisicamente. Come accennavo prima, abbiamo coinvolto i dipendenti in ogni fase, tenendo in considerazione tutte le loro richieste.

Matteo Melchiorri Responsabile HR di STAR 25


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Qual è l’obiettivo di questa nuova modalità lavorativa? Sicuramente abbiamo voluto aumentare l’interazione tra le divisioni e permettere a tutti di lavorare in un clima di fiducia che possa portare anche a un aumento della produttività. Il nostro obiettivo primario è infatti quello di rendere fluido lo scambio di idee e la collaborazione tra le risorse. Proprio per questo, dalla seconda metà del 2014, è aperta “La Mia Cucina”, un vero e proprio centro culinario, di 460 metri quadrati che offre una vetrina verso l’esterno e uno spazio di rappresentanza per l’azienda grazie alla presenza di un’attrezzatura altamente innovativa. La location, dotata di una cucina professionale, ospita test, assaggi, degustazioni, pranzi di lavoro, training ed eventi. “La Mia Cucina” è una “finestra sul mondo” grazie alla quale STAR comunica e permette di sperimentare in prima persona la bontà e la genuinità dei propri prodotti.

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incontri con

L’ESPLORAZIONE COME MOTORE DELLO SVILUPPO ECONOMICO Intervista a Giulio Barbieri, imprenditore e AD di Giulio Barbieri Srl

In Italia essere un imprenditore è un atto di fede, Barbieri nell’intervista la pensa così. Un’Italia ostruzionista va contro lo sviluppo economico e qui la voglia di esplorare non basta. Sicuramente il talento di un imprenditore sta nell’andare avanti nonostante tutto, cercando nuovi stimoli che lo portino oltre i limiti di questo Paese. Che cosa è per Lei l’esplorazione? È un aspetto della vita aziendale in cui l’imprenditore si deve porre come fa il curioso per riuscire a crescere rispetto a quello che già conosce. Nel nostro caso, infatti, lo sviluppo che abbiamo avuto sarebbe venuto meno se fosse mancato l’aspetto esplorativo.

Cosa c’è a monte della decisione di implementare una nuova linea di prodotto? Per prima cosa è necessario fare una corretta analisi di dove si voglia portare l’azienda. Essendo il rischio una componente imprescindibile di cui un imprenditore si fa carico in un nuovo 27


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progetto, è fondamentale che l’esplorazione sia mirata al mercato che si vuole raggiungere cercando di non lasciare mai niente al caso e raccogliendo più informazioni possibili. Pertanto ogni reparto interessato deve essere riorganizzato e ogni singolo attore deve essere adeguatamente formato. Voi producete gazebi, pensiline e coperture tessili per l’industria. E da qualche anno avete introdotto una nuova linea di prodotti abbinati al fotovoltaico. Quali sono i passaggi che vi hanno portato a questo risultato?

ricaricare le batterie delle auto, delle bici elettriche, dei portatili e dei telefonini. L’idea è stata tradotta esteticamente dal nostro architetto che ha creato prodotti di design perfettamente inseribili nell’arredo urbano delle nostre città. La nostra capacità di gestire prodotti free standing ad alte prestazioni, ci ha permesso di costruire prodotti facili e al contempo durevoli. La facilità di posa, oltretutto, rende il prodotto perfetto per chiunque ne abbia necessità. Qual è il prodotto che va per la maggiore?

Da un’attenta analisi del mercato in cui operiamo, è emersa la precisa necessità di offrire prodotti tecnologicamente avanzati atti a servire il mercato crescente dei prodotti a ricarica elettrica. La nostra competenza nello specifico sulle strutture free standing ci ha permesso di creare soluzioni innovative. Per fare questo la catena del valore è stata questa: individuazione del bisogno, analisi delle specifiche esigenze dell’utilizzatore finale, inserimento di nuovo personale tecnico, creazione dei modelli definitivi attraverso il reparto di ricerca e sviluppo ed infine formazione della rete vendita che acquisisce le competenze per fare da consulente tecnico.

Il prodotto più venduto è quello che permette di ricaricare le batterie delle bici elettriche che sono oggi in grande espansione. Infatti, grazie ad una tecnologia e ad un costo più accessibile, le biciclette elettriche, a differenza delle auto, stanno conoscendo un periodo di grande espansione. Oggi, grazie a tutto questo, possiamo rivolgerci in particolare alle amministrazioni pubbliche offrendo loro un prodotto all’avanguardia e all’altezza degli standard richiesti. Il progetto è ancora in una fase start up, ma sono certo, visti i risultati, che a breve raccoglieremo tutti i frutti del nostro impegno.

Qual è il nuovo prodotto?

Cosa significa essere imprenditore oggi?

La nuova linea di prodotto comprende tipologie diverse di stazioni di ricarica elettrica a km 0. Grazie alla tecnologia dei pannelli fotovoltaici, infatti, abbiamo creato soluzioni indipendenti per

In Italia oggi per essere imprenditori serve un grande atto di fede e tanta determinazione in quanto gli impedimenti e adempimenti burocratici rendono gli investimenti e il lavoro quotidiano estremamente difficili e mai certi. Lo stato oggi non è vicino all’imprenditore, che sempre più solo si fa carico di rilanciare l’economia attraverso iniziative personali che, di conseguenza, generano ricchezza e posti di lavoro, sostenendo la società e le famiglie. A volte l’impressione è che ci sia come un disegno

Giulio Barbieri Amministratore Delegato di Giulio Barbieri Srl Giulio Barbieri ha iniziato a lavorare da quando aveva 19 anni con un crescendo di attività e sperimentazioni che lo hanno portato al 1980 con quella che sarà la Giulio Barbieri Srl. Nel 1989 progetta un gazebo dalla forma rivoluzionaria ed innovativa che il mercato sembra essere impreparato ad accogliere. Barbieri inizia così, con entusiasmo e convinzione, un nuovo percorso difficile ed impegnativo riuscendo ad allargare i propri contatti commerciali anche al di fuori dell’Italia. Nel 2001, all’età di 45 anni, gli viene conferito il “Premio S. Giorgio”, un importante riconoscimento della Camera di Commercio per il sagace lavoro svolto e per le innovative intuizioni in campo imprenditoriale nonostante la giovane età. Dal 2010 al 2011 prende vita un progetto innovativo, fortemente voluto da Giulio Barbieri e destinato a divenire “la chiave di volta” per l’ulteriore sviluppo economico della sua azienda. Nasce così la copertura fotovoltaica interamente realizzata in alluminio, capace di coprire vaste aree per produrre energia pulita. Nel 2013 lo sviluppo dei nuovi prodotti, in affiancamento alla gamma esistente, ha proiettato l’azienda alla conquista di nuovi mercati a livello mondiale, consentendole di acquisire in breve tempo un’identità tale da divenire un punto di riferimento nel settore della green-economy.

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incontri con occulto per far sì che l’imprenditore italiano non possa riuscire nel suo intento. Sono certo che se chi ci governa si preoccupasse realmente di fare leggi volte allo sviluppo dell’imprenditoria e non alla sua speculazione, oggi il comparto manifatturiero italiano non avrebbe nulla da invidiare a quello tedesco. E cosa mi dice di Giulio Barbieri? Da gennaio lascerò l’incarico di AD che darò a una persona di provata competenza. Questo mi consentirà di essere maggiormente imprenditore slegandomi dalle logiche quotidiane di gestione. Sono convinto che man mano che l’azienda cresce vadano trovate competenze sempre più tecniche a supporto della crescita e del business dell’azienda. Dal canto mio sarò sempre garante dello spirito imprenditoriale che vede l’uomo al centro dello sviluppo affinché questo sia eticamente, per lui, sostenibile. Azienda, tecnologia e persone: come si sviluppa questo rapporto nella sua impresa? La tecnologia è un aspetto molto importante nella mia azienda, ma mai preponderante anche perché credo che la tecnologia debba essere al servizio della persona e la persona deve essere

in grado di utilizzarla. L’equilibrio delle cose è la soluzione migliore, come nella vita del resto. Quanto il mercato estero può far bene all’Italia sia da un punto di vista economico che culturale? Io direi che può fare molto bene, anche perché per ovvi motivi di opportunità, il mercato mondiale offre prospettive chiaramente molto più grandi rispetto al mercato nazionale. Noi italiani, se vogliamo fare bene, dobbiamo fare propria la cultura della pianificazione e dell’organizzazione. Lavorare nei mercati esteri significa non lasciare niente al caso e, se uniamo al metodo l’estrosità che da sempre ci contraddistingue, sono certo che il successo sarà assicurato. La capacità di reinventarsi è un talento naturale oppure si impara? Diciamo che un po’ di talento serve per reinventarsi. Oggi, con un mercato così competitivo, il solo talento non è più sufficiente e, visto che a mio parere l’imprenditore italiano è un po’ conservatore, lo sforzo per innovarsi deve essere di stimolo continuo per rimanere sempre in gioco.

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DALLA MACCHINA AL CAFFÈ ESPRESSO, UN MARCHIO ITALIANO SENZA EGUALI Intervista a Flavio Urizzi, Export e Key Account Manager del marchio Astoria

Dalla passione nasce l’esperienza, da cui nasce una macchina che eccelle nella preparazione di un buon caffè, dall’aroma inconfondibile e riconoscibile nel mondo. Astoria, storico marchio della tradizione italiana delle macchine per caffè espresso e nucleo originario del gruppo CMA, ci racconta il suo viaggio in questo settore attraverso le parole di Flavio Urizzi, memoria storica dell’azienda, custode della sua tradizione e dei suo percorso verso l’innovazione. 30


Il marchio Astoria comprende macchine da caffè di tutti i tipi: come si fa a costruire una macchina che faccia un ottimo caffè? Si parte sempre dalla tecnologia. Le macchine per caffè professionali sono nate a inizi dello scorso secolo e hanno attraversato diverse fasi evolutive; sempre la ricerca e lo sviluppo hanno avuto un ruolo fondamentale. Nella progettazione di una macchina occorre seguire in maniera puntuale ogni passaggio, lavorare in collaborazione con i torrefattori e con gli imporatatori di caffè, i nostri principali interlocutori e preziose fonti di ispirazione su come rispondere a ciò che di nuovo il mercato chiede. L’ottimo caffè è sempre la sintesi di una macchina tecnologicamente avanzata, dalla caldaia ai sistemi software che guidano e governano il processo di produzione del caffè in tazza, e di altre componenti. Noi le chiamiamo le 5 M: la macchina, il macinacaffè, la miscela, la mano dell’operatore e la manutenzione. Tutte queste componenti che si intersecano l’una con l’altra per dar vita ad un buon prodotto. Questo numero è dedicato al tema dell’esplorazione. Esiste una fase di scoperta e conoscenza del prodotto caffè prima di arrivare alla macchina perfetta? Ogni professionista che lavori nella produzione di macchine da caffè ha il dovere, ma non l’obbligo, di conoscere questa splendida materia prima. Sapere come è fatto fisicamente e organicamente il chicco di caffè, come viene coltivata la sua pianta nei paesi d’origine, e attraverso quali processi viene lavorato nelle torrefazioni, come si modifica la sua sostanza nella fase della tostatura: tutto questo è fondamentale per costruire una buona macchina. Perché bisogna conoscere le reazioni della materia ai sistemi e processi idraulici che si verificano in essa, la miscela utilizzata (l’arabica e la robusta richiedono trattamenti diversi), le sue proporzioni, e perché solo così si contribuisce a valorizzare l’insieme delle varie note olfattive e deguistative contenute nelle diverse miscele. Per questo abbiamo dei collaboratori formati nelle migliori scuole italiane che del caffè sanno davvero tutto.

incontri con Si riferisce all’estero? Anche quello è un mercato molto importante per voi che siete presenti in 5 continenti e 130 Paesi al mondo. Cosa avete scoperto in questi anni delle abitudini d’oltrealpe rispetto al caffè? Sul piano dell’innovazione tecnologica, il mercato estero non ci ha mai insegnato molto. Il prodotto “macchina da caffè made in Italy” docet un po’ dappertutto e nessuno ce lo contesta. Il primato delle macchine tradizionali è nostro. Quello che abbiamo scoperto negli altri Paesi sono macchine totalmente automatizzate, pensate per semplificare la produzione del caffè in tazza, alcune includono persino la fase della macinatura all’interno della macchina stessa. Si tratta di sistemi diversi da quelli tradizionali italiani. Con il marchio Astoria oggi produciamo delle macchine che si pongono a metà strada, tra queste e le nostre. Sono delle soluzioni a formula ibrida, diciamo così. Fuori dell’Italia esistono approcci diversi al caffè e al modo di berlo, non migliori o peggiori del nostro, ma sicuramente portatori di sistemi a bassa tecnologia. Pensiamo ad esempio al mercato del Nord Europa, gli Scandinavi adorano il caffè filtro che, però,

Come è cambiata la preparazione del caffè nelle case italiane? Ha attraversato varie fasi, dalla nostra adorata moka ai primi caffè filtro, alle più moderne macchinette automatiche che riproducono in dimensioni ridotte quelle professionali di bar e coffee shop, il caffè continua ad essere una delle bevande più consumate dagli Italiani e non solo.

Flavio Urizzi Export e Key Account manager Astoria

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non comporta l’utilizzo di macchine particolarmente sofisticate. Ad ogni modo, che il caffè all’estero dia o non dia quel picco di gusto tipico dell’espresso italiano, quello che conta è che dappertutto sta aumentando il suo consumo, in particolare nei Paesi in via di sviluppo. Secondo Lei, perché? Probabilmente grazie ad una grandiosa operazione di marketing effettuata all’estero, ma anche per la qualità delle sue proprietà e per l’occidentalizzazione degli stili di vita. Basti pensare che l’India, storico produttore di caffè, inizia a temere di non poter più sopperire a tutte le richieste del mercato estero. Conoscere e diffondere la cultura del caffè: voi come fate? Utilizziamo mezzi tradizionali, come ad esempio le fiere, a cui si ricorreva molto soprattutto in passato per far assaporare a

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persone provenienti da altri Paesi il nostro miglior prodotto, l’espresso italiano. Oggi, l’espresso è sufficientemente conosciuto e si punta maggiormente su operazioni di divulgazione che attraversano il web e comunicano la tecnologia, l’estetica, l’ergonomicità e i benefici che possono trarre dalle nostre macchine sia i baristi sia il cliente finale che “consuma la tazzina”. Importante è il lavoro in sinergia con i nostri clienti, che portano sempre nuove richieste ed esigenze del mercato. A noi il compito di vagliarle, valutarne la fattibilità e la l’impatto sulla resa finale del caffè in tazza. Che cosa singnifica per voi innovare? Innovare per noi significa trovare delle soluzioni inedite a dei problemi vecchi. Più che problemi, si tratta di domande già conosciute a cui cerchiamo di rispondere con sistemi sempre pù avanzati. Il nostro obiettivo, infatti, rimane riuscire a portare sul


incontri con bancone del bar un caffè che non abbia alcuna imperfezione. Per farlo, dobbiamo investire continuamente nella ricerca, soprattutto di materiali e impianti idraulici, in modo che la macchina dia delle ottime prestazioni rispettando al contempo la normativa europea o internazionale. Qualche anno fa, ad esempio, andare alla ricerca di nuove soluzioni ci ha portati alla PLUS 4 YOU TS, una macchina estremamente flessibile e che dava migliori risultati nell’utilizzo del caffè in chicchi, producendo un caffè in tazza che, secondo i nostri clienti baristi, veniva molto apprezzato dai consumatori. Ricerchiamo, sperimentiamo e progettiamo, avvalendoci spesso di collbaorazioni con importanti istituti italiani di ricerca.

passi avanti nei sistemi di riscaldamento della caldaia interna alle macchine e forse in un futuro potremmo utilizzare tecnologie molto simili a quelle impiegate nei forni a microonde. E poi ci sono i software di controllo del processo di produzione, importanti innovazioni ci saranno nell’integrazione di questi con le macchine. Insomma, credo che evoluzioni ce ne saranno, come ce ne sono state nell’ultimo secolo, dalle storiche macchine a torre che producevano un caffè – non proprio un espresso – dal gusto amarognolo, a quelle con sistemi di estrazione a leva, o con motopompa, alle macchinette automatiche più recenti. Eppure credo ci sia ancora molto da fare. Non c’è fretta, sentiamoci pure tra qualche anno quando saremo in fase di progettazione.

Quale sarà la macchina da caffè del futuro, diciamo fra dieci anni? Difficile dirlo, per me che non sono un tecnico. Stiamo facendo

L’INNOVAZIONE PER IL MARCHIO ASTORIA: PLUS 4 YOU TS Massima espressione tecnologica di Astoria è la Plus 4 You, prima macchina per caffè espresso a risparmio energetico: l’assoluta stabilità, anche con carichi di lavoro elevati e in qualunque condizione climatica, garantisce all’ammiraglia Astoria risultati ottimali anche in condizioni estreme di utilizzo. Un innovativo sistema elettronico regola le singole temperature gestendo individualmente i gruppi: grazie a questo sofisticato sistema di controllo, la qualità tra il primo e il centesimo espresso resta invariata nell’arco della giornata. Plus 4 You è dotata di un sistema di autodiagnosi che aiuta il barista a riconoscere gli eventuali errori di estrazione del caffè, suggerendo le soluzioni ottimali per mezzo di semplici messaggi sul display. Tra le nuove frontiere della ricerca nella macchina Plus 4 You TS abbiamo il collegamento wireless macchina/azienda che consente la modifica dei parametri, la verifica delle condizioni d’uso e la statistica delle erogazioni. A ciò si aggiunge il collegamento Cliente/Extranet Astoria che consente il download dei parametri macchina legati alla miscela utilizzata, la diagnostica delle funzioni macchina e la ritaratura dei parametri. 33


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ESPLORARE IL MERCATO CON IL SOCIAL WEB Blog e social per captare i gusti e preparare la giusta ricetta di visibilità ILENIA BOSCHIN

ilenia.boschin@bizen.it

“Si cucina sempre pensando a qualcuno, altrimenti si sta solo preparando da mangiare”. Una buona ricetta è alla base di ogni preparazione di successo: il giusto mix di ingredienti, lavorati sapientemente e con maestria, cucinati nella giusta sequenza e nelle corrette quantità. Ma per evitare di servire la pietanza perfetta alla persona sbagliata, dobbiamo prima informarci sui gusti dei nostri clienti. Sapere cosa preferiscono, come lo preferiscono e quando lo preferiscono è il vero segreto. Proprio come in cucina, così anche per le nuove opportunità di business viene richiesto non soltanto di possedere un elenco di ingredienti di prim’ordine ma anche di osservare il comportamento spontaneo dei consumatori per anticiparne i gusti. Blog e social web sono un potentissimo strumento di esplorazione per entrare in contatto con le preferenze del pubblico: una bussola che ci guida tra i gusti degli utenti e le nuove tendenze.

cercando di cogliere trend e stili di comportamento in divenire. Quello delle opinioni espresse e condivise in pubblico è un universo vasto che comprende bisogni insoddisfatti, preferenze dichiarate, abitudini che disegnano tendenze: tutte opportunità di business per chi le sa cogliere. Esistono diversi software per analizzare i big data condivisi in rete e le stesse piattaforme social rendono disponibili strumenti di insight sempre più affinati che restituiscono informazioni preziose da monitorare con l’obiettivo di cogliere e - perché no - anticipare nuove tendenze. Alcune di queste informazioni sono rese pubbliche per consentire agli utenti di conoscere i prodotti sulla cresta dell’onda, così da offrire nuove esperienze d’acquisto. Una nuova frontiera che si basa sull’ascolto, il filtro e l’analisi delle conversazioni su Facebook, Pinterest o YouTube. Come iniziare? Allenando la capacità di filtrare le fonti e di attribuire loro il giusto peso in termini di autorevolezza e rilevanza dei contenuti pubblicati. Ma una volta preso il passo, si scopre un nuovo modo agile e conveniente per sostenere le decisioni di branding.

Un pizzico di conversazioni social I social media sono una realtà quotidiana per milioni di persone e le aziende sono sempre più parte di questo flusso ininterrotto di conversazioni al quale partecipano cercando di indirizzare gusti, proporre novità che incuriosiscano o, ancora più spesso, 34

Impara dai masterchef Un bacino di informazioni preziose è offerto dai blog di settore e dalle community di appassionati che li seguono. Basta pensare al vivace mondo dei foodblogger che pubblicano ricette, consigli


Ilenia Boschin Digital Strategist di Bizen Srl

scenari

pubblicitarie con anticipo ma ricordiamo di tenere una porta aperta alle novità e ai cambiamenti che sono nell’ordine del giorno ma anche del minuto, in balia degli eventi che scuotono i mercati sempre più globali. Google stesso ci conferma che il coinvolgimento generale dell’audience e le conversioni dopo una campagna di Real Time Marketing sono di gran lunga superiori rispetto al periodo precedente. Se è piaciuto, chiederanno il bis

Servire finché è caldo

Un ingrediente basilare che non può mancare? La tradizionale ricerca di mercato che, rivisitata in chiave digital, diventa Sentiment Analysis. Il suo obiettivo è comprendere come si comportano gli utenti online attraverso la rilevazione delle loro interazioni con siti web, app, canali social, e-commerce o annunci pubblicitari. Possiamo così scoprire cosa sta succedendo attorno al nostro sito internet: quanti visitatori ha avuto, quali pagine sono più interessanti e quali percorsi di navigazione hanno seguito gli utenti prima di arrivare a noi. Ma non solo: fare Sentiment Analysis significa anche capire se l’opinione espressa è positiva o negativa, ossia stabilire il grado di “felicità” degli utenti per un determinato tema. Possiamo anche stimare il nostro livello di popolarità in rete e i mondi di significato a cui siamo associati e lo stesso farlo per i nostri concorrenti. La Sentiment Analysis non ci aiuta solo a capire se il nostro sito funziona in relazione agli obiettivi, ma ci aiuta anche a capire meglio il contesto in cui ci presentiamo, per migliorare il posizionamento sul mercato e di conseguenza la profittabilità della nostra strategia.

Si sa che gli ingredienti più sono freschi, più migliorano la qualità della ricetta. Il Newsjacking - l’abilità di intercettare i temi più “caldi” della rete e di cavalcare poi l’onda dell’attenzione che catalizzano - è la nuova frontiera del marketing online. Il risultato? Popolarità e diffusione in tempo reale del brand. Continuiamo a pianificare le campagne

Che cosa serve per riuscire a cogliere al volo dove si sposta l’attenzione degli utenti? Il giusto mix di curiosità e tempestività d’azione unito ad un team esperto che ci guidi passo dopo passo lungo il percorso di esplorazione. Condiamo il tutto con una buona dose di fiuto e la capacità di essere sempre sul pezzo è servita!

e indicazioni su ingredienti e utensili preferiti. Un’azienda attenta li segue e monitora tutto l’anno per captare in anteprima nuove esigenze e nuove nicchie di mercato. I luoghi della rete dove nascono e maturano le maggiori opportunità di business e di comunicazione non sono più solo i media owned, come il sito o blog aziendale. Lì si trova ciò che diciamo di noi stessi e questo non basta più. Facciamo spazio piuttosto ai media earned, guadagnati: blog, forum e portali esterni. Diventa strategico per un brand imparare a muoversi in questi spazi, che non gli appartengono, attraverso strategie di ascolto e relazione con gli influencer. Un esempio? L’inarrestabile fenomeno degli YouTubers. Seguire i video prodotti dalle nuove star della rete, spesso giovanissimi e specializzati su un argomento ben preciso, permette di cogliere al volo linguaggi, stili di espressione e nuovi gusti emergenti.

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LA FELICITÀ AUMENTA LA PRODUTTIVITÀ IN AZIENDA? Una tecnica di comunicazione interna

Un percorso zen in azienda fino a poco tempo fa era utopia, oggi sono sempre di più le imprese che si avvalgono del modello di consapevolezza per migliorare il clima, lo stress e l’efficienza dei propri collaboratori. Luciano Campagnaro, psicologo, ci racconta come. Quanto lo stress del lavoratore è fonte di inefficienza in un’azienda? Moltissimo. Quando un lavoratore vive una condizione di stress, oltre ad avere una serie di conseguenze psicofisiche da affrontare a livello individuale, per l’azienda diventa anche un problema. Il lavoratore di oggi non è strutturato per far fronte 36

allo stress all’interno delle aziende, così come sono organizzate verso una competizione sempre maggiore. Non è più sufficiente prendere in considerazione lo stress con il semplice schema interpretativo occidentale, oggi è importante affrontare il problema come fonte di inefficienza personale e produttiva. Una complicazione che si ripercuote anche sul conto economico.


scenari

Google, ad esempio, ha capito l’importanza dell’efficienza del patrimonio umano. I ritmi di lavoro in questa azienda sono davvero stressanti. Google usa le pratiche di meditazione per aiutare i propri dipendenti ad essere persone più felici e un po’ meno stressate, guadagnando moltissimo a livello di efficienza nei rapporti umani tra colleghi. Un dipendente non stressato contribuisce a valorizzare gli asset intangibili di un’azienda? Certo. Il dipendente offre la propria capacità professionale all’azienda e questa dà l’opportunità al dipendente di sentirsi coccolato, amato e soprattutto di iniziare a lavorare con un approccio nuovo in cui il cuore viene prima della mente. Il modello di evoluzione aziendale oggi deve partire dal “cuore” delle persone ed il corso di “Consapevolezza Efficace” che conduco dimostra che questo è un modo efficace per contribuire a valorizzare gli asset di una azienda. Fare la felicità dei dipendenti per aumentare la produttività. Ci spieghi come... Il livello di job satisfaction è stato dimostrato essere il fattore determinante per la presenza o assenza dei così detti “sintomi

di malattie aziendali”. Con la meditazione si cambia approccio nel curare i “sintomi” che compongono il “mal-stare”. La via inizia proprio da un approccio centrato sul “cuore”, usando la pratica della meditazione per essere persone più felici e un po’ meno stressate attraverso la consapevolezza del corpomente. Il mio programma si articola in tre fasi: addestramento meditativo attivo, conoscenza e padronanza di se stessi; creazione di abitudini mentali utili. È interessante notare come l’aspetto emotivo sia messo al centro dell’attenzione. La prima fase è puntare tutto sulla riduzione dello stress psico-fisico, attraverso la meditazione attiva si fanno esercizi che aiutano a riprendere il controllo del proprio corpo abbattendo i nodi fisici dello stress. Contemporaneamente si lavora su un processo di consapevolezza emotiva, ovvero essere consapevoli di come la mente riesce a farci credere di funzionare positivamente quando in realtà inganna i nostri pensieri e le nostre idee. I partecipanti al percorso si allenano a mettere in discussione il loro pensiero e a riformularlo in base a delle emozioni assolutamente positive. Il fine è portare la ricerca di un senso più alto, nel lavoro come nel privato, che aiuti a sopportare le difficoltà del momento, ad allentare la tensione, a saper guardare oltre e ritrovare un significato che renda tollerabile l’incertezza recuperando fiducia nel futuro. 37


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In Italia, a differenza dell’estero, siamo figli di imprenditori “padre-padrone” che difficilmente considerano un approccio zen utile per la propria azienda. Lei come spiega questa nuova metodologia di comunicazione interna ad un uomo di business con questa mentalità? È una cultura che non esiste solo in Italia, la si trova dappertutto, pensi solo alla cultura giapponese. Credo che il “padre-padrone” sia sempre esistito in più settori della vita: nell’aspetto spirituale, nell’aspetto sociale, aziendale. Chi ha un ruolo più importante del tuo è sempre un “padre-padrone”, un comandante non potrà essere efficiente se il suo approccio di relazione, decisionale, sarà di tipo orizzontale. Pensiamo a tante grandi aziende che non sarebbero tali se non avessero avuto un “padre-padrone” che le avesse governate. Appurata l’esistenza di un “padre-padrone”, noi dobbiamo accettare il nostro ruolo che è dettato dalla capacità di essere quello che siamo e possiamo solo tentare di migliorare, non andando contro ma collaborando assieme nel diventare un gruppo coeso. Qual è stata la sua esplorazione prima di arrivare a questo modello di evoluzione aziendale? Ho cominciato a studiare psicologia e filosofie orientali in tempi davvero acerbi. Dopo la laurea ho fatto lo psicologo clinico per alcuni anni, poi ho invertito la rotta andando a lavorare per le aziende come psicologo responsabile del personale, e lì ho

compreso dalla mia esperienza che mancava qualche cosa che potevo portare, come ad esempio la meditazione in azienda. Mi sono quindi dedicato solo alla conoscenza e alla pratica della meditazione per alcuni anni fino ad avvicinarmi al buddismo praticante e a diventare un monaco laico. Ho organizzato la mia attività nel portare al risveglio il benessere in azienda attraverso il metodo della “Consapevolezza Efficace”. Adriano Olivetti, nonostante i tempi, è stato in Italia il primo a credere che un approccio manageriale diretto al benessere del dipendente fosse utile per l’azienda. Mi chiedo se fosse un atto di generosità o se lo facesse perché i risultati economici erano tangibili. Lei cosa ne pensa? Olivetti è stato un “buddista antesignano”, perché era una persona che pensava al bene degli altri. La vera felicità che ha un praticante buddista è dare la felicità agli altri aiutandoli a trovare la via per stare bene. Olivetti è stato mosso da una grande compassione verso il prossimo e questo lo ha portato ad avere dei risultati importanti nel sociale. Tutti possiamo essere Adriano Olivetti, basta praticare l’amore universale verso gli altri. Qual è l’andamento dello sviluppo di questo approccio nelle aziende italiane ed estere? Le principali aziende americane stanno andando in questa direzione molto velocemente e da qualche anno hanno al loro

Luciano Campagnaro Psicologo zen 38


scenari interno team di consulenti specialisti della salute del dipendente per il benessere psicofisico, per il benessere psicologico, etico, ed anche spirituale. In Italia siamo ancora agli albori, ma con grande attenzione e sensibilità stiamo introducendo nel dizionario manageriale le parola meditazione, visualizzazione, energia spirituale, mindfulness, etc. Questo fa ben sperare che presto si passi dal dizionario alla pratica. Quali tipologie di aziende sono più sensibili a questo approccio? Non c’è un’azienda o un settore particolare dietro queste scelte, ma ci sono uomini in azienda che decidono per sensibilità di far sì che le persone, in un contesto lavorativo difficile, si sentano a proprio agio e possano consentire alle aziende di crescere. Perché tutto questo accada, però, è necessario impostare progetti in cui la cultura del benessere rappresenti un valore per le aziende che devono essere supportate in un passaggio culturale. È la coscienza collettiva che impatta sul clima aziendale. È bene ricordarlo.

Quali sono le maggiori difficoltà che incontra nel cercare di far mettere in pratica il suo metodo? Il benessere, come dicevo, parte dalla prevenzione ed è, prima di tutto, una questione educativo-culturale. Purtroppo molte aziende non investono nella promozione di iniziative di benessere dirette all’adozione di comportamenti corretti da parte della popolazione aziendale. Gli stessi che aiuterebbero a migliorare la qualità della vita dei dipendenti e avrebbero una vera efficacia integrata in un piano di responsabilità sociale, interna ed esterna. Ha dei risultati tangibili rispetto a quello che ha già fatto in altre aziende? Nelle aziende in cui ho introdotto il percorso di “Consapevolezza Efficace” è migliorata l’efficienza delle persone, si sono abbassati gli indici di stress e soprattutto le persone si sono sentite vicine al nuovo modo di appartenere all’azienda, in una esperienza che ha aiutato a riscoprire i propri valori, la propria mission e a ritrovare un significato nel lavoro. Il risultato è eccezionale quando l’azienda incontra il “cuore” dei dipendenti.

LA CONSAPEVOLEZZA IN EUROSYSTEM Stefano Bacci è stato nominato otto mesi fa direttore di produzione. Racconta: “ho verificato un certo grado di stress tra le persone e ho pensato che c’era bisogno di un segnale di cambiamento che non doveva essere solo a livello gestionale ma portare a una evoluzione delle persone. Si vedevano molti colleghi troppo chiusi nei propri ruoli e in schemi standardizzati. Casualmente ho conosciuto Luciano, che mi ha parlato del modello di consapevolezza e di quanto si stava espandendo tra le grandi aziende come Google. L’ho proposto nel consiglio di amministrazione di Eurosystem e siamo partiti circa tre mesi fa con il progetto pilota ESSERCI. È stato costituito un gruppo mettendo insieme 22 soggetti che lavorano a contatto con il cliente, perché considerati sensibili ad un più alto grado di stress. Il percorso si sta avviando alla fine ma ho visto dei cambiamenti che hanno modificato l’approccio relazionale delle persone e che le hanno portate verso una maggiore collaborazione. E adesso, quando un collaboratore è via per appuntamenti o per motivi personali, c’è sempre qualcuno pronto a rispondere al telefono al suo posto. Un esempio banale che testimonia i miglioramenti ottenuti nell’ambito di un spirito collaborativo migliore”.

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EXPO 2015 NON SOLO UNA BELLA IMMAGINE DELL’ITALIA Come sta andando l’EXPO 2015?

Andrea Fumagalli, economista italiano, ci conduce tra i numeri di Expo 2015, per capire quanto le aspettative del grande evento siano state soddisfatte. Sicuramente l’immagine italiana ne esce rinnovata, i numeri forse un po’ meno. Almeno per quanto riguarda i dati emersi fino a luglio 2015. 40


scenari Cos’è per lei Expo 2015? Per me Expo 2015 fa parte di quel recente settore di valorizzazione economica che può essere denominato “economia dell’evento”, al fine di favorire un marketing territoriale e mediatico in grado di meglio sfruttare i due nuovi input produttivi che sono alla base dei processi di accumulazione del capitalismo contemporaneo: spazio e conoscenza. In secondo luogo è anche sperimentazione di una nuova regolazione del mercato del lavoro, che si fonda sul concetto di “occupabilità” (employability) e non di “occupazione” effettiva. Per “occupabilità” si intende mettere un individuo nella condizione di poter trovare un’occupazione grazie ad attività di formazione, sperimentazione, apprendistato. Si apre così la strada verso la sperimentazione di lavoro gratuito in nome di aspettative future. Non è un caso che Expo 2015 abbia generato il primo accordo sindacale in cui viene consentito il lavoro non retribuito (accordo del 23 luglio 2013). Da questo punto di vista Expo 2015, oltre a essere parte dell’economia dell’evento, è anche parte dell’economia della promessa. Il tema ufficiale (“nutrire il pianeta”) è pienamente strumentale, anche perché un’esposizione universale aveva senso in tempi pre-internet, quando era l’occasione per fare il punto sullo stato dell’innovazione. Quali erano le previsioni iniziali su EXPO 2015? Esistono due studi previsivi. Il primo, commissionato dalla Camera di Commercio (azionista di ExpoSpa) è stato presentato a dicembre 2013 dal Gruppo Class - Università Bocconi. La seguente tabella sintetizza le principali previsioni, valide per il periodo 2011-2020:

Dati in miliardi di euro. Fonte: www.expo2015.org/cs/Expo/1392223815161/rapporto_di_ sostenibilita_2013_expo_2015_ita.pdf, pagg. 76-77. 41


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Il secondo è stato elaborato da CERTeT – Università Bocconi (omnipresente) su richiesta di Expo 2015 S.p.A. (quindi, anche in questo caso, da fonte non neutrale) e ha prodotto i seguenti risultati, decisamente superiori a quelli del primo studio. Si stima che la produzione aggiuntiva complessivamente nell’economia italiana, nel periodo 2011-2020, potrà ammontare a più di 69 miliardi di €, cui corrisponde un incremento di valore aggiunto pari a circa 29 miliardi di €. Dal lato occupazionale si stima che il numero di addetti attivati in modalità diretta, indiretta e indotta sarà pari, nel decennio 2011-2020, a circa 61.000 in media ogni anno (totale periodo: 610.000). Infine, il gettito fiscale dovuto alla produzione totale attivata da EXPO Milano 2015 sarà di circa € 11,5 Miliardi, ripartiti tra imposte dirette (64%) e indirette (36%). In entrambi gli studi, si ipotizza un flusso di visitatori pari a 20 milioni in 6 mesi. I dati sono decisamente sovrastimati. Riguardo al Pil non si tiene conto, infatti, dell’effetto di sostituzione. Banalmente, se un turista viene a Milano non spenderà nella sua città. Sull’occupazione, invece, ci sono dati

più precisi. Lo stesso Giuseppe Sala, amministratore delegato di Expo S.p.A., ha dichiarato che saranno 15/16mila le persone impiegate nel sito espositivo tra costruzione dei padiglioni e i sei mesi espositivi. Occorre poi ricordare che circa12.000 posti sono gratuiti. La provincia di Milano ha calcolato che sono 4.500 i posti di lavoro avviati in vista di Expo rispetto ai 61.000 previsti (http:// www.linkiesta.it/posti-di-lavoro-creati-da-expo). Studi della Cgil metropolitana dimostrano che dal 2012 a fine ottobre 2014, le assunzioni «per attività finalizzata alla realizzazione di Expo» a Milano e provincia sono state 4.185 da parte di 1.733 aziende. Anche relativamente alla vendita dei biglietti e al flusso turistico, le previsioni sono sovrastimate. L’Ad di Expo S.p.A. ha dichiarato che nei primi due mesi dell’esposizione gli ingressi sono stati 6 milioni (2,7 a maggio e 3,3 a giugno), quindi 2,8 milioni in meno di quanto previsto nei documenti di Expo S.p.A. (8,8 milioni, 4,1 a maggio e 4,7 a giugno), pari al -30%. Per di più si tratta di dati che sembrano gonfiati a guardare invece quelli forniti dal trasporto pubblico, dai parcheggi semideserti e dagli stessi albergatori milanesi (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/07/07/expogonfiate-le-cifre-dei-visitatori-dopo-dati-atm-anche-assessoredel-comune-di-milano-chiede-trasparenza/1851800/). Expo 2015: A Milano, l’indotto di Expo per maggio è di 21 milioni e 500 mila euro, riferito a chi alloggia almeno una notte in città o in provincia. Lei cosa ne pensa? Penso che moltiplicando per i sei mesi abbiamo un indotto di 129 milioni di euro, una cifra risibile se paragonata alle stime dell’indotto degli studi prima citati che parlavano di un impatto diretto sul valore aggiunto per il solo periodo di esposizione pari, a livello nazionale, a 14,2 miliardi di euro, di cui la parte più consistente è quella derivante dall’afflusso dei turisti: 8,8 miliardi. Anche se relativo alla sola Milano, che comunque è l’area maggiormente interessata, siamo di fronte a una differenza molto marcata.

Andrea Fumagalli Professore di Economia politica all’Università di Pavia Andrea Fumagalli è professore associato di Economia Politica presso il Dipartimento di Scienze Economiche e aziendali della Facoltà di Economia all’Università di Pavia. È inoltre professore incaricato di Economia Politica della Conoscenza, presso il Corso di Laurea in Comunicazione Multimediale all’Università di Pavia e di Storia dell’Economia Politica presso la Facoltà di Filosofia della stessa Università. Insegna anche all’Università di Bologna. Attualmente è membro del Managing Committe del progetto Europeo COST (in rappresentanza dell’Italia): ISCH COST Action IS1202 Dynamics of Virtual Work. Fa parte dell’Associazione Bin-Italia (Basic Income Network), dell’Executive Committee del BIEN (Basic Income Earth Network) e della Rete di ricerca indipendente Effimera. Le sue ricerche vertono sui temi della precarietà del lavoro, sull’iniqua distribuzione del reddito e delle trasformazioni del capitalismo contemporaneo. 40 42

L’effetto Expo produce indotto anche a Venezia (+14,3% di aumento medio di presenze), in Riviera romagnola (+10,5%), nel Salento (+28,3%) e nella Costiera amalfitana (+15%). Quindi non solo Milano, ma anche altre città e regioni stanno registrando dei numeri positivi. Secondo Lei questi numeri* sono sufficienti ad attirare maggiori investitori in Italia? Sicuramene assistiamo a un aumento del turismo. I motivi sono vari e non tutti legati all’Expo: la recessione economica morde meno e dopo 3-4 anni di sofferenza economica e di segni negativi, qualche segno positivo è auspicabile e possibile. Curioso (e indicativo) il fatto che l’incremento delle presenze sia aumentato maggiormente laddove si è più distanti da Milano (Salento), quasi a dimostrare che l’effetto Expo è relativo, così come è relativo


scenari per attirare investitori stranieri. Credo che altri fattori (ad esempio la competenza della forza lavoro unita ai bassi salari e all’estesa precarietà) contino di più. Quale opportunità rappresenta per un’azienda il grande evento? L’Expo può essere un vettore di marketing potente soprattutto per le grandi corporations, in particolare quelle alimentari (Nestlè, Monsanto), la cui immagine alcune volte non è delle migliori e che, grazie a Expo, possono in un certo senso rifarsi una “verginità”. Expo inoltre è una vetrina importante di marketing territoriale. La nostra capacità turistica, dovuta ai numerosi tesori artistici culturali presenti in Italia, non ha mai spinto in modo strutturato il Governo a investire in questo settore, Lei pensa che i dati positivi di EXPO convinceranno chi ci governa ad andare in questa direzione? Non sappiamo ancora se Expo presenterà un risultato positivo (vedi ultima domanda). A parte ciò, l’intervento nel turismo da parte dello Stato assomiglia un po’ all’intervento nell’istruzione. In entrambi i casi, anche sulla base di un’ideologia dell’austerity dura a morire, qualsiasi intervento è visto come spesa e non come investimento. Nel turismo (come nell’istruzione) si tratta di fare, inoltre, investimenti che danno i suoi frutti a più lungo termine e non immediatamente. E ciò richiede una capacità di programmazione e di flessibilità territoriale che oggi non sono presenti. Come può essere capitalizzato da un punto di vista economico questo grande evento? Difficile rispondere, se non impossibile, allo stato attuale dei fatti. L’auspicio è che, oltre ad aver promosso il marchio “Italia”, si possano riutilizzare le infrastrutture per migliorare la struttura produttiva, a secondo dell’uso che ne sarà fatto (che, però, al momento, non è ancora chiaro). La città di Milano ha tratto beneficio per alcune opere compiute: la costruzione della linea 5 della metropolitana, la ristrutturazione di alcuni monumenti e aree (come la galleria Vittorio Emanuele e la darsena), l’inizio dei lavori per la costruzione della linea 4 della metropolitana che dovrebbe collegare il centro della città all’aeroporto di Linate, opera che era progettata per Expo ma poi non realizzata. Quali sono le esperienze di altri Paesi che in passato hanno ospitato Expo?

la parte recuperata dall’Università, i padiglioni e le infrastrutture sono per la maggior parte non utilizzati e in degrado (http://www. ctrlmagazine.it/expo-a-siviglia-nel-1992-finito-tutto-in-degrado-erovine-archeologiche/). La diversità dei feedback economici (se c’è) di questi Paesi da cosa dipende maggiormente, secondo Lei? I differenti feedback trovano una possibile spiegazione sulla base della localizzazione dell’evento. Nei paesi occidentali e a capitalismo cognitivo avanzato, i motivi per ospitare un simile evento sono più di natura di immagine che relativi allo sviluppo tecnologico ed economico. Aspetto che invece è ancora presente nei paesi dell’area Brics, dove l’intervento dello Stato (come in Cina) è in grado di indirizzare l’evento all’interno di una politica industriale e dell’innovazione. Cosa dobbiamo aspettarci quando tutto sarà finito? Per quanto riguarda il bilancio economico le premesse non sembrano positive. Gli introiti dei biglietti si profilano inferiori ai preventivi e nulla è ancora deciso per quanto riguarda le aree dell’esposizione. Ricordo che tali aree sono state acquistate con un anno di ritardo dalla società Arexpo S.p.A. al costo di circa 160 milioni di euro, un prezzo ritenuto eccessivo (l’ex Assessore Stefano Boeri ha dichiarato che il prezzo pagato alle grandi immobiliari milanesi per tale acquisto è stato superiore di 10 volte a quello di mercato, se tali aree fossero state considerate terreno agricolo). Una volta rese edificabili, i terreni dovrebbero essere messi in vendita per un valore doppio (320 milioni di euro), ma al momento attuale le aste sono andate deserte ed è improbabile che si riesca a maturare tali plusvalenze. Inoltre, a 4 mesi dalla fine dell’evento, non si sa nulla sulla loro destinazione finale. Vi è l’interessamento dell’Università Statale di Milano per spostare in quell’area tutto il polo scientifico che oggi si trova a città studi. Un progetto che richiede però finanziamenti pubblici e privati di forte entità. Vi è quindi il rischio che Expo S.p.A. (che controlla anche Arexpo S.p.A.) chiuda il bilancio in rosso, con effetti di incremento del debito municipale, regionale e statale. Sul piano dell’attivazione economica, le ricadute occupazionali sono inferiori alle attese, anche se sicuramente ci saranno effetti positivi in termini di startup di nuove imprese. *fonte: http://www.idealista.it/news/immobiliare/imprese/2015/06/3 0/116773-expo-2015-quasi-5mila-nuove-imprese-nelle-costruzioni

La precedente Expo di Shangai pare sia stata più che positiva, mentre quella di Siviglia del 1992, pur contando più di 42 milioni di visitatori secondo i dati del BIE (Bureau International de l’Esposition), si è conclusa con un forte deficit e, tranne per 43


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FOTOGRAFARE PER VIVERE LA CULTURA E L’UMANITÀ DEL LUOGO Intervista al fotografo Aldo Soligno

Aldo Soligno, fotoreporter in giro per il mondo, nella sua esplorazione cerca di riempire un foglio bianco catturando di volta in volta l’essenza della parte umana di ogni Paese. Nell’intervista attraversa i suoi lavori come delle storie da cui diventa difficile il distacco. Eslporando il mondo per cercare cosa? Personalmente, quando parto per un viaggio, prima ancora di esplorare il mondo cerco di esplorarne l’umanità che ne fa parte. Quello che mi interessa di più sono le relazioni tra gli esseri umani e l’ambiente che li circonda. Sono stato in tante situazioni piuttosto estreme, come guerre, povertà o malattie, e quello che mi ha sempre lasciato stupito sono la forza e la tenacia che tante volte queste situazioni instillano nell’uomo. Spesso, quando torno a casa e racconto le mie esperienze, molte persone fanno 44

fatica a credermi. Fanno fatica a credere che esista ancora tanta umanità, coraggio e voglia di riscatto. Ma proprio questi contesti estremi spesso obbligano noi esseri umani a tirare fuori queste qualità nascoste, che in contesti “normali” spesso lasciamo sopire. Devo dire che forse ogni mio viaggio prevede sempre una doppia esplorazione: quella culturale, di luoghi e persone lontani dalla nostra quotidianità, e quella umana, ossia quella della nostra umanità in senso lato, che è uguale in ogni parte del mondo. Nel bene e nel male.


scenari La creatività è parte integrante del tuo lavoro, quando ti commissionano una “missione fotografica” come riesci a dargli quel tocco di creatività che rende la foto speciale? Devo ammettere che quando mi commissionano un lavoro sono più contento perché mi mette di fronte a un foglio bianco da riempire con punti di vista diversi dal mio. Vi racconto questa storia rappresentativa di cosa voglio dire. La fondazione Unicredit nel 2011 mi ha commissionato un lavoro in cui bisognava reinterpretare in chiave moderna un quadro del 1500 che poi sarebbe stato esposto durante l’incontro del Fondo Monetario Internazionale a Washington. Io sono un fotoreporter, e non ho approfonditi studi di arte, quindi confesso, ero proprio indeciso sul da farsi. Il quadro rappresentava un giovane nobile del 1500 che si apprestava a suonare un flauto. Così ho deciso di attualizzare quel quadro in chiave sociale: in quel periodo la cultura di chi era appannaggio? Sicuramente di un ceto sociale elevato, quasi sempre di sesso maschile, non era certo un lavoro ma lo si faceva per diletto e questo traspare dagli occhi del suonatore. Oggi, per fortuna, la cultura non è più appannaggio del genere maschile, oltre che alla portata di tutti i ceti sociali. Inoltre può anche diventare un mestiere. Mestiere messo però in difficoltà dalla crisi che mordeva quell’anno, il 2011. Così ho chiamato una ragazza che somigliasse al giovane del quadro, vestita con colori che lo richiamassero e ho messo in scena un set che per simboli ricordassero i simboli presenti nel quadro. Le ho fatto interpretare la stessa posa cambiandone però lo sguardo e la posizione delle

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mani, sostituendo l’appello all’azione del quadro originale con la staticità di chi sa fare ma è impossibilitato dalle condizioni contingenti. Un altro esempio è stata la campagna di Obama nel 2012, non c’era abbastanza budget per seguirlo personalmente, quindi dovevo trovare qualcosa che lo raccontasse ugualmente. Obama nel 2008 era stato eletto sull’onda dell’emotività e del sogno che si contrapponevano alla figura di Bush che aveva governato gli 8 anni precedenti. Mi sono allora chiesto se, ora che il sogno si era dovuto scontrare con le realtà di governo, gli Americani avessero veramente deciso di intraprendere un nuovo corso politico, o se per caso, una volta terminato il sogno, avessero deciso di ritornare al pragmatismo della politica pre-Obama. Così invece di girare l’America in lungo e largo sono stato a New York e in 48 ore ho fotografato chiunque incontrassi chiedendo loro una frase da abbinare sulle elezioni. Il risultato molto gratificante è stato che il giornale che mi aveva commissionato il lavoro, ha dato molto più spazio a questo servizio, e addirittura le foto sono state esposte in una galleria italiana molto importante. È stato un grande risultato se considerate che il tutto è stato realizzato con dei budget davvero ridotti. Io penso che se qualcuno deve pagarmi per una mia immagine, allora deve esserci un buon motivo, devo dargli qualcosa che non può trovare altrove. I tuoi reportage sono molto diversi l’uno dall’altro, passi dalla malattia, alla cultura, dal sociale alla guerra, quali sono gli step per iniziare un progetto? Ci sono diversi modi per approcciarsi a un progetto fotografico. Intanto dipende chi è il committente, se sono io stesso, un giornale o un’azienda. Di sicuro ci vuole sempre una fase di preparazione in cui si approfondiscono tutti i temi che bisognerà trattare e su cosa ci si vorrà focalizzare. Dopo di che ci vuole un’idea. Anche semplice, ma che funzioni. Quando il committente sono io stesso, una parte difficile da gestire è il contatto con le persone, io devo riuscire ad entrare nelle case delle persone. Molti pensano che il fotogiornalista è solo un bravo fotografo, questo è scontato, il vero lavoro del fotogiornalista è riuscire a entrare nella situazione. Devi riuscire a entrare in contatto con le persone, convincerle, viverle per un po’ per entrare nel vivo del progetto. Se invece il progetto è su commissione di un giornale si cerca di capire insieme su quale punto focalizzarsi. Se infine si tratta di un’azienda è più complicato, bisogna ovviamente capire che tipo di comunicazione vogliono, l’approccio al tema diventa più delicato e sfaccettato ma è più interessante perché mi obbliga a rivedere un modus operandi diverso da quello personale. Descrivici un progetto che ti ha coinvolto emotivamente. Ci sono due progetti a cui sono particolarmente legato e sono rispettivamente uno dei primi e uno degli ultimi che ho realizzato. 46


scenari Il più recente è stato un reportage fotografico sulla situazione dei pazienti affetti da malattie rare in Europa. Il progetto è stato realizzato insieme alla Federazione Italiana Malati Rari Uniamo e supportato dall’azienda di biotecnologie farmaceutiche del gruppo Sanofi, Genzyme. Il nostro obiettivo era quello di rendere partecipe e consapevole del problema chi questo problema non lo conosce. Partendo da questo concetto ho girato l’Europa incontrando quasi 30 famiglie con persone affette da una patologia rara. È stato un viaggio incredibilmente emozionante ed è stato impagabile quello che queste persone mi hanno fatto provare. I pazienti affetti da patologie rare devono affrontare ogni giorno difficoltà inimmaginabili, eppure non c’è stata una famiglia che non mi abbia accolto con il sorriso e che non mi abbia stupito per la forza e la tenacia con cui affronta la situazione in cui si trova. Ho avuto la fortuna di vivere vari giorni con ognuna delle famiglie incontrate e sono diventato ogni volta parte di esse. Mi hanno accolto di volta in volta come un fratello, figlio, amico d’infanzia. Hanno condiviso con me i loro momenti più duri e quelli più felici, mi hanno permesso veramente di capire qual è la ricchezza dell’umanità. Quello che ho cercato di fare con questo progetto è stato trasmettere a chi non poteva essere lì con me quello che queste persone mi trasmettevano, la loro forza e positività nonostante le insormontabili difficoltà che si trovavano a dover affrontare ogni giorno. Qual è il punto di vista che cerchi in una foto? Nei miei servizi mi trovo a raccontare storie e situazioni tra le più disparate. Quello che cerco sempre è di realizzare una foto che non giudichi, ma che permetta allo spettatore di capire

e comprendere il soggetto che sto ritraendo. Per fare questo ovviamente devo fare anch’io la stessa cosa, che si tratti degli omosessuali ugandesi ricercati dallo Stato o dei gruppi neonazisti svedesi. Penso che quello di cercare di comprendere il punto di vista dell’altro senza giudicarlo, anche quando questo è letteralmente all’opposto rispetto alle tue opinioni, sia uno dei migliori esercizi che mi sento di consigliare a chiunque. Come diceva Roland Barthes c’è sempre il punctum che rende una foto unica, qual è il tuo? Giustamente il punctum cambia sempre da foto a foto. Io penso che nelle mie foto il punctum ricada quasi sempre nel gesto del soggetto ritratto; penso che da quello si possano evincere il senso, l’atmosfera e la sensazione che voglio dare a quella particolare immagine. Oggi hai scelto New York come casa, cosa rappresenta per un fotografo come te questa città? New York rappresenta tante cose. Sicuramente non sono venuto qui per fotografarla, in tanti bravissimi l’anno già fatto. Ma sono venuto qui per affinare il mio sguardo in tutti i sensi e per trovare nuovi stimoli per il mio lavoro. Ultimamente molte aziende hanno cominciato ad utilizzare il linguaggio reportagistico per raccontare il proprio lavoro o i temi che hanno a cuore, anche per rafforzare la propria credibilità con un linguaggio non immediatamente pubblicitario. Questo è qualcosa che mi affascina molto e sicuramente questa città è il luogo migliore al mondo per poter affinare questo tipo di racconto.

Aldo Soligno Fotoreporter

É un talento nel campo della fotografia italiana di documentazione. Ha un occhio sofisticato per i paesaggi minimalisti e un approccio al ritratto che richiama la pittura fiamminga: attraverso inaspettati contrasti visuali è in grado di evocare emozioni e suggestioni nelle storie che racconta con la fotografia. Dall’esplorazione del legame tra i media e la guerra nella Striscia di Gaza, fino al più recente progetto sull’omosessualità in Uganda: l’abilità di creare una profonda relazione con le persone e i luoghi gli permette di raccontare storie visive di forte impatto emotivo, riconosciute con numerosi premi e pubblicate sulle più prestigiose testate editoriali. I suoi racconti visivi sono stati esposti in Italia ed all’estero, e con Cast Lead è stato il primo fotografo italiano a pubblicare un Photo Book esclusivamente per iPad. Attualmente vive a New York. www.aldosoligno.com 47


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AUMENTARE LA REALTÀ PER ESPLORARE UN MONDO PARALLELO Intervista a Dorian Lazzari, ideatore di ViewTwoo

Il mobile diventa visualizzatore della realtà aumentata, che permette di fare una vera esperienza 3D all’interno di cubi virtuali posti ovunque sul globo terrestre. Guardare virtualmente come un’opera d’arte può stare nel salotto della propria casa, o provare un’auto attraverso il telefonino, sono solo alcune delle applicazioni di questo progetto.

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scenari

Che cosa sono ViewTwoo e WorldTwoo? ViewTwoo è un visualizzatore di contenuti caricati sul gestionale WorldTwoo. L’idea è una sovrapposizione al mondo reale. WorldTwoo, infatti, è la divisione del globo terrestre in tanti cubi. Ognuno di questi ha lati di 10 metri. In ogni cubo si possono caricare dei contenuti, che si integrano perfettamente con l’ambiente reale. Per esempio posso vedere attraverso ViewTwoo un pescecane comodamente sdraiato sul divano di casa mia e interagire con lui. Quali sono gli obiettivi di questo progetto? Gli obiettivi sono molteplici, anche se ci stiamo orientando verso determinati settori, rimane una grande scatola vuota da riempire. Il progetto può essere usato in diversi settori, dal gaming, al settore business. Un esempio: si potrebbero caricare delle scarpe che io vedo sul pavimento di casa mia dal dispositivo e avere la possibilità di indossarle sempre attraverso il dispositivo. Da dove nasce l’idea? L’idea è partita da me, ma come tutte le idee ha subìto delle evoluzioni. Inizialmente avevo pensato a un’app che permettesse di vedere i contenuti in realtà aumentata sopra la testa delle persone. Esempio, trovarsi in una piazza e puntare il dispositivo avrebbe dato la possibilità di vedere informazioni di vario tipo sulla testa delle persone: da chi cerca lavoro a chi vende un auto etc. Poi è nata l’idea del globo suddiviso in cubi, così abbiamo integrato i due elementi: l’app e la parte gestionale. All’inizio mancavano sia le risorse umane che quelle economiche per costruirla. Fortunatamente abbiamo trovato subito dei finanziatori che hanno creduto in noi. Come funziona il progetto?

vari spazi: prendiamo un’azienda che vende abbigliamento e ha più negozi nei vari cubi sparsi per il mondo, e supponiamo che faccia delle modifiche nella vetrina, queste modifiche, attraverso dei sistemi chiamati gemellaggi, possono cambiare i contenuti contemporaneamente in tutti gli spazi virtuali del mondo. Quali sono le possibili applicazioni? Uno scultore, per esempio, che ha delle opere d’arte piuttosto pesanti, almeno di 100/200 kg, può innanzitutto ricostruirle in 3D e sapere attraverso dei sistemi di analisi delle caratteristiche degli utenti presenti sul gestionale WorldTwoo in quale cubo del mondo possono esserci più probabilità che quel tipo di arte venga apprezzata. Abbiamo dei sistemi statistici che permettono questi calcoli per aiutare gli utenti a ottimizzare la scelta del posizionamento dei propri contenuti. Una volta verificato può affittare quello specifico cubo e organizzare una mostra virtuale in 3D con un risparmio notevole di costi. In più l’utente può anche interagire con l’opera spostandola, per esempio, nel suo salotto per verificarne la bellezza nel suo personalissimo contesto. Un’altra applicazione possibile è nel settore automotive. Una concessionaria che compra il proprio spazio espositivo virtuale in un parco, composto da più cubi che lo ricoprono interamente. Significa che se io punto il mio dispositivo in quel parco preciso, vedo la realtà aumentata del parco con tutte le auto in esposizione e posso guardare sia esternamente che internamente l’ultimo modello di Audi, con la percezione reale di starci dentro. Uno showroom di

Il cubo sarebbe il nostro sito web vuoto dove inserire dei contenuti. Una sorta di web tridimensionale con possibilità di interagire. Se vuoi interagire con i contenuti e non vuoi costruirli scarichi l’app ViewTwoo. Se invece vuoi costruirli usi WorldTwoo, che comunque è online e non devi scaricare nulla. Con WorldTwoo affitti gli spazi (cubi) in varie parti del mondo e i costi seguono le logiche economiche dei mercati locali. I contenuti caricati vengono poi categorizzati. Ogni utente potrà vedere le informazioni dell’altro solo se questi gli darà il permesso di entrare nel suo spazio. I contenuti caricabili negli spazi possono essere di 2D/3D audio e/o video, statici o dinamici. Se per esempio ho caricato la musica di Mozart nel mio spazio, ogni volta che aprirò l’app sentirò Mozart. Esiste anche la possibilità di far interagire i 49


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LA STORIA DI VIEWTWOO Il progetto di Dorian Lazzari si concretizza formalmente il 4 settembre 2014 a Milano nella società NEWNEED S.r.l., composta da cinque soci: Dorian Lazzari, Alberto Marchetti (attuale CTO), Antonio Fumo (responsabile commerciale), Maria Grazia Molle e Evelina Marrocco (finanziatrici del progetto, rispettivamente titolari di uno studio commerciale e di uno studio legale). Le figure che compongono il progetto vanno a coprire tutte le aree principali necessarie allo sviluppo dello stesso. Il lavoro fatto precedentemente a questa data consisteva principalmente nella creazione di tutte le logiche del progetto, studio della sua fattibilità tecnica e creazione del modello di business. L’attività successivamente organizzata da Dorian Lazzari e Alberto Marchetti è invece consistita nello sviluppo tecnico vero e proprio, utilizzando una metodologia chiamata Agile Development, che permette di sviluppare velocemente contenendo i costi. Il progetto è composto da una moltitudine di tecnologie tra cui una struttura Big Data, distribuita globalmente su piattaforma Cloud di SoftLayer (IBM). Le principali tecnologie utilizzate derivano da robotica, computer vision, image processing. Curiosità: il nome dell’azienda è stato proposto da Dorian Lazzari ispirandosi all’indole di Steve Jobs che pose tracking e structure from motion, cercando sempre di creare nuovi bisogni nelle persone. Dorian ha voluto imprimere questo concetto nell’anima dell’azienda.

questo tipo di sicuro costa molto poco rispetto all’affitto fisico della struttura. Una soluzione che può essere replicabile in più parchi. Nelle scuole per esempio pensate alle bacheche che potrebbero essere aggiornate in tempo reale. L’addetto alla segreteria inserisce i contenuti e lo studente attraverso ViewTwoo può vedere le nuove informazioni appese al muro del proprio corridoio o sospese in aria in un determinato luogo. In realtà è un progetto che si presta a usi diversi, come dicevo sopra, abbiamo un contenitore che è tutto da riempire. Quale sarà il vostro business? L’app è gratuita. Il business principale sta nell’affitto degli spazi che cambia a seconda del Paese, segue le regole di mercato del luogo reale e gli algoritmi interni a WorldTwoo gestiscono tutte le variabili che fanno modificare i valori degli spazi. Altri introiti aggiuntivi dovrebbero arrivare dai widget, ovvero la possibilità da parte dell’utente di costruire dei widget in realtà aumentata, venderli o condividerli gratuitamente attraverso lo store interno a WorldTwoo; la logica di funzionamento è molto simile alle app che si trovano sugli store delle applicazioni attuali. Questi widget si potranno creare attraverso la sezione WorldTwoo Editor integrata sulla piattaforma online, che si tratti di nuovi giochi, di utilità, di sistemi per promuovere prodotti o altro, la sezione editor fornirà tutto quello che occorre per creare, bisogna metterci solo creatività. La tecnologia della realtà aumentata non rischia secondo lei di perdere di vista la vera realtà? Io credo che la realtà aumentata sia un grosso vantaggio, perché aggiunge dello spazio, cosa di cui abbiamo un gran bisogno. Se usata nel giusto modo può essere utile e rendere efficienti alcuni processi anche aziendali che solitamente richiedono trasporti costosi, piuttosto che una promozione in 3D dall’altra parte del mondo senza alcuno sforzo. Credo invece che aumenterà la percezione della realtà da un altro punto di vista. Esplorare il globo terrestre in versione 3D attraverso i cubi. Che cosa regala di diverso questa esperienza dell’esplorazione reale? Il mondo che noi proponiamo è una sovrapposizione a quello reale, per esempio potrò ricostruire le torri gemelle, ma l’utente per vivere quella ricostruzione dovrà trovarsi a New York, quindi possiamo dire che arricchiamo l’esperienza reale, ma non tentiamo di sostituirla... ancora.

Dorian Lazzari Ideatore di ViewTwoo 50


scenari

NASCE LA VETRINA ENOGASTRONOMICA ITALIANA PIÙ GRANDE DEL MONDO FICO Eataly World, l’EXPO permanente a Bologna

Alessandro Bonfiglioli, uno dei protagonisti del progetto, spiega come FICO Eataly World presenterà l’eccellenza italiana con 100 catene alimentari: dalla coltivazione del seme alla preparazione della pietanza. Agricoltori, ristoratori, artigiani, commercianti in 300 mila mq di spazio in una mostra permanente destinata a diventare una tappa obbligata per il turista, e non solo. 51


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Come è nato il progetto FICO Eataly World (Fabbrica Italiana COntadina)? Il progetto nasce dalla consapevolezza che la struttura del CAAB (Centro Agro Alimentare Bologna) di circa 800 mila metri quadrati, con 300 mila metri di superficie edificata fosse in eccesso rispetto alle reali necessità dell’attività di vendita di prodotti freschi all’ingrosso. Così abbiamo cominciato a pensare a delle soluzioni alternative ma sinergiche con la struttura e l’attività esistente. Peraltro nel 2011 avevamo appena realizzato un grosso impianto fotovoltaico di 43.750 metri quadrati, e quindi l’idea era di realizzare una cittadella del cibo e della sostenibilità. Partendo da qui io e Andrea Segrè (Professore ordinario Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari di Bologna) abbiamo incontrato a Roma Oscar Farinetti, (fondatore della catena Eataly) e gli abbiamo illustrato il nostro progetto. Dopo qualche mese

DIDATTICA E FORMAZIONE Nel grande parco enogastronomico sarà possibile conoscere, imparare un mestiere, divertirsi. 10 aule didattiche dedicate alla scoperta delle filiere agroalimentari. Percorsi didattici e tour esperienziali pensati per rispondere agli interessi di turisti, gruppi, famiglie, bambini.

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abbiamo iniziato a lavorarci insieme dando una forma ben precisa all’idea, che ha poi preso il nome di FICO Eataly World: un grande parco enogastronomico alimentare che parte dal campo e finisce a tavola. A noi piace dire “dal forcone alla forchetta” perché rende molto bene. Nel campo si coltiverà il seme, il laboratorio servirà per la lavorazione dello stesso, l’area di vendita per distribuire il prodotto finito e il ristorante per mangiarlo in real time. Cosa vuole rappresentare per Bologna e l’Italia? Vuole essere una grande vetrina delle maggiori eccellenze enogastronomiche italiane. Le dimensioni sono notevoli: oltre 100 mila metri quadrati coperti, con una rappresentanza italiana di 100 catene alimentari. Per ogni catena alimentare si parte dal campo, laboratorio, vendita e ristorante. Per esempio per il riso si avrà la risaia, il laboratorio di lavorazione, lo spazio vendita e infine la risotteria. Sarà tutto perfettamente funzionante come nella realtà; la risaia ad esempio sarà di 500 mq, a seguire il frantoio, il molino, il birrificio, etc. Che ruolo ha il CAAB in questo progetto? Il progetto è stato realizzato grazie a un fondo investimenti immobiliare di cui siamo promotori, ha il ruolo di azionista interessato allo sviluppo e a tutto l’indotto che ne deriverà.


scenari Quando sarà pronto?

UN PO’ DI NUMERI 10 aule didattiche 40 laboratori di trasformazione della materia prima 4.000 mq di centro congressi per eventi business legati al cibo 7.300 mq di ristoranti 9.800 mq di botteghe e mercati 10.000 mq di campi dimostrativi e allevamenti

Quale sarà l’indotto occupazionale ed economico per Bologna? Il progetto ha accolto oltre 60 milioni di euro, capitale interamente privato, per un investimento complessivo, ad ora, di 130 mila euro. Abbiamo previsto nuova occupazione per circa 800 posti di lavoro aggiungendo anche l’indotto derivante dal sistema alberghiero di circa 1.500/1.700 persone coinvolte. Come verranno scelte le aziende che esporranno le eccellenze italiane? È stato creato un sito (www.eatalyworld.it) sul sistema infocamere delle camere di commercio, che si compone di diverse aree. Quella appena conclusa riguarda la definizione dei laboratori che saranno 44; devo ammettere che è l’investimento più complesso perché più oneroso. Abbiamo ricevuto le candidature tramite il sito, e incontrato le aziende personalmente. Adesso siamo nella fase di scelta dei ristoratori, sono previsti 25 ristoranti e abbiamo avuto oltre 150 domande. Tra qualche mese si aprirà la selezione per chi lavorerà all’interno. I ristoranti rappresenteranno la fine della filiera. Sono anche previsti tre grandi ristoranti che si occuperanno della cucina del Nord, Centro e Sud Italia. Saranno gestiti a rotazione periodica, per permettere un ricambio e per offrire la possibilità a più gestori di usufruire di questa opportunità.

A gennaio faremo gli ultimi adattamenti interni e trasferiremo delle cose che attualmente sono a EXPO. Il parco si pone l’obiettivo di prendere il testimone di EXPO in una logica non di 6 mesi ma di 40 anni, che è la durata del fondo. Ci sono diversi contatti importanti aperti grazie a EXPO che noi capitalizzeremo in questo grande progetto. Gli immobili sono già esistenti, bisogna solo creare gli adattamenti interni: dalla creazione del campo, piuttosto che la creazione del frantoio. Anche i trasporti subiranno delle implementazioni, a parte quelli già esistenti creati per la gestione del CAAB che diventano strategici in questo progetto, si sta lavorando anche sulla possibilità di avere un trasporto su rotaie, però questa idea ha bisogno di più tempo per essere realizzata. All’interno invece ci saranno biciclette a disposizione e un trenino che farà il giro, anche perché l’area commerciale è grande più di tre chilometri. Per una visita completa noi consiglieremo almeno 2 giorni. Direi che i primi mesi del nuovo anno sarà tutto pronto per essere aperto al pubblico. Quale sarà la logica delle coltivazioni? Le coltivazioni seguiranno le stagioni, non saranno tutte biologiche perché rispecchieranno la realtà italiana, ovvero, coltivazioni miste e su questo ci sarà il grande supporto della Facoltà di Agraria. Utilizzeremo tutti i macchinari agricoli che si usano normalmente nelle campagne. Oltretutto l’Italia è leader per i macchinari agricoli e questo sarà un tema che sarà messo in evidenza nei numerosi eventi che saranno realizzati all’interno. Qual è il vostro target? All’inizio avevamo pensato ai bambini per un percorso tutto didattico e per questo siamo già in contatto con i vari ministeri per coinvolgere 100 mila studenti. Poi il progetto si è evoluto e ci siamo allargati a più target, quello dei consumatori delle aree limitrofe e ai turisti. Contiamo di avere 6 milioni di visitatori all’anno.

Alessandro Bonfiglioli Direttore Generale di CAAB

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EUROSYSTEM A FIANCO DI ESSSE CAFFÈ PER RINNOVARE L’ERP Un progetto su misura per la crescita della torrefazione bolognese

Sarà Eurosystem a guidare Essse Caffè nella sfida verso l’innovazione tecnologica: la torrefazione bolognese ha di recente affidato all’azienda di Information Technology trevigiana il rinnovo del proprio sistema informativo. L’obiettivo: ottimizzare la gestione dell’operatività aziendale e migliorarne il controllo. 54


stories I progetti di espansione, la necessità di darsi una struttura sempre più organizzata per affrontarla e l’urgenza di sostituire un sistema informativo datato, da implementare e meglio integrare, basato su As/400, sono le molle del cambiamento, quelle che nel 2013 convincono l’azienda a migrare il proprio sistema informativo verso una piattaforma software più aggiornata. Obiettivo: migliorare la produttività e ottimizzare i tempi, perfezionando tutti gli aspetti della gestione aziendale.

“Il marchio Essse Caffè simboleggia un’icona di qualità e innovazione. Per questo siamo felici di inaugurare questa collaborazione, un consolidamento della nostra presenza nel mercato emiliano-romagnolo e nel mondo della torrefazione per il quale abbiamo realizzato un gestionale specifico” - è il commento di Gian Nello Piccoli, presidente di Eurosystem SpA, l’azienda di consulenza informatica che da gennaio 2015 ha in consegna il rinnovo del sistema informativo di Essse Caffè. Fondata a Bologna nel 1979 dalla famiglia Segafredo, Essse Caffè si posiziona tra i primi 10 top player italiani del settore caffè ho.re.ca con una sede produttiva e operativa ad Anzola dell’Emilia e 14 depositi distribuiti nel territorio nazionale. L’attività aziendale va dall’acquisto dei caffè crudi alla miscelatura e tostatura, e si chiude con il confezionamento di prodotti di alta qualità destinati sia al mercato italiano che a quello internazionale. Migliaia di clienti in Italia e nel mondo, dove Essse Caffè si sta espandendo, assaporano ogni giorno le eccellenti miscele dell’azienda bolognese, che quest’anno è entrata nel mercato del caffè monoporzionato (Vending) con il lancio di Sistema Espresso, una linea esclusiva composta da una macchina personalizzata e una gamma di capsule di pregiate miscele di caffè e altre bevande calde. La commercializzazione sul mercato italiano avviene per lo più attraverso la tentata vendita e una rete di circa 130 agenti professionisti, in alternativa l’azienda effettua una vendita diretta che parte dalla sede principale con un servizio di logistica centralizzato. Sul mercato estero, invece, si muovono i venditori, dipendenti e non, e i distributori indipendenti.

A due anni dall’inizio della ricerca, Eurosystem, assieme alla propria soluzione gestionale Freeway® Skyline, viene scelto come partner tecnologico per rinnovare l’ERP. “Abbiamo dovuto superare una lunga software selection - aggiunge Piccoli - che ci ha visto concorrere con ERP internazionali e alcuni gestionali orizzontali leader nazionali. Alla fine, però, ha vinto l’IT made in Italy, insieme alla specializzazione di una soluzione basata su tecnologie all’avanguardia e più facilmente parametrizzabile”. Tra le motivazioni che hanno spinto Essse Caffè a scegliere il gestionale Freeway® Skyline, l’alta componente di innovazione dell’architettura ma soprattutto la filosofia di approccio al cliente di cui sia il software sia il team di consulenti Eurosystem sono espressione. “Il settore della torrefazione - racconta Stefano Ceccarelli, direttore progetti speciali di Essse Caffè - vive di processi produttivi e commerciali peculiari che necessitano della presenza di funzionalità ad hoc nella gestione aziendale. Il sistema precedente, essendo stato sviluppato totalmente da personale interno, non riusciva più a garantire un sufficiente livello di standardizzazione e allo stesso tempo parametrizzazione delle funzioni. Ci serviva una nuova soluzione, in grado di ingegnerizzare i nostri processi dentro un flusso automatizzato e definito in un motore di workflow. Dovevamo riuscire a trasferire in un sistema la conoscenza dell’azienda e del suo modello operativo partendo dalle persone, che sono state fino ad ora le principali custodi del patrimonio informativo aziendale. In questo modo saremmo stati sicuri di tutelare il nostro know how produttivo anche in vista di un cambio generazionale. Con Eurosystem abbiamo abbracciato un partner competente che ha realizzato una soluzione applicativa specifica per le torrefazioni, già provvista di integrazioni con altri moduli software tipicamente utilizzati nel nostro mondo, come ad esempio il software di tentata vendita o quello di gestione dell’impianto meccanizzato di 55


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torrefazione. Ma soprattutto abbiamo scelto un prodotto integrato, non proprietario e in grado di guidare in modo intelligente i nostri collaboratori nello svolgimento delle loro mansioni”. Un progetto emozionante, di automazione completa del business e revisione delle logiche di operatività che ha coinvolto le due aziende in un percorso per step. Un’analisi dei processi interni, sulla base dei princìpi del Business Process Management, è stato il primo di questi step. L’indagine ha coinvolto tutti gli uffici e le funzioni di Essse Caffe ed è stata fondamentale per produrre la mappatura puntuale dei flussi di lavoro preesistenti, per individuarne criticità e possibilità di miglioramento. Ma perché il progetto di cambiamento fosse reale e completo, era importante che fosse abbracciato anche dai collaboratori interni e dagli utilizzatori finali del software. In una seconda fase arrivano quindi i prototipi, interfacce e simulazioni di avanzamento del software che Eurosystem ha realizzato per offrire una vista piuttosto realistica su come sarebbe cambiato il modo di lavorare delle persone, affinché i nuovi flussi fossero validati e accolti con maggiore consapevolezza. Convalidati i prototipi, il traguardo successivo consiste nell’implementazione vera e propria. Freeway® Skyline viene introdotto in maniera completa per supportare l’intero ciclo di vendita e produzione di Essse Caffè. Tra i principali interventi previsti: l’introduzione del modulo di archiviazione documentale che sostituirà l’attuale gestione

cartacea consentendo un risparmio nei tempi e nei costi; l’avvio di un controllo di gestione basato su sistemi di contabilità analitica che consentirà di monitorare tutti i principali indici economici aziendali; l’adozione di un sistema MRP all’interno dell’ERP per la corretta gestione e pianificazione della produzione; la possibilità di monitorare e gestire i magazzini, i livelli di stock, ottimizzare la logistica e i tempi di evasione degli ordini; la creazione di portali destinati alla clientela diretta per l’inserimento degli ordini con risparmi in termini di tempi e costi operativi, cosa che renderà possibile l’apertura al mercato online. Nell’ambito dell’area commerciale, in particolare, il progetto prevede l’introduzione di workflow per l’inserimento dei diversi contratti e/o accordi di fornitura, premi e interventi di sostegno alla clientela. Con l’introduzione di Freeway® Skyline, il flusso delle attività relative alla richiesta di autorizzazione per gli interventi di sostegno viene completamente ingegnerizzato: l’attività viene innescata da agenti dei vari depositi e sottoposta ad approvazione della direzione commerciale attraverso una serie di operazioni che si avvicendano all’interno del sistema informativo e che prevedono l’utilizzo e il trasferimento di documenti in modalità puramente elettronica, cosa che permetterà di dimezzare le tempistiche di svolgimento del processo. La definizione e parametrizzazione del modello produttivo aziendale è un’altra delle fasi fondamentali nell’introduzione del nuovo sistema informativo. Essse Caffè adotta un impianto di torrefazione che effettua in modo automatizzato tutte le fasi della produzione, dal prelievo di caffè crudo alla pesatura, alla tostatura e stagionatura: Freeway® Skyline, interfacciandosi nativamente


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con il software che gestisce tale impianto, consente di registrare nel gestionale i prelievi di caffè come movimenti di magazzino e di determinare le corrispondenti stime di consumo e giacenze. Grazie a questo e all’introduzione del modulo MRP (Material Requirements Planning), Essse Caffè prevede di realizzare dei piani previsionali di vendita e produzione che permetteranno di conoscere per tempo tutte le richieste da soddisfare, oltre che di pianificare gli acquisti e i lanci di produzione esattamente sulla base di tali richieste. Sarà in questo modo più semplice calcolare i tempi di un ciclo produttivo e gli andamenti del magazzino, primo passo per l’adozione di una contabilità industriale e di un controllo di gestione. A completamento del progetto, infine, l’introduzione di un modulo CRM (Customer Relationship Management): la rete vendita potrà così codificare le informazioni relative ai propri clienti e, grazie all’integrazione diretta con i vari workflow, gestire automaticamente le richieste di autorizzazione e intervento per sostegno alla clientela, scontistica, contratti di fornitura, ecc. “I risultati attesi? - conclude Ceccarelli - Sono quelli di un vero e proprio salto evolutivo, il consolidamento e l’efficientamento di un modello produttivo e commerciale che, grazie all’automazione implementata, vedrà ottimizzati i processi commerciali in primis, la possibilità di pianificazione delle attività e di controllo analitico dei costi di gestione. Premesse importanti per fare di Essse Caffè un’azienda sempre più strutturata e pronta ad affrontare, anche grazie al supporto della tecnologie, le nuove sfide della crescita nazionale e dell’espansione estera”. 57


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SECONDA PARTE

protected function setUp() { $this->eventClient=new EventClient( "j4jIdbq59JsF2f4CXwwkIiVHNFnyNvWXqMqXx $this->history=new History(); $mock = new $ this->eventClient->client->getEm $this->eventClient->client->getE } } publi 'entityId' => 'uid',

QUANDO IL SOFTWARE GESTIONALE HA LA TESTA PIENA E… LA MEMORIA CORTA

Può l’IA sfruttare l’esperienza dell’utente per migliorare l’ERP? ALBERTO TRONCHIN - ALESSIO VOLTAREL - DIEGO TOSATO

redazione@logyn.it

Nel numero 10 di Logyn abbiamo presentato alcuni problemi gestionali classici e abbiamo spiegato come esistano soluzioni intelligenti basate, appunto, su tecniche di intelligenza artificiale. Tali soluzioni non sono affatto fantascientifiche, come dimostra la corsa di importanti colossi dell’IT che puntano a dotarsi delle più recenti tecniche di apprendimento automatico. La domanda a cui tenteremo di rispondere in questo articolo è la seguente: “è possibile realizzare oggi soluzioni gestionali intelligenti”?

58

Riprendiamo la trattazione dello scorso articolo riassumendo i due casi d’uso presentati come classici problemi gestionali normalmente affrontati con tecniche che possiamo osare definire obsolete. Il primo scenario riguardava la compilazione assistita di form di dati, applicato a due casi molto simili, ovvero la “preventivazione a clienti” e l’“approvvigionamento da fornitori”.

Anche in questo caso i due problemi hanno un comune denominatore e si tratta di problemi affrontati classicamente con tecniche di programmazione vincolata che, però, per loro natura, richiedono tempi di calcolo spesso elevati.

Abbiamo visto come i due problemi di fatto siano del tutto simili, al punto tale da poter essere affrontati da uno stesso sistema in grado di imparare dalle scelte compiute dagli utenti, in termini di relazione tra articoli e quantità, e di conseguenza, di suggerire sempre con maggior affidabilità nuove proposte per i successivi ordini o preventivi da compilare. Il secondo scenario, invece, riguardava il problema della generazione automatica di configurazioni, sia per i colli di spedizione, sia per i piani di carico dei mezzi di trasporto.

La risposta è sì, come infatti abbiamo accennato nello scorso articolo citando le tre principali famiglie di tecniche di Machine Learning che sono in grado di fornire una soluzione intelligente a ciascun problema presentato: Kernel Methods per il confronto e la ricerca di oggetti come preventivi e ordini; Markov Random Fields per la proposizione di nuove configurazioni di piani di carico a partire dalle precedenti; infine, per simulare le decisioni dell’utente possono essere utili le reti neurali della famiglia delle Feedforward Neural Networks.

Anche in questo caso possiamo immaginare una soluzione intelligente?

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spazio a y

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ARCHITECTURE & DESIGN

COME REALIZZARE SOLUZIONI GESTIONALI INTELLIGENTI? Soluzioni teoriche o tecniche implementabili? Fino a qui abbiamo parlato di tecniche, di approcci teorici e di algoritmi, ma a questo punto ci chiediamo se tutto ciò possa prendere la forma di un software installabile su un nostro server o nel Cloud e integrabile con il software gestionale che un’azienda ha in dotazione. La risposta è un po’ più articolata di un semplice sì o no. Le tecniche presentate possono certamente essere implementate oggi in un software che risolva in modo alternativo i problemi enunciati. Nel seguito dell’articolo, infatti, proporremo un’architettura software adatta allo scopo. Non tutti i software gestionali, tuttavia, sono in grado di interfacciarsi nativamente con questi sistemi intelligenti poiché essi richiedono un “approccio a servizi” (Service Oriented Architecture) e un livello tecnologico di base che non tutti i prodotti gestionali sul mercato possono vantare.

Service Oriented Architecture (SOA) e tecniche di apprendimento automatico: binomio vincente L’architettura che presentiamo di seguito - potremmo dire - è la naturale implementazione di un sistema incentrato su due cardini fondamentali: architettura orientata ai servizi (SOA) e utilizzo sinergico di algoritmi di apprendimento automatico. Ma perché SOA? Semplicemente perché questa architettura del software prevede un approccio che prescinde dal problema specifico e si focalizza sul concetto di servizio così come emerge dal dominio che si sta affrontando. Negli scenari descritti, infatti, possiamo immaginare il software gestionale come un consumatore di diversi servizi (ricerca di documenti, calcolo MRP, workflow di acquisizione di un ordine di vendita, ecc.), alcuni dei quali, ad esempio, sono in grado di rispondere in modo intelligente ad una particolare richiesta: “proponi un nuovo preventivo per 59


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questo cliente”, oppure, “formula un nuovo ordine fornitore”. Possiamo immaginare che ci siano quindi diversi servizi di business “intelligenti” con cui il software gestionale si interfaccia, in due fasi distinte: a. Continuamente esso comunica tutte le azioni e tutte le scelte compiute nel tempo dagli utenti inerenti quel particolare scenario (es. tutte le configurazioni di piano di carico preparate dagli utenti) b. A ciascun servizio rivolge delle richieste a cui corrisponderanno delle risposte che si definiscono “intelligenti”, poichè frutto di una fase di apprendimento derivata dalla fase a) reiterata nel tempo. Se riprendiamo la descrizione iniziale, è facile verificare che questo modello si adatta a tutti gli scenari presentati. Nello scenario 1, infatti, il gestionale comunicherà tutte le combinazioni di articolo e quantità che gli utenti opereranno nella compilazione dei preventivi. Quando l’applicazione vorrà suggerire all’utente un nuovo preventivo, sarà sufficiente rivolgere allo specifico servizio intelligente un’opportuna richiesta che chieda, in funzione dell’utente che sta operando e di altri parametri in ingresso (es. il cliente per il quale si sta formulando il preventivo), quale sia la nuova combinazione suggerita di articoli e relative quantità.

Successivamente, l’applicazione potrà lei stessa proporre un piano di carico o una composizione di colli di spedizione semplicemente invocando il servizio intelligente con una serie di input, tra cui l’utente operatore, e il servizio risponderà con una lista di risultati corrispondenti ad un piano di carico o ad una composizione di colli. L’utente potrà decidere se il risultato proposto è corretto o non corretto e questo feedback servirà ad addestrare il servizio intelligente (attraverso la fase a) che si reitera) per migliorare le sue prestazioni nelle successive richieste. Ad ogni problema, quindi, si avrà a disposizione un servizio specifico, la cui implementazione potrebbe essere intelligente, ovvero in grado di apprendere. Ciascuno di questi servizi intelligenti, tuttavia, ha delle caratteristiche comuni e la sua implementazione deve occuparsi di una serie di problematiche che si potrebbero concentrare in un unico server intelligente. Il modello che possiamo immaginare, quindi, è un insieme di servizi di business, alcuni dei quali appunto intelligenti, che basano alcune parti non funzionali della loro implementazione su un Intelligence Server comune.

protected function setUp() { $this->eventClient=new EventClient( Lo scenario 2 è del tutto simile. Il gestionale comunicherà "j4jIdbq59JsF2f4CXwwkIiVHNFnyNvWXqMqXxcIbQDqFRz5K0fe9e3QfqjKwvW3O"); ad un servizio deputato tutti i piani di carico o le composizioni $this->history=new History(); di colli che via via l’utente formulerà manualmente. $mock = new Mock([new Response(200)]); $this->eventClient->client->getEmitter()->attach($this->history); $this->eventClient->client->getEmitter()->attach($mock); } public function testSetUser() { $this->eventClient->setUser(1,array('age'=>20)); $ request=$this->history->getLastRequest(); $body=json_decode($request->getBody(), true);

$this->assertEquals('$set',$body['event']); $this->assertEquals('user',$body['entityType']); $this->assertEquals(1,$body['entityId']); $ this->assertEquals(20,$body['properties']['age']); $this->assertNotNull($body['eventTime']); $this->assertEquals('POST',$request->getMethod()); $this->assertEquals('http://localhost:7070/events.json?accessKey=j4jIdbq59JsF2f4CXwwkIiVHNFnyNvWXqMqXxcIbQDqFRz5K0fe9e3QfqjKwvW3O',$request->getUrl()); } public function testSetUserWithEventTime() { 60 $eventTime='1982-09-25T01:23:45+0800';


spazio a y Un server intelligente per servizi intelligenti Il modello di Intelligence Server che presentiamo è quello proposto dalla piattaforma open source PredictionIO (https:// prediction.io). L’architettura di tale piattaforma può essere schematizzata come in figura. Event Server

Mobile App

a

Dat

Query via REST

Website

Engine 1

Engine 2

Engine 3

Engine 4

Predicted Result Email Campaign

In particolare possiamo riconoscere due componenti principali: •• Event Server: si tratta del componente del sistema intelligente che riceve le notifiche da parte delle applicazioni delle scelte e delle azioni compiute dagli utenti. Questo server raccoglie queste informazioni. Esse costituiscono, analogamente all’esperienza di un bambino, le basi su cui si fonda il processo di apprendimento. •• Engine: si tratta dell’elemento attivo del sistema che riceve dalle applicazioni richieste specifiche e restituisce i risultati predittivi elaborati in base all’esperienza-conoscenza acquisita nel tempo e immagazzinata dal registro degli eventi. Entriamo ora maggiormente in dettaglio e cerchiamo di capire: cosa rappresenta, nell’architettura proposta, un Engine? Come abbiamo già detto, i problemi che abbiamo presentato, anche se diversi nell’esposizione, trovano soluzione in medesime tecniche di intelligenza artificiale. Moltissimi sono i problemi concreti da risolvere, ma poche sono le tecniche che è sufficiente applicare, magari combinate tra loro, per risolverli. Da qui l’idea di realizzare un sistema che abbia innestate al suo

interno, come se fosse un sistema componibile, una libreria di moduli, ciascuno dei quali rappresenta un risolutore di una gamma di problemi. Nel caso presentato nello scenario 1, avremo bisogno di un unico risolutore per entrambi i problemi concreti presentati, disponibile però in due rappresentazioni. Chiameremo Engine Template il risolutore di una stessa gamma di problemi. Chiameremo, invece, Engine Template Gallery la libreria dei risolutori di diverse classi di problemi. Come abbiamo detto un risolutore (Engine Template) è in grado di risolvere una gamma di problemi. A seconda del problema specifico ciò che sarà in grado di rispondere alle domande che verranno poste dal gestionale saranno delle implementazioni specifiche del risolutore, ovvero degli esemplari specifici nati da uno stesso Engine Template. Per analogia, pensiamo alla relazione che c’è tra un biscotto (l’esemplare di risolutore) e 61


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un set di stampi (risolutore) che consente di creare diverse forme, ma pur sempre biscotti. Chiameremo pertanto Engine l’esemplare specifico di risolutore. Tornando ai casi presentati nello scenario 1, avremo uno stesso risolutore (Engine Template) e due esemplari specializzati (Engine), uno per rispondere al caso di compilazione assistita di form per la preventivazione degli ordini e un secondo esemplare per il caso di compilazione ordini per l’approvvigionamento da fornitore. Dal punto di vista dell’architettura SOA, un particolare Engine viene pubblicato e visto all’interno del sistema come uno specifico Service (es. ProponiNuovoPreventivoCliente).

A supporto dello sviluppo, inoltre, esistono una varietà di framework utilizzabili sia su piattaforma Microsoft.NET sia su piattaforma Java EE, ciascuno dei quali offre una suite di algoritmi di machine learning. Tra i tanti citiamo, solo a titolo di esempio, Accord.NET (http://accord-framework.net ) e Apache Spark (http://spark.apache.org). Proprio su quest’ultimo si basa il progetto PredictionIO e l’implementazione di alcuni Engine Template che esso offre nella propria Engine Template Gallery. Come in altri contesti l’implementazione della soluzione migliore parte da un’analisi approfondita del problema e dalla scelta e combinazione degli algoritmi di machine learning più adatti. Per il momento questo è il valore e il contributo fondamentale alla soluzione che nessuna macchina può rimpiazzare.

Ma cos’è che fa funzionare un Engine e cosa lo rende intelligente? La risposta sta proprio nella stretta relazione che si instaura tra un Engine Template e l’insieme delle informazioni ed eventi raccolte dal sistema tramite l’Event Server. Un Engine sa proporre in tempo reale delle risposte (Predicted Result) dopo che è stato addestrato per un certo periodo e si è costruito così un modello di conoscenza sul quale si basano le risposte che esso sarà in grado di fornire in tempo reale. L’acquisizione di nuove informazioni attraverso ulteriori sessioni di apprendimento consente all’Engine di aggiornarsi, di evolvere in modo tale da saper rispondere in modo sempre più preciso alle query che gli vengono sottoposte. A seconda del problema da risolvere, e quindi dell’Engine Template utilizzato, il tempo di costruzione del modello a partire dai nuovi feedback può essere più o meno elevato. Alcuni modelli, in particolare, possono essere aggiornati online. In ogni caso, una volta aggiornato il modello, esso è immediatamente operativo. L’implementazione interna di un Engine Template si basa tipicamente sull’utilizzo sinergico di più algoritmi di machine learning. Lo stesso algoritmo può essere riutilizzato all’interno di più Engine Template. Dal punto di vista dell’architettura del sistema, l’adozione di un server come PredictionIO consente di concentrarsi sullo sviluppo degli Engine Template, lasciando alla piattaforma la raccolta degli eventi, dei feedback, il deployment di nuove versioni di modelli, problemi di distribuzione e parallelizzazione degli Engine ed altri servizi infrastrutturali comuni a tutti i risolutori. Concludiamo ritornando alla domanda iniziale, ovvero se esiste oggi la possibilità di realizzare un software intelligente di questo tipo: la risposta è sì, a patto di possedere una conoscenza non improvvisata di queste tecniche. 62

ray('a','b','c'),

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), 'eventTime' => '2004-1213T21:39:45.618-07:00' )); $request=$this->history->getLastRequ $body=json_decode($request->getBody

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@EUROSYSTEM.IT: DIALOGARE CON IT E ICT Conoscere e valorizzare i propri clienti con il CRM

Ma una soluzione a misura di utente esiste…

STEFANO BIRAL redazione@logyn.it

Il contesto dell’offerta

Nel panorama in cui viviamo le tecnologie possono fare davvero tutto: la questione è scegliere la soluzione che risolve esattamente il bisogno sentito dalla propria azienda. Se ci riferiamo a quei software che possono aiutare a conoscere e relazionarsi meglio con i propri contatti e clienti, allora stiamo parlando di CRM (Customer Relationship Management), termine in uso da molti anni e indicativo di una tematica ancora molto prop1'=>1, ampia. In realtà, il “come gestire le relazioni con il cliente” è =>'value2', frutto di una strategia aziendale che ha per obiettivo segmentare >array(1,2,3), la propria clientela a seconda delle caratteristiche e gestirla >true, in modo da ottimizzarne il valore nel lungo termine. Questo >ar- richiede non solo tecnologie ma una filosofia e una cultura aziendale centrata sul cliente e che supporti efficacemente i >4.56 processi di Marketing, Vendite e Assistenza.

-

scenari

Il problema dell’utente

uest(); Nell’adozione di un CRM, come in quella di molti altri software di gestione aziendale, il problema è avere un’applicazione y(), true);

facile da usare, veloce, e potenzialmente ampliabile a nuove caratteristiche senza il rischio di stravolgere l’applicativo stesso. y['event']); Per noi produttori il concetto è sempre lo stesso: capire cosa ityType']); deve fare un’applicazione per semplificare e guidare il lavoro uid',$b delle persone, e progettare quel tipo di sistema.

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L’idea che sta alla base del nostro prodotto Freeway® CRM è questa: a te, utente, consento di fare poche cose ma in modo estremamente rapido e semplice, quindi hai bisogno solo di una breve formazione e puoi valutare le singole funzionalità da attivare all’occorrenza. Questo è ciò che promette Freeway® CRM, un prodotto altamente ingegnerizzato, in grado di garantire aperture e parametrizzazioni del sistema che consentono di ottenere un notevole risparmio di costo nel momento in cui si debbano gestire delle funzionalità specifiche per un’azienda, come regole di business o consultazioni mirate sui dati gestionali. Alla base della soluzione c’è Freeway® Presentation Server, una componente differenziante rispetto anche a prodotti più titolati o internazionali: una piattaforma sviluppata ad hoc per accedere alle informazioni attraverso un portale web che può essere personalizzato per ruolo e per utente e che permette all’utilizzatore di navigare da un unico punto di accesso tra applicazioni, processi, dati e documenti. Tra le funzionalità di base presenti nella nostra soluzione CRM, inoltre, ci sono la possibilità di gestire una scheda anagrafica per contatto, di creare attività e link di attività, di definire la data del prossimo contatto, vedere le proprie attività (ad esempio, appuntamenti fissati da me o da altri), di analizzare quelle aperte o quelle storiche, comunicare tramite lista attività o email di supporto, analizzare i dati gestionali del cliente, creare estrazioni filtrate sui contatti, inserire preventivi oppure ordini con una interfaccia web semplificata e del tutto simile alla tipica “carrello della spesa”. L’applicazione può persino arrivare a generare analisi della copertura commerciale tramite Mappa Geografica o a gestire le relazioni con i fornitori. Infine, consente di integrare la business intelligence nel prodotto, offrendo un strumento a supporto di interrogazioni autonome del database Freeway® CRM che possono generare estrazioni delle schede anagrafiche, semplice reportistica anche in forma grafica, e analisi più complesse per arrivare alla creazione di cruscotti ad uso manageriale. Insomma, un prodotto completo e a misura di utente, anzi, di cliente. 63


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MINACCE INFORMATICHE: IMPOSSIBILE PROTEGGERSI SENZA UNA STRATEGIA La parola a David Gubiani, Technical Manager di Check Point

“Prevenire è meglio che curare”. Non è solo un vecchio detto ma anche la filosofia di Check Point Software Technologies, uno dei principapli player mondiali di sicurezza informatica secondo cui l’informazione delle persone è l’arma principale per vincere contro le crescenti e sempre più varie minacce informatiche. Il tema di questo numero è l’esplorazione. Oggi è possibile esplorare le informazioni, di business e personali, sempre e dovunque attraverso la mobility: tutto questo rende più vulnerabili le informazioni stesse? Check Point ha capito da tempo l’importanza della protezione dei dati ovunque essi siano ed ha costruito una proposta

tecnologica ad hoc per affrontare il tema con un particolare focus sulla mobility. Di recente abbiamo presentato Capsule, una suite volta a proteggere a 360 gradi le soluzioni mobile e i dati in mobilità da qualsiasi tipo di minaccia. Capsule non è altro che un’app scaricabile, in grado di creare sul dispositivo mobile un ambiente aziendale sicuro, che di fatto separa i dati di business dai dati e dalle applicazioni personali. Questo permette agli utenti di utilizzare le applicazioni di business in modo sicuro tramite una semplice interfaccia utente, dalla quale poter accedere immediatamente all’email, ai file, alle directory, ai contatti e all’agenda aziendale, senza influire in alcun modo sui dati personali. A giugno è stato presentato il Security Report Check Point 2015 da cui emerge che l’81% delle organizzazioni prese in esame ha subito perdite di dati, con una crescita del 41% rispetto al 2013. Quali sono i motivi che possono agevolare la fuoriuscita dei dati dalle organizzazioni?

David Gubiani 62 64

Technical Manager di Check Point Software Technologies

I motivi principali sono l’aumento di device mobili non protetti e la mancanza di una strategia aziendale (nella maggior parte delle aziende) volta a proteggere questi nuovi canali di comunicazione. Ultimo ma non meno importante fattore è infatti la scarsa attenzione e rispetto delle regole da parte degli utenti.


Quali sono oggi le minacce principali per la sicurezza informatica? Bot e Ransomware la fanno da padroni, i primi permettono il controllo totale dei device e dei computer, i secondi cifrano tutte le informazioni e chiedono un riscatto. Ma la più grande minaccia rimane una sorta di sottovalutazione del problema derivata da un’informazione non corretta sulle conseguenze che un attacco informatico può causare. Una gran mole dei malware individuati nel 2014 ha fatto centro solo perché sconosciuta, ovvero in grado di eludere i sistemi di protezione perché ancora assente dai database delle agenzie di sicurezza. Cosa fa Check Point per affrontarle? Check Point propone una strategia ed un framework di sicurezza per aiutare le aziende a difendersi al meglio (Software Defined Protection) e una serie di soluzioni che permettono ai clienti di proteggere tutti gli asset aziendali. I laboratori di ricerca e sviluppo Check Point sono sempre attivi sia per lo studio e la generazione di “antidoti” alle minacce che per lo sviluppo di nuove soluzioni innovative per fronteggiare la costante ascesa degli attacchi informatici.

scenari Cosa dovrebbero fare, concretamente, le aziende per proteggersi? Le aziende dovrebbero informare gli utenti sui pericoli esistenti, implementare una vera e propria strategia di security ed implementare una sicurezza multi livello dotandosi anche delle più innovative soluzioni di prevenzione quali la Check Point Threat Emulation/Extraction, ad esempio. Le frontiere della sicurezza informatica: in quali direzioni di Ricerca e Sviluppo si sta spingendo Check Point? Ogni nuovo canale di comunicazione rappresenta un pericolo e Check Point è fortemente impegnata a sviluppare nuove soluzioni per la protezione di tutto ciò che è e sarà connesso a Internet (IOT, ossia l’Internet Of Things, ne è un esempio). In una sola parola, prevenzione è la filosofia che seguiamo da sempre.

LA SICUREZZA SECONDO CHECK POINT: SECURITY REPORT 2015 Check Point, principale fornitore di sicurezza pure-play al mondo, ha presentato a giugno il proprio Security Report per il 2015; si tratta del terzo rapporto annuale dell’azienda sulle principali minacce alla sicurezza delle aziende nel mondo. La mobilità, la virtualizzazione e altre tecnologie hanno cambiato il modo in cui lavoriamo e mentre le aziende adottano le nuove tecnologie per aumentare la produttività, si dimenticano spesso dell’impatto che queste hanno sulla sicurezza. Il Security Report 2015 rivela la prevalenza e la crescita delle minacce alle reti aziendali, sulla base delle informazioni raccolte da Check Point nel 2014. Il report si basa su una ricerca collaborativa e sull’analisi approfondita di oltre 300.000 ore di traffico monitorato in rete attraverso 16.000 gateway e un milione di smartphone. Tra i risultati più significativi eccone alcuni. Crescita esponenziale del malware noto e sconosciuto. Nel 2014 gli attacchi di malware sono cresciuti con una velocità allarmante. Il report rivela che 106 malware sconosciuti hanno colpito ogni ora le organizzazioni prese in esame: 48 volte in più rispetto ai 2,2 download all’ora rilevati nel 2013. Gli apparecchi mobili sono il più grande punto di vulnerabilità per le aziende. Essi sono l’anello debole nella sicurezza aziendale, in quanto forniscono un punto di accesso alle informazioni sensibili molto più semplice da violare di qualsiasi

altro nodo. La ricerca di Check Point ha evidenziato che per un’organizzazione con più di 2.000 device mobili nella propria rete, vi è una probabilità del 50% che almeno sei di questi siano infettati o siano l’obiettivo di un attacco. Utilizzare applicazioni a rischio è pericoloso. Spesso le imprese fanno affidamento su applicazioni studiate per renderle più snelle e produttive; il rovescio della medaglia è che queste applicazioni diventano dei punti di vulnerabilità per l’accesso non autorizzato alle reti. Applicazioni quali il file sharing rappresentano un evidente rischio e la crescita di applicazioni “shadow IT” non previste e supportate dall’IT centrale, rappresenta un rischio ancora più grave. La ricerca ha rivelato che il 96% delle organizzazioni prese in esame ha utilizzato almeno una applicazione ad alto rischio nel corso del 2014, con una crescita del 10% rispetto all’anno precedente. La perdita di dati è il problema più sentito. I criminali informatici non sono la sola minaccia all’integrità e alla sicurezza dei dati aziendali. Anche se un hacker non viola la rete aziendale, azioni interne alla rete possono facilmente portare alla perdita di dati. Dalla ricerca di Check Point emerge che l’81% delle organizzazioni prese in esame ha subito perdite di dati, con una crescita del 41% rispetto al 2013. 63 65


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CUCCHI BLT: MIGLIORARE LE PRESTAZIONI VIRTUALIZZANDO LE WORKSTATION Più sicurezza e flessibilità con Citrix XenDesktop e XenServer

Cucchi BLT, tra i primi produttori europei di caricatori automatici di barre, ha affidato a Eurosystem un progetto di virtualizzazione delle workstation. Ad oggi, l’azienda gestisce da un unico datacenter 12 workstation CAD, ha ridotto i costi di gestione delle macchine e migliorato i livelli di collaborazione e flessibilità nel proprio reparto tecnico. 66


Sono gli anni ‘70 e nell’antico borgo di Bussero, alla periferia della provincia milanese, nasce una piccola eccellenza manifatturiera italiana, specializzata nella produzione di caricatori automatici di barre e destinata a brillare come Pietro Cucchi Spa. In 40 anni di studio, vissuto e specializzazione, la realtà a carattere familiare della Martesana spicca il volo, conquistando buona parte del mercato italiano ed estero e negli anni ‘90, quelli del boom economico, lo stabilimento di Bussero arriva a produrre 40-50 caricatori al mese. Poi la crisi, che non risparamia nessuno, e la rinascita: nel 2013, la storica Pietro Cucchi SpA viene acquisita da uno dei suoi principali clienti, Tajmac MTM S.p.A., un gruppo multinazionale produttore di torni automatici plurimandrino, torni a fantina mobile e centri di lavoro. Nasce così Cucchi BLT Srl mettendo insieme tradizione e una nuova forza finanziaria e organizzativa che regala all’azienda una seconda giovinezza all’insegna dell’autonomia e della continuità. Nel giro di due anni la società vede cambiare le proprie sorti: pur mantenendo gran parte del personale, il konw how e l’esperienza accumulata da Pietro Cucchi SpA, la nuova realtà cambia sede passando da Bussero a Cinisiello Balsamo e amplia la propria gamma di prodotti. Oggi Cucchi BLT è tra i primi produttori europei di caricatori automatici di barre: questi sistemi consentono di incrementare notevolmente la produttività dei torni plurimandrino e monomandrino e vengono per questo utilizzati dai maggiori produttori mondiali per garantire più sicurezza e continuità nel ciclo produttivo. Con due sedi proprie, in Italia e Germania, oltre alle aziende del gruppo, Cucchi BLT rivende i propri caricatori in tutto il mondo. “Il progetto tecnologico avviato con Eurosystem - commenta Edoardo Cattaneo, AD di Cucchi BLT - nasce sotto il segno di una nuova era aziendale. Nell’ambito della riorganizzazione interna

stories seguita al processo di acquisizione eravamo alla ricerca di un gestionale specifico per aziende che, come la nostra, producono a commessa. Eurosystem ci ha proposto una soluzione software proprietaria che si adattava molto bene alle nostre esigenze: convinti dalla serietà e competenza che il partner ci ha trasmesso, abbiamo scelto il loro ERP e questa collaborazione è stata il punto di partenza per un progetto di più ampio respiro che ha coinvolto tutta l’infrastruttura informatica”. Oltre 40 dipendenti, 8 figure tecniche tra progettisti CAD ed elettronici, più di 100 caricatori realizzati e oltre 50 revisionati all’anno: la svolta industriale di Cucchi BLT Srl conserva e valorizza quella che era la caratteristica distintiva dell’azienda originaria, realizzare solo soluzioni all’avanguardia, estremamente sofisticate e personalizzate per il cliente. “L’idea di avviare un progetto di virtualizzazione delle workstation è nata da una sfida personale che nutrivo da tempo - spiega Cattaneo - L’ufficio tecnico è il cuore pulsante di Cucchi BLT: lì nascono le prime bozze dei nostri disegni e prendono forma i progetti più innovativi. A partire dal 2013 abbiamo dato ancora più attenzione a questo reparto assumendo un nuovo direttore e un nuovo responsabile del software. Ma, oltre a riorganizzare, il nostro obiettivo era potenziare la produttività di quest’area. Da qui l’idea di un progetto tecnologico che ci supportasse: virtualizzare le workstation per consentire ai progettisti di lavorare in modo più efficiente e flessibile, e soprattutto con maggiori garanzie di sicurezza e protezione dei nostri dati sensibili”.

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SETTEMBRE 2015

“Le workstation sono postazioni di lavoro molto particolari commenta Stefano Risatti, responsabile del progetto tecnico per Eurosystem Spa - macchine che devono eseguire applicazioni grafiche ad alto consumo di risorse e che per questo ‘stressano’ CPU, RAM e DISCHI maggiormente rispetto ai workload che possono essere eseguiti quotidianamente su un PC tradizionale. Inoltre, all’interno delle workstation vengono utilizzate schede video progettate appositamente per supportare programmi grafici professionali, come i software CAD. Non tutti i prodotti di virtualizzazione disponibili oggi sul mercato offrono la tecnologia adatta a virtualizzare queste macchine e a erogarle in maniera centralizzata all’interno di un unico datacenter; e questo ha reso l’approccio al progetto una sfida ancora più interessante. Al termine di un’approfondita analisi, abbiamo individuato in Citrix XenDesktop e in Citrix XenServer il connubio perfetto per rispondere al meglio alle esigenze di innovazione del cliente”. Citrix XenServer è una piattaforma di virtualizzazione progettata per gestire i carichi di lavoro specifici dei desktop e delle workstation virtualizzate senza sacrificarne le performance o l’affidabilità. Citrix XenDesktop, invece, automatizza tutte le operazioni di gestione dei PC virtuali e delle applicazioni, ma soprattutto permette di accedervi da remoto da qualsiasi tipo di dispositivo (anche tablet o smartphone) garantendo all’utente la stessa user experience di una postazione di lavoro tradizionale. Inoltre, grazie a tutta una serie di policy integrate nativamente nel prodotto, è possibile proteggere le risorse e il know how dell’azienda da possibili “furti”, garantendo al contempo il rispetto degli standard di conformità alle normative. “L’obiettivo del cliente - aggiunge Risatti - era fornire ai propri tecnici un accesso da remoto, sicuro e agile, a potenti workstation CAD virtualizzate: integrando Citrix XenDesktop e XenServer con la sheda Nvidia GRID K2, abbiamo messo a disposizione di Cucchi BLT una capacità di elaborazione propria di una workstation grafica sfruttando però tutti i benefici della virtualizzazione. L’introduzione di XenDesktop, accelerato dalla scheda GRID K2, ha permesso di centralizzare le workstation all’interno di un unico datacenter che esegue i desktop virtuali come fossero un servizio, aumentando cosi l’affidabilità e la protezione delle informazioni prodotte, e di controllare i crescenti costi dei cicli annuali di

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aggiornamento dei PC e delle workstation mediante la gestione e la distribuzione centralizzata di applicazioni e desktop virtuali”. Oggi Cucchi BLT non ha più bisogno di una workstation professionale per ogni utente né di distribuire e supportare i software a livello locale ma, attraverso un unico server, l’azienda gestisce 12 desktop virtuali permettendo l’accesso a propri tecnici a prescindere dalla sede in cui operano. “Il progetto ha rivoluzionato il modo di lavorare del nostro reparto tecnico - aggiunge Cattaneo - Abbiamo innalzato i livelli di collaborazione e allo stesso tempo di protezione dei nostri sistemi: oggi i nostri progettisti non condividono più i file tramite email o spedizione delle stampe e non li archiviano sulla memoria locale, ma accedono ad un unico repository dove visualizzano i propri progetti e quelli dei colleghi, apportano modifiche o approvano bozze. La virtualizzazione ci consente inoltre di archiviare le release dei software professionali con cui progettiamo e di riutilizzare queste stesse release più in là negli anni per aprire file più datati, cosa che prima non era possibile e ci costringeva ad utilizzare programmi di conversione che non generavano sempre risultati corretti. Infine, i costi: tutte le spese di provisining e di aggiornamento delle macchine si sono ridotte notevolmente trattandosi della gestione di un solo server anziché di 12 workstation”. La virtualizzazione delle workstation era considerata fino a poco tempo fa una sfida dagli esiti incerti ma grazie alla consulenza di Eurosystem e all’integrazione tra le tecnologie Citrix e NVIDIA, Cucchi BLT ha potuto elevare notevolmente il livello di efficienza e controllo del proprio reparto tecnico, offrendo un esempio di innovazione ed eccellenza che contraddistingue la società non solo nella presentazione della propria offerta sul mercato ma anche nell’approccio all’evoluzione e al miglioramento dei processi interni. “Il progetto - conclude Cattaneo - è in fase di conclusione ma ci riteniamo molto soddisfatti. Al momento si tratta di un programma pilota che, sulla scia delle ottime premesse e di risultati che andremo a definire meglio nei prossimi mesi, potremmo valutare di estendere il progetto anche a Tajmac ZPS a Zlin, in Repubblica Ceca dove ha sede l’unità produttiva principale nonché un ufficio tecnico che conta circa 60 postazioni”.


@EUROSYSTEM.IT: DIALOGARE CON IT E ICT

scenari

Ma ‘ndò vai se il backup non ce l’hai? più complicato il suo ripristino a causa delle maggiori probabilità di deperimento, oltre al fatto che le cassette potrebbero essere dimenticate e non correttamente eliminate al termine del periodo di conservazione, con rischi per la sicurezza e la privacy. ATTILIO CUCCATO redazione@logyn.it

Backup sì, backup no... sì! Il disco SSD che avevamo da poco installato per velocizzare il nostro pc ci ha piantato in asso? Lo smartphone non dà più segni di vita anche sostituendo la batteria? Cosa fare? Nella maggioranza dei casi un bel nulla, a meno che non ci saremo precedentemente preoccupati di “backuppare” (bruttissimo neologismo) i nostri dati. Capisco bene che non c’è mai tempo e che è una “rottura di scatole”, ma se poi succede? E succederà, succederà. Mettiamolo a calendario e obblighiamoci a farlo, non c’è alternativa; avere una, meglio due copie di salvataggio è ormai indispensabile: la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo. Sia che si tratti del pc di casa o del sistema informatico aziendale, l’unica àncora di salvezza rimane il backup. Lo abbiamo visto soprattutto con Cryptolocker e le sue varianti: tante aziende che ne sono state colpite hanno potuto recuperare la situazione, in tempi ragionevoli e senza sborsare un euro, perché hanno attuato preventivamente delle intelligenti politiche di backup. Ovviamente bisogna avere le giuste soluzioni, ma per questo c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Lo stato dell’arte Non tutte le aziende sono passate dall’obsoleto backup su nastro a quello su disco, spesso condividono le due modalità per ammortizzare gli investimenti fatti e perché il supporto magnetico permette loro di avere copie facilmente trasferibili off-site. La copia su nastro è in alcuni casi anche un modo meno costoso per rispettare i requisiti di conservazione dei dati, anche se è poi

Virtualizzazione e cloud hanno aggiunto complessità ma, allo stesso tempo, hanno permesso di riprogettare completamente soluzioni e strategie di backup, rendendole davvero più veloci e sicure. Backup incrementali, compressione e deduplica riducono certamente le finestre di tempo e lo spazio di archiviazione ma il backup e la sua dinamicità necessitano di continuo monitoraggio per valutare preventivamente eventuali riadattamenti delle politiche adottate. In estrema sintesi il backup è una dosatissima miscela di tecnologie e funzionalità hardware e software che, nel rispetto della sicurezza e della privacy, viene adattata alla migliore strategia possibile.

Oltre il backup Se alziamo ancor di più l’asticella, la virtualizzazione ha reso più agevoli e meno complicate la Business Continuity e il Disaster Recovery, il cui obiettivo è garantire la continuità dei processi di business e che questi non si interrompano al sopraggiungere di un evento critico. Con un sistema di Disaster Recovery i dati vengono ridondati in un sito secondario, quello appunto di Recovery; siamo al livello estremo del backup, poiché oggetto di salvataggio ed eventuale ripristino sarà l’intero sistema informativo aziendale. Ora, considerando che i due termini vengono spesso impropriamente confusi, chiariamo che il Disaster Recovery è un sottoinsieme della Continuità Operativa e sarà di fondamentale importanza per il cliente scegliere un fornitore che lo possa seguire sia nel piano di DR sia in quello più allargato di Business Continuity, pianificando in anticipo, valutando attentamente il rischio e le vulnerabilità, stabilendo i corretti RPO e RTO e creando con lui una forte sinergia. Affrontare questo argomento è certamente impegnativo e sono richieste competenze, referenze e certificazioni: noi le abbiamo. Parliamone. 69


informazione pubblicitaria

Oracle Database Appliance: la soluzione ingegnerizzata ad alta disponibilità dall’ottimo rapporto prezzo/ prestazioni Le aziende italiane, indipendentemente dalle loro dimensioni, sono costantemente alla ricerca di soluzioni che consentano di risparmiare tempo e ottimizzare gli investimenti semplificando le attività di implementazione, manutenzione e supporto al database.

L’acquisto e l’implementazione di soluzioni database, infatti, richiede normalmente alle imprese ingenti investimenti, sia in termini di risorse economiche che di ore di lavoro, ma per soddisfare le esigenze delle imprese e garantire una soluzione capace di assicurare un elevato rapporto prezzo/prestazione, Oracle ha sviluppato Oracle Database Appliance, capace di offrire alle organizzazioni la possibilità di sfruttare tutta la potenza del leader mondiale per i database in un sistema altamente disponibile.

Per ulteriori informazioni:

Oracle Database Appliance è un sistema ingegnerizzato che supporta la virtualizzazione e unisce tutte le componenti hardware e software necessarie a sviluppare e gestire database, ottimizzando le risorse tanto sul fronte dei costi quanto su quello degli sforzi di implementazione. Grazie all’hardware ingegnerizzato con il software si ottengono infatti miglior deployment e capacità di implementazione in solo alcune ore, anziché in giorni. Inoltre, è possibile abilitare capacity-on-demand per le licenze, permettendo di utilizzare solo le funzioni di cui si necessita, e scalare senza problemi se l’attività richiede maggiore potenza. Infine, Oracle Database Appliance costituisce una soluzione database economica in grado di ridurre lo spazio server dell’80%, riducendo, di conseguenza, anche i costi di implementazioni del 40%. Oracle Database Appliance coniuga quindi software, server, storage e networking per offrire elevati livelli di disponibilità a un’estesa gamma di database applicativi, per data warehousing e OLTP custom e pacchettizzate. Le esperienze delle aziende che hanno già scelto questo sistema hanno confermato la validità della soluzione, che ha consentito di mettere a loro disposizione infrastrutture database altamente disponibili in tempi ridottissimi, eliminando i rischi associati alla progettazione e all’implementazione. Continua a crescere l’interesse del mercato italiano verso l’adozione di questa soluzione e, attualmente, sono già una ventina le organizzazioni che si sono dotate del sistema Oracle, appartenenti ai più disparati settori industriali - inclusi Comunicazioni, Sanità, Chimico, Manifatturiero, Utility e Servizi Finanziari.

http://www.oracle.com/technetwork/database/database-appliance/overview/index.html


Evoluzione delle mansioni nel rapporto di lavoro

scenari

Nuovi scenari organizzativi alla portata di tutti RICCARDO GIROTTO

info@studioassociatopiana.it

Le modifiche alla disciplina delle mansioni introdotte dal Jobs Act chiariscono che le mansioni assegnate al lavoratore non sono più un limite invalicabile per il datore di lavoro. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali incidente sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni differenti e non per forza equivalenti. Il Jobs Act ha introdotto alcune novità di cui poco si è parlato, eclissate dalla maggiore attrattiva mediatica esercitata dalla riorganizzazione dei contratti di lavoro e dalla revisione dell’art. 18. Eppure tra queste vi è la nuova disciplina delle mansioni che risulta essere una piacevole scoperta, andando a modificare aspetti di sicuro interesse. Una rapida analisi sul tema richiama la rigidità con la quale venivano gestite le mansioni dei dipendenti nel rapporto di lavoro, tanto che ogni azienda si trovava costretta a porre la massima attenzione a ogni operazione organizzativa. Per tal motivo la variazione di mansioni ha generato nel tempo notevoli contenziosi, sulla scorta di una fonte regolatrice rappresentata dall’art. 2103 del codice civile che terminava proprio con un laconico “ogni patto contrario è nullo”, tradotto: una volta assegnata una mansione quella sarà per sempre... o quasi. Anche passando per la volontà condivisa con il lavoratore, fino all’espressa richiesta di quest’ultimo, le variazioni non erano attuabili se non tramite precise procedure assistite (leggasi: lunghe, dispendiose ed incerte). È evidente che in un tessuto produttivo come quello del

nostro Paese tanto più piccola è l’azienda, tanto maggiore sarà la necessità di occupare personale flessibile e adattabile alle diverse esigenze produttive che per tempi e risultati spesso risultano imprevedibili. Inevitabile che una previsione, quale quella regolata dal sistema previgente, ingessasse il sistema aziendale. È con sommo piacere che, a braccia aperte, accogliamo quindi la revisione dell’art. 2013 del cc ad opera dell’art. 3 del D.lgs 81/2015, perché la flessibilità di cui ha bisogno il Paese non è solo quella in entrata e in uscita (esterna) ma è anche quella interna, quotidiana e non prevedibile. Quella cioè che permette di adattare la popolazione già stabilmente occupata alle esigenze che via via bussano alle porte delle aziende. La nuova previsione permette finalmente di aprire quelle porte. L’aspetto positivo è proprio nella declinazione del nuovo articolo dove si chiarisce che: in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali incidente sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore. Certo, la possibilità offerta

è ben ampia, in quanto in caso di riorganizzazione il lavoratore potrà vedersi assegnare mansioni: • nuove, quindi diverse; • volendo, anche inferiori; • ma, soprattutto, a discrezione del datore di lavoro. Quindi non sarà necessario alcun passaggio autorizzativo, e alcun rischio per l’azienda potrà manifestarsi a patto di rendere effettiva la riorganizzazione. È proprio quest’ultimo il requisito maestro. Gli stessi contratti collettivi di qualsiasi livello potranno definire opportunità ulteriori rispetto alla riorganizzazione, per legittimare la variazione delle mansioni. Ennesima spinta ad innescare la stagione della contrattazione aziendale che francamente mi rallegra e mi posiziona impaziente sui blocchi di partenza. Tutto oro? Non proprio, emergono comunque sottesi profili di criticità legati agli aspetti della formazione preventiva, nonché mine antiuomo legate agli effetti della “novella” sulla flessibilità esterna (patti di prova e repechage), ma questa è un’altra storia che non deve offuscare la mia odierna vena positiva.

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SETTEMBRE 2015

Credito Ricerca & Sviluppo e Patent Box Sistemi premiali per l’esplorazione imprenditoriale LISA REGAZZO - RUGGERO PAOLO ORTICA

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“Ci sono cattivi esploratori che pensano che non ci siano terre dove approdare solo perché non riescono a vedere altro che mare attorno a sé”, ma per quelli che invece hanno il coraggio di esplorare ecco le agevolazioni a loro rivolte per l’esercizio 2015 e seguenti. CREDITO R&S L’articolo 3, comma 1, del Decreto destinazione Italia, come modificato dalla Legga di Stabilità, prevede il riconoscimento di un credito d’imposta a “tutte le imprese, indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato” che effettuino investimenti in attività di Ricerca & Sviluppo a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019. Sono comprese tra gli investimenti ammissibili al bonus fiscale le spese relative a: • personale altamente qualificato, in possesso di specifici titoli (dottorato di ricerca, laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico secondo la classificazione UNESCO Isced o di cui all’allegato 1 annesso al Decreto destinazione Italia); • quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature con costo unitario non inferiore a 2.000 euro al netto dell’imposta sul valore aggiunto; • spese per contratti di ricerca stipulati con Università, enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese, comprese le start up innovative; 72

• spese per competenze tecniche e privative industriali inerenti un’invenzione industriale o biotecnologica, una topografia di prodotto a semiconduttori o una nuova varietà vegetale anche acquisite da fonti esterne. Fra le spese agevolabili sono comprese anche quelle sostenute per l’attività di certificazione contabile obbligatoria entro un limite massimo annuale di 5.000 euro. Il credito d’imposta è determinato in generale in misura pari al 25% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015. In particolare tale credito è fissato al 50% per le spese sostenute per l’attività di ricerca di cui al terzo punto del precedente paragrafo e per le spese relative al personale altamente qualificato. È previsto che il credito d’imposta possa essere riconosciuto fino a un importo massimo annuale pari a 5 milioni di euro, a condizione che siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo almeno pari a 30.000 euro. Il credito deve essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui è maturato, non concorre alla formazione del reddito, né alla base imponibile Irap.


La vigente disciplina prevede esclusivamente controlli ex post svolti sulla base di apposita documentazione certificata dal soggetto incaricato della revisione legale o dal collegio sindacale o un professionista iscritto nel registro dei revisori legali. Il nuovo credito d’imposta per attività di Ricerca & Sviluppo non può che essere valutato favorevolmente ma non ci si può esimere dal rilevare che la scelta di fare riferimento alle sole spese incrementative rispetto alla media passata, penalizza quelle imprese che, nonostante la crisi degli ultimi anni, hanno comunque continuato a investire e che meriterebbero una qualche misura premiale.

PATENT BOX Altra agevolazione fiscale introdotta dalla Legge di Stabilità e che ha trovato la sua versione definitiva nel decreto investment compact è il PATENT BOX, nuovo regime fiscale opzionale che consente un’esenzione ai fini Ires e Irap dei redditi derivanti dall’utilizzo diretto o indiretto di alcune tipologie di beni immateriali. Si tratta, per la precisione, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, di marchi d’impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché di processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico. Non risulta necessario che il bene oggetto di sfruttamento risulti registrato ma solamente che esso, in base alle norme vigenti, sia potenzialmente tutelabile.

a quello in corso al 31.12.2014: per tale periodo d’imposta e per quello successivo la percentuale di esclusione dal concorso alla formazione del reddito complessivo, viene fissata, rispettivamente, in misura pari al 30% e al 40%, poi a regime al 50%. La quota di reddito agevolabile va determinata applicando al reddito derivante dall’utilizzo del bene una percentuale calcolata in funzione del rapporto fra i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento e lo sviluppo del bene immateriale e i costi complessivi sostenuti per produrre il bene, con la precisazione che i costi derivanti da outsourcing a società dello stesso gruppo e quelli relativi all’acquisizione del bene immateriale sono calcolati solo limitatamente al 30% al numeratore, mentre al denominatore pesano per intero.

scenari

L’agevolazione viene estesa anche al caso di cessione degli assets indicati nella norma: in tale caso, infatti, la plusvalenza realizzata non concorre a formare il reddito complessivo, in quanto esclusa, a condizione che almeno il 90% del corrispettivo derivante dalla cessione dei predetti beni venga reinvestito nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali tra quelli sopra indicati. Tale reinvestimento deve essere effettuato prima della chiusura del secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui la cessione è stata effettuata. La detassazione può avere luogo previa apposita opzione che ha durata cinque esercizi sociali ed è irrevocabile.

Condizione necessaria per l’accesso al regime è che i soggetti titolari di reddito d’impresa svolgano attività di ricerca e sviluppo e che tale attività sia finalizzata alla produzione di specifici beni immateriali. L’agevolazione è diretta a tutti coloro che producono reddito d’impresa e prevede la detassazione del reddito derivante dall’utilizzo dei suddetti beni a partire dal periodo d’imposta successivo 73


SETTEMBRE 2015

Controversie internazionali Esplorare le soluzioni arbitrali per la risoluzione LUCIA BRESSAN

lbressan@studio-bressan.com

Quando una business entity si affaccia al mondo è necessario sia conoscere le peculiari regole che disciplinano il business individuato sia determinare le modalità di risoluzione di eventuali future controversie. Superata la scelta tra arbitrato e giurisdizione ordinaria in favore del primo, spesso l’indagine prosegue con la ricerca dell’organismo più adatto al singolo caso, senza trascurare l’interrelazione sociale, la cultura e le tradizioni del Paese di appartenenza del cliente o partner commerciale. Retaggi profondamente radicati nella cultura di appartenenza rappresentano aspetti fondamentali da valutare quando ci si rapporta con soggetti esteri. Cos’è l’arbitrato? L’arbitrato è un procedimento “privato” di risoluzione delle controversie che viene solitamente previsto in una clausola contrattuale inclusa in accordi commerciali - in particolare internazionali - ovvero in un separato accordo scritto tra le parti. Nella prassi, un arbitro o un collegio di arbitri viene investito della questione la cui decisione (il lodo arbitrale) vincola le parti. Se le parti decidono di regolamentare direttamente nel contratto gli aspetti dell’eventuale arbitrato (modalità di designazione degli arbitri, procedura arbitrale, ecc.) quest’ultimo si definisce ad hoc; diversamente, con il ricorso all’arbitrato amministrato, le parti intendono riferirsi ad un organismo specializzato nell’organizzazione e gestione di arbitrati ed al regolamento arbitrale dallo stesso adottato. L’arbitrato internazionale costituisce lo strumento privilegiato per la risoluzione di controversie commerciali internazionali, grazie ad una serie di convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione di New York del 1958 sul 74

riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere cui hanno aderito circa 150 paesi. Quali sono i fattori da considerare nella scelta del metodo di risoluzione della controversia? I più importanti elementi di cui tenere conto sono I) il costo e II) il tempo. Mentre il raffronto tra i costi del contenzioso civile e l’arbitrato è agevole, spesso le parti ignorano che il tempo rappresenta un fattore estremamente importante; più veloce è il metodo prescelto e più le parti saranno incentivate alla definizione della questione, anche in vista di limitare i danni nelle loro relazioni d’affari. Altro aspetto non trascurabile è III) la confidenzialità e riservatezza della controversia e di ogni aspetto della stessa nonché IV) l’equità e la terzietà dell’organizzazione arbitrale nello svolgimento in modo imparziale del compito assunto. Infine, ma non da ultimo V) l’efficacia è il fattore più importante per l’esecutività della decisione finale. Infatti, con riferimento all’arbitrato internazionale,

la ratifica della Convenzione di New York del 1958 obbliga gli stati firmatari al riconoscimento ed alla esecuzione di sentenze arbitrali straniere. Che significa? Nel contesto dei contratti internazionali il ricorso alla autorità giudiziaria ordinaria è reso complesso dalla presenza di sistemi giurisdizionali statali che solo in parte sono coordinati tra loro. La previsione di una clausola arbitrale contenuta nel contratto preclude le parti al ricorso alla giustizia ordinaria (il giudice invocato ha l’obbligo di dichiararsi incompetente) ed il lodo pronunciato, nel rispetto dei criteri e delle regole fissati dalla Convenzione, sarà riconosciuto dal Paese in questione. Quanti e quali sono gli organismi o camere arbitrali attive nel commercio internazionale? Difficile determinare con precisione il numero totale. Quelle più attive nell’amministrazione di procedimenti arbitrali in Italia sono la Camera Arbitrale nazionale e internazionale di Milano e


l’Associazione italiana per l’Arbitrato (AIA) di Roma. Per i procedimenti arbitrali all’estero la International Chamber of Commerce (ICC) di Parigi, la London Court of International Arbitration (LCIA), l’Arbitration Institute of the Stockholm Chamber of Commerce (SCC), il Vienna International Arbitral Centre (VIAC), il Netherlands Arbitration Institute (NAI) di Amsterdam, la American Arbitration Association (AAA) e l’International Centre for Dispute Resolution (ICDR) per gli Stati Uniti, il Cairo Regional Centre For International Arbitration (CRCICA) ed il China International Economic and Trade Arbitration Commission (CIETAC) di Pechino per citarne alcuni. Senza contare poi che esistono numerose associazioni di categoria degne di nota e riconosciute a livello internazionale per il mercato di riferimento come quello dello zucchero, del grano, della lana, del caffè, del cacao, ecc. e prevedono la costituzione di organismi di conciliazione e arbitrato. In Italia, a Genova, è attiva la Camera Arbitrale Italiana del Caffè, la Camera Arbitrale del Commercio dei Cereali e Semi e la Camera Arbitrale

delle Pelli; a livello internazionale rilevano la Federation of Oils, Seeds and Fats Association (FOSFA), il Grain and Feed Association (GAFTA), la London Metal Exchange (LME), la Association of Sugar Producers (RSA+SAL), la Federation of Trade in Cocoa (FCC), la International Coffee Organization (ICO), tutte con sede a Londra. Conclusione Gli elementi da valutare con particolare attenzione nella scelta dell’organismo più adatto alla soluzione della eventuale controversia sono molteplici. Al di là di aspetti puramente economici (costi dell’arbitrato in rapporto al valore della controversia), è necessario accertare che la legge del Paese della controparte non precluda o preveda limitazioni all’uso dello strumento arbitrale (es. limitazione alla sottoponibilità ad arbitrato di particolari tipi di controversie considerate “non arbitrabili”) e in che misura le Corti interessate si siano in concreto conformate alla Convenzione di New York del 1958. Dopo sarà opportuno operare la scelta tra arbitrato ad hoc ed

scenari arbitrato amministrato e la scelta circa l’organismo che meglio si adatta al caso di specie ed alla materia del contendere sulla base della specializzazione, delle competenze e delle capacità degli arbitri nel frattempo acquisite. Non senza sorpresa, da ultimo, il Paese di appartenenza della controparte potrebbe essere il più importante elemento da considerare (es. i soggetti appartenenti ai paesi islamici potrebbero pretendere la scelta del The Cairo Regional Centre for International Arbitration così come i soggetti appartenenti alla Repubblica Popolare Cinese potrebbero pretendere mezzi di risoluzione delle controversie più in sintonia con la cultura e le attitudini cinesi, quali la consultazione/negoziazione e la conciliazione/mediazione prima di rivolgersi alla CIETAC).

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Il nuovo che avanza e la rivolta del vecchio mondo I luddisti, i tassisti e il Tribunale di Milano ANDREA MANUEL

Una recente sentenza del Tribunale di Milano interviene su un campo particolarmente sensibile e di grande attualità: lo scontro tassisti-UBER POP, che ricorda un po’ quello tra i luddisti e le macchine industriali Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in Materia di Impresa, con ordinanza del 26.05.2015 ha inibito, in via d’urgenza, “disponendo una penale per il ritardo nell’attuazione del comando giudiziale, l’utilizzazione sul territorio nazionale della APP denominata UBER POP e comunque l’organizzazione e la promozione di un servizio che prevede il trasporto di

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passeggeri da parte di soggetti privi di autorizzazione amministrativa e/o di licenza, prestato dietro corrispettivo e su richiesta del trasportato, in modo non continuativo o periodo, sui itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta”. Nessuno sa con certezza se Ned Lud fosse una persona reale o soltanto un

prodotto di una leggenda. Ma sta di fatto che in suo nome, 200 anni fa, in Inghilterra, i frameworks knitters, ossia i lavoratori di calze e maglie al telaio, organizzarono la prima insurrezione violenta contro le macchine della storia dell’umanità conosciuta, appunto, come la rivolta luddista.


scenari

Ritenevano i lavoratori che l’introduzione delle macchine nelle lavorazioni tessili avrebbe, di fatto, comportato una quasi totale perdita dei posti di lavoro. I tassisti di Milano si sono opposti, anche violentemente, alla app Uber per delle motivazioni che, pur con i dovuti “distinguo” sono molto simili. Il tassista non ce l’ha con l’app e neppure con il telefono cellulare, tant’è che poi gli stessi tassisti, pur con un po’ di ritardo, sviluppano delle applicazioni per gli smartphone. Ciò che non piace al tassista è, e questo è comprensibile, che ci siano più persone che possono fargli concorrenza nelle forniture dello stesso servizio. Per tale motivo protestano con una via certamente meno violenta di quella di Ned Lud e si rivolgono al Tribunale di Milano. Il Tribunale accoglie la loro protesta e, diciamolo subito, da un punto di vista “stretto diritto” la pronuncia appare assolutamente corretta. La strategia del contrasto, infatti, ha fatto perno sulla violazione delle norme codicistiche sulla concorrenza sleale e nel primo step del procedimento cautelare risulta vittoriosa. Il Tribunale ambrosiano ravvisa sia gli estremi della scorrettezza

nella condotta del gestore del servizio, sia la sussistenza del “periculum in mora”, atteso che ad avviso del Giudicante vi è una potenzialità di crescita del fenomeno esacerbato dalla concomitanza con l’Expo di cui si paventano ripercussioni anche al di là del capoluogo lombardo. A livello di fumus boni juris, ha avuto un peso determinante la ricostruzione del quadro normativo nazionale contrassegnato, nel campo dei servizi di taxi e di noleggio con conducente, da un elevato tasso di regolamentazione, e da consistenti barriere amministrative all’accesso. Certo è che, in questa maniera, non si va da nessuna parte. Hanno ragione i tassisti: hanno pagato fior di quattrini una licenza e, improvvisamente, si trovano di fatto estromessi dal mercato. Ha ragione Uber: la protesta dei tassisti assomiglia, molto, alla distruzione delle macchine tessili per la paura di perdita di posti di lavoro. Il ragionamento, però, del Tribunale di Milano è assolutamente ineccepibile. Finchè vi sono delle norme, le stesse vanno rispettate.

Aprire il servizio di taxi a tutti è una violazione dei principi di correttezza professionale, comporta un indebito sviamento della clientela, non vi sono alcune garanzie che le prestazioni vengano rese con un controllo sia di idoneità di autisti e mezzi sia di regolarità fiscale. Certo è che, apparentemente, sembra che la legge sia contraria all’innovazione: questo è il messaggio che rischia di passare esaminando, acriticamente, la sentenza del Tribunale di Milano. Invece bisogna tener conto che, nello stato attuale delle cose, senza interventi legislativi, la stessa appare assolutamente corretta. Quello che manca, nella fattispecie, non è certamente una attenzione da parte della Magistratura ad un fenomeno in espansione ma una regolamentazione del fenomeno. È certo che non si può impedire al nuovo di avanzare ma è altrettanto certo che l’eliminazione, senza alcuna regolamentazione di norme poste anche a tutela della incolumità delle persone, non può essere sic et simpliciter accettata senza alcun controllo.

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LAVORARE CON IT E ICT Da contabile ad abile consigliere dell’azienda Maria Cristina Zamburlini: come cambia il responsabile amministrativo

Negli uffici amministrativi e finanziari delle aziende è in corso una vera e propria trasformazione: i responsabili di queste aree hanno un ruolo sempre più decisivo nella definizione della strategia aziendale. Ne parliamo con Maria Cristina Zamburlini, che a inizi 2015 ha fatto ingresso in Eurosystem come nuova responsabile amministrativa e finanziaria, a coronamento di un progetto di crescita che ha visto l’azienda diventare una SpA e avviare un piano di business triennale certificato dalla multinazionale PwC. Maria Cristina, raccontaci qualcosa di te. Qual è il tuo percorso professionale? La mia carriera professionale è iniziata come contabile/ responsabile amministrativa in una cooperativa di progettazione e sin da allora mi sono sentita molto a mio agio in tale ruolo. Alcuni anni dopo ho partecipato quasi per gioco a un concorso presso la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, sono stata subito selezionata per una sede piuttosto prestigiosa e lì ho iniziato la mia carriera in ambito bancario. In Cassa di Risparmio ho fatto la classica “gavetta”, specializzandomi nella gestione dei rapporti con le imprese e nella direzione di gruppi di lavoro. Nel 2009 ho ricevuto un’interessante offerta da un gruppo di società di ingegneria che cercava un Responsabile Finanziario oltre che Amministrativo e sono tornata a fare il lavoro che da sempre mi ha appassionata di più. Cosa ti ha portato al cambiamento? Quali nuovi obiettivi hai oggi in Eurosystem? La realtà in cui ero inserita ha cominciato ad andarmi stretta nel momento in cui, anche a seguito di cambiamenti macro economici, non sono più riuscita a condividere le scelte aziendali e l’impostazione della gestione finanziaria. Eurosystem mi ha colpito già a una prima lettura della presentazione aziendale, ne ho condiviso da subito la mission. È un’azienda che cavalca il mercato con grinta, ma allo stesso tempo con una forte attenzione 78

green e sociale. Ho quindi deciso di partecipare attivamente alla trasformazione aziendale in atto con l’obiettivo di diventare un riferimento per la necessaria coesione delle risorse umane provenienti dalle 5 realtà precedenti, e costruire un efficiente centro di gestione amministrativa e pianificazione finanziaria per la nuova società. La tua è un’esperienza duplice, da una parte la banca e dall’altra l’azienda: come si è evoluto secondo te il rapporto tra queste due entità negli anni? Ho lavorato in istituti di credito per 18 anni e il rapporto bancaazienda in questo arco di tempo si è radicalmente trasformato. Vent’anni fa l’imprenditore si rivolgeva alla banca chiedendo consigli, trovando anche risposte e ampia disponibilità. Il Direttore conosceva tutti i propri clienti e condivideva con gli stessi il rischio d’impresa. Una decina d’anni fa c’è stato un forte cambio di rotta difronte a un tessuto imprenditoriale impreparato. Io al tempo ero gestore della piccola impresa e ho vissuto questo cambiamento in prima persona. Le banche hanno cominciato a chiedere bilanci, business plan, report quando le aziende di piccole, ma anche medie dimensioni, non erano ancora attrezzate. Ora il dialogo banca-impresa sta trovando un equilibrio, l’imprenditore sa che deve presentarsi con un progetto e con un piano temporale di copertura dello stesso; certo è venuto a mancare quel valore aggiunto di reciproca conoscenza/fiducia che nel passato è stato alla base anche di iniziative imprenditoriali di successo.


Cosa le banche potrebbero fare di più per le aziende? Dovrebbero avere tempi di risposta più rapidi e maggiore elasticità nel calcolo del rating che spesso le ingessa per quanto riguarda le condizioni applicate e la concedibilità di credito. Inoltre, a livello costi, considerato che le aziende ormai gestiscono online tutta l’operatività, dovrebbero abbassare le commissioni sulla movimentazione ed essere parte integrante dell’attività aziendale. Come stanno cambiando le tematiche finanziare per le aziende? Diciamo che ora i finanziamenti sono più mirati, le banche finanziano investimenti che sono anche progetti e, solo marginalmente, carenze di liquidità, quest’ultime limitate a esigenze di rotazione del magazzino o ad agevolazioni per pagamento di imposte. In passato, invece, spesso era la banca a proporre un finanziamento anche in assenza di domanda da parte delle aziende. Una recente ricerca di Oracle e Accenture - “The CFO as Catalyst for Change” - ha stabilito che c’è un aumento della responsabilità dei direttori amministrativi/finanziari nella definizione della strategia aziendale: è vero secondo te? In cosa consisterebbe questo aumento di responsabilità?

conosciamoci STILE LIBERO

L’uso della tecnologia nella gestione dei costi: quale valore aggiunge? Sicuramente un’adeguata tecnologia ha un impatto determinante per una realizzazione efficace ed efficiente delle funzioni amministrativo/finanziarie e del controllo di gestione. Ho avuto precedenti esperienze, meno positive di quest’ultima in Eurosystem, in cui i software gestionali costituivano spesso un collo di bottiglia anziché agevolare gli operatori, o comunque non erano in grado di dare le necessarie risposte con la precisione richiesta. Ora in Eurosystem è tutto diverso, ho a disposizione una serie di strumenti di forte supporto all’azione amministrativa e che rendono agevole la valutazione e gestione strategica dei costi, la pianificazione delle risorse finanziarie, la conoscenza precisa della dinamica economica aziendale. Strumenti quindi che permettono di gestire l’azienda non solo in un’ottica di risparmio e contenimento dei costi, ma soprattutto di crescita.

La figura del “ragioniere” inteso come mero contabile sta scomparendo, ora al responsabile amministrativo si chiedono conoscenze più ampie in ambito finanziario ma spesso anche di gestione delle risorse umane. La governance aziendale è più concentrata su strategie di mercato demandando al responsabile amministrativo sia la scelta dei mezzi finanziari più consoni con obiettivi di risparmio in termini di oneri finanziari, che una forte partecipazione nel controllo di gestione al fine di armonizzare il rapporto tra scelte produttive e risorse finanziarie. Io stessa, in questa esperienza come nella precedente, oltre a essere responsabile della correttezza dei dati di bilancio, mi trovo a dialogare con le banche per scelte di tipo finanziario e con il consulente del lavoro per le problematiche relative al personale. A proposito di “obiettivi di risparmio”, molto spesso il responsabile finanziario viene visto come qualcuno che frena gli investimenti: di cosa c’è bisogno affinché questo ruolo possa diventare, e di conseguenza essere visto, come risorsa strategica per la crescita aziendale? Il responsabile finanziario dovrebbe essere sempre a conoscenza degli obiettivi della proprietà, solo così questa figura può diventare davvero quella di un abile consigliere e si può evitare di creare una spaccatura tra chi vuole investire e chi ha in mano il polso della situazione finanziaria.

Maria Cristina Zamburlini Responsabile amministrativa e finanziaria di Eurosystem SpA

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Motta di Livenza: tecnologia e multidisciplinarietà per un percorso riabilitativo d’eccellenza Incontro con l’Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione (ORAS)

L’Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione di Motta di Livenza (TV) nasce nel gennaio 2004 come società a capitale misto pubblico-privato e progetto di sperimentazione gestionale della Regione Veneto. Accreditato con il servizio sanitario nazionale, oltre all’attività ambulatoriale e radiologica, ha come principali specializzazioni la riabilitazione cardiovascolare e polmonare, la riabilitazione di gravi cerebrolesioni acquisite e mielolesioni, la riabilitazione muscolo-scheletrica, la medicina generale e lungodegenza. Innovazione, tecnologia e multidisciplinarietà sono gli ingredienti che fanno di questa struttura un’eccellenza. A presentarcelo è l’amministratore delegato Francesco Rizzardo.

L’Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione di Motta di Livenza (TV) nasce nel gennaio 2004 come società a capitale misto pubblico-privato e progetto di sperimentazione gestionale della Regione Veneto. Accreditato con il servizio sanitario nazionale, oltre all’attività ambulatoriale e radiologica, ha come principali specializzazioni la riabilitazione cardiovascolare e polmonare, la riabilitazione di gravi cerebrolesioni acquisite e mielolesioni, la riabilitazione muscolo-scheletrica, la medicina generale e lungodegenza. Innovazione, tecnologia e multidisciplinarietà sono gli ingredienti che fanno di

questa struttura un’eccellenza. A presentarcelo è l’amministratore delegato Francesco Rizzardo. Qual è la peculiarità dell’Ospedale Riabilitativo di Alta Specializzazione di Motta di Livenza? Nodo di rete monospecialistico di riferimento regionale dal 2013 per la riabilitazione, l’Ospedale Riabilitativo elabora progetti riabilitativi individuali per tutti i pazienti con disabilità transitorie o permanenti ricoverati in modalità di degenza ordinaria o diurna. La Struttura ha aumentato la sua operatività, rispondendo a condizioni di disabilità con maggiori complessità grazie a risorse umane pluridisciplinari e tecnologiche dedicate di cui l’Ospedale è dotato. La qualità degli interventi riabilitativi infatti è migliorata anche grazie all’evoluzione tecnologica che ha investito il settore dispositivi medici. Impegnata sul tema della continuità assistenziale e orientata alle realtà territoriali, in questi anni la struttura ha ottenuto un formale riconoscimento del suo impegno mediante la costituzione del dipartimento interaziendale di riabilitazione con l’azienda Ulss 9 di Treviso.

Francesco Rizzardo Amministratore Delegato di Oras S.p.A. 80


Quali sono le fasi di un percorso riabilitativo? Ciascun progetto riabilitativo viene predisposto da un team composto da professionisti con competenze differenziate nella cui concretizzazione l’assistito e la sua famiglia vengono coinvolti attivamente tenendo in considerazione le risorse a disposizione, le condizioni cliniche della persona, il suo potenziale di recupero, le sue necessità e quelle dei suoi familiari. Durante il percorso riabilitativo volto a reinserire l’assistito nel proprio ambiente quotidiano di vita e lavoro, possono prendere parte al team, oltre a professionisti interni alla struttura, anche figure professionali esterne, ad esempio il tecnico ortopedico, il mediatore linguistico e culturale, l’assistente sociale e altri medici. Alla conclusione del programma riabilitativo, con lo scopo di garantire la continuità assistenziale anche dopo la dimissione, il team può suggerire indagini che l’assistito dovrà effettuare nelle settimane successive alla dimissione. Qualora il caso specifico lo richieda viene attivata una dimissione protetta, condivisa con il medico di medicina generale, l’assistente sociale e altro personale del distretto sanitario di competenza. Quanto è importante il contributo della tecnologia nella riabilitazione? La riabilitazione è un’area della medicina che rispetto ad altre è ancora quasi esclusivamente dipendente dall’attività del fisioterapista. La tecnologia in questo ambito si affianca al lavoro dell’operatore con l’obiettivo di facilitare il recupero e la rieducazione funzionale per migliorare la qualità di vita del paziente. Un esempio di tecnologia a supporto dell’attività clinica in questo settore sono i sistemi robotici che consentono al paziente di effettuare sequenze di allenamento ripetitivo e all’operatore valutazioni qualitative e quantitative del progresso raggiunto. Anche la nostra struttura da maggio 2015 si è dotata di uno degli ultimi sistemi introdotti sul mercato nel campo della robotica per la neuro-riabilitazione: l’esoscheletro.

medicina

STILE LIBERO

alla deambulazione attraverso il movimento del passo e la riorganizzazione neurologica, stimolando il circuito del cammino. Proprio per queste sue caratteristiche viene applicato nella riabilitazione di pazienti con lesione midollare, ictus e lesione cerebrale. Fondamentale per la valutazione degli outcome, è l’analisi del cammino effettuata prima e dopo il ciclo riabilitativo con l’esoscheletro, durante la quale l’equipe riabil itativa misura parametri quantitativi e qualitativi del cammino al fine di monitorare il raggiungimento degli obiettivi fissati nel progetto riabilitativo del singolo paziente. Oltre a quanto detto, il grande valore aggiunto di questo sistema è che favorisce la possibilità di effettuare l’attività riabilitativa e la rieducazione alla deambulazione nei contesti più vari, non soltanto nelle palestre o nelle stanze di degenza, ma anche nelle aree ricreative e nei giardini della struttura, grazie al fatto che la preparazione del paziente è rapida e che l’esoscheletro alimentato a batterie ricaricabili ha una buona autonomia di funzionamento. Come viene gestito l’aspetto umano della riabilitazione? La collaborazione tra unità operative e la condivisione dei servizi a supporto dei percorsi riabilitativi sono tra gli altri aspetti che caratterizzano l’attività di questa struttura, dove il paziente può partecipare a gruppi psicoeducazionali, tecniche di rilassamento, consulenze individuali e colloqui di sostegno individuali per sé e per i familiari.

Ci descriva l’esoscheletro. Che valore aggiunto conferisce al progetto riabilitativo? Il sistema di cui la struttura si è dotata è l’EKSO GT™, prodotto da una società californiana - Ekso Bionics Inc. - pioniera degli esoscheletri robotici indossabili e attualmente installato in una decina di centri in Italia. Il nostro sistema è stato il primo collaudato nel Triveneto a conferma di quanto l’ORAS sia attenta alle tecnologie d’avanguardia. Questo esoscheletro permette al paziente di alzarsi dalla posizione seduta e di camminare con l’ausilio di stampelle o deambulatore, fornendogli l’assistenza necessaria in base alle capacità del soggetto. Grazie al fatto che riproduce il cammino fisiologico, può favorire la rieducazione

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A SCUOLA SENZA BANCHI E A SPASSO PER LA CITTÀ eMotion learning per imparare la lingua

Emozione, movimento e insegnamento sono i tre cardini di questa nuova metodologia per insegnare l’inglese. Matteo Rignanese, CEO di 2NYC, nonché ideatore di questo nuovo progetto, ci spiega come a New York si possa imparare l’inglese avendo come aula la città. Che cos’è l’eMotion Learning? Un modo differente di vivere la lingua e la città mettendo al centro le emozioni di cui New York è ricca e la scoperta di luoghi, quindi il concetto di movimento. Pertanto eMotion learning mette insieme tre concetti che si mescolano fra di loro: Emotion, motion e learning. Dove nasce l’idea? L’idea nasce da quando sono stato la prima volta a NY: da ottobre 2008 a gennaio 2009, voleva essere una pausa dalla mia vita italiana. In Italia lavoravo allo sviluppo del business di una scuola d’inglese. Di qui il desiderio di una esperienza all’estero, così sono venuto a NY e mi sono iscritto ad una scuola d’inglese. Dopo l’entusiasmo iniziale, dovuto alla nuova città, ho capito che il corso d’inglese fatto in quel modo non faceva per me. Sono diversi i motivi che mi hanno portato al rifiuto: perché ero tra quattro mura con un gruppo di persone numerose, un insegnante madrelingua che doveva interagire con troppa gente, i soliti libri, insomma tutte cose che avrei potuto trovare anche in Italia. Io scalpitavo invece per avere un rapporto più ravvicinato con la NY vera, quella di tutti i giorni che non si sposa particolarmente con l’inglese delle scuole. Così ho iniziato a prendere lezioni private 82


con un insegnante con cui avevo appuntamento in posti pubblici per strada, e questo mi entusiasmava perché vivevo l’inglese con la città. Nota dolente, l’insegnante era molto annoiato e poco entusiasta e questo non giovava al mio apprendimento. Quando mi sono trasferito nel 2010 ho cominciato a mettere insieme i vari pezzi di questa idea. Al Central Park con due amiche del posto, mi sono reso conto che è stato come trovarsi in un film, perché le due signore hanno iniziato a parlare delle loro vicissitudini, con ironia, tristezza, gioia e simpatia. Beh mi sono divertito talmente tanto che nonostante il mio scarso inglese capivo quasi tutto quello di cui parlavano. L’insegnante annoiato e le due pazze amiche sono stati i due momenti che hanno dato vita all’idea. Volevo far apprendere l’inglese alle persone vivendo la città con dei tutor autoctoni entusiasti di trasmettere la loro conoscenza. Vorrei chiarire che non sto sminuendo la scuola tradizionale, diciamo che l’una non esclude l’altra.

il viaggio

STILE LIBERO

È un percorso che vale anche per chi ha un inglese basico? Sì, vale per tutti i livelli. Lo svolgiamo in modo individuale oppure uno a due. Anche se le basi di inglese sono scarse, l’entrare in empatia con il tutor il quale si adegua di volta in volta al livello dello studente, assicura dei risultati notevoli. La modalità individuale permette al tutor di tarare il suo livello con quello dello studente. Inoltre, c’è una anche un aspetto importante, una sorta di soglia di attivazione. Da ingegnere mi viene facile pensare ad un paragone legato alla chimica: quando non c’è sufficiente energia non avviene la reazione desiderata, nel senso che se non senti la fatica non si sperimentano i benefici. Le nostre lezioni hanno una durata giornaliera di 3-4 ore, ed è proprio questa interazione continua che ti mette nella situazione “soglia di attivazione” difficile distrarti perché sei one to one. Anche una settimana basta per avere delle differenze significative dal primo giorno. Ci racconti una giornata tipo? Partiamo dal presupposto che i percorsi sono differenti se parliamo di persone che sono già venute a NY o meno. Prendiamo studenti che non sono mai stati in questa città. In queste quattro ore proponiamo tre location diverse, contenuti e attività. Utilizziamo NY come parte integrante dell’interazione, senza che il percorso diventi un tour turistico guidato. Prima tappa, la stazione centrale di Manhattan, qui c’è un aspetto architettonico curioso, ovvero, un arco che permette di parlare da una parte all’altra senza alzare la voce. Si mostra un video, si commenta con il tutor e si vive in diretta quello specifico episodio. Non solo, si comincia a parlare dei vari film che sono stati girati proprio in questa location, e così via. 83


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Seconda tappa, Top of the Rock, che è la terrazza panoramica del Rockfeller. Da cui facciamo vedere una mappa reale della città, dove poter individuare i vari quartieri come Little Italy, il quartiere cinese, o la conformazione del territorio: un’isola che spesso passa inosservata perché si perde tra i vari grattaceli. Attraverso il tablet facciamo ascoltare una canzone nota che riprende alcuni aspetti di quel posto, e poi ci si sofferma per commentarlo.

del tutto gratuito: dal sedersi semplicemente a leggere, a lavorare, o provare una scena teatrale. Questo parco pullula di attività ed è un’ottima fonte di contenuti stimolanti. Tra una tappa e l’altra il tutor fa una sorta di verifica di apprendimento del cliente per tarare ulteriormente il suo livello di inglese sulla persona. L’interazione con l’ambiente in real time permette un apprendimento più veloce e assimilabile.

DA VEDERE

Quanto costa una settimana?

DUMBO (BROOKLYN) New York non è solo Manhattan! È importante esplorare anche le zone limitrofe per assaporare scorci, stili di vita e atmosfere sempre diverse. A Dumbo si respira un’aria antica, da vecchia città industriale con le strade di ciottoli e gli edifici che una volta erano zuccherifici e fonderie di ferro e ottone. Qui lo spirito bohemien si mescola ad ambienti all’avanguardia e sperimentali. Il consiglio di 2NYC è quello di “perdersi” per i suoi vicoli o di essere accompagnati da una loro tutor, nata a pochi passi da dove è stata scattata questa foto, per scoprire insieme a lei la storia di questo quartiere e la sua evoluzione.

Terza tappa Bryant Park, un luogo molto particolare perché circondato interamente dai grattacieli. Potrebbe essere l’altra versione di un’aula ma in un contesto vivo della città. A NY i cittadini vivono molto fuori casa, è per questo che la città è organizzata in spazi dove fare le più svariate attività in modo

Si parte da circa 1000 euro, e poi si personalizza il servizio secondo le esigenze del cliente. Il periodo ideale è di tre mesi perché è il periodo di durata massima del visto in America. Comunque dipende da diversi fattori: durata, intensità e l’eventuale alloggio. Un altro aspetto interessante dell’esperienza personalizzata è l’incontro con persone del settore professionale di interesse del cliente. Faccio un esempio: è venuto un DJ che è stato seguito da due tutor: una fa la cantante jazz e l’altra lavora in un’azienda che fa supporto logistico a tutte le troupe televisive che vengono a filmare a NY. Questo cliente è impazzito letteralmente di gioia, perché si è trovato a parlare con personaggi visti in TV o sulle copertine dei CD. Certo non possiamo rendere il corso specialistico sulle PR piuttosto che le risorse umane ma possiamo attingere dai variegati background dei tutor che hanno un qualche tipo di legame con lo specifico settore del cliente. Dove “reclutate” le figure dei tutor? Tutti i nostri tutor devono essere di NY, ma non necessariamente insegnanti di inglese, anzi noi cerchiamo persone che fanno altro e che mettono la loro esperienza, le loro passioni nel percorso didattico. Circa il 70% della didattica è strutturata, il 30% lo lasciamo all’individualità del singolo tutor. Li scegliamo per conoscenza diretta, siamo partiti da una base e poi abbiamo cominciato a chiedere loro di presentarci delle persone che potessero svolgere questo lavoro seguendo la filosofia dell’azienda. Preferiamo un rapporto diretto per capire sì le loro capacità, ma soprattutto verificare la parte umana che serve per entrare in empatia con il cliente. Un’altra caratteristica importante è che il tutor deve essere perfettamente integrato nella città, perché così può avere storie di vita da raccontare legate alle varie location. Tutto materiale che arricchisce la parte dei contenuti del percorso. Nel condurre un turista succede che anche il tutor arrivi a guardare ed esplorare la città con occhi diversi dai propri? Insomma l’esperienza dell’esplorazione può essere contagiosa e vissuta anche dall’altra parte?

Matteo Rignanese CEO di 2NYC 84

Come dicevo prima uno degli elementi su cui si basa questo progetto è l’entusiasmo del tutor che se parla di qualcosa che


lo appassiona è facile che riesca a coinvolgere il cliente. Una delle nostre tutor dice che ogni volta per lei è come rivivere la città con l’occhio di chi non la conosce. Quindi sì, è una forma di esplorazione della città attraverso un occhio diverso. In che modo la tecnologia si integra all’aspetto umano nel fare vivere l’esperienza dell’esplorazione? La tecnologia è uno strumento di supporto, noi usiamo molto il tablet. Io per mia natura sono molto attratto dalla tecnologia e quando mi rendo conto che questa può essere da supporto per rendere questa esperienza ancora più reale, la esploro e la utilizzo. Un’idea su cui sto rimuginando è quella di un App della realtà aumentata che si integri in modo semplice con la tecnologia attuale dando ancora più spazio all’esperienza dei contenuti. Comunque noi siamo su www.2nyc.us se volete venirci a trovare.

HIGH LINE (CHELSEA) La High Line è un parco sopraelevato costruito sui resti di una ferrovia abbandonata che attraversa uno dei quartieri oggi più cool di Manhattan, Chelsea. È il classico esempio di come dal niente, da un rifiuto industriale come ferrovia dismessa, i newyorkesi abbiano fatto nascere qualcosa che è anche più di un’attrazione turistica. Oggi la High Line è il punto di ritrovo per chi vive a NY e vuole rilassarsi facendo jogging, partecipando a incontri e workshop che vengono organizzati al suo interno o semplicemente passeggiando in questa stupenda area verde e pedonale che si snoda tra i grattacieli.

DA VEDERE

il viaggio

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SETTEMBRE2015 SETTEMBRE 2015

IL FASCINO DEI FONDALI MARINI TRA FAUNA, FLORA E RELITTI Intervista al presidente Federazione Italiana Attività Subacquee (FIAS)

L’esplorazione dei fondali marini alla ricerca della fauna e della flora ma soprattutto di una storia passata affondata tanti anni or sono e riportata a galla da tanti appassionati sub. Bruno Galli spiega come la maggior parte delle scoperte siano casuali, ma per arrivarci è necessaria una formazione teorico/pratica importante. 86

Fotografie di Max Sargentini © tutti i diritti riservati


In questo numero il tema è l’esplorazione e lo sport subacqueo ha questa caratteristica nel suo DNA. Come vive il rapporto con questo aspetto?

sport

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L’ambiente sottomarino ha una diversità che ti permette l’esplorazione in tre direzioni e questo arricchisce di molto le possibilità di fare e ammirare aspetti nuovi. Sì, certo, ci sono le bombole dell’aria che possono essere d’intralcio per vivere a pieno questo ambiente, ma ci si abitua e diventano un’estensione del proprio corpo. Nulla tolgono al senso di libertà, di silenzio e di meraviglia che si prova quando si è in immersione. Ci racconta alcune scoperte interessanti? Sono state fatte scoperte a vari livelli. Abbiamo ritrovato relitti di valore archeologico, navi romane, palafitte nei laghi del Varesotto. Come anche navi affondate più recenti. I nostri mari sono molto ricchi e questi rinvenimenti sono sempre stati casuali. Mi viene in mente la nave romana scoperta nel porto dell’isola del Giglio, in Toscana, dove purtroppo per mancanza di fondi, non è stato possibile continuare i rilievi da parte della Soprintendenza. Oppure varie scoperte fatte nella zona di Gioiosa Ionica, qui abbiamo trovato parecchi relitti appartenenti all’ultima guerra mondiale, come i sommergibili. La Sardegna è un’altra zona molto ricca in questo senso. Con le nuove tecnologie e con l’introduzione dell’uso delle miscele e dei rebreather (apparecchio a circuito chiuso) si riesce ad andare a maggiori profondità, e questo ha permesso anche di esplorare relitti che non avremmo mai potuto scoprire qualche anno fa. Oltre l’aspetto di ciò che il mare ha inghiottito, c’è tutta la parte della flora e fauna, molto diverse da mare a mare e proprio per questo una più bella dell’altra. Ognuna ha la sua particolarità e il suo fascino. Quali caratteristiche deve avere un sub per diventare tale? Se pensiamo a quando questo sport ha iniziato la sua divulgazione, avrei detto che si cercava nell’aspirante sub prestanza fisica e una certa dose di coraggio. Poi con il miglioramento della didattica e della tecnologia questo sport non è più considerato pericoloso, per intenderci ha lo stesso rischio che può avere il bowling. Pertanto oggi non sono necessarie doti particolari. I corsi solitamente iniziano dai 9 anni in su e possono proseguire fino a ottant’anni e oltre. Un esempio è stato Raimondo Bucher (un pioniere della subacquea) che a 90 anni faceva ancora immersioni a grandi profondità. Serve però tanta passione, quella sì, e un’adeguata preparazione teorica e pratica indispensabile per una buona e piacevole performance in immersione. 87


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Qual è il percorso per diventare sub?

Fotografie di Max Sargentini © tutti i diritti riservati

FIAS E I SUOI COMPITI La Federazione Italiana Attività Subacquee è una associazione sportiva che da oltre 40 anni promuove lo sport subacqueo e le attività subacquee in genere, e opera su tutto il territorio italiano. Inoltre svolge tutte quelle ulteriori attività che sono connesse con l’ambiente acquatico, con particolare attenzione alla protezione e alla conservazione delle biodiversità e delle specie acquatiche. L’attività principale è la formazione e la didattica, FIAS organizza corsi subacquei a 360°, dall’Apnea al Rebreather passando dal Minisub e rilascia brevetti certificati EUF-ISO riconosciuti in tutto il mondo. Tra le altre cose organizza e coordina l’attività di Protezione Civile e di Formazione Professionale ed è membro della Consulta Nazionale del Volontariato di Protezione Civile. Mettere le proprie capacità tecniche e competenze acquisite con anni di preparazione, nel campo della subacquea, a disposizione delle autorità in occasione di disastri idrogeologici è stato il motivo principale che ha spinto la FIAS a creare all’interno della Federazione il Nucleo Sommozzatori di Protezione Civile, volontari preparati e addestrati nella ricerca e recupero di dispersi in acqua, non limitando il campo d’intervento al solo mare ma anche e soprattutto ai laghi e fiumi dell’intero territorio Italiano; la scarsa visibilità e le forti correnti sono quasi sempre presenti quando il sommozzatore FIAS interviene e la preparazione insiste molto su queste condizioni affinché nel momento del bisogno le squadre operative siano addestrate a intervenire senza improvvisazione e con le necessarie competenze specifiche. Per maggiori informazioni consultare il sito www.fias.it 88

Serve un’organizzazione didattica seria. I livelli da superare sono tre e dipendono dalla profondità: si parte dai 20 metri, a seguire 30 e 40. Dopo ogni livello si prevede un certo numero di immersioni che danno accesso ai livelli superiori. Questo è quello che riguarda la nostra organizzazione, ma sono percorsi condivisi dalla maggior parte delle organizzazioni didattiche. Ci sono degli standard da seguire nella didattica ed è buona prassi prima di fare un corso conoscerli per verificare se durante il corso vengono effettivamente messi in pratica. Ci sono organizzazioni didattiche che seguono degli standard stabiliti autonomamente e altre che invece sono certificate da enti preposti i quali verificano ogni 5 anni la loro conformità agli standard internazionali UNI-EN-ISO; FIAS è certificata EUF-ISO tramite l’ente certificatore austriaco. Esistono poi degli standard stabiliti dalla Confederazione Mondiale dell’Attività Subacquea, che garantiscono anch’essi una preparazione adeguata. Proprio perché esistono queste norme sarebbe opportuno verificare che l’istruttore le segua durante l’iter formativo. Pertanto consiglio a chi si accinge a frequentare un corso subacqueo, di verificare se l’istruttore è qualificato e accertarsi della corrispondenza del metodo con le norme generali. Il mare può essere affascinante e pericoloso nello stesso tempo, ci sono stati degli episodi in cui avete rischiato la vita? Come dicevo l’attività subacquea non è più considerata pericolosa, e questo lo dicono anche i bassi numeri di incidenti che avvengono in acqua. Certo ci sono dei rischi, ma nulla che non possa essere affrontato con un’adeguata preparazione. La maggior parte degli incidenti avvengono per l’errore umano. Ovviamente più andiamo in profondità e più accorgimenti dobbiamo prendere, come potenziare l’allenamento con la

Bruno Galli Presidente FIAS, Federazione Italiana Attività Subacquee


sport preparazione psico-fisica e curare particolarmente l’assistenza in superficie. Posso dire di aver assistito a incidenti mancati come quando un collega è stato costretto a risalire troppo in fretta perché vittima di un piccolo malore. Poi non mancano gli incidenti in superficie perché si è troppo lontani dall’imbarcazione, oppure perché investiti da una imbarcazione che non ha visto il segnale del sub. L’anno scorso c’è stato il caso dei tre sub deceduti perché l’aria delle bombole non era a norma e questo perché la struttura a cui si erano rivolti non aveva attuato le più elementari norme nella ricarica delle bombole. Questi sono tutti incidenti che hanno purtroppo moltiplicato l’attenzione dei media e delle autorità marittime che di conseguenza introducono controlli, verifiche e divieti a volte eccessivi. In molti casi, i diving prima dell’uscita devono inviare un fax o una mail alla Capitaneria di Porto con generalità della guida, nome cognome dei subacquei, mansione, tipo di brevetto, il luogo dell’immersione, l’ora. Quando si finisce bisogna telefonare in Capitaneria per dire che si è rientrati. Non si capisce quale utilità possa avere tutto ciò. Mi chiedo perché chi fa le escursioni in montagna non è tenuto ad alcuna pratica burocratica, mentre chi va in mare deve seguire queste regole. Alla fine non portano nessun vantaggio ai fini della sicurezza in acqua. Questo è davvero incomprensibile. Come le città anche i fondali marini avranno una loro diversa bellezza. Quale, secondo Lei, è da esplorare assolutamente? Ho fatto moltissime immersioni, consideri che ho iniziato 40 anni fa circa, ho esplorato mari tropicali, il Mediterraneo ma anche molti laghi. Per me il Mediterraneo è ancora uno dei mari migliori, non ha magari una flora lussureggiante come quella dei mari tropicali, però c’è il fascino della storia e l’incognita di cosa puoi scoprire ad ogni immersione. Tra i vari fondali ho trovato molto affascinanti quelli della Liguria (il parco di Portofino, Alassio, Imperia, le Cinque Terre) o la Toscana e la Campania (Ischia). Hanno delle particolarità molto diverse fra loro. A Marina di Camerota e al Giglio sono particolarmente affezionato perché sono posti che ho vissuto di più. Sono da evidenziare anche Palinuro, Tremiti, la Sardegna tutta, bellezze uniche. A dire la verità è molto difficile fare una scelta, perché sono posti che ti seducono tutti in modo diverso. Qual è la cosa che l’ha emozionata di più? Beh ho avuto un incontro ravvicinato con lo squalo balena in Madagascar, è un animale innocuo, la sua maestosità di 6-7 metri di lunghezza ti lascia senza fiato. La cosa ancora più incredibile è che si fa avvicinare e fotografare. Provo sempre grande emozione anche nello scoprire ed esplorare relitti, caverne e pareti, insomma l’emozione più grande è stare sott’acqua, comunque.

Fotografie di Max Sargentini © tutti i diritti riservati 87 89


SETTEMBRE 2015

FRANCO MICHIELI

SOLO, CON IL PROPRIO ISTINTO Esplorare la vita senza filtri

Senza carta, bussola, altimetro, orologio, cellulare e GPS a piedi per le Ande o per i Pirenei. Franco Michieli, esploratore originale, racconta il suo personalissimo significato di esplorazione e come questo accompagni l’essenza della sua vita senza una programmazione, con l’ausilio dei segnali della natura. La serendipità è la sua maggior alleata.

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Che cosa significa per Lei esplorazione? Parlando di esplorazione mi riferisco a un atteggiamento di scoperta dell’ambiente che mi circonda simile a quello praticato da animali e piante, o dalle popolazioni umane native, piuttosto che ai grandi viaggi dei secoli passati finalizzati a scoprire e conquistare terre o rotte commerciali spesso devastanti per i popoli e gli ecosistemi. Il mio viaggiare è quindi una sorta di serendipity: immagino un possibile percorso attraverso un territorio, ma poi ciò che mi interessa sono gli imprevisti, gli eventi che rivelano qualcosa di sconosciuto, le deviazioni dovute a qualche ostacolo, la bellezza dei momenti non programmati dal cervello umano. La natura si evolve sfruttando il caso, non possiamo abbandonare un metodo così prezioso.

percorsi

STILE LIBERO

Che cosa la spinge a viaggiare solo con se stesso senza nessun ausilio tecnologico? L’idea originale dei miei viaggi a piedi è stata quella di ridurre per quanto possibile gli aiuti artificiali alla ricerca di un’esperienza più autentica, semplice e umana. Per alcuni alpinisti si tratta di fair play, cioè di praticare un gioco leale, ma per me vale di più la conoscenza che così si può raggiungere. Per esempio, attraversando le Alpi da Ventimiglia a Trieste all’età di 19 anni, scelsi di dormire all’aperto, senza tenda e senza fornellino, ottenendo una relazione con la montagna più profonda e duratura che se avessi campeggiato, o dormito e mangiato nei rifugi. Conobbi possibilità di intimità con la natura che diversamente non avrei nemmeno immaginato. Dopo vent’anni di simili esperienze, mi sono reso conto che per proseguire in quella ricerca dovevo togliere qualche altro aiuto divenuto superfluo: come geografo, mi è venuto spontaneo provare a lasciare a casa i miei strumenti tradizionali, carta, bussola, altimetro, orologio, e ovviamente i nuovi strumenti sostitutivi della relazione diretta col mondo, come il cellulare e il GPS. È stata la scelta più fruttuosa della mia vita: mi ha permesso di scoprire che anche oggi nella relazione uomonatura c’è la possibilità di trovare vie e tenere rotte come animali migratori, aprendo così la porta a spazi nuovi e meravigliosi creduti inaccessibili. Il contatto con la natura più rude come si sposa con l’invasione delle tecnologie nella sua vita? Il problema dell’invasione tecnologica è che sul lavoro e in molti altri campi della vita quotidiana sta diventando obbligatoria e non più una scelta. Solo ritirandosi a vita eremitica si potrebbe forse sfuggire del tutto a questo passaggio repentino dell’umanità dal rapporto col reale a quello col virtuale, ma non è il mio caso. La mia difesa, accessibile a chiunque, consiste quindi nel limitare l’uso di tecnologie superflue (per esempio, niente navigatore 91


SETTEMBRE 2015

in auto!) e soprattutto nel conservare dei tempi, o almeno dei momenti, in cui mi libero degli strumenti tecnologici, a partire dall’orologio o dal telefonino. Uso solo corpo e sensibilità per guardare il mondo, mi permettono di tenere vivo il senso della posizione umana nell’universo, cioè della nostra piccolezza e fragilità, e della nostra dipendenza da ciò che è altro da noi. Ma anche di scoprire come molte soluzioni che cerchiamo si trovino naturalmente in noi e nei suggerimenti dell’ambiente. Tra l’altro, l’assegnazione del Premio Nobel per la Medicina 2014 ai ricercatori John O’Keefe, May-Britt Moser ed Edvard Moser che hanno scoperto il funzionamento delle cellule cerebrali che ci permettono di orientarci e di ritrovarci quando ci siamo persi, confermano le convinzioni da me sviluppate in tante esplorazioni. L’importante è aver presente che queste facoltà non funzionano in un cervello in quanto tale, ma in un cervello inserito in un ambiente. C’è la possibilità che l’uomo possa recuperare la parte più recondita di se stesso attraverso quello che rimane della natura nelle città? Esistono molte discipline che aiutano nella ricerca della parte profonda di sé anche in ambienti artificiali, per esempio la meditazione. Per me è interessante cercare non solo cosa c’è in me, ma ancora di più che cosa accade tra me e l’ambiente quando mi trovo in condizioni non preconfezionate; ovvero quando gli eventi possono scorrere liberi dall’organizzazione umana. È chiaro che in città ciò può avvenire solo entro certi limiti; anche nelle aree urbane si può vagabondare, trovarsi senza mappa in quartieri sconosciuti, ritrovare l’orientamento osservando il sole, entrare in relazione con animali e piante che trovano angoli insospettati per vivere. È un ottimo esercizio quotidiano, rasserenante e

Franco Michieli

Classe 1962, geografo, redattore per molti anni delle riviste Alp e RdM, originale esploratore e garante internazionale di Mountain Wilderness, è tra gli italiani più esperti nel campo delle grandi traversate a piedi di catene montuose e terre selvagge. Dopo i percorsi integrali delle Alpi (81 giorni), dei Pirenei (39 giorni), della Norvegia (150 giorni) e dell’Islanda (33 giorni) compiuti da giovanissimo, continua la ricerca dei significati dell’esplorazione, specie nelle terre artiche e sulle Ande, dove ha attraversato numerose cordilleras collaborando alla formazione di guide locali, ma anche sulle montagne di casa. 92


percorsi indispensabile per prepararsi a percorsi più selvaggi. Credo però che situazioni di maggiore distacco temporaneo dalla civiltà siano necessari per riconoscere facoltà umane che ci hanno permesso di vivere ed esplorare il mondo nel corso delle decine di migliaia di anni della preistoria, sensibilità meravigliose e dimenticate che richiedono impegno autentico per riemergere. Che cosa l’ha stupita di più nei suoi viaggi? Fin dalle prime lunghe traversate a piedi sono rimasto molto colpito dalle capacità mie e dei miei compagni di riadattarci rapidamente alla vita in movimento nella natura. È difficile immaginare quanto si stia bene quando per qualche mese (o almeno qualche settimana) camminiamo per montagne, foreste o distese innevate. La parte più stupefacente di questo sentirmi in un ambiente amico e familiare riguarda ciò che accade nella nebbia, con scarsi o nulli riferimenti, quando non si sa più dove ci si trova in ambienti sconfinati: sempre, subito dopo i momenti di maggiore incertezza, e spesso senza sapere come, mi sono ritrovato su una buona via o addirittura nel luogo preciso che sognavo di raggiungere. Questo fatto sorprendente sarebbe stato inconoscibile se avessi tenuto la rotta con facilità grazie a mappe e strumenti. Questi sono i momenti che valgono bene la rinuncia alla tecnologia. Il suo ultimo libro è intitolato La vocazione di perdersi, ci racconti di questa vocazione. Il titolo provvisorio del libro era “La libertà di perdersi”, poi sostituito da quello definitivo. Vocazione e libertà sono complementari, e sottolineano la necessità per gli esseri viventi, e in particolare per degli esseri culturali come l’uomo, di continuare a mettere alla prova la propria visione del mondo per sfuggire all’omologazione, alla banalità e alle derive semplicistiche, che oggi fra l’altro trovano spazi inusitati. Il desiderio di non accontentarsi di ciò che ci viene raccontato, venduto e raccomandato tutti i giorni è alla base del desiderio di perdersi rispetto agli schemi del proprio tempo, per scoprire se è vero che fuori da tutti questi “consigli per gli acquisti” c’è davvero un mondo difficile o viceversa. Per me questa è una vocazione nel senso che la possibilità di perdermi nella natura, in ambienti scelti secondo esperienza, mi lascia tranquillo, anzi mi attrae come fonte di grande e positiva serenità. Mille avventure mi hanno rafforzato in questa convinzione, dato che mi hanno dimostrato come quasi sistematicamente sia la via sconosciuta, o la località invisibile, a trovare me, e non viceversa. La vocazione si rafforza di volta in volta perché ad ogni occasione si vive il sentimento di trovarsi all’interno di una relazione misteriosa, che non si sa spiegare, e che pure pare più grande di tutto il nostro mondo umano. Credo sia questo il sentimento da cui nasce ogni forma di spiritualità. 93


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L’acqua di mare & l’erba voglio

La cucina a modo mio: cucina trendy, facile o un po’ elaborata, ma alla portata di tutti e di tutte le situazioni. C’era una volta: la Torta Fiore alla confettura di fichi e pralinato di nocciole C’erano una volta... Le ricette di tendenza elaborate! Laboriose sì, ma anche difficili da eseguire. Però dopo le vacanze passate a gustare stilose ghiottonerie serve un po’ di tregua, settembre con i suoi prodotti di stagione invita a provare una ricetta classica per gli amanti della pasticceria casalinga, laboriosa sì, ma non difficile da fare e neanche banale. Con la tecnologica planetaria (si veda Logyn numero 2) tutto diventa facilissimo. Ancora ai più è sconosciuta la Torta Fiore, un dolce di pasta

Torta Fiore alla confettura di fichi e pralinato di nocciole

di Luisa Giacomini cuoca per passione luisagiacomini.com

brioche generalmente presentato farcito alla Nutella. Splendida la sua presentazione che ricorda un bellissimo fiore stilizzato, ma questa volta presentato con una deliziosa farcitura di confettura ai fichi profumata al cardamomo e pralinato di nocciole. Chi non amasse la confettura di fichi può usare in alternativa la classica di albicocche o la confettura che più gli piace. Ottima la versione natalizia con la marmellata d’arance profumata allo zenzero, da tenere in promemoria.

Pasta Brioche Ingredienti • • • • • • • • • • •

500 g di farina 0 o manitoba 180 g di uova intere (tre piccole o due extra grandi) 120 g di burro 90 g di latte intero appena tiepido 70 g di zucchero 15 g di lievito di birra fresco 15 g di miele di acacia (1 cucchiaio) 8 g di rum (1 cucchiaio) 8 g di sale 1 limone 1 bacca di vaniglia

Esecuzione

Materiale necessario 94

Carta da forno, mattarello, uno stampo a cerchio di diametro di 27 cm circa, la teglia del proprio forno, planetaria (oppure per i simpatizzanti eseguire l’impasto a mano), nocciole intere.

• Nel recipiente della planetaria sbriciolare il lievito, versare un po’ di latte e scioglierlo bene, aggiungere 100g di farina e miscelare in modo omogeneo con un pizzico di zucchero e il resto del latte, coprire con la pellicola, inserire nel forno con la sola lampada accesa e fare lievitare il lievitino per almeno 45 minuti. • Togliere la pellicola e inserire il recipiente nella macchina, versarci 200g di farina e lo zucchero, azionare a velocità moderata con la foglia o Kappa della planetaria per incorporare gli ingredienti. Togliere la foglia e montare il gancio, unire un uovo e impastare fino a che l’uovo è ben assorbito all’impasto, aggiungere la farina rimanente, lavorare bene con il gancio, aggiungere il secondo uovo, fare assorbire e non aggiungere il terzo uovo se il primo non è stato ben incorporato all’impasto; questo deve risultare ben amalgamato, liscio e staccarsi dal recipiente.


Aggiungere il miele, continuare a impastare a velocità un po’ più sostenuta per incordare bene anche attorno al gancio, versare il rum e continuare a incordare. • Tagliare il burro a cubetti e incorporarne due alla volta, non inserire gli altri fino a che i primi siano completamente assorbiti, poi continuare a incordare. Incidere per lungo la bacca di vaniglia, raschiare bene i semini e aggiungerli alla malgama insieme al rapè di limone, aggiungere il sale, continuare fino a che l’impasto non risulti omogeneo e lucido. • Spegnere e versare l’amalgama su un piano da lavoro infarinato, con le mani unte d’olio continuare a impastare ancora un poco, se necessario; qualora l’impasto risultasse essere troppo morbido, aggiungere una spolverata di farina. • Eseguire una palla, porla in una grande terrina imburrata e coprirla con carta pellicola, mettere in forno a lievitare con la sola luce accesa per non meno di tre ore, deve raddoppiare il suo volume e più. Togliere l’impasto, dividerlo in quattro parti precise e formare delle palline, coprirle con pellicola e farle riposare 30 minuti. Vi sarà molto utile tagliare due quadrati di carta forno grandi 35 cm per lato circa. Mettere una pallina di impasto tra i due fogli e con il mattarello cominciare a spianare la pasta agendo sopra il foglio della carta forno, cercare di modellare un cerchio di circa 28 cm e controllare lo spessore di mezzo cm o poco più, girare sottosopra il pacchetto per favorire una migliore estensione della sfoglia. Mettere in frigorifero il pacchetto di sfoglia brioche a rassodare e ripetere l’operazione con le rimanenti tre palline.

Confettura ai fichi Ingredienti • 1 kg di polpa di fichi a cubetti (tenere anche una parte della buccia, eliminare solo poca pelle superiore) • 350 g di zucchero • 1 limone (buccia grattugiata) • 4 bacche di cardamomo • 1 cucchiaino di semi di coriandolo

Esecuzione • In una pentola capace e con il fondo pesante, mettere la polpa di fichi e lo zucchero, portare a bollore sul fuoco moderato, schiumare per rendere la confettura lucida. • Pestare nel mortaio le bacche di cardamomo e i semi di coriandolo fino a ridurre il tutto in polvere, filtrare al passino sottile e aggiungere la polvere delle spezie alla confettura, spremere il succo di limone e unirlo filtrato al composto. • Cuocere per circa 30 minuti e far raffreddare. Se la confettura risulta troppo liquida separare lo sciroppo dalla polpa e farlo restringere a fiamma moderata per il tempo necessario.

cucina

STILE LIBERO

• Quando comincia a imbiondire aggiungere le nocciole, ora si può mescolare per favorire la solidificazione dello zucchero attorno alle stesse, appena il caramello comincia a sciogliere e prende un colore ambrato togliere dal fuoco e versare le nocciole su carta forno sopra un piano da lavoro, far raffreddare distese. Attenzione alle ustioni! In questa fase superiamo i 100 °C. • Quando il croccante di nocciole è freddo, lo si spezza delicatamente con un martello e si mettono i pezzetti in un mixer; lavorare a impulsi per ridurlo in un trito a briciole croccanti, prelevarne la metà e metterla da parte in un luogo fresco. Procedere ancora con il mixer e favorire un lavoro omogeneo sino a ottenere la crema di pralinato, che più a lungo si lavora più risulterà vellutata.

Esecuzione della Torta Fiore • Togliere la carta forno dalle sfoglie di brioche e sagomarle tagliandole con lo stampo a cerchio, mettere un foglio di carta sulla teglia e porci la prima sfoglia rotonda, spalmare uno strato leggero di confettura ai fichi e distribuire in modo uniforme alcuni filamenti di pralinato di nocciola più alcune briciole croccanti di esso. Posizionare sopra la seconda sfoglia di brioche, ripetere le operazioni descritte, tranne che per l’ultima sfoglia che va neutra a chiudere il tutto. • Con un bicchiere contrassegnare bene il centro esatto del dolce, attorno al contrassegno tagliare con una forbice una raggiera di 16 spicchi precisi e regolari, fermandosi al bordo del contrassegno. Cominciare afferrando delicatamente due di questi, attorcigliarli due volte su se stessi nel senso opposto tra loro e chiuderli pizzicandone verso l’alto i bordi terminali. Continuare uguale per i rimanenti 14 spicchi. L’effetto che si ottiene è un bel fiore marmorizzato da decorare con briciole di pralinato e alcune nocciole intere. • Bollire dell’acqua in un pentola bassa e senza manici, metterla sul fondo del forno e con sola la luce accesa far lievitare la torta fiore per altre tre ore. Cuocere a 180°C a forno statico per circa 20 minuti, abbassare a 170°C per altri 25/30 minuti. Sfornare e far raffreddare sopra una gratella. A piacere spolverare con poco zucchero a velo.

Pralinato di nocciole Ingredienti • 200 g di nocciole pelate • 200 g di zucchero • ½ bicchiere d’acqua

Esecuzione • In una pentola bassa dal fondo pesante mettere lo zucchero con l’acqua a fuoco basso. Portare a bollore e mai mescolare per nessun motivo. 95


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CHECK POINT

THREAT EXTRACTION ZERO MALWARE IN ZERO SECONDS Check Point Threat Extraction eliminates malware contained in emailed and web-downloaded documents. Exploitable content including active content and various embedded objects are removed and files are reconstructed using known safe elements.

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W E W E

S E C U R E S E C U R E

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Il melograno Un albero da frutta nel giardino aziendale CARLA SBICEGO

ufficioverde STILE LIBERO

redazione@logyn.it

Ogni volta che inseriamo in giardino una nuova pianta, oppure compriamo un’orchidea da mettere nel nostro ufficio per rallegrare l’ambiente, facciamo un esperimento. La natura ci riserva sempre immense sorprese, non sappiamo mai con certezza come la nuova ospite si ambienterà. In questo numero parliamo di come potrebbe trovarsi nel giardino aziendale un albero da frutta, il melograno. In Logyn trattiamo di giardini aziendali, per questo consiglio sempre piante autoctone che hanno meno problemi di sopravvivenza, gestione, e conseguentemente meno costi. Per il giardino di casa è un altro discorso: da sempre sistemo le piante difficili, o comunque con esigenze diverse da quelle ambientali del nostro Nord-Est, in vaso. Riesco così a far vivere bene e per molti anni i limoni, le gardenie, i cactus e altro. L’ultima arrivata è la Caesalpinia pulcherrima, una specie di acacia con dei bellissimi fiori arancione. Ho portato a casa qualche semino dall’ultimo viaggio in un paese tropicale, i semi sono germogliati e presentano delle belle foglioline. Lo terrò in vaso finché riesco a gestirlo poi vedremo, dipende da quanto crescerà! Escludendo generi esotici e di complicata gestione, perché non provare a sperimentare in giardino aziendale un albero da frutto? Ho pensato a una specie che non ha bisogno di troppi trattamenti o concimazioni, ma che allo stesso tempo sia di ornamento al giardino, con fiori e frutti che ricordano i paesi del Sud: il melograno. Se abbiamo un angolo abbastanza riparato dal vento del Nord e ben esposto al sole, dove il terreno sia drenante senza ristagni di acqua, possiamo piantare il melograno. Esiste sia da fiore che da frutto, consiglio il secondo, che ci darà delle soddisfazioni in più. È una splendida pianta molto versatile come dimensioni, visto che non supera mediamente i quattro/ cinque metri di altezza ma che possiamo gestire potandolo ad albero o a cespuglio. È rustica e poco esigente, se riparata

dal vento supera senza danni minime invernali di -10. Ha un bel fogliame verde brillante, in primavera ci regala i fiori color arancione intenso; in questo periodo si stanno colorando i grossi frutti rotondi, che raccoglieremo in autunno quando il verde sarà stato completamente sostituito da giallo, oro e rosso. Se proprio vogliamo rinunciare alla bontà e ai benefici dei chicchi di melograno possiamo decidere di lasciarli sui rami d’inverno, serviranno da nutrimento agli uccellini. Al Nord Italia va piantato alla fine delle gelate invernali, preparando una buca un po’ più grande della zolla di terra con cui l’abbiamo comprato. Stiamo attenti che il collo della pianta mantenga la stessa posizione che aveva in vaso. Innaffiamo l’albero subito dopo averlo piantato per uniformare il terreno. Dopo l’impianto irrighiamo abbastanza spesso finché non vediamo le nuove foglie. Poi, se non piove, basterà ogni 7-10 giorni, a seconda del clima. Non ha grosse esigenze nutritive, una volta stabilizzato si può usare del concime durante il primo anno di crescita. È bene tenere pulita da erbacce e polloni la zona ai piedi della pianta. Il melograno va potato a fine inverno, solo per contenimento, per dargli la forma scelta (a cespuglio o ad alberello). Stiamo attenti in questa operazione perché lo sviluppo di fiori e frutti avviene nella zona terminale dei rami. La pianta è a crescita lenta però è molto longeva, se la piantiamo nella posizione corretta e gli prestiamo le giuste cure può superare i 100 anni, farà compagnia alla nostra azienda per molto tempo! 97


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fumetti

STILE LIBERO

La matita di Sue

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N. 11 - Settembre 2015 pubblicazione bimestrale Registrazione Tribunale di Treviso n. 201 del 09/11/2012 ROC n. 22990/2012 direttore responsabile Leonardo Canal caporedattore Dora Carapellese responsabile organizzativa Giovanna Bellifemine hanno collaborato Gian Nello Piccoli, Stefano Moriggi, Stefano Biral, Attilio Cuccato, Alberto Tronchin, Alessio Voltarel, Diego Tosato, Ilenia Boschin, Riccardo Girotto, Ruggero Paolo Ortica, Lisa Regazzo, Lucia Bressan, Andrea Manuel, Carla Sbicego, Luisa Giacomini, Sue Maurizio. realizzazione grafica Franco Brunello Sara Cappellazzo segreteria e sede operativa Via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711, fax 0422.928759 redazione@logyn.it editore Eurosystem S.p.A., via Newton 21, 31020 Villorba (TV) redazione@logyn.it per la pubblicità e per i numeri arretrati Eurosystem S.p.A., via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711 redazione@logyn.it stampa Trevisostampa Srl Via Edison 133, 31020 Villorba (TV) telefono 0422.440200 info@trevisostampa.it Nell’eventualità in cui immagini di proprietà di terzi siano state qui riprodotte, l’Editore ne risponde agli aventi diritto che si rendano reperibili. Porrà inoltre rimedio, su segnalazione, a eventuali involontari errori e/o omissioni nei riferimenti.


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