#15 Periodico di Eurosystem SpA
INTERCONNESSIONE E INDUSTRIA 4.0
IMPIANTI, PERSONE E INFORMAZIONI CHE COMUNICANO
Noi pensiamo IT perchĂŠ voi non abbiate pensieri solo risultati
www.nordestservizi.it
EDITORIALE Gian Nello Piccoli Siamo in un momento di grande passaggio. Ne stanno parlando in molti eppure, come in ogni fase di cambiamento, le informazioni non sono mai sufficienti perché conosciamo quello che c’è stato finora e quello che potrebbe attenderci ma non abbiamo ancora chiaro come arrivare dal primo al secondo punto. Per questo anche noi, oggi, parliamo di IoT e Industria 4.0, per offrire lo sguardo di grandi player, fornitori e consulenti, quello di chi l’Industria 4.0 l’ha prima teorizzata e poi trasformata in un piano governativo, di chi la sta sviluppando attraverso le proprie applicazioni, di chi la sta testando portandola nella propria azienda. Gli interventi di questo numero sono tanti ed evidenziano i diversi aspetti di questa “rivoluzione industriale”, tra le responsabilità delle aziende fornitrici e le paure di quelle clienti. Le responsabilità: sviluppare più e nuove competenze in grado di gestire una maggiore complessità; coltivare una sorta di creatività in progetti 4.0 customer oriented che non possono avvalersi ancora di standard predefiniti; diffondere cultura, informazione e formazione sui servizi IoT per accrescere la consapevolezza nei clienti. Le paure: del cambiamento che − si sa − non è poi così naturale nell’essere umano e spesso soccombe sotto un atteggiamento conservatore; della difficoltà e incapacità di orientarsi nelle scelte e negli investimenti, ingenti, che la materia richiede.
GIAN NELLO PICCOLI Eurosystem S.p.A.
Qui, tra responsabilità e paure, si apre un’opportunità per aziende che fanno dell’innovazione il loro core business: essere delle guide, costruire un know how e un’expertise con la quale accompagnare i clienti nelle valutazioni e nei processi di scelta. Il Governo italiano con il Piano Calenda offre una base per alimentare lo sviluppo di questa opportunità. Ne stanno approfittando grandi aziende come General Electric, Siemens, Microsoft e realtà nazionali, cominciando a raccogliere i primi risultati. Esistono però alimentatori di paure e diffidenze come la situazione delle nostre reti internet o la mancanza di standard, e questi sono forse alcuni dei primi punti da affrontare. Tra tutti i player intervenuti emerge, però, forte e chiaro, che l’azienda che investe è destinata crescere e che, con operazioni nel 4.0 calibrate sulla base delle previsioni di ritorno, i risultati possono essere ottimi. Ci aspetta una grossa sfida, che consiste nell’uscire dalla nostra zona di comfort e approfondire, sperimentare, testare. Un qualcosa che dovrebbe essere nel nostro dna, di imprenditori e di innovatori. Gian Nello Piccoli 3
il personaggio
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ALAN FRIEDMAN IOT: LE DUE FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA
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IOT ITALY APRIRE LA MENTE PER RIPENSARE IL PRODOTTO
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INTESA SANPAOLO SUPER AMMORTAMENTO? L’INCENTIVO PIÙ GETTONATO
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SMART CITY IL VIAGGIO SVILUPPO UMANO, SOCIALE, ECONOMICO ED AMBIENTALE, GLI ASSET DELLA SMART CITY
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TELEMETRIA BRAIN SPORT MOTORSPORT: MAI PIÙ NESSUN SEGRETO CON BRAIN
stile libero
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incontri con
SIEMENS PMI 4.0, PIÙ FORMAZIONE A CHI LE GUIDA
55 stories 55 Nastroflex: il controllo integrato per una corretta gestione
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Irisacqua: rinnovare l’IT tra necessità e opportunità
62 spazio a y 62 Che schedulatore di produzione serve alla mia azienda?
SOMMARIO 3 editoriale
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ALAN FRIEDMAN
IoT: le due facce di una stessa medaglia
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10 focus
Interconnessione e Industria 4.0
14 pensare con le
macchine! STEFANO MORIGGI
18 incontri con 18 IOT ITALY
Aprire la mente per ripensare il prodotto
22 26
MARIO CALVO PLATERO
La rivoluzione industriale che annulla i posti di lavoro INTESA SANPAOLO
Super ammortamento? L’incentivo più gettonato
PMI 4.0, più formazione a chi le guida, IBM WATSON IOT
“Intelligenza aumentata” per Industria 4.0
di Gian Nello Piccoli
6 il personaggio
SIEMENS
45 48 52
67
@EUROSYSTEM.IT
71
@EUROSYSTEM.IT
MICROSOFT
Percorsi IoT e consapevolezza: le aziende sono pronte GENERAL ELECTRIC
Il più grande rischio dell’IoT? Non investire affatto STOORM5
Industria 4.0: rivoluzione di processo o di tecnologia? IGOR GORGONZOLA
Automazione, digitalizzazione e interconnessione
Esoneri contributivi per assunzioni a tempo indeterminato
74
PRIVACY
76
FISCO
78
AZIENDA SICURA
80
PAROLA ALL’AVVOCATO
82
BENESSERE SUL LAVORO
84
ARTE E TECNOLOGIA
88
IL VIAGGIO
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94 58 academit 58 Da IT manager a manager dell’IT 97 60 MANUEL CACITTI IoT, la sicurezza non guarda in faccia nessuno
Una vita in... outsourcing
73 stile libero 73 LAVORO
HOLONIX
Innovazione e ricerca il volano del suo successo
Dal cartaceo al digitale: la firma grafometrica
Privacy by design: in cosa consiste Investire nell’Industria 4.0: gli incentivi Riforma Orlando e captatori informatici Dati commerciali e concorrenza La respirazione consapevole L’arte ai tempi dei Big Data Smart City: gli asset della Smart City SPORT
Telemetria Brain: mai più segreti nel Motorsport CUCINA
L’acqua di mare & l’erba voglio FUMETTI
La matita di Sue
numero 15 15 numero
ALAN FRIEDMAN
IoT: le due facce di una stessa medaglia Dora Carapellese
Luci e ombre dell’Internet of Things Intervista ad Alan Friedman per capire il punto di vista internazionale su un settore che si sta muovendo velocemente e in modo diverso nei vari Paesi. L’Italia ancora il fanalino di coda, anche se il nuovo Piano Calenda la pone in una posizione molto favorevole rispetto all’Europa, per la fiducia diffusa sia nei cittadini che nelle aziende sul fatto che la rivoluzione 4.0 possa portare molto presto i suoi frutti. Qual è il suo punto di vista in termini di peso economico che sta assumendo sempre più l’IoT? Il peso economico dell’Internet of Things va calcolato nella misura in cui può diventare sovvertitore o distruttore degli schemi e dei modelli economici riconosciuti. Quando l’IoT viene legato all’intelligenza artificiale, si parla di migliaia di collegamenti attraverso Internet, di sistemi che cambieranno in modo rivoluzionario l’economia mondiale. Negli USA tutto questo è già cominciato, seguono Cina, Asia e resto del mondo. L’avvento dell’Internet of Things cambierà la vita di tutti noi. Sicuramente è una grande opportunità che nasconde anche un grande rischio: mette a repentaglio un numero considerevole di posti di lavoro.
L’Internet of Things può rappresentare una via di uscita dalla crisi economica che imperversa sull’Italia da ormai troppo tempo? L’Italia ha un’economia in ripresa moderata, non cresce molto ed è ancora il fanalino di coda nell’Europa. Questo Paese ha un grosso problema che è il debito pubblico: 6
IL PERSONAGGIO Alan Friedman solo a giugno 2017 si aggirava sui 2.281,4 miliardi, dai 2.278,9 miliardi di fine maggio (fonte Soldionline.it). Prima di pensare che possa essere un’opportunità per l’Italia, aspetterei un dibattito forte e aperto con Susanna Camusso e Maurizio Landini sul tema IoT applicato alla produzione, e come questo possa costituire una minaccia per i posti di lavoro. Sono convinto che per la categoria dei benestanti sarà un grosso vantaggio perché potranno riqualificare il proprio lavoro, potranno reinventarsi, in quanto avranno la possibilità economica per farlo. Per gli operai questo sarà molto difficile e saranno proprio quelli che verranno man mano sostituiti dalle macchine.
Il sovvertimento in atto è già realtà, siamo nell’era dove è possibile che le auto guidino da sole o del pigiama wearable, che può dare informazioni sullo stato di salute del bambino. Alexa Amazon è un altro esempio della rivoluzione che stiamo vivendo. Alexa Amazon è la soluzione di Voice Recognition che si appresta a diventare il sistema operativo dell’IoT. Ripeto, ci sono luci e ombre per l’economia mondiale: da un lato grande vantaggi per chi se lo può permettere, ma anche minacce per i posti di lavoro.
Lei conosce molto bene l’America e l’Italia, possiamo dire la sua seconda patria. Cosa porterebbe in Italia dell’America e cosa porterebbe in America dell’Italia? In Italia porterei lo spirito di squadra e la competitività, che da quello che vedo scarseggiano. Invece dall’Italia porterei in America lo spirito sociale, nella fattispecie il sistema sanitario italiano che reputo uno dei migliori: in America è noto come il sistema sanitario escluda decine di milioni di americani e ora Trump vuole togliere la copertura sanitaria a 32 milioni di americani con il tentativo di abolire l’Obamacare.
Sono molti gli Italiani che vanno in America perché la loro idea di business è più apprezzata che in Italia, è davvero così? L’America è un Paese che offre di più a livello economico? Anche alla luce delle indagini che ha condotto per il suo ultimo libro “Questa non è l’America” (Newton Compton Editori). Ci sono diverse Americhe: nel mio libro ho voluto descrivere quell’America lacerata, impaurita e rabbiosa che accetta odio, l’America del razzismo, quell’America di un Trump che sta cancellando molte cose. Nonostante
Alexa Alexa è il nome dell’assistente vocale con alla base una grande componente di intelligenza artificiale che si sviluppa nei grandi centri di ricerca Amazon. L’assistente si presenta in forma di Amazon Echo o Echo Dot. Entrambi i dispositivi, a forma di cilindro, rispondono al richiamo “Alexa” a cui possono seguire ulteriori comandi vocali. Così potrete controllare i dispositivi della Smart home, chiedere le previsioni del tempo, avviare le telefonate o scegliere una canzone dalla banca dati Amazon, Spotify o, ancora, accendere la radio. 7
numero 15
Trump sta cancellando la neutralità dell’America, sta eliminando la libertà di espressione degli americani.
ciò continua a rimanere una superpotenza mondiale ed è questa parte dell’America che è piena di opportunità. Penso che ogni giovane italiano debba vivere almeno due-tre anni in California per attingere ad un’esperienza che in Italia ancora non esiste e che può capitalizzare al suo rientro in patria. In America le banche finanziano le idee, in Italia no. In America esistono le venture capital che possono darti 10 mila dollari per finanziare un progetto, cosa che in Italia non succede!
Secondo I-Com (Istituto per la competitività), si passerà dai 5 miliardi di oggetti connessi nel 2015 agli oltre 20 miliardi stimati per il 2020, il 63% dei quali nel segmento consumer. Quindi, un mercato che diventa sempre più evoluto e ingombrante. Come secondo lei questo influenzerà le politiche delle aziende italiane? Basta prendere esempio da Alexa Amazon: io nella casa in America ho Alexa, a cui chiedo di accendermi la macchinetta del caffè, di dirmi come sarà il tempo, il traffico, chiedo di farmi ascoltare i Rolling Stones, chiedo a lei mille cose. Questo in America, l’Italia invece è indietro. L’ America può essere una buona scuola per il giovane che si appresta a entrare in questo ambito e le aziende italiane dovranno rivedere i propri modelli se non vorranno scomparire: ci sarà un processo darwiniano che stabilirà chi sopravvivrà.
E il Governo italiano, invece, che politica dovrebbe adottare per agevolare e regolamentare questa crescita?
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Alan Friedman Giornalista Vive tra gli Stati Uniti e l’Italia, è stato giovanissimo collaboratore dell’amministrazione del presidente Jimmy Carter, corrispondente del “Financial Times”, inviato dell’“International Herald Tribune”, editorialista del “Wall Street Journal” e produttore e conduttore di numerosi programmi televisivi in Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia, dove ha lavorato per Rai, Sky Tg24 e La7. Attualmente è editorialista per il Corriere della Sera. Tra i suoi libri, “Tutto in famiglia” (1988), “La madre di tutti gli affari” (1993), “Ammazziamo il Gattopardo” (2014) e “My Way” (2015). Il suo documentario sulla vita di Silvio Berlusconi, “My Way”, è disponibile sul Netflix in 191 Paesi.
IL PERSONAGGIO Bisogna avere un governo stabile e forte prima di tutto. Procedere agendo dalla base, per esempio da Internet con la banda larga su tutto il territorio. Questo darà l’opportunità per evitare di scomparire ed entrare nel processo darwiniano di cui sopra. Bisogna prepararsi. Amazon, per esempio, sta costruendo in Liguria un nuovo sito per la logistica che darà 600 posti di lavoro e che avrà un servizio di consegna di massimo due ore. Sicuramente i piccoli negozi intorno a quel polo logistico ne risentiranno. L’Italia dovrà adattarsi! In tutto il mondo si stima che si perderà il 40 per cento dei posti di lavoro nei prossimi 20 anni. Il Governo italiano a mio avviso deve offrire sgravi fiscali per i progetti dedicati alla tecnologia, deve incoraggiare le banche a finanziare i progetti dei giovani. Ma dico anche di essere poco ottimista e che il tutto non accadrà in breve tempo. Se penso all’energia dei giovani di Bangkok e Shanghai, qui mi viene spontaneo pensare che i risvolti positivi dell’IoT ci saranno molto presto.
Quali sono le politiche americane nei confronti dell’Industria 4.0? In questo momento in America c’è molta confusione la politica che invece sta facendo il ministro Carlo Calenda, sugli incentivi all’Industria 4.0 è un’operazione molto appropriata. Sono convinto che l’America dovrebbe prendere spunto dal ministro italiano, una delle poche persone che sta facendo passi significativi per l’Industria 4.0, probabilmente perché non ha delle radici politiche. Trump sta cancellando la neutralità dell’America, sta eliminando la libertà di espressione degli Americani.
IL PIANO CALENDA, LE PRINCIPALI AZIONI •
Iper e Super Ammortamento Investire per crescere. Serve a supportare e incentivare le imprese che investono in beni strumentali nuovi, in beni materiali e immateriali (software e sistemi IT) funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi.
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Nuova Sabatini Credito all’innovazione. È l’agevolazione messa a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico con l’obiettivo di facilitare l’accesso al credito delle imprese e accrescere la competitività del sistema produttivo del Paese. La misura sostiene gli investimenti per acquistare o acquisire in leasing macchinari, attrezzature, impianti, beni strumentali ad uso produttivo e hardware, nonché software e tecnologie digitali.
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Fondo di Garanzia Ampliare le possibilità di credito. Grazie al Fondo, l’impresa ha la concreta possibilità di ottenere finanziamenti senza garanzie aggiuntive (e quindi senza costi di fidejussioni o polizze assicurative) sugli importi garantiti dal Fondo, che non offre comunque contributi in denaro.
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Credito d’imposta R&S Premiare chi investe nel futuro. Serve a stimolare la spesa privata in Ricerca e Sviluppo per innovare processi e prodotti e garantire la competitività futura delle imprese
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Startup e PMI innovative Accelerare l’innovazione. Le nuove imprese (startup) innovative godono di un quadro di riferimento dedicato in materie come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali, il diritto fallimentare.
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Patent box Dare valore ai beni immateriali. Il decreto “Patent Box” introduce un regime opzionale di tassazione per i redditi derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, di brevetti industriali, di marchi, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.
Fonte http://www.sviluppoeconomico.gov.it 9
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INTERCONNESSIONE E INDUSTRIA 4.0 Impianti, persone e informazioni che comunicano
Quando si parla di Industria 4.0 si pensa all’innovazione digitale nei processi aziendali che, secondo gli scienziati, sta portando verso la quarta rivoluzione industriale, dopo la prima legata alla macchina a vapore (fine 1700), la seconda alla produzione di massa (inizi del 1900), e la terza all’avvento dei primi computer nelle fabbriche (1960-1970). Ma è vero anche che c’è chi dice che non si tratta di una rivoluzione industriale poiché le tecnologie in oggetto sono già note da tempo. Iniziamo col chiarirci le idee su cosa s’intende per Industria 4.0. Smart Factory o Industria 4.0 è la definizione che si dà al comparto di aziende che adotta, in maniera congiunta, tecnologie digitali capaci di aumentare l’interconnessione tra sistemi fisici e informatici che possono interagire e collaborare tra loro. L’IoT (Internet of Things), ovvero l’Internt delle Cose, è un pezzo importante dell’Industria 4.0 perché è la componente che consente l’interconnessione. Perché sembra prendere piede sempre di più nelle aziende? Perché a fronte di investimenti limitati si possono avere dei risultati importanti sui fatturati. Di per sé i sensori, che servono per i collegamenti dei dispositivi, e il cloud computing, che consente di lavorare senza fare dei grossi investimenti infrastrutturali, sono economicamente incoraggianti. Un bel risparmio per l’azienda che ottimizza tutti i processi di produzione abbassando drasticamente quella percentuale di errore che si ripercuote sul prodotto finito e sul fatturato. Tuttavia esistono ancora delle resistenze da parte delle imprese più che altro perché non si conoscono ancora bene i benefici e, mentre molte 10
Perché sembra prendere piede sempre di più nelle aziende? Perché a fronte di investimenti limitati si possono avere dei risultati importanti sui fatturati.
FOCUS Interconnessione e Industria 4.0
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numero15 15 numero
La copertina L’albero è simbolo universale della vita e della sua evoluzione, ricorrente in credenze e religioni che ne hanno fatto una pianta ricca di significati emblematici. Viene spesso visto come un collegamento tra due mondi, la terra e il cielo, e come elemento unico da cui si diramano una molteplicità di entità differenti. Pensare al mondo dell’Industria 4.0 significa pensare ad una realtà fatta di elementi di natura diversa, fisica (prodotti finali, macchine, magazzini mobili, ) e informatica (cloud, dispositivi, dati), che sono tra loro interconnessi in vista di uno scopo comune: far comunicare impianti, persone e informazioni per rendere l’impresa sempre più automatizzata ed efficiente. Per questo, nella copertina di Logyn n.15 dedicato all’Industria 4.0, uno smartphone, come simbolo di interconnessione digitale che, attraverso Internet e il cloud, mette in comunicazione i molteplici mondi di una Smart Factory.
restano a guardare, altre preferiscono essere seconde. Una tendenza tutta italiana che rischia di rallentare il progresso. L’investimento è fondamentale per la vita dell’azienda e il rischio per la stessa consiste nel non investire affatto. I fornitori di queste tecnologie consigliano di partire da progetti piccoli per scalare più velocemente in un secondo momento. Alla base dell’Industria 4.0, prim’ancora della tecnologia, c’è una cultura manageriale proiettata al cambiamento e all’adozione di un nuovo business model. Si va verso l’applicazione di nuovi paradigmi digitali, che pone le basi per la nascita della Digital Enterprise. Per le aziende si tratta di un’evoluzione radicale, un profondo cambiamento delle relazioni con i clienti (per il 93% degli intervistati), un ripensamento dell’organizzazione e dei processi interni (87%), e una trasformazione del rapporto con i fornitori e altri attori a monte della filiera (85%), secondo l’undicesima edizione della CIO Survey, l’indagine realizzata su circa 70 responsabili ICT delle realtà private italiane, promossa da Capgemini Italia, Cisco, Tim, e condotta da NetConsulting Cube. Secondo il report “The Internet of Things 2017” di Business Insider, da qui ai prossimi 5 anni ci saranno in circolazione 22,5 miliardi di dispositivi IoT (considerando che nel 2016 eravamo a quota 6,6 miliardi). Il problema grosso è rappresentato dalla sicurezza. Come sempre è necessario il buon senso prima di tutto e una buona dose di skill sempre più allargate. Un’azienda che decide di intraprendere questo percorso deve partire da un’accurata e capace progettazione, magari effettuata coinvolgendo risorse in grado di considerare tutti i molteplici aspetti della possibile progettazione, spesso una fase sottovalutata dall’azienda. Crescono anche le competenze di chi si occupa di sicurezza che, oltre a quelle tecniche e di analisi, devono comprendere un’ottima capacità di gestione di situazioni, eventi e persone. E le imprese italiane a che punto sono a livello tecnologico? Numerosi studi attestano un generale ritardo delle imprese italiane per quanto riguarda l’introduzione di nuove tecnologie (l’età media dei macchinari di produzione del Paese è la più alta registrata negli ultimi 40 anni, 12 anni e 8 mesi secondo dati del 2014) a causa di un generale rallentamento degli investimenti industriali che genera obsolescenze degli impianti. L’Industria 4.0 può cambiare questo trend, ed il Piano del Governo offre un’importante opportunità alle imprese, molto apprezzata dalle aziende.
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FOCUS
IL PUNTO SU...
Interconnessione e Industria 4.0 L’Industria 4.0 secondo gli Osservatori Digital Innovation Fonte: Osservatorio Industria 4.0 dagli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano (https://www.osservatori.net/it_it/pubblicazioni/infografiche/industria-4-0-la-grande-occasione-per-l-italia).
Quanto conosci l’Industria 4.0?
41%
ho letto articoli online
32%
ho partecipato ad eventi sul tema
28%
ho giĂ implementato soluzioni sul tema
28%
sto valutando di fare qualcosa
8%
Conosci il piano nazionale?
16% Non lo conosco
22%
non conosco
Il mercato di progetti 4.0 in Italia nel 2016
Ho letto articoli online
(+25% rispetto ai risultati del 2015)
62% Industrial IoT
62%
Cloud Manifacturing
20%
Advanced Automation
1 miliardo
Industrial Analytics
330 milioni
9%
150 milioni
8%
120 milioni
Stiamo valutando come procedere
Advanced Automation
1%
20 milioni 13
numero 15
STEFANO MORIGGI
L’INTELLIGENZA DELLE COSE, LA PAURA DEGLI UMANI QUANDO STUDIARE LE MACCHINE SIGNIFICA (ANCHE) CONOSCERE MEGLIO NOI STESSI.
“Cosa resterà dell’umanità? Ci preoccupiamo dei danni ambientali ed è più che giusto, ma forse ci attende una minaccia più seria. La nascita di un super-organismo che trascenderà l’intelligenza umana, composto da internet, miliardi di oggetti intelligenti e un immenso data base in continua crescita. [...] Ci sarà un momento, conosciuto come singolarità, in cui questa entità sfuggirà al nostro controllo. [...] Potrebbe considerarci noiosi insetti da schiacciare” (http://www.ilblogdellestelle.it/singolarita_il_ video_inedito_di_gianroberto_casaleggio.html). Così esordisce Singularity, l’ultimo video di Gianroberto Casaleggio, caricato il 4 ottobre 2016 sul blog di Beppe Grillo. In questa sorta di testamento postumo e visionario, dal punto di vista scientifico c’è davvero poco di attendibile. Il filosofo americano Henry G. Frankfurt non faticherebbe a individuare in tale bizzarro e subdolo intreccio di fatti e suggestioni un palese esempio di ciò che, più di dieci anni or sono, ebbe modo di definire come “stronzate” (bullshits). Ovvero, un prodotto retorico confezionato ad arte da chi “non prende in considerazione i fatti se non nella misura in cui possono aiutarlo a sostenere le sue affermazioni”. Tuttavia, come è noto, l’inattendibilità di un messaggio — o di un’argomentazione — non è (sempre) inversamente proporzionale alla sua efficacia sul piano della comunicazione. Specie se, non senza una qualche malizia, il retore in questione fa leva su angosce e paure antiche: come quelle provocate dal progresso scientifico e dall’evoluzione tecnologica. Ed è proprio per questo — ovvero il periodico ritorno di angosce e paure antiche — che in epoche di significativa evoluzione tecnologica come questa occorre soffermarsi e riflettere anzitutto sulla nostra percezione psicologica e culturale delle “nuove macchine” che, sempre più 14
performative, al contempo affascinano e inquietano la nostra specie. A ben vedere, infatti, il timore che le “macchine” si sviluppino al punto da emanciparsi dai programmi e dagli ordini degli umani per poi ribellarsi ai loro “creatori”, riaffiora ogni qualvolta la tecno-scienza riesce a innescare radicali discontinuità nelle pratiche di vita e crisi profonde nelle più consolidate credenze e convinzioni della nostra specie. Scriveva Thomas Carlyle, già nel 1829, in piena Rivoluzione industriale: “Questa è l’età della macchina, in ogni senso del termine. […] Ovunque l’artigiano vivente è stato espulso per far posto ad un esecutore senz’anima (inanimate), ma più veloce. La spoletta sfugge alle dita del tessitore e finisce tra quelle d’acciaio che la fanno girare più rapidamente”. La catastrofe pare sempre l’orizzonte più probabile quando vengono meno certezze e consuetudini; e alle macchine, sempre più invasive e performanti, è fin troppo facile assegnare un ruolo da protagoniste sulla scena dell’apocalisse annunciata. Dopotutto, prefigurare l’incubo — ben al di là delle evidenze disponibili — aiuta a costruirsi un alibi, o quanto meno a dotarsi di un pretesto per non affrontare la transizione (o la rivoluzione) tecnologica (e dunque culturale) in corso. Ovvero, la provocazione di un’epoca che ci chiede di ricominciare a pensare, mettendoci davvero in discussione. Detto ciò, proviamo però a stare al gioco delle nostre paure. E attribuiamo, per un attimo, una qualche “credibilità” al prossimo dominio di una intelligenza superiore. Proviamo quindi a chiederci cosa, davvero, ci fa paura di tale ipotetico scenario. Nel 2014, il filosofo Nick Bostrom, in un esperimento mentale, ha immaginato una intelligenza artificiale progettata per produrre graffette (paperclip
PENSARE con le macchine! maximizer) che, un bel giorno, svincolandosi dai programmi stabiliti, decidano di “fare di testa sua”. E così si attiva per aumentare i ritmi di produzione e per perseguire un disegno (intelligente?) piuttosto preciso: “trasformare la Terra e regioni sempre più vaste dello Spazio in fabbriche di graffette”. Scompensi e disordini sono intuibili; tuttavia, più che un’analisi dei danni, Bostrom intende sottolineare il rischio di una “super-intelligenza” fuori controllo. Ma che cos’è una super-intelligenza fuori controllo? A prima vista, il paperclip maximizer di Bostrom parrebbe piuttosto una macchina “impazzita”, o comunque non particolarmente intelligente. In realtà, l’intenzione del filosofo svedese di sede a Oxford è quella di contemplare l’eventualità, e dunque il rischio che una “super-intelligenza” artificiale possa essere mossa da motivazioni o da una psicologia dissimili da quelle umane, producendo così in azioni tanto scellerate. Si potrebbe replicare che, come la storia (umana, troppo umana) insegna, non c’è bisogno di essere “superintelligenze” per macchiarsi di progetti scellerati; e, d’altra parte, non si capisce perché motivazioni e psicologie diverse dalle nostre dovrebbero, per ciò stesso, essere amorali (se non addirittura immorali). Il sospetto, anche qui, è sempre lo stesso. Più che una razionale previsione dei rischi potenziali associati alla futuribile diffusione di una tecnologia particolarmente avanzata, pare farsi largo, tra una argomentazione e l’altra, la tentazione di sublimare in una prospettiva catastrofica un pensiero ancora più scomodo e difficile da gestire. Una “super-intelligenza” degna di tal nome, infatti, non sarebbe semplicemente un calcolatore molto potente. Ma dovrebbe essere, piuttosto, una macchina libera di pensare e – in quanto tale... – potenzialmente pericolosa. Proprio come noi, potenzialmente pericolosi in quanto “non programmati” per fare il Bene. Dopotutto, come notava opportunamente Paul K. Feyerabend: “assumiamo di riuscire a impiantare il Bene in tutti, come faremo poi a ritornare al Male?”. Nella possibilità di quel “ritorno al Male” auspicato dal filosofo austriaco non va colto un gratuito esercizio di relativismo; quanto piuttosto la rivendicazione di quella libertà che ci chiama a rispondere delle nostre scelte e delle nostre azioni. Se dunque temiamo davvero che un qualche algoritmo, in un futuro più o meno prossimo, potrà scegliere autonomamente tra Bene e Male, è forse (anche) perché 15
numero 15
quell’intelligenza artificiale, prima ancora di esistere, ci ricorda chi siamo, nel Bene e nel Male. Il che dovrebbe ulteriormente impegnarci a interrogare il nostro rapporto con la tecnologia, lavorando insieme affinché gli effettivi problemi e le reali criticità posti da una nuova ontologia tecnologicamente aumentata non degenerino negli improbabili e seducenti sproloqui di qualche profeta di sventura. Procedere in questa direzione potrebbe significare, per esempio, comprendere meglio di cosa parliamo quando parliamo di intelligenza delle macchine. È davvero un insieme di abilità e competenze in qualche modo paragonabile alla nostro modo di apprendere e comprendere; oppure no? Dialoghiamo già da tempo con assistenti vocali sempre più interattivi, presto avremo frigoriferi che “fanno la spesa” da soli e automobili che ci porteranno a destinazione senza bisogno di guidarle. E la lista potrebbe proseguire a lungo, ma fino a che punto (e in che termini) possiamo definire questi oggetti/dispositivi “intelligenti” così come noi siamo (o pensiamo di essere)? Per azzardare una risposta, potremmo ragionare attorno a un caso classico: il gioco degli scacchi. Molti ricorderanno che nel 1997 il campione del mondo Garry Kasparov fu sconfitto da Deep Blue, un computer della IBM. L’evento fece, comprensibilmente, scalpore e non furono
pochi coloro (media e non solo) che videro nell’esito di quello storico confronto l’inizio di una nuova era in cui l’intelligenza artificiale avrebbe inesorabilmente superato (e soppiantato) quella umana. Tali conclusioni, già allora, parvero tanto affrettate quanto infondate agli esperti sul campo. Per esempio, John McCarthy — uno dei padri dell’intelligenza artificiale — aveva prontamente osservato che la vittoria di Deep Blue svelava molto più del gioco (gli scacchi) che non della natura di un comportamento “intelligente” in quanto tale (http:// www.youtube.com/watch?v=3Ox4EMFy48). Il senso della battuta di McCarthy riecheggia e si esplicita nelle recenti riflessioni di Luciano Floridi, il quale nel suo La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo (Raffaello Cortina, 2017), torna sui fatti presi in esame sostenendo senza mezzi termini che “giocare a scacchi richiede certamente una notevole intelligenza se il giocatore è umano, ma non ne richiede alcuna se il giocatore è un computer”. Una frase apparentemente paradossale, ma che rappresenta un prezioso indizio per sgombrare il campo dagli equivoci di un uso poco preciso e spesso disinvolto del termine “intelligenza”. Per gettar luce sulla questione Floridi — docente di filosofia all’Università di Oxford — introduce il suo lettore a due questioni basilari e cruciali per chiunque voglia anche solo orientarsi nel mondo delle “macchine pensanti”: il “problema del frame” e il problema della “fondazione simbolica”. Di che si tratta? Procediamo per gradi. A molti sarà capitato di vedere dei tagliaerba robotica in azione e saranno anche rimasti colpiti da come, con precisione, rasano il prato di una villetta. In realtà, come nota Floridi, perché la robotica da giardinaggio funzioni occorre “adattare” l’ambiente alle sue caratteristiche. Nella fattispecie, predisporre un filo perimetrale che delimiti l’area in cui tagliare. La scacchiera è solo un contesto più complesso di un giardino, ma continua a essere una “cornice” (frame) dentro cui progettare lo spettro di interazioni di cui una macchina può essere capace. “La vera difficoltà — spiega Floridi — è avere a che fare con l’imprevedibilità del mondo là fuori, pieno di trappole e di agenti sia collaborativi sia competitivi”. E il punto è che, al momento, nessuno è ancor riuscito a realizzare “intelligenze” capaci di gestire razionalmente l’incertezza della realtà eccedente ogni cornice. Le macchine sanno essere intelligenti solo entro ambienti/contesti precisi e delimitati.
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PENSARE CON LE MACCHINE Ma non è tutto… c’è un altro limite che attualmente qualifica e circoscrive il pur significativo potenziale dell’intelligenza artificiale: trattasi, appunto, del sopracitato problema della fondazione simbolica. In sintesi, l’intelligenza artificiale dimostra tutto il suo potenziale ogni qualvolta le informazioni da elaborare in base a una serie di regole (e sulla base delle quali agire) siano riducibili a una questione di codificazione, decodificazione, o modificazione di pattern di dati non interpretati. Per loro - aggiunge Floridi - “i problemi diventano insormontabili quando la loro soluzione richiede l’efficiente manipolazione d’informazioni, vale a dire di dati ben formati e dotati di significato”. In termini più espliciti, tra noi e le macchine c’è quello che potremmo definire un “salto semantico”. Per tornare a Deep Blue, il computer dell’IBM ha battuto Casparov perché è una straordinaria “macchina sintattica”, dotata di una memoria straordinaria e di algoritmi sofisticati. Ma, ciò detto, non è affatto in grado di “comprendere” la sua vittoria e il significato delle strategie che lo hanno portato a tale risultato.
questioni e provare quindi a chiedersi, nel caso specifico, cosa ci impedisca di fatto di produrre macchine in grado di comprendere ed elaborare dati e informazioni (possibilmente) anche al di fuori di contesti circoscritti e opportunamente definiti. Cosa ancora non sappiamo? Ciò che ci manca, anzitutto, è una reale comprensione di come gli animali - compresi i primati superiori come noi - si dimostrino effettivamente in grado di risolvere il problema della fondazione simbolica. In altre parole, le macchine avranno una qualche speranza di cominciare davvero a “pensare” solo quando impareremo come noi esseri umani riusciamo a processare informazioni dotate di significato. Anche in questo caso, dunque, pensare con le macchine significa indurre l’essere umano ad accogliere sempre e di nuovo la sfida che dal Tempio di Apollo a Delfi si lanciò alla nostra specie: “γνῶθι σαυτόν” (conosci te stesso). Un compito arduo, non vi è dubbio. Ma allo stesso tempo, un dovere ineludibile per chiunque ambisca (e non solo parole) a progettare un futuro sostenibile, il più possibile al riparo da false credenze e autentiche “stronzate”…
E noi, non sappiamo ancora come aiutare le macchine a fare quel “salto” che porta dalla “sintassi” alla “semantica”; ovvero, dai dati ai significati. Il che potrebbe anche rassicurarci, da un certo punto di vista. Ma, come scienza e filosofia insegnano, occorre andare fino in fondo alle
Stefano Moriggi Storico e filosofo della scienza Si occupa di teoria e modelli della razionalità, di fondamenti della probabilità, di pragmatismo americano con particolare attenzione al rapporto tra evoluzione culturale, semiotica e tecnologia. Già docente nelle università di Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine (SEMM), attualmente svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e l’Università degli Studi di Bergamo. Esperto di comunicazione e didattica della scienza, è consulente scientifico Rai, e su Rai 3 è uno dei volti della trasmissione “E se domani. Quando l’uomo immagina il futuro”. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: “Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora. Le streghe prima di Loudon e Salem” (Bompiani, 2004); (con E. Sindoni) “Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero” (Itaca 2004); con P. Giaretta e G. Federspil ha curato “Filosofia della Medicina” (Raffaello Cortina, 2008). Più recentemente (con G. Nicoletti) ha pubblicato “Perché la tecnologia ci rende umani. La carne nelle sue riscritture sintetiche e digitali” (Sironi, 2009); (con A. Incorvaia) “School Rocks. La scuola spacca” (San Paolo, 2011); “Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine” (San Paolo, 2014). 17
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IOT ITALY Aprire la mente per ripensare il prodotto Alessandro Bassi, esperto in Internet of Things e membro di IoT Italy ci spiega perchè 18
INCONTRI CON IoT Italy Gli oggetti connessi permetteranno un radicale cambiamento da due punti di vista: oggetti completamente nuovi, che potranno basarsi su recenti modelli di business, e oggetti più tradizionali, che potranno essere concepiti e realizzati in maniera del tutto innovativa. La sopravvivenza dell’esistente può sussistere in alcuni casi solo “cambiandolo in meglio” e il nuovo va ripensato, non più solo nell’ottica della produzione, ma anche della monetizzazione all’uso che ne può derivare. Facciamo il punto sull’IoT: quali sono le tappe principali che ha vissuto da quando ha iniziato a farsi strada? Lavoro in questo settore da dieci anni. All’inizio c’è stato un grandissimo scetticismo, atteggiamento tipico quando si tratta di nuove tecnologie. Allora si cercava di spiegare il concetto di connessione degli oggetti e come questo potesse essere d’aiuto alle persone e alle aziende. È stato difficile, ma devo dire anche che questo tipo di difficoltà è molto comune: mi ricorda il 1994, quando ho descritto l’uso delle e-mail ad una nota azienda di altissima tecnologia e la risposta è stata che era perfettamente inutile perchè c’erano i fax e i telefoni. Oggi viene da sorridere pensando ai fax… Verso il 2012, quando c’è stato il boom, ci si aspettava che tutto fosse connesso nel giro di due anni e come spesso succede, le previsioni erano troppo ottimiste nel breve periodo e troppo pessimiste nel lungo. Ad oggi le cose veramente connesse sono davvero poche, ma non significa che siamo davanti ad un fallimento.
Come vede lo sviluppo dell’IoT nel mondo e in particolare in Italia? Lo sviluppo dell’Internet of Things dipende dallo sviluppo del business model che si vuole adottare. L’IoT è una terminologia che va anche un po’ spiegata, nel senso che a volte la si usa per descrivere cose già esistenti: l’aria condizionata, come la concepiamo oggi, esisteva già 50 anni fa, oppure la tecnologia che ti avvisa quando fare la manutenzione dell’auto. Per questo ritengo che il termine sia spesso usato impropriamente. Se invece prendiamo l’IoT nel senso proprio della parola, per esempio il frigo che ordina le uova bio quando finiscono e magari si accorda con il frigo del mio vicino per acquistare le uova ad un prezzo più vantaggioso, un concetto del genere può sopravvivere solo con un business model che oggi non c’è. Supponiamo che io sia una grande catena di frigoriferi
In primis l’associazione vuole fare sistema tra le aziende italiane. Nonostante siamo un po’ indietro rispetto agli altri Paesi, abbiamo anche noi delle eccellenze che hanno ricevuto riconoscimenti internazionali molto importanti. italiani e che dia un usufrutto gratuito a tutti coloro che hanno la carta fedeltà del mio supermercato: chiaramente è un investimento molto pesante (pensiamo al costo di 400 mila frigoriferi), ma come supermercato posso estrarre una serie di dati sui consumi dei miei clienti e questo mi permette non solo di fare un’offerta commerciale mirata, ma anche di ottimizzare la logistica e i miei acquisti. Oppure, si può benissimo immaginare un nuovo attore, intermediario tra i consumatori e i produttori, che gestisce delle piattaforme di acquisto, ricevendo ordini dal mio frigo e facendo, sostanzialmente, il broker verso i produttori locali.
Ex direttore tecnico di IoT-A, progetto-faro dell’UE. Di cosa si tratta e cosa è stato fatto? Il progetto nasceva nel 2009 quando l’Internet delle cose iniziava ad essere visibile. Si capiva che i campi di applicazione dell’IoT nella tecnologia erano pressoché infiniti e soprattutto non limitati ad uno specifico settore. È emersa l’esigenza di avere un piano, un modello, una grammatica per far parlare i vari sistemi. A quei tempi se, per esempio, come azienda sviluppavo un sistema che andava bene per il settore wellness e volevo riutilizzare la stessa tecnologia per la logistica, c’erano dei problemi. Era necessario un sistema IoT che mettesse in collegamento le applicazioni esistenti con quelle nuove senza per questo dover rivedere tutto nel caso una di queste applicazioni 19
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venisse cambiata. È un’idea che è piaciuta moltissimo alla Comunità Europea che ha finanziato questo progetto con più di 18 milioni di euro. È stato il primo progetto al mondo che ha cercato di unificare i vari campi dell’IoT per fare sì che tutte le tecnologie potessero essere utilizzate nei settori più disparati. L’immagine emblematica utilizzata per questo progetto era quella dell’albero: le tecnologie erano le radici e le foglie i campi di applicazione. Il tronco dell’albero permetteva che le radici portassero i dati alle varie foglie con un’unica connessione.
Parla di rete come di un “grafo”: qual è l’implicazione pratica? Il grafo è un concetto preso in prestito ai matematici. Si tratta di un modello formale in cui esistono “nodi” e “archi” che li collegano. Abbiamo scoperto che le caratteristiche e le dinamiche che regolano i percorsi all’interno di un grafo ci aiutano a comprendere con grande immediatezza il modo in cui comunicare in maniera efficace, organizzare il lavoro di chi produce e cura contenuti, comprendere il modo in cui le persone ridistribuiscono ciò che è stato comunicato loro.
Che ruolo ha avuto l’Italia in questo progetto e di cosa sta beneficiando? Al progetto ha partecipato l’Università di Padova, La Sapienza di Roma e il Consorzio Ferrara Ricerche. L’idea è nata nell’ambito europeo e poi c’è stata una grande partecipazione industriale tedesca, francese, inglese, etc. Quanto ai benefici è difficile parlarne adesso, perché solitamente dalla scoperta al reale utilizzo passa sempre del tempo. IoT-A è di grandissima ispirazione a moltissime aziende, non italiane purtroppo. La Bosch, per esempio, quando assume personale nel settore IoT, per prima cosa fa leggere il manuale IoT-A al neoassunto.
Che obiettivi ha IoT Italy come associazione di categoria di un settore innovativo e in evoluzione come questo? In primis l’associazione vuole fare sistema tra le aziende italiane. Nonostante siamo un po’ indietro rispetto agli altri Paesi, abbiamo anche noi delle eccellenze che hanno ricevuto riconoscimenti internazionali molto importanti. Il tessuto industriale italiano è fatto di aziende medio-piccole e per un’azienda di questo tipo è sempre difficile farsi sentire. Se Mitsubishi presenta un nuovo prodotto viene subito riconosciuto, mentre un’azienda di venti persone ha chiaramente più difficoltà. In seconda istanza, come associazione, vogliamo creare le condizioni
Alessandro Bassi Esperto in IoT
Alessandro Bassi è attualmente uno dei massimi esperti in Internet of Things a livello internazionale. É stato uno dei membri dell’IoT Expert Group, nominato dalla Commissione Europea con l’obiettivo di sviluppare e diffondere IoT nell’ambito dell’Agenda Digitale. Oggi, attraverso la Alessandro Bassi Consulting, offre consulenze tecniche e aziendali per massimizzare gli investimenti nel settore attraverso soluzioni ICT avanzate. Ex direttore tecnico di IoT-A, progetto-faro dell’UE. È membro di IoT Italy, associazione senza scopo di lucro che ha come fine di rappresentare gli interessi delle aziende che hanno delle attività in Italia relative all’Internet delle Cose. 20
INCONTRI CON
Dal punto di vista industriale l’IoT si troverà di fronte a due possibilità: la prima è rifare meglio i prodotti, la seconda è costruire dei nuovi prodotti. di incontro per le aziende operanti in Italia, anche se straniere, questo proprio perché oggi il mercato è aperto e sarebbe riduttivo limitarsi alle aziende solo italiane. Lo scopo è far conoscere i prodotti italiani all’interno del territorio: cosa non così scontata. Infatti, lavoriamo molto per pubblicizzare l’IoT in Italia, attraverso degli eventi mirati ad un target ben preciso, raccontiamo sia storie di successo che di insuccesso, fondamentali per l’apprendimento delle best practice. L’associazione, avendo un know how e un patrimonio di relazioni, può aiutare l’azienda nel processo di internazionalizzazione. Infatti ogni Paese ha le sue regole: fare affari con un giapponese, per esempio, è davvero molto difficile se non costruisci una relazione con le persone per almeno due anni.
Nasceranno tutte le aziende virtuali che connetteranno gli oggetti. Immaginiamo un’azienda che metta in contatto i frigoriferi e i produttori (come descritto nell’esempio precedente): questa non avrà il costo dell’edificio, la logistica, etc., e come modello di azienda avrà un grande successo. Dal punto di vista industriale l’IoT si troverà di fronte a due possibilità: la prima è rifare “meglio” i prodotti, connettendo le varie fasi produttive e personalizzandoli (con le auto succede già: posso scegliere il pantone del colore della mia auto per esempio); la seconda è costruire dei nuovi prodotti. Nell’industria ci sono dei prodotti, oggi, che non possono essere più pensati in termini di possesso ma di uso che se ne fa. Prendiamo un trapano (in casa si usa una volta all’anno o comunque poche volte) e supponiamo che mi sia costato cento euro: si evince chiaramente che il costo per un buco sarebbe molto alto. Se in un condominio di dieci famiglie esistono dieci trapani, è evidente l’alto grado di spreco. Sarebbe ben diverso, invece, se l’azienda produttrice di trapani cominciasse a pensare nell’ottica di monetizzare l’uso, magari attraverso un app sul telefonino che gestisca il costo dell’uso del trapano a tempo. Queste aziende di intermediazione per ora non esistono, ma gli oggetti connessi danno dei dati che possono essere utilizzati dall’azienda per capitalizzare altri aspetti dello stesso prodotto.
Lo sviluppo dell’IoT, secondo lei, richiede anche un cambio di modello di business? Se sì, in che termini? E soprattutto, vale per tutte le aziende? Non è valido per tutti. Internet per esempio ha creato tanti modelli di business che poi sono scomparsi. Ma diversi sono nati e molti si sono evoluti. Il settore viaggi, per esempio: quando è stata infatti l’ultima volta che ha prenotato in un’agenzia? Un settore che sta crollando perché Internet ha stravolto certi parametri. Succederà sicuramente anche per l’IoT. Dire quando succederà è molto difficile. Di sicuro sono tecnologie che si svilupperanno prima in altre aree, come la Francia, che è già avanti sia dal punto di vista del mercato consumer che delle aziende.
Ci sono dei settori che secondo lei sono destinati a scomparire con lo sviluppo di questo mercato? E quali a nascere e/o crescere? 21
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MARIO CALVO PLATERO La rivoluzione industriale che annulla i posti di lavoro Le sfide per l’essere umano secondo Platero, giornalista di Radio 24 Le passate rivoluzioni industriali hanno trasferito il lavoro dalle campagne alle industrie. Oggi l’Industria 4.0 annulla i posti di lavoro e la riqualificazione non basta. Farà più facilmente carriera chi avrà posti dirigenziali e molti lavori verranno sostituiti. Industria 4.0: la sua visione? È un elemento di svolta per tutti noi perché, con l’obiettivo di arrivare a una digitalizzazione quanto più completa possibile, le imprese possono in effetti migliorare la loro efficienza e la produttività. E con la digitalizzazione ci sono altre ricadute, per esempio con piccole rivoluzioni in ambiti molto diversi. Come quando sono comparsi i Social Network, che hanno cambiato la comunicazione del messaggio pubblicitario e il tradizionale rapporto tra agenzie di pubblicità e azienda: se come azienda raggiungo un milione di persone con un video promo che mi costa un migliaio di dollari, è evidente che questo cambia il modo di fare pubblicità rispetto al passato. Si sta modificando il modo di condurre i nostri affari. Pensate alla crescita del mercato dei bitcoin. Tutti si chiedono: funzioneranno? Se si pensa che ci sono state alcune emissioni di bitcoin destinate alla raccolta di capitali per startup, questo sviluppo potrebbe spiazzare le banche d’affari e non dare adeguate garanzie di trasparenza agli investitori. L’ingresso dirompente della tecnologia digitale sui mercati dei capitali, da una parte semplifica, perché 22
riduce i costi di accesso in termini di commissione e consente più flessibilità sul piano delle regole; dall’altra rischia di operare in una zona grigia pericolosa per la trasparenza e per la stabilità dei mercati. Per questo credo che il fenomeno vada controllato: non possiamo imbrigliare in mille regole le banche tradizionali e poi lasciare campo aperto a strumenti che non conosciamo davvero.
Si parla di IoT come di un futuro che ci cambierà la vita, anche se già lo sta facendo in parte. Quali sono secondo lei i paesi più ricettivi a queste tecnologie? Tutti i paesi industriali dovrebbero essere ricettivi all’IoT. Il mondo intero ne parla e la mia impressione è che il termine abbia un sapore nuovo, creato dalla genialità di qualche marketer, perché la tecnologia è in realtà già nota da tempo ed è già applicata. Qui si parla di allargarne lo scopo. Il concetto è semplice, si collegano fra loro server che lavorano su piattaforme remote e diverse, server che operano in ambienti diversi, per arrivare a collegare quegli stessi ambienti in modo che possano scambiarsi dei dati per lavorare meglio. La rete intranet aveva già questa modalità tecnologica di base. Qui però parliamo di un’applicazione più estesa e più evoluta, pensiamo alle città intelligenti, città dove tutti i server destinati ai servizi pubblici (elettricità, pompieri, ospedali, acquedotti, etc.) sono collegati in tempo reale per ottimizzare il loro lavoro e per migliorare le varie attività di servizio attraverso uno scambio continuo di informazioni.
INCONTRI CON Platero
Tutti i Paesi industriali dovrebbero essere ricettivi all’IoT. Il mondo intero ne parla e la mia impressione è che il termine abbia un sapore nuovo, creato dalla genialità di qualche marketer perché la tecnologia è in realtà già nota da tempo ed è già applicata. 23
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Qual è la percezione che l’America ha sull’Italia su questi aspetti? Generalmente l’America non si occupa troppo dell’Italia, a meno che non ci sia qualcosa di eclatante come il cambiamento di un governo. Interessa naturalmente il nostro mercato e se ci sono delle opportunità gli investitori americani cercano di coglierle anche sul piano dell’innovazione tecnologica. Ma un’azienda che lavora con l’Italia continua ad essere molto scettica sulla flessibilità italiana, perché, nonostante le riforme, certe rigidità restano. Abbiamo un sistema giuridico non garantista che scoraggia chi dall’estero vuole fare business in Italia. Detto questo ci sono delle aziende che investono per colmare dei gap. Come Linkem, una società che nasce da una finanziaria americana guidata da un personaggio celebre, l’ex capo di Shearson Lehman, Peter Cohen. Linkem, con la propria tecnologia, coprirebbe potenzialmente molte aree sperdute, magari collinose o montagnose dove è difficile far arrivare la fibra ottica. Prendiamo una grande banca italiana con centinaia di succursali in cittadine o paesini dove Internet è ancora instabile o addirittura non è arrivato: poter offrire una rete veloce risolve un problema.
La tecnologia va avanti lo stesso senza una politica adeguata? La tecnologia si sviluppa in maniera autonoma, ma sono necessari anche dei progetti di politica industriale e
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La tecnologia si sviluppa in maniera autonoma, ma sono necessari anche dei progetti di politica industriale e finanziaria per agevolarne la diffusione. finanziaria per agevolarne la diffusione. I ragazzi italiani che sono alla Silicon Valley, per esempio, son lì perché in Italia non trovano un ecosistema adatto alla raccolta di fondi con la stessa facilità con cui capita in America. Allo stesso tempo ci sono dei piccoli geni italiani che diventano delle celebrità, perché dall’Italia studiano dei sofisticati programmi anti hackeraggio: ci sono delle realtà, come il politecnico di Torino e quello di Milano, che riescono a produrre degli ingegneri molto bravi, che stanno cercando di replicare il modello americano, ovvero quello che prevede il coinvolgimento dei privati come partner delle università. Dov’è il collegamento con la politica? Siccome noi abbiamo un sistema super centralizzato, le università sono sottoposte ad un controllo appunto centrale e non è automatico poter ottenere dei fondi privati in modo
INCONTRI CON diretto. Molta burocrazia ancora esiste ed è limitante. La politica deve intervenire cercando di capire innanzitutto quali sono le barriere all’ingresso che rallentano il processo.
Interconnessione tra tutti e tutto: è davvero uno sviluppo positivo? Dal punto di vista dell’azienda sicuramente sì, anche se ci sono molte riserve per il rischio di ricadute, ad esempio sul consumatore. Fiat Crysler può derivare vantaggi produttivi da un sistema di scambio dati, diciamo, con la catena di produzione della General Motors. Mi chiedo però: fino a che punto può essere utile scambiare informazioni? C’è la questione della riservatezza dei dati, della concorrenza e il rischio che un hacker in un colpo solo possa mettere in crisi l’intero sistema informatico di due aziende contemporaneamente! L’azienda è davvero interessata a rendersi vulnerabile? Altro esempio di vulnerabilità digitale: come sappiamo le auto oggi possono essere controllate da un sistema centrale che può aiutare ad esempio ad aprire le portiere se dimentichiamo le chiavi in macchina. Molto utile. Però nel 2015 due hacker hanno penetrato il sistema digitale della Jeep e hanno preso il controllo di una vettura agendo su freno, sterzo e acceleratore in remoto: erano d’accordo con un giornalista di Wired per dimostrare certe vulnerabilità e la Jeep ha dovuto richiamare oltre un milione di auto per rimediare gli errori.
Come vede l’evoluzione dell’essere umano nell’era dell’IoT? Ci sono delle sfide che vanno risolte, perché l’applicazione dell’IoT crea disoccupazione e sottoccupazione. Se la tecnologia digitale, l’intelligenza artificiale e la robotica arriveranno a sostituire persino un barbiere, non potranno mai sostituire quegli elementi di empatia, di relazione umana e di emotività e calore che ci contraddistinguono come società. Secondo i futurologi un recupero di posti di lavoro potrebbe avvenire attraverso il settore “non profit”, che in America è già un settore che vale circa 1.700 miliardi di dollari e occupa quasi il 10% della forza lavoro. Non solo volontariato, dunque, ma un vero e proprio lavoro in un settore dove le caratteristiche innate dell’essere umano sono indispensabili e insostituibili.
Se consideriamo un punto di vista più macro? Lo sviluppo tecnologico aiuta l’azienda, ma diminuisce i posti di lavoro. A differenza di altre rivoluzioni industriali che trasferivano il lavoro dalle campagne all’industria, oggi l’innovazione tecnologica corre molto più rapida dell’adeguamento della forza lavoro alle nuove realtà produttive e molti posti di lavoro a buon reddito spariscono. Questo crea sperequazione dei redditi, c’è una classe dirigenziale che sta meglio, un gruppetto di super ricchi ai vertici e una classe media che sta sempre peggio. Il fenomeno si è amplificato con la combinazione della crisi finanziaria, con un forte impulso innovativo proprio a cavallo degli anni 2007/2009. Questo si è tradotto in uno scontento per buona parte dell’opinione pubblica che usa i Social Network e sfrutta sensazionalismo e fake news. C’è una sfida alla trasparenza del dibattito politico democratico e una sfida alle stesse democrazie con l’emergere del populismo e del nazionalismo.
Mario Calvo Platero Giornalista Radio 24
Mario Calvo-Platero è un giornalista italiano, nato a Tripoli e naturalizzato statunitense. A capo della redazione statunitense de Il Sole 24 Ore per quasi 30 anni, ha costituito, nel 1982, la Emc che fornisce servizi giornalistici in tempo reale. Ha intervistato i presidenti Ronald Reagan, George Bush Sr., George W. Bush e Bill Clinton. È stato inviato di guerra durante il conflitto del Golfo del 1991 e ha seguito in presa diretta l’attacco alle Torri Gemelle. Sposato e con tre figli, attualmente conduce America 24 su Radio24.
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INTESA SANPAOLO Super ammortamento? L’incentivo più gettonato Ruggero Recchioni, team Industry Innovation Intesa Sanpaolo: opportunità di sviluppo e nuove tecnologie 4.0: le aziende italiane nel settore della meccanica sono al di sotto rispetto ai competitor internazionali solo di 5 punti percentuali. Il 60% delle richieste di finanziamento arriva da quelle con almeno 3 milioni di fatturato. Intesa Sanpaolo si pone nei confronti 26
delle aziende non solo come aiuto finanziario, ma anche come consulente 4.0. Per le startup esistono dei veri e propri percorsi di supporto dedicati: tra gli strumenti offerti, l’accesso al Fondo Garanzia.
INCONTRI CON Intesa Sanpaolo In base alla vostra esperienza, pensate che le aziende si sentano già pronte ad affrontare il cambiamento dell’Industria 4.0 oppure molto deve essere fatto in termini di conoscenza e consapevolezza? La sfida Industry 4.0 è ben nota ad una buona parte delle imprese, che naturalmente ha livelli di consapevolezza e preparazione per affrontarla. Nella prima metà del 2017 la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo ha condotto un’indagine su 363 imprese appartenenti al settore della meccanica. Gran parte delle aziende intervistate dichiara di conoscere il Piano Industria 4.0 sul lato dell’offerta e sono imprese ben posizionate nello scenario competitivo: il 69% sostiene, infatti, di avere già oggi un’offerta di beni 4.0. Dal confronto con il posizionamento strategico dei competitor internazionali emerge un ritardo contenuto: la percentuale di imprese straniere con un’offerta significativa di macchinari 4.0 è pari al 74%, solo 5 punti percentuali in più rispetto a quanto riscontrato nel campione di indagine.
Nell’ultimo anno, che richieste avete ricevuto da parte delle aziende che vogliono diventare 4.0, in termini qualitativi e quantitativi? Dati i tempi del Piano Nazionale Industria 4.0 ci aspettiamo di registrare un effettivo impatto sulle richieste da parte delle aziende a partire dalla seconda metà dell’anno (settembre – dicembre 2017); da un’indagine effettuata lo scorso marzo da Intesa Sanpaolo, su un campione di aziende del segmento STAR di Borsa Italiana (aziende che
per loro natura si caratterizzano per un elevato tasso di digitalizzazione), è già emerso che:
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il 74% delle aziende hanno in programma di rinnovare i propri macchinari (avvalendosi del super ammortamento);
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il 48% ha incrementato le proprie spese in R&S beneficiando delle detrazioni fiscali del piano nazionale;
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il 55% ha applicato il Patent Box e il 17% ritiene che le misure del Governo su Industry 4.0 e Patent Box possano costituire un importante supporto per la crescita dei propri ricavi; in particolare si tratta di aziende che producono macchinari, ma anche di aziende che sviluppano ed installano infrastrutture di comunicazione, progettano e forniscono servizi e strumentazione per “Internet of Things” (IoT) o forniscono prodotti di leasing per l’acquisto di macchinari.
Quali sono le tipologie di aziende che richiedono maggiormente un contributo in questo senso? Le evidenze disponibili mostrano che l’Industria 4.0 è più diffusa tra le imprese grandi: tanto più grande è l’impresa, tanto maggiore è l’attitudine a offrire beni strumentali interconnessi e ad operare con processi avanzati. Secondo la nostra ricerca, la presenza di imprese che producono macchinari 4.0 passa infatti dal 60% per quelle con meno di 3 milioni di euro di fatturato all’82% di quelle con più di 25 milioni di fatturato.
Quali sono i motivi per cui a volte i progetti di Industry 4.0 si arenano? Per le imprese in ritardo nell’adozione di Industry 4.0 uno dei principali ostacoli riconosciuti è il ritardo
infrastrutturale nella diffusione della banda ultra larga, ma occorre anche aumentare il supporto per la diffusione della competenza e dei processi di adozione di innovazione, ad esempio da parte dell’università, soprattutto per le imprese più piccole. Poi c’è la questione delle fonti di finanziamento: per investire e crescere le aziende 27
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necessitano di una struttura finanziaria solida. Questo può significare un ribilanciamento tra equity e debito. La Banca d’Italia stima che per far convergere la leva finanziaria italiana sulla media europea servirebbero 200 miliardi di mezzi propri e una corrispondente riduzione dell’indebitamento. Va inoltre rimodulato l’accesso alle fonti di finanziamento di debito: con più obbligazioni e meno credito bancario, più debito a medio-lungo termine e meno a breve, si potrebbe migliorare la situazione. Altri fattori di freno sono la scarsa consapevolezza del potenziale offerto dagli investimenti 4.0 e l’assenza di centri di ricerca in azienda, che causano una mancanza di competenze e know-how.
Iper ammortamento e super ammortamento: qual è il contributo del Governo in termini di agevolazioni economiche? Di cosa stiamo parlando esattamente? Le misure avviate dal Governo a supporto degli investimenti nella Legge di Stabilità 2017 consentono la deduzione di un maggior costo figurativo rispetto a quello sostenuto per l’acquisto dei beni. In particolare il super ammortamento prevede una deducibilità al 140% degli investimenti in beni strumentali materiali e immateriali, mentre l’iper ammortamento una deducibilità al 250% degli investimenti per beni strumentali funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale secondo il modello Industria 4.0.
Ad un’azienda che vuole intraprendere il percorso 4.0, che tipologia di supporti può dare invece Banca Intesa? In aggiunta ai prodotti finanziari dedicati a progetti d’innovazione, e più specificatamente di Industry 4.0 che già oggi la Banca offre alle aziende clienti, Intesa può aiutare i propri clienti ad accedere a servizi professionali per la valutazione degli interventi e l’accesso alle agevolazioni, tramite partnership che abbiamo siglato ad hoc. Grazie ad un importante sforzo di formazione e dialogo con le aziende, oggi i nostri clienti possono trovare interlocutori preparati e capaci di comprendere le “esigenze 4.0” che manifestano. Infine, l’Innovation Center dedica una parte delle proprie attività ai bisogni di innovazione delle imprese clienti, con pubblicazioni sui trend tecnologici per i principali settori, supportando lo scouting di realtà tecnologiche d’interesse attraverso l’utilizzo di piattaforme (Tech Marketplace) o con servizi di advisory diretto, fino alla ricerca di opportunità 28
In aggiunte ai prodotti finanziari dedicati a progetti d’innovazione [...] Intesa può aiutare i propri clienti ad accedere a servizi professionali per la valutazione degli interventi e l’accesso alle agevolazioni, tramite partnership che abbiamo siglato ad hoc. d’investimento in brevetti ed il supporto diretto con il coinvestimento con i clienti. Intesa Sanpaolo sta sviluppando queste iniziative sia all’interno che con partner esterni in modo da coinvolgere tutti gli attori dell’Ecosistema dell’Innovazione.
Confrontandovi con le realtà imprenditoriali, che rapporto rilevate tra aziende e tecnologia? Con l’adozione di tecnologie digitali nei macchinari si aprono nuovi spazi di offerta, con effetti rilevanti sulle aree e sui modelli di business: i servizi legati alla progettazione e al post vendita possono essere potenziati e i macchinari possono essere dati in affitto. Secondo la nostra survey, il 57% degli intervistati afferma che già oggi dai macchinari 4.0 possono essere raccolte informazioni e dati utilizzabili nell’area di ricerca e sviluppo aziendale. Questa percentuale è destinata a salire sopra l’80% nei prossimi anni. Numerosi studi attestano un generale ritardo delle imprese italiane per quanto riguarda l’introduzione di nuove tecnologie (l’età media dei macchinari di produzione del Paese è la più alta registrata negli ultimi 40 anni – ovvero 12 anni e 8 mesi – dati al 2014) a causa di un generale rallentamento degli investimenti industriali che causa obsolescenze degli impianti. Industria 4.0 può cambiare questo trend ed il Piano del Governo offre un’importante opportunità alle imprese. Le tecnologie Industria 4.0 infatti, possono favorire anche Paesi dove le PMI sono più diffuse.
INCONTRI CON Nel caso dell’Italia permettono quindi di rafforzare le proprie capacità di produrre in piccole serie e con prodotti customizzati; gestire in modo più efficiente i rapporti di filiera tra tante PMI; sfruttare le proprie competenze riconosciute nella meccanica e robotica; valorizzare le eccellenze del sistema universitario nel campo dell’ingegneria e della scienza.
Ci sono degli accordi tra il governo e le banche per agevolare le aziende? Ci sono certamente momenti di confronto e tavoli a livello di ABI in cui c’è spazio per confrontarsi su questi argomenti, oltre naturalmente all’interazione per comprendere al meglio come mettere le imprese nella condizione di accedere alle misure governative previste.
Che tipo di rapporti avete, invece, con le startup? Intesa Sanpaolo, anche attraverso l’Innovation Center, ha sviluppato numerose iniziative e servizi per supportare le startup. L’obiettivo è contribuire a costruire i campioni di domani e promuovere la crescita dei settori industriali. Abbiamo sviluppato sul territorio una rete di specialisti
dedicata a individuare e supportare le startup con gli strumenti tradizionali, come l’accesso al Fondo di Garanzia con procedure di valutazione dedicate. Tra le principali iniziative a supporto dei nuovi campioni c’è la Startup Initiative (un percorso di eccellenza che ha valutato negli anni quasi 5000 startup), l’investimento tramite i fondi di Venture Capital (34 investimenti per oltre 60€mln) e Corporate VC, fino alle evoluzioni dei modelli di rating interno della Banca ed a prodotti finanziari dedicati (es. prestito convertibile).
Voi, come azienda, cosa state facendo per essere più connessi? La digitalizzazione è una delle sfide principali, il Gruppo sta facendo investimenti importanti per adeguare continuamente la propria offerta e i propri processi secondo le ultime possibilità offerte alle tecnologie, compatibilmente con quanto previsto dalla regolamentazione vigente. Inoltre Intesa Sanpaolo ha avviato un percorso interno di medio-lungo termine che ha l’ambizione di sostenere il posizionamento strategico del Gruppo sul tema dell’Industry 4.0 accompagnando la Banca stessa sul proprio percorso evolutivo verso la frontiera della “Banca 4.0”.
Ruggero Recchioni
Capo del Team di Industry Innovation Intesa Sanpaolo Ruggero Recchioni è capo del Team di Industry Innovation all’interno dell’Innovation Center di Intesa Sanpaolo. Il Team supporta le aziende clienti della Banca nell’individuare opportunità di sviluppo e di investimento legate alle nuove tecnologie e ai nuovi modelli di business. Laureato in Ingegneria per l’Ambiente, con un master in Management dell’energia e dell’ambiente ed un dottorato di ricerca in Energetica, ha esperienze nel settore privato e nella consulenza strategica. 29
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SIEMENS PMI 4.0, piĂš formazione a chi le guida Intervista a Giuliano Busetto, Country Division Lead Digital Factory e Process Industries and Drives
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INCONTRI CON Siemens Vincere le resistenze dell’imprenditore alla conversione 4.0 si può facendogli percepire la trasformazione digitale e gli strumenti informatici come mezzo di risparmio ed “efficientamento”, o come un’occasione di sviluppo di nuovo business e professionalità. Nel 2013 avete dichiarato che l’industria 4.0 era “futuro”: stiamo ancora creando questo futuro o possiamo dire che è diventato presente? È certamente il presente, ma sarà anche il futuro. Siemens ha risposto alla trasformazione digitale in atto con il proprio portafoglio Digital Enterprise e più recentemente con il lancio di Mindsphere per rendere digitali le aziende nostre clienti. Nonostante il sentire diffuso che vede l’imprenditoria italiana ancora lontana dai temi della trasformazione industriale che porta alla fabbrica 4.0, l’esperienza dell’ultimo anno, maturata nell’ambito della collaborazione con le associazioni industriali italiane e presso i nostri clienti, ci induce ad essere ottimisti perché riscontriamo un accresciuto interesse per questi temi. In Italia abbiamo fatto dei passi in avanti importanti.
Avete stabilito delle linee strategiche su cui puntare a partire da quest’anno, definendole Vision 2020: qual è l’obiettivo che vi siete posti nell’ambito della digitalizzazione? Siemens ha l’obiettivo di crescere a doppia cifra, ogni anno fino al 2020, nei mercati del software, dei servizi digitali e delle piattaforme cloud. Nell’esercizio fiscale 2016, abbiamo generato un fatturato mondiale di oltre un miliardo di euro con i servizi digitali e di circa 3,3 miliardi con le soluzioni software; un incremento annuale di circa il 12%, ben al di sopra della crescita annua del mercato di riferimento che si attesta attorno al 8%. MindSphere è una fondamentale leva di crescita. Ci permette, per la prima volta, di offrire ai clienti, di ogni settore, dall’industria ai servizi ferroviari, un sistema operativo aperto per l’internet delle cose, basato su cloud, che rende inoltre possibile lo sviluppo e il funzionamento di app e servizi digitali. Siamo convinti che la digitalizzazione non sia un’opzione ma una trasformazione che ogni azienda dovrebbe fare per rimanere competitiva.
Considerate la digitalizzazione una leva per lo sviluppo industriale: ma come lavorate con le piccole imprese italiane per offrire loro una versione dell’industry 4.0 economicamente sostenibile? II fattori abilitanti che rendono possibile questo cambiamento sono vari e vanno dalla disponibilità e qualità delle soluzioni tecnologiche, alle infrastrutture digitali, alle competenze umane e agli investimenti finanziari. Le implicazioni sono enormi non solo per i sistemi produttivi, ma anche per il mondo del lavoro e le economie in senso lato che impattano su una realtà industriale italiana affetta da molteplici criticità.
Siamo convinti che la digitalizzazione non sia un’opzione ma una trasformazione che ogni azienda dovrebbe fare per rimanere competitiva. Le piccole e medie imprese, in particolare i costruttori di macchine, devono necessariamente essere parte di questo processo e per consentire loro di sfruttare appieno le opportunità offerte dal progredire delle nuove tecnologie, forniamo strumenti adeguati alle loro specifiche realtà. Un esempio su tutti è la soluzione completa e unica della catena CAD-CAM/CNC per l’Additive Manufacturing che, sotto la spinta di cicli di innovazione più brevi e della produzione di massa di prodotti personalizzati, sta assumendo maggiore rilevanza nella produzione di nuove geometrie e forme con tecnologie additive e sottrattive oltre che nella ricerca di nuovi materiali.
Le aziende che come voi si impegnano per far sì che l’Industria 4.0 non sia solo una teoria astratta devono tenere in considerazione la diversità economica e industriale di ogni paese per progettare soluzioni ad hoc: come si differenzia l’Italia rispetto al resto d’Europa? 31
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La vera leva, che hanno i produttori europei per competere a livello internazionale contro i Paesi a basso costo del lavoro, è di espandere al massimo l’adattabilità produttiva, ossia la capacità di adeguarsi in tempi il più possibile brevi alla volatilità delle richieste del mercato. Questo significa l’integrazione spinta di tutte le risorse che concorrono alla generazione del valore. Nei prossimi anni assisteremo sempre di più all’introduzione in fabbrica di sistemi “cyberfisici” che coadiuveranno le risorse umane espandendone le capacità e permettendo di realizzare dei sistemi di produzione strutturalmente flessibili e adattabili. Il primo ostacolo che le aziende trovano nell’imboccare la strada della trasformazione in senso 4.0, prima ancora che tecnico, è culturale e consiste nel percepire la trasformazione digitale e gli strumenti informatici come mezzo di risparmio ed “efficientamento”, piuttosto che un’occasione di sviluppo di nuovo business e professionalità. Per invertire la tendenza e fare in modo che le PMI Italiane sfruttino appieno le opportunità e la capacità di sviluppare un business migliore, offerte dalle moderne tecnologie informatiche, sarà necessario lavorare per migliorare la conoscenza e l’esperienza specifiche del singolo imprenditore affinché acquisisca la confidenza e la consapevolezza necessaria per utilizzare le nuove tecnologie trasformando un costo puro in valore e opportunità per il business.
affidandosi alle competenze di un gruppo come Siemens, attivo da tempo sul fronte della digitalizzazione e di ciò che separa presente e futuro. Ed è ciò che è successo ad esempio con la macchina Pulsar 351 di Easysnap Technology, realtà emiliana titolare di una nuova tecnologia di packaging: una confezione per liquidi e semiliquidi che si apre con una sola mano e consente di erogare il contenuto in modo preciso, pulito e senza sprechi, con vantaggi in termini di usabilità e accessibilità. La macchina che produce le confezioni, assai avanzata è stata realizzata seguendo un percorso che risponde e rispetta in maniera completa i dettami del 4.0, i requisiti indicati dal Piano Calenda. Per un prodotto e un’applicazione tanto innovativi in termini di performance e flessibilità (come l’Easysnap), c’è un workflow produttivo altrettanto innovativo: un percorso 4.0 completo che comincia dalla realizzazione di un gemello virtuale della macchina con il modulo Mechatronics Concept Designer di NX, per una prototipazione e conseguente simulazione virtuale ancor prima che inizi la produzione reale, con evidenti benefici in termini di costi. Passando alle fasi di ingegnerizzazione e produzione, dal mondo dell’automazione al mondo elettromeccanico, dal condition monitoring fino all’analisi e valorizzazione di tutti i dati e le informazioni di produzione all’interno di MindSphere. La macchina è inoltre dotata delle più recenti e performanti dotazioni tecnologiche Siemens.
Quali sono le vostre partnership più significative e quali sono i progetti a cui state lavorando con loro? La PMI che intende innovare i processi e i prodotti in genere fatica a raggiungere tutti gli obiettivi se non
Giuliano Busetto
Country Division Lead Digital Factory e Process Industries and Drives Laureato in Ingegneria Elettrotecnica al Politecnico di Milano, studi classici, con un background professionale maturato nell’automazione industriale, nel controllo di processo e nei sistemi per l’energia, Giuliano Busetto approda in Siemens nel luglio 2002 con il ruolo di responsabile della divisione Industrial Solution & Services. Dal 1° gennaio 2006 assume l’incarico di responsabile della divisione Automation and Drives e dal 2008 di Country Sector CEO del Settore Industry. Da Novembre 2016 è Presidente di ANIE Confindustria (Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche). È Vice Presidente dell’Ente Morale EMIT Feltrinelli. 32
HPE Synergy Una piattaforma di infrastruttura componibile integrata che unisce le applicazioni nuove e tradizionali, consentendo all’IT di creare ed erogare immediatamente valore e senza interruzioni.
Una sola piattaforma per tutti i carichi di lavoro Gestione dei dati scalabile, facile e rapida Ambienti fisici e virtuali in un unico frame Adatta a supportare modelli operativi DevOps Applicazioni tradizionali e cloud privato in un’unica infrastruttura
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IBM WATSON IOT “Intelligenza aumentata” per Industria 4.0 Andrea Boccotti ci racconta il ruolo del cognitive computing IBM nel mondo delle fabbriche intelligenti I dati, cuore di questa quarta rivoluzione industriale in atto. Perché e come estrarre e dare il giusto valore a questo patrimonio in un’ottica di automazione evoluta del mondo del “Fare”, secondo IBM. IBM e Industria 4.0: le “fabbriche intelligenti” avranno davvero così tanti dati da valorizzare? La trasformazione verso l’Industria 4.0 si fonda sul dato, che rappresenta il “valore” innovativo di questo percorso. La capacità di raccogliere, storicizzare, analizzare e interpretare i dati in tempo reale è la vera sfida. Quanti dati raccogliere è una scelta della singola azienda e dipende 34
dagli obiettivi che si sono prefissati all’inizio del percorso. Con macchine che sono sempre più “elettroniche” e sempre meno “meccaniche”, i dati raccolti possono raggiungere moli importanti. La prima domanda a cui rispondere dovrebbe quindi essere: mi servono tutti questi dati? Infatti, sia la raccolta che la memorizzazione di questi comporta un costo: è quindi fondamentale procedere attraverso una valutazione dei costi/benefici che comportano raccolta, gestione e analisi di essi. In linea di principio si può affermare che in una fase iniziale possono servire tutti i dati, per creare il “data lake” volto ad analizzare la storia; ma poi nell’operatività ne servono molti meno, e in questa fase vengono in aiuto le soluzioni di Edge Analytics.
INCONTRI CON Ibm Watson IoT
Qual è e quale sarà il ruolo di Big Blue nello sviluppo dell’Industria 4.0? IBM è da sempre al fianco delle organizzazioni nei loro percorsi di trasformazione e di crescita, sostenendoli con l’innovazione portata dalle proprie tecnologie, soluzioni, esperienze e competenze. Per l’Industria 4.0 IBM ha sviluppato un’architettura di riferimento che include soluzioni cloud sicure, affidabili e certificate per un contesto di business, una piattaforma aperta per l’analisi dei dati e la realizzazione di soluzioni ad hoc, la piena integrazione della sensoristica e dell’infrastruttura di campo offerte da un ecosistema di partner e, ultime ma non ultime, le soluzioni cognitive. Queste, assieme alle competenze di consulenza e progettuali, rappresentano l’elemento differenziante di IBM nell’Industria 4.0, in quanto permettono di correlare in modo originale e unico i dati, i sistemi, le tecnologie e i processi per costruire una nuova catena del valore. Infine, IBM aiuta le imprese ad affrontare il percorso di trasformazione verso l’Industria 4.0 anche rivisitando i processi, l’organizzazione e il modo di operare delle persone coinvolte, siano esse dipendenti, fornitori o clienti.
IBM Watson IoT: quali le funzionalità che dovrebbero permettere alle aziende di accostarsi all’IoT senza rischi? Prima di tutto IBM Watson IoT è la piattaforma di soluzioni in cloud che permette alle aziende di sperimentare nello sviluppo in ambito Internet of Things, contenendo al
minimo gli investimenti e i relativi rischi. La piattaforma comprende funzionalità che permettono la raccolta e l’analisi dei dati, integrando i servizi cognitivi per aiutare le aziende nella comprensione veloce dello scenario e nella individuazione delle azioni da intraprendere per indirizzare un problema o migliorare un aspetto produttivo o di processo. La piattaforma permette anche l’integrazione, in modo semplice, con strumenti di mobile computing offerti in modalità servizio. Grazie a tutte queste caratteristiche, IBM Watson IoT permette alle imprese di “partire in piccolo pensando in grande”, di sbagliare e ricominciare con estrema rapidità e di crescere in maniera flessibile in base a quanto il mercato richiede.
Cosa è stato già fatto in questo ambito in Europa? Esistono delle case history europee nell’ambito di applicazione della piattaforma IBM Watson IoT all’Industry 4.0? In ambito Industria 4.0 esistono diverse case history come quelle europee di John Deer, car2go di moovel GmbH e quelle italiane di SIT e di SILC (ibm.com/it/industria4.0). In particolare, le imprese italiane che si stanno muovendo nei settori della metallurgia, dove abbiamo casi relativi al monitoraggio dei processi produttivi e alla previsione dei guasti con riduzione dei tempi di fermo impianto e drastico miglioramento della qualità del prodotti; della chimica, con progetti di gestione automatizzata dei processi produttivi e logistici; dell’aerospace, con progetti sulla gestione dell’avanzamento della produzione in tempo reale, sulla tracciabilità dei prodotti e sulla gestione dei sistemi 35
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di montaggio per arrivare alla fabbrica “Zero difetti”; dell’impiantistica, dove aiutiamo a monitorare gli impianti prodotti e a trasformare in modo innovativo il business della manutenzione, riducendo scorte, introducendo servizi di after sales proattivo e vendendo nuovi servizi a valore nel campo dell’ingegneria.
E in Italia? Come ci si sta muovendo? L’Italia è in grande fermento, spinta anche dal Piano di Governo per l’Industria 4.0, che si sta orientando per il 2018 verso l’Impresa 4.0, allargando il perimetro dei benefici fiscali anche alle fondamentali attività di formazione e di crescita delle competenze. Sono molte le aziende che hanno avviato progetti di trasformazione digitale e molte altre si stanno muovendo, per comprendere come, una volta acquistata una “macchina intelligente”, è possibile trarre il maggior valore di business possibile dai dati che questa è in grado di rilevare. In Italia siamo partiti dopo altri paesi, come USA, Germania e Francia, ma stiamo recuperando e i dati di mercato di Confindustria e ISTAT sulla produzione degli ultimi trimestri lo dimostrano. Molte realtà produttive hanno capito l’urgenza e che è ora il momento di favorevole per avviare progetti di questo tipo.
Automazione IoT, Information Technology e PMI: quali sono gli step, invece, per le piccole e medie imprese?
Come sempre il punto di partenza è rappresentato dalla comprensione dello scenario di business e dalla definizione degli obiettivi che l’azienda si pone. Si può partire con piccoli progetti, che indirizzano uno specifico caso di utilizzo considerato prioritario, si può anche sbagliare in corsa e correggere il tiro, ma ciò che è importante è capire dove si vuole arrivare alla fine del percorso. Si procede quindi con l’analisi dei dati già presenti in azienda, stabilendo quali possono essere reperiti internamente dai sistemi aziendali (ad esempio da CRM o ERP) , dalle macchine (ad esempio i dati del PLC o i dati di sensori aggiunti) o anche esternamente (si pensi ai dati dei fornitori o ai dati disponibili in Internet). Il passo successivo è quindi quello di rappresentare il passato e il presente e poi procedere a una analisi contestualizzata che possa dare elementi utili ad anticipare scenari futuri.
In definitiva, come IBM Watson IoT può contribuire a migliorare l’efficienza delle imprese italiane? Certamente lo può fare e lo sta già facendo, mettendo a disposizione delle imprese funzionalità di analytics e servizi cognitivi per interpretare grandi volumi di dati, strutturati e non, per poter raggiungere risultati importanti nella produzione come, ad esempio, ridurre i tempi di fermo macchina, migliorare la qualità dei prodotti o dei servizi di manutenzione preventiva. Attraverso l’analisi di immagini, suoni, fattori esterni, condizioni meteorologiche diventa possibile suggerire quando effettuare la manutenzione o quando un pezzo è difettoso e deve essere scartato. Il cognitivo per IBM assume il significato di “intelligenza aumentata” capace di accrescere le capacità degli esperti, dei professionisti, dei tecnici senza alcuno scopo di sostituirle. Il capitale umano, quindi, resta centrale ed essenziale. Il valore aggiunto che questa innovazione tecnologica consente è quello di liberare spazio e risorse alla componente “analogica”, quella umana. Fermo restando che il naturale completamento dell’Impresa 4.0 è una istruzione 4.0: quella capace di spremere tutto il valore di questa nuova “intelligenza”. La sfida è grande e IBM è pronta ad affrontarla. Con la partecipazione di tutto il mondo “del Fare”.
Andrea Boccotti
Associate Partner Industrial Sector IBM Italia
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HOLONIX ED EUROSYSTEM Innovazione e ricerca il volano del successo Holonix, partner Eurosystem: da nuovi modelli di business alle tecnologie 4.0 L’Industria 4.0 è un’opportunità non solo per un aggiornamento tecnologico, ma anche per rivoluzionare il progetto di business dell’impresa. L’imprenditore che si avvia al 4.0 è più informato, meno scettico, ma con la necessità di essere guidato in una strada complessa e con elevato potenziale. Jacopo Cassina, CEO di Holonix, partner di Eurosystem per le soluzioni di Industria 4.0, racconta la sua esperienza. Industria 4.0: come siamo arrivati qui? Ci può fare un breve excursus per capire da dove si origina questa evoluzione? Gli elementi fondamentali che hanno portato all’Industria 4.0 sono la crescente riduzione del costo dell’hardware, l’estensione della connettività e la possibilità di lavorare in cloud. Quando parliamo di hardware a basso costo pensiamo a come è cambiato il mondo dei PC e dei telefonini: lo smartphone, ad esempio, oggi è posseduto da quasi tutti e ha delle capacità enormi. L’incrocio dei tre fattori citati sopra e un mercato tecnologico più maturo hanno creato le condizioni per l’avvento dell’Internet of Things e per far si che abbia un impatto decisivo nel prossimo futuro. Con l’IoT è come se noi applicassimo uno smartphone ad ogni oggetto: come i cellulari hanno cambiato la nostra vita, l’Internet of Things cambierà il modo in cui gli oggetti sono progettati, costruiti ed utilizzati.
Le tematiche nuove e principali che l’Industria 4.0 lancia: i processi, le tecnologie, la privacy, la sicurezza, i dati… quali secondo lei? 38
INCONTRI CON Holonix In realtà queste sono tutte tematiche funzionali a quella principale, ovvero definire nuovi modelli di business basati sulle possibilità offerte dalla disponibilità di sensoristica, connettività ed intelligenza artificiale/analytics. La scelta di quale tecnologia, o sistema di sicurezza, arriva dopo. Qualcosa di simile è già successo con i Social Network, che sin dall’inizio sono sembrati promettenti, ma non era chiaro come usarli per creare business e profitti. Nel caso dell’IoT e dell’Industria 4.0 esiste la tecnologia di supporto, ma il modo giusto per capitalizzarla ed ottenerne profitto varia da settore a settore se non anche da azienda ad azienda, per le grandi differenze sia “fisiche” che di mercato e di business. Ho analizzato queste problematiche, iniziando dal punto di vista di un ingegnere meccanico quale sono, seguendone poi gli aspetti di business durante il mio dottorato in ingegneria gestionale per poi applicarle concretamente in Holonix, società di cui sono fondatore. A mio avviso il vero tema, il core dell’industria 4.0, non sono le tecnologie, ma come ottenerne un vantaggio.
Ma partiamo da queste tecnologie e parliamone: quali sono quelle che reggono l’Industria 4.0? Sono tante, ma gli elementi caratterizzanti sono le possibilità offerte dal collegare le proprie macchine e i prodotti in lavorazione al cloud, con vantaggi in termini di elevata potenza e bassi costi e l’opportunità di rivedere i
Con l’IoT è come se noi applicassimo uno smartphone ad ogni oggetto: come i cellulari hanno cambiato la nostra vita, l’Internet of Things cambierà il modo in cui gli oggetti sono progettati, costruiti ed utilizzati.
propri processi. Le tecnologie IoT sono il primo passo, da cui derivano i Big Data, che sono da gestire, analizzare e sfruttare per ricavarne valore. L’IoT si può applicare su macchine di produzione come anche su prodotti finiti. Questo permette di cambiare il modello di business, offrendo nuovi servizi a valore aggiunto ai clienti, migliorando la customer experience e fidelizzandoli. Questo genera una mole di dati molto ampia che bisogna capire come utilizzare e valorizzare al meglio.
Quali, invece, le soluzioni proposte da Holonix? La nostra offerta si articola in tre elementi chiave, due elementi software ed uno consulenziale. i-LiKe Platform è una soluzione che supporta la gestione della produzione e della tracciabilità logistica in azienda ed utilizza la tecnologia RFID Radio-Frequency IDentification. i-LiKe Platform è una soluzione a moduli per imprese che vogliono ottimizzare la gestione dell’intero ciclo di vita del proprio prodotto. i-LiKe Machines, invece, è una soluzione software che personalizziamo a seconda delle esigenze del cliente e che permette di fare monitoraggio macchine e gestione degli allarmi sul cloud e da remoto (ossia se una macchina si ferma viene inviata una notifica sul cellulare), di gestire la manutenzione su condizione, di aggregare i dati realizzando un’analisi rispetto ad alcuni parametri, generando quindi regole di manutenzione predittiva oppure capendo al meglio cause e motivazioni di fermi, difettosità o guasti. È inoltre disponibile un modulo di fleet management per i produttori e per i manutentori, in modo da poter vedere un indice aggregato di stato, così come delle variabili non confidenziali delle macchine e poter quindi pianificare in modo preciso ed efficiente le manutenzioni e la riprogettazione delle macchine. In questo modo produttore e utilizzatore sono sempre connessi tra loro, si massimizza il valore percepito, si rilevano i KPIs ed, ottenendo i dati di utilizzo della macchina, si garantisce una maggior competitività sul mercato. Una terza componente della nostra offerta è data dal supporto che fornisce ai processi di concreta innovazione aziendale dei nostri clienti, ovvero le nostre specifiche competenze sia di IoT che di progetti di ricerca ed innovazione a livello europeo, che usiamo per supportare le aziende nei processi di cambiamento, consigliando metodi, tecnologie e supportando i nostri partner passo passo nel cambiamento.
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La ricezione dell’Industria 4.0 nelle imprese e negli imprenditori… Quando tre anni fa si è cominciato a parlare di Industria 4.0 sono stato estremamente felice perché quello che stavamo (e stiamo) facendo aveva finalmente un nome comprensibile e noto al grande pubblico. Allo stesso modo è molto importante il lavoro che il Governo Italiano sta portando avanti, di informazione sulle opportunità dell’Industria 4.0, oltre che di offerta di incentivi. Questi ultimi hanno sicuramente attirato l’attenzione degli imprenditori, ma è la diffusione dell’informazione che ha dato modo di capire i benefici dell’Industria 4.0. Quello che percepisco adesso è una notevole richiesta di essere guidati nel cambiamento e, da questo punto di vista, la formazione rimane l’elemento principe per accompagnare l’imprenditore in questa direzione. Il Governo ha avuto il grande merito di aver ascoltato e preso spunto dalle idee delle varie associazioni di categoria come Confindustria.
Innovazione e ricerca sono uno degli asset della vostra azienda. Come vi muovete per la costruzione di un prodotto/servizio e che fetta rappresenta del vostro fatturato questa divisione? Una parte del nostro turnover proviene da iniziative di innovazione a livello europeo, svolte in collaborazione con altri partner. È un’attività a cui diamo grande visibilità e per noi strategica per l’impatto nelle nostre competenze e sullo sviluppo delle nostre soluzioni. Ma l’innovazione per noi non è tale se non è applicata. Per questo partecipiamo a progetti che ci permettono di ideare e allo stesso tempo di testare il prodotto all’interno dell’azienda che poi andrà ad utilizzarlo. Abbiamo ad esempio creato un prodotto che si chiama Idea Manager e serve al management per raccogliere idee, creare sondaggi, coinvolgere i collaboratori e supportarli nei processi di open innovation. Lo abbiamo realizzato insieme ai migliori innovation manager italiani ed europei, creando una soluzione che rispondesse alle loro esigenze. L’idea è nata in un progetto europeo e l’abbiamo lanciata sul mercato in primavera di quest’anno. Il core delle nostre attività è comunque sulla realizzazione di progetti industriali di innovazione basati sull’utilizzo di tecnologie IoT e customizzati sulle esigenze di ogni singolo cliente.
Quali sono i settori in cui operate maggiormente e quali quelli da esplorare?
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Lavoriamo moltissimo con i produttori di macchine industriali; questo ci ha permesso di conoscere in modo più approfondito settori come l’automotive, quello dello stampaggio plastico, il mondo del chimico e quello alimentare.
INCONTRI CON Lavoriamo moltissimo con i produttori di macchine industriali; questo ci ha permesso di conoscere in modo più approfondito settori come l’automotive, quello dello stampaggio plastico, il mondo del chimico e quello alimentare.
Ci racconta alcuni casi di progetti cliente? Ad esempio SIRAP-Gema produce vaschette alimentari: ha un flusso giornaliero molto importante di decine e decine di camion che trasportano il prodotto in tutta Italia. Il loro problema è quello di gestire questo flusso con un’estrema efficienza operativa, considerato il basso valore unitario della merce. Il nostro sistema i-LiKe è stato quindi customizzato in modo da fornire suggerimenti agli operatori in real time su come e dove posizionare o prendere la merce, tenendo conto di tutti i parametri rilevanti (e.g. dimensioni, scadenze, distanze), minimizzando le movimentazioni ed il tempo per singolo trasporto. Risultato: risparmio di tempo con conseguente riduzione dei costi di immagazzinamento
e di trasporto del prodotto. Un altro progetto cliente, svolto presso Nearchimica, è stato un lavoro che coniuga tracciabilità, effettuata con RFID e gestione dei dati IoT. L’azienda produce materiale chimico di elevato valore per il trattamento dei tessuti. L’esigenza era legata alla minimizzazione degli scarti, l’informazione degli operatori e l’eliminazione degli errori di spedizione. Questi tre obiettivi sono stati raggiunti grazie agli RFID che permettono di conoscere la storia di ogni singolo fusto di prodotto e dell’IoT che permette di registrare i dati dei reattori dove i prodotti chimici vengono elaborati. Tutte le informazioni vanno a creare una “carta d’identità” di ogni singolo prodotto, da cui si può facilmente capirne la storia e comprendere le cause di una eventuale non conformità. Per finire le bolle di spedizione vengono lette e verificate in modo automatico grazie agli RFID, con cui è stato raggiunto lo straordinario risultato di ridurre del 90% gli errori di spedizione.
Per informazioni: Giuseppe Mussi giuseppe.mussi@eurosystem.it
Jacopo Cassina CEO di Holonix
Jacopo Cassina, laureato in Ingegneria Meccanica, ha conseguito il dottorato di ricerca in Ingegneria Gestionale, presso il Politecnico di Milano. È CEO e socio fondatore di Holonix, uno spin off del Politecnico di Milano che si occupa di gestione del ciclo di vita del prodotto e di tecnologie Internet of Things. È stato partner della “General Consulting Society” per 7 anni. È autore di 28 pubblicazioni su conference e riviste internaizonali e di un libro. Ha partecipato come project manager o technical manager a numerosi progetti di ricerca Europei ed italiani. Ha supportato l’Unione Euopea in 4 Roadmap.Ha collaborato con il MIP, la Business School del Politecnico. Ha tenuto diversi corsi presso il Politecnico, l’Università LIUC e il master IMIM.
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MICROSOFT Percorsi IoT e consapevolezza: le aziende sono pronte La piccola e media impresa tra incentivi governativi e formazione che fanno emergere i benefici Grande fermento tra le piccole e medie imprese sul fronte IoT, che sentono fortemente la competizione delle aziende estere. Per questo vogliono tutto e subito. Entrare nel mondo 4.0 per loro significa aspettarsi, da un lato, l’adozione di strumenti semplici
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e intuitivi e, dall’altro, costi sempre piÚ contenuti. La testimonianza di Mattia De Rosa, nuovo Direttore della Divisione Cloud & Enterprise di Microsoft Italia, per uno spaccato del loro segmento di mercato.
INCONTRI CON Microsoft Vediamo un grande fermento nelle piccole e medie imprese. Hanno le idee chiare, sentono fortemente la competizione delle altre aziende europee e del resto del mondo.
“Chi ben comincia è a metà dell’opera”: Microsoft afferma che i benefici dell’IoT sono evidenti e chiari e che la parte più difficile è talvolta iniziare un percorso d’innovazione. Lo conferma? Nell’ultimo anno abbiamo notato un’attenzione maggiore da parte dei clienti alle opportunità offerte dall’IoT. Gli incentivi governativi sono stati sicuramente uno stimolo positivo in questa direzione, ma anche i molti casi di successo in Italia hanno dimostrato che i tempi sono ormai maturi per una proficua adozione: Salvagnini, Fameccanica, Camozzi, Costa Crociere e Coop Italia sono solo alcuni dei nostri clienti che hanno realizzato importanti progetti di IoT. Le aziende spesso però non sanno da dove cominciare o hanno ambizioni, giuste, che necessitano di una maturità ancora non raggiunta. Microsoft ha allora sviluppato un approccio in tre semplici passi, di complessità e valore crescente: per prima cosa connettere le proprie “cose” ai fini di monitorarle, poi sviluppare modelli di interpretazione dei dati per migliorare i processi produttivi attuali e infine introdurre innovazione di processo/prodotto grazie all’analisi predittiva e al machine learning. Accompagniamo realtà di qualsiasi settore e dimensione in questo percorso di trasformazione digitale e per ciascuno di questi passi offriamo soluzioni pre-configurate per accelerare l’implementazione.
Che atteggiamenti rilevate da parte delle aziende che conoscono o vogliono conoscere questo mondo? Notiamo una grande curiosità e spesso una voglia di bruciare le tappe e andare direttamente su scenari molto avanzati. In questi casi, insieme ai nostri clienti, cerchiamo di valutare un percorso sostenibile e con chiari ritorni.
Quale tipo di azienda si rivolge a voi per digitalizzarsi e perché? Vediamo un grande fermento nelle piccole e medie imprese. Hanno le idee chiare, sentono fortemente la competizione delle altre aziende europee e del resto del mondo, vogliono creare degli elementi differenzianti partendo dalle loro conoscenze profonde dei processi produttivi e dei mercati. Il cloud da questo punto di vista è un’arma potente e in particolare il Cloud Computing di Microsoft, che vanta la più ampia diffusione a livello mondiale, rappresenta un acceleratore importante, perché consente di avviare progetti di trasformazione digitale in tempi rapidi e a costi accessibili, dotandosi di tecnologia che in passato era prerogativa delle grandi aziende. Inoltre grazie al cloud i progetti sono scalabili in base alle esigenze e possono effettivamente accompagnare le PMI nel proprio percorso di crescita e internazionalizzazione, permettendo loro di essere sempre più vicine ai clienti finali, a prescindere dalla localizzazione geografica.
Dalle tecnologie IoT, cosa devono aspettarsi le aziende in termini di risultati e tempistiche? Le tecnologie IoT stanno maturando molto velocemente. C’è grande attenzione a fornire una maggiore copertura nativa di dispositivi, protocolli e soluzioni. Di conseguenza i clienti si possono aspettare un’adozione sempre più facile grazie, da un lato, a strumenti semplici e intuitivi e, dall’altro, ad una crescente potenza a costi sempre più contenuti. Un altro trend molto evidente è quello che Microsoft chiama Edge Computing, ossia elaborare il dato lì dove viene prodotto e portare sul cloud solo la porzione rilevante per successive analisi avanzate. Questo consente già oggi di realizzare soluzioni che offrono simultaneamente i vantaggi del cloud e dell’elaborazione locale.
Cosa fate per rendere più facile e possibile l’approccio e l’interazione tra gli imprenditori e le tecnologie IoT? Come aiutate i vostri clienti ad affrontare questo cambiamento? Microsoft, da sempre, investe moltissimo nella formazione dei propri partner, per fare in modo che essi siano sempre aggiornati e che possano offrire le loro competenze sul territorio in cui operano. In Italia 10.000 realtà fanno parte del Microsoft Partner Nework e raggiungono le aziende in modo capillare accompagnandole nel proprio percorso d’innovazione. Facciamo in modo che i partner 43
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Microsoft aiuta i suoi clienti e partner a scegliere da dove partire e come procedere, fornendo soluzioni, template, esempi, documentazione e supporto perché l’adozione dell’IoT sia di successo. collaborino tra loro per integrare le competenze a servizio delle esigenze dei nostri clienti, esigenze tecniche, di processo e di business. Abbiamo poi dei programmi di trasformazione digitale che supportano clienti e partner in una trasformazione del business a 360 gradi.
Magazzini connessi, impianti industriali che rilasciano dati nel cloud, device e sensori controllati da remoto: ci racconta l’IoT attraverso uno o due casi di rilievo? Personalmente trovo molto emblematico il caso di Costa Crociere. Abbiamo seguito il nostro processo in tre passi: cominciando dalla raccolta dei dati dai dispositivi per analizzare e visualizzare in maniera semplice, integrata e immediata i dati provenienti dai sensori delle navi e renderli disponibili sia agli ufficiali di bordo, che al centro operativo a terra. Da qui siamo partiti per lo sviluppo di scenari più avanzati in cui, grazie alla capacità predittiva, è possibile ottimizzare la gestione della flotta con una manutenzione intelligente dei motori e delle navi, migliorare l’utilizzo delle risorse e calcolare in modo efficiente e automatizzato le rotte di viaggio, così da garantire anche una maggiore sostenibilità ambientale.
Di quali partnership vi state circondando per gestire questo mercato? Microsoft ha avviato dei programmi di partnership aperti per i produttori di dispositivi, per i certificatori degli aspetti di sicurezza, per i system integrator e per gli Independent Software Vendor (ISV). Ad oggi sono registrati oltre 500 produttori di dispositivi e oltre 100 tra certificatori, system integrator ed ISV. Questi numeri crescono ogni mese con nuovi dispositivi e partner, che ci consentono di aiutare le aziende clienti a cogliere le opportunità offerte dall’IoT con massima libertà di scelta. La piattaforma Microsoft intende offrire ad aziende clienti e partner la possibilità di costruire soluzioni in base alle preferenze: tutto disponibile pubblicamente su www.azure.com/iot.
Ai clienti che si rivolgono a voi con timore di addentrarsi in questo mondo, cosa dite? È vero che basta partire dalle “proprie piccole cose” per cambiare il business di un’azienda? Certo, come già messo in luce, è vero ed è corretto partire dalle proprie cose ed evolvere a una velocità compatibile con le proprie capacità. Per questo Microsoft aiuta i suoi clienti e partner a scegliere da dove partire e come procedere, fornendo soluzioni, template, esempi, documentazione e supporto perché l’adozione dell’IoT sia di successo. 44
Mattia Da Rosa
Direttore della Divisione Cloud & Enterprise di Microsoft Italia Mattia De Rosa è il nuovo Direttore della Divisione Cloud & Enterprise di Microsoft Italia, che ha assunto la guida del Team dedicato all’innovazione dell’Information Technology delle aziende italiane di grandi, medie e piccole dimensioni. L’obiettivo del Team è diffondere sempre più l’utilizzo del Cloud Computing, dell’Internet delle Cose e della Business Intelligence tra le organizzazioni del Paese.
INCONTRI CON General Electric
GENERAL ELECTRIC Il più grande rischio dell’IoT? Non investire affatto Industrial Internet of Things: la visione di Corrado Giussani, di GE Digital L’IoT parte prima di tutto dalla cultura aziendale: è quello che sostiene General Electric. Un’apertura mentale può far partire un cambiamento diventato necessario per far fronte alle nuove esigenze del mercato. Prodotti e servizi più performanti che richiedono dei processi tecnologici più avanzati con un margine d’errore sempre più basso.
tecnologie di IIoT (Industrial Internet of Things). Lo IIC definisce Internet industriale l’Internet delle cose, delle macchine, dei computer e le persone, che permette alle fabbriche di diventare intelligenti attraverso l’uso di analisi avanzata dei dati, per ottenere trasformazioni importanti anche nel modo di fare business e non solo nel modo di produrre.
Quali sono le novità Internet of Things che General Electric (GE) sta mettendo in campo?
In quali settori state lavorando maggiormente?
GE è riconosciuta come azienda leader di soluzioni basate su Internet per il mondo industriale, da analisti industriali come Gartner e Forrester per due motivi principali. In primo luogo per la sua forte esperienza e credibilità nel mondo industriale: la società ha infatti 125 anni di storia ed ha posizioni di leadership nei settori produzione e trasporto di energia, petrolio e gas, aviazione e apparecchiature per la diagnostica medica. In secondo luogo, GE è riconosciuta per la forza della sua piattaforma industriale di Internet, chiamata Predix.
Già da qualche anno avete adottato all’interno della vostra organizzazione l’attuazione dei concetti dell’Industrial Internet of Things. Da dove nasce e cosa significa? Dal 2014 GE è stata un membro fondatore del consorzio per l’Industrial Internet (IIC Industrial Internet Consortium), il cui scopo è promuovere lo sviluppo e l’adozione delle
Abbiamo circa 100s Apps su Predix ma ci sono due “killer app” che pensiamo stiano cambiando il modo di lavorare dell’industria. La prima è chiamata APM (Asset Performance Management) orientata alla gestione delle prestazioni di Asset. APM mette a disposizione una visione completa e integrata dei loro beni e attrezzature a tutti i livelli, permettendo processi decisionali migliori e più intelligenti. A completamento della soluzione APM abbiamo poi la gestione delle attività di assistenza e manutenzione in campo. Una volta digitalizzate le macchine, il passo successivo è digitalizzare processi e attività del personale che li deve manutenere. Per ridurre costi ed eliminare tempi morti, le industrie richiedono sempre più uno spostamento da un modello reattivo di servizio correzione/rimozione del guasto ad un modello predittivo. La nuova soluzione FSM (Field Service Management) fornita da ServiceMax a GE Digital company, gestisce tutte le attività per una mano d’opera pronta e preparata, mettendo a disposizione in modo completamente automatizzato gli ingegneri giusti per una specifica attività e nel momento opportuno. 45
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E come avete approcciato l’introduzione di tecnologie di IoT?
Lo IIC definisce Internet industriale l’Internet delle cose, delle macchine, dei computer e le persone, che permette alle fabbriche di diventare intelligenti attraverso l’uso di analisi avanzata dei dati [...].
Circa un decennio fa il cliente di una nostra divisione ci ha detto che un’azienda di software poteva offrire una soluzione che avrebbe migliorato le prestazioni sulle nostre turbine a gas grazie all’analisi dei dati che venivano generati dalle nostre macchine. La nostra reazione è quindi stata pensare che nessuno conosce le nostre macchine meglio di noi! Abbiamo focalizzato le nostre abilità e le competenze del software industriale nella direzione di raccolta, gestione e analisi avanzata dei dati, con le migliori tecnologie software e strumenti per l’analisi predittiva. Abbiamo indirizzato i nostri sforzi nella direzione dei big data, nella gestione di Asset model, Digital Twin, Cloud come base per una nuova infrastruttura informatica al servizio delle applicazioni industriali. Una cosa fino a quel momento non ancora disponibile. Abbiamo perciò deciso che saremmo diventati i più bravi. Abbiamo assunto i migliori talenti dell’industria del software compreso Bill Ruh, il CEO di GE Digital e CDO di GE ed abbiamo investito nella costruzione della piattaforma per Industrial Internet, Predix. Piattaforma che è diventata la base di tutte le applicazioni industriali di General Electric. Grazie a Predix in GE abbiamo raggiunto incrementi alla produttività che hanno permesso risparmi 500 M$. nel 2015 e 730 M$. nel 2016. Pensiamo di fare lo stesso nel 2017 e prevediamo di raggiungere il miliardo nel 2020. Per i nostri clienti, le soluzioni sviluppate finora hanno portato miglioramenti stimati della prestazione del 20% attraverso tutte le attività di GE, che si traduce in circa 8,6 trilioni di dollari nel valore su base annua.
Ci sono dei rischi che le aziende devono prendere in considerazione quando decidono di investire in questo settore? Pensiamo che il più grande rischio consista nel non investire affatto. A volte può essere difficile conoscere quale possa essere il miglioramento di produttività che si potrà ottenere. La nostra raccomandazione è attivarsi comunque partendo con progetti piccoli per poi scalare velocemente. Questo è un approccio tipico del mondo delle nuove tecnologie dove è importante provare, ripetere e imparare velocemente. Le aziende, inoltre, devono anche imparare a crescere velocemente, ed ecco perché la piattaforma Predix è così importante, perché è aperta e può collegare sistemi nuovi, macchine da altri produttori e tutta la loro base installata. 46
INCONTRI CON In Italia avete avviato qualche progetto? Di cosa si tratta?
Qual è l’identikit dell’imprenditore italiano che decide di digitalizzare la propria azienda?
Abbiamo una serie di referenze in Italia, ma vorrei ricordarne due: un cliente ed una interna GE. Con il nostro cliente A2A, una tra le più grandi società italiane di multi-utility, abbiamo contribuito a modernizzare la loro centrale elettrica di Chivasso affinché potesse rispondere meglio a richieste di domanda di energia e per migliorare la produttività in un mercato sempre più competitivo. Lavorando a stretto contatto con gli ingegneri di A2A, abbiamo contribuito a implementare il software che ha riportato l’impianto in produzione, facendo diventare le sue turbine a gas tra le più efficienti della flotta di GE, permettendo ad A2A di essere uno degli impianti più flessibili in Italia, una caratteristica essenziale per rispondere all’esigenza di picchi di domanda di elettricità rapidamente. Il tutto con impatto ambientale minimo. Altro caso si riferisce al nostro impianto Oil&Gas di Firenze, vera e propria ammiraglia delle attività General Electric, certificata come Brilliant Factory, in cui la digitalizzazione ci ha permesso di aggiungere un’intera nuova linea di produzione in un sito che era già molto competitivo, senza costruire una nuova area di produzione o aggiungere nuovi turni, con un risparmio di milioni di euro.
La nostra esperienza ci porta a dire che ci sono 3 profili chiave nella digitalizzazione - il CEO, il COO e CIO o CDO. Il processo deve partire dai vertici aziendali perché la digitalizzazione non riguarda solo la tecnologia, ma anche cultura aziendale. A coloro che sono interessati ad approfondire la trasformazione affrontata da GE consiglio di leggere il nostro Digital Transformation Playbook, che descrive 5 punti importanti: competenze e modello di funzionamento, dati ed infrastruttura, ecosistema e collaborazione con partner, talento e cultura del digitale ed infine innovazione del modello aziendale. Questo è il segreto della nostra trasformazione ed è ciò che proponiamo ai clienti in tutto il mondo.
Secondo lei, parlando di IoT, che cosa si dirà tra qualche anno? Penso che data l’importanza e l’impatto che I’IoT ha, nel giro di pochi anni queste soluzioni diventeranno così diffuse e normali come è diventato normale per tutti noi usare uno smartphone. La produzione industriale risulterà completamente cambiata e con nuovi equilibri. Con questo vedremo anche che le aziende più aperte ai cambiamenti e in grado di scalare velocemente saranno quelle vincenti.
Corrado Giussani
Responsabile per lo sviluppo business di General Electric Digital Corrado Giussani, diplomato in elettronica, opera da oltre venticinque anni nell’ambito tecnico-commerciale nel mondo industriale con particolare riguardo alle applicazioni software legate alla supervisione, gestione ed ottimizzazione degli impianti di produzione. Nel corso degli anni si è occupato di progetti in diversi settori industriali come ad esempio quello delle acque, sia distribuzione che trattamento, energia, alimentare, farmaceutico, metallurgico, manifatturiero e prodotti di largo consumo. In General Electric dal 1999, si è sempre dedicato ad applicazioni industriali in ambito produttivo ed è attualmente responsabile per lo sviluppo business per GE Digital per soluzioni di Industrial Internet, Cloud, Big Data, Advanced Analytics, Asset Performance Management e Cybersecurity. 47
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STOORM5 ED EUROSYSTEM Industria 4.0: rivoluzione di processo o di tecnologia? Per Aldo Campi, fondatore di Stoorm5, partner Eurosystem, è la digitalizzazione pervasiva dei processi aziendali La personalizzazione è una delle prerogative della tecnologia IoT che permette all’azienda di ottimizzare i processi di produzione, logistici e gestionali. Alla base non esiste una tecnologia nuova, ma la costante evoluzione tecnologica che permette la Quando e come nasce Stoorm5? Abbiamo iniziato nel 2015, io ingegnere elettronico con un dottorato nelle telecomunicazioni e Carlo Giannelli ingegnere con dottorato nel software. Stoorm5 è stato il risultato di 10 anni di ricerca, di cui gli ultimi cinque spesi nel dipartimento di ricerca industriale dell’Università di Bologna dal nome CIRI ICT, che ha come finalità il trasferimento tecnologico nelle aziende. Abbiamo capito le potenzialità dell’IoT dalla crescita che stava avendo. Lasciata la carriera accademica abbiamo costituito un progetto tutto nostro, inserendo nell’organico altri due ragazzi bravissimi e producendo una piattaforma innovativa di Internet of Things.
Di che cosa si occupa l’azienda? Uno dei nostri settori di business è quello di fare progetti e prodotti IoT sia standard che personalizzati su commessa. Un segmento di mercato che sta andando molto bene perché sono diverse le aziende interessate a migliorare
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digitalizzazione in modo pervasivo della maggioranza dei processi aziendali con riduzione dei tempi di produzione e abbassamento dei costi. Intervista a Stoorm5, partner di Eurosystem per le soluzioni di Industria 4.0.
INCONTRI CON Stoorm 5 i propri processi e a diminuire i costi. Agevolati anche dal fatto che nell’area Emiliano Romagnola, la parte dove operiamo maggiormente, abbiamo degli interlocutori molto preparati. A breve sarà lanciato il nostro prodotto che si chiama l’Industry Server: un server destinato ai produttori di macchine all’interno della filiera industriale, che mette in comunicazione le macchine del produttore con la fabbrica. Oggi per la condivisione delle informazioni non possiamo più permetterci di avere tante isole informatiche, è necessario un sistema condiviso di informazioni che utilizza i protocolli standard stabiliti per l’Industria 4.0. Noi
li abbiamo integrati all’interno del nostro prodotto che in questo modo può collegarsi a qualsiasi macchina.
In cosa consiste l’innovativa piattaforma software di Stoorm5? L’altra parte del nostro business è appunto una piattaforma che è stata creata per supportare applicazioni IoT Stoorm5, è una vera piattaforma per l’Industrial Internet of Things che ha quattro elementi innovativi distintivi. Una piattaforma di IoT non è un semplice software che scambia dei dati,
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la nostra differenza è la presenza del layer di servizio. Il nostro layer di servizio semplifica il lavoro di sviluppo di chi deve crearsi l’applicazione. Questo è il nostro valore aggiunto. Abbiamo fatto sì che la nostra piattaforma di IoT racchiuda all’interno circa il 70-80% delle funzionalità che qualsiasi sistema distribuito di scambio di informazioni deve avere. Questo dà la possibilità di collegare dispositivi eterogenei con la stessa semplicità.
dare un contributo tecnologico alle soluzioni che noi mettiamo sul mercato.
Come si sviluppa un progetto di IoT? Quali sono gli step? Si parte sempre da un PoC (proof of concept), da un misuratore. Quando l’azienda arriva con una richiesta specifica non procediamo subito con un progetto
Quali sono i benefici che Stoorm5 può dare al mercato industriale? Riduciamo in maniera drastica i tempi di realizzazione del progetto e il costo. Siccome abbiamo l’80% delle funzionalità già all’interno della piattaforma, riusciamo con dei costi competitivi ad offrire delle soluzioni che altrimenti richiederebbero dei progetti molto più complessi ed onerosi sia in termine di tempo che di risorse economiche. Per le nostre soluzioni usiamo dispositivi hardware di mercato o progettati e realizzati da noi, possiamo usare sia il nostro cloud o installare la nostra piattaforma nel CED del cliente nel caso in cui voglia avere pieno controllo di tutta la soluzione.
Quali sono le competenze richieste all’interno di un’azienda di IOT? Competenze elettromeccaniche, telecomunicazioni, sistemistico, informatico. Oltre ad avere gran parte di queste competenze al nostro interno, abbiamo anche una serie di partnership con delle aziende che possono
Oggi per la condivisione delle informazioni non possiamo più permetterci di avere tante isole informatiche è necessario un sistema condiviso di informazioni che utilizza i protocolli standard stabiliti per l’Industria 4.0.
Aldo Campi Co-fondatore e CEO di Stoorm5 Aldo Campi, co-fondatore e CEO di Stoorm5 ha conseguito la laurea in Ingegneria Elettronica ed il dottorato di ricerca in Telecomunicazione presso l’università di Bologna dove ha lavorato come ricercatore e docente a contratto. Autore di una quarantina di pubblicazioni e revisore di riviste internazionali, ha partecipato a numerosi progetti di ricerca nazionali ed internazionali, formatore sui temi Industry 4.0, IoT e tecnologie di telecomunicazione, membro dell’IEEE. 50
INCONTRI CON adottabile su larga scala, ma si agisce sull’elemento singolo per capire se può essere una soluzione economicamente vantaggiosa. L’obiettivo del PoC è quello di verificare la fattibilità ma ancora più importante la fattibilità economica. Infatti, il secondo step è il calcolo del ROI, ovvero il ritorno di investimento. Se questo c’è quel progetto per l’azienda non è più un costo ma è un’opportunità. La fase di fattibilità e del PoC non è mai molto lunga va da un minimo di qualche settimana a qualche mese.
Come si valuta un fornitore di progetti IoT? Poiché l’IoT tocca tanti aspetti, la necessità della scelta della fornitura delle diverse componenti è cambiata. In passato il fornitore del progetto rimaneva lo stesso per molto tempo e diventava una risorsa aziendale il cui cambio richiedeva un costo rilevante, di fatto c’èra un lockin su chi aveva fornito la soluzione. Oggi con IoT parliamo di tante tecnologie verticali dall’elettronica, alla sensoristica, alla comunicazione alla raccolta delle informazioni, all’analisi dei dati. Servono fornitori con specifiche capacità verticali su ogni settore. La novità è rappresentata dal fatto che se il progetto viene eseguito con architetture a protocolli IoT i fornitori delle singole componenti sono intercambiabili, poiché ogni elemento è standard. Un vantaggio per l’azienda che può decidere di cambiare con facilità. Una bella rivoluzione per il cliente. È un aspetto non molto compreso perché nessuno lo dice, soprattutto il fornitore.
Quali sono i vostri campi di applicazione? Uno dei vostri progetti? I nostri ambiti di applicazione sono la meccatronica perché nel bacino bolognese c’è una grande concentrazione di questo tipo di aziende. A seguire la logistica, che si presta molto bene a progetti IoT e infine il pharma e l’healthcare che ha delle grossissime potenzialità nel mercato. Tra i vari progetti cito Whirlpool che come azienda ha disposizione le maggiori tecnologie informatiche. Quello che abbiamo fatto è stato raccogliere le informazioni dalle presse di stampaggio della plastica che non erano monitorate. Anche se il sistema di monitoraggio interno resta molto all’avanguardia, alcune aree rimanevano scoperte. Il nostro compito è stato proprio quello di raccogliere dati dalle presse per verificare i costi e le possibili opportunità. Abbiamo aggiunto dei sensori di vibrazioni per ottenere le informazioni sulla produzione. Questi dati vengono raccolti nella piattaforma e poi elaborati dalla produzione.
[...] non è l’Industria 4.0 ad essere una rivoluzione tecnologica, non c’è una nuova tecnologia, è una rivoluzione di processo che è difficilissimo da far vedere alle aziende.
L’imprenditore italiano è pronto per affrontare queste nuove tecnologie? Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate in lui? Noi vediamo nell’imprenditoria emiliano romagnola due tipi di imprenditori: l’artigiano e l’imprenditore. Il primo non ha capito ancora bene di cosa parliamo, perché si concentra maggiormente sul suo core business e sul fare fatture, tralasciando tutto quello che accade intorno a lui. Invece l’imprenditore è molto attento a quello che succede, vuole essere all’avanguardia ma a volte non vuole essere il primo, perché aspetta che i tempi siano più maturi, una tendenza tutta italiana. Siccome in questi ultimi anni si è parlato molto di IoT e ci sono stati diversi beginners che hanno avuto dei riscontri concreti soprattutto economici, grazie a questo gli imprenditori hanno maturato l’idea di relazionarsi con questa ondata tecnologica. Vorrei ricordare che non è l’industria 4.0 ad essere una rivoluzione tecnologica, non c’è una nuova tecnologia, è una rivoluzione di processo che è difficilissimo da far vedere alle aziende. Un plauso va a tutti gli imprenditori che stanno rivedendo i propri processi aziendali per essere competitivi domani. Per fare questo è fondamentale la visione del management che deve essere di tipo imprenditoriale e non da bottega. Purtroppo sono molte le aziende che si limitano a inseguire il mercato.
Per informazioni: Giuseppe Mussi giuseppe.mussi@eurosystem.it 51
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IGOR GORGONZOLA Automazione, digitalizzazione e interconnessione Le tre parole di una Smart Factory italiana e della sua evoluzione industriale Un’azienda evoluta che sin dal 1996 era tra le 10 aziende europee ad avere stabilimenti tecnologicamente avanzati. Fabio Leonardi, Ceo di Igor Gorgonzola, racconta con molta determinazione come la visione del management, l’ottimizzazione delle persone e una politica incentivante può far crescere la qualità e la diffusione nel mondo di un prodotto simbolo dello stile italiano. E dimostra come questo lo si possa fare attraverso un processo di industrializzazione: digitale, automatizzato e interconnesso. Quando si parla di Industria 4.0, l’immaginario comune rimanda perlopiù ad aziende che operano nel settore metalmeccanico. Invece voi ci dimostrate che la realtà è anche un’altra… All’epoca della realizzazione dell’attuale stabilimento, nel 1996, già avevamo inserito tecnologie all’avanguardia, tanto è vero che eravamo stati classificati a livello europeo come uno tra i dieci stabilimenti tecnologicamente avanzati nel settore lattiero caseario. Inoltre, è stata fondamentale la grande spinta interna ad innovare da parte del management e della proprietà. Siamo arrivati già venti anni fa a dei livelli di tracciabilità dei processi che nel settore non esistevano ancora. L’esigenza di innovazione nasce dal fatto che siamo un’azienda exported oriented, siamo leader del mercato Gorgonzola, forniamo la maggior parte delle grandi catene di distribuzione europee e siamo diventati i maggiori produttori del segmento in Canada, Stati Uniti, 52
Corea del Sud, Australia, Nord Africa, America Latina. Siamo riusciti a dare un servizio qualità super tracciato: dal ricevimento del latte al prodotto finito. Questo abbiamo potuto farlo grazie ad un sistema informatizzato.
Si legge in un’intervista del Sole 24 ore: “oltre 20 milioni di investimento per realizzare nuove linee produttive, di stoccaggio e confezionamento, rigorosamente 4.0”. Quali tecnologie e automazioni avete implementato?
INCONTRI CON Gorgonzola Ogni verifica esterna può essere soddisfatta con una completezza di dati che possiamo permetterci solo da quando abbiamo implementato il processo 4.0. Abbiamo agito sul sistema produttivo, ricevimento, gestione del latte, siero e acqua per i recuperi termici, per avere un impatto quasi pari a zero. Questo ha richiesto l’uso di una tecnologia all’avanguardia. Gli impianti di produzione sono fatti su misura, nel senso che sono stati tarati sulla ricetta produttiva. Si tratta di impianti automatizzati dove l’uomo non tocca né il latte né il formaggio, intervenendo solo nell’analisi della materia prima e nella formulazione della ricetta. Ogni operazione viene fatta automaticamente, tutto viene tracciato e messo a disposizione di chi può accedere a queste informazioni.
Quali sono state le motivazioni che vi hanno spinto a fare questo passo? I vantaggi che avete proiettato nell’azienda prima di “iniziare i lavori” si sono poi realmente realizzati?
più evoluti. La complessità dei macchinari, purtroppo, richiede molto tempo per la realizzazione. Ad esempio abbiamo un impianto di concentrazione del siero (che è uno scarto di lavorazione) per cui, attraverso il principio di osmosi, riusciamo a ridurre la parte da trasportare di circa l’80%: si può dire che riusciamo ad avere un recupero energetico considerevole e questo anche agendo sugli scarti. Esiste un’evoluzione in atto nel nostro settore e noi siamo continuamente spinti a mettere in discussione le automazioni legate ai processi, per essere sempre nella condizione di migliorare. Maggiore interconnessione tra qualità, controllo e tracciabilità ci permette di essere autorevoli sul mercato mondiale. Ogni verifica esterna può essere soddisfatta con una completezza di dati che possiamo permetterci solo da quando abbiamo implementato il processo 4.0. Inoltre, il reparto ricerca e sviluppo è molto attivo sul fronte del miglioramento delle ricette, della diminuzione dell’intervento dell’uomo, dove non necessario, e dell’eliminazione dell’errore umano. Gli impianti di produzione del 2018 miglioreranno ulteriormente il prodotto finito. Non dimentichiamo che abbiamo un prodotto che gode di grandissima notorietà nel mondo e che rappresenta l’immagine dell’Italian style. È molto imitato negli Stati Uniti e noi dobbiamo essere in grado di dare al consumatore qualcosa in più rispetto al prodotto generico: con i nuovi impianti saremo in grado di dare un prodotto molto vicino a quello artigianale.
Una parte dei vantaggi sono stati realizzati, altri verranno compiuti nella primavera del 2018 e saranno degli impianti
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Cosa invece state facendo per l’adattamento alle nuove competenze del personale esistente? E quali sono le figure che state integrando? Ci vuole innanzitutto un sistema di controllo e manutenzione preventiva e di ottimizzazione IT di alto livello. In parte abbiamo formato le risorse interne e stiamo assumendo figure che siano in grado di attingere attraverso la nostra formazione alla meccanica, informatica, automazione, gestione dei processi. I singoli reparti devono essere interconnessi perché solo con un’ottimizzazione delle persone si può arrivare al risultato finale: qualità costante e di altissimo livello per soddisfare il nostro consumatore. L’automazione ci regala del tempo e dei risultati che non avremmo mai immaginato qualche anno fa. Ci permette di essere reattivi quasi in tempo reale.
Essere un’azienda 4.0 comporta anche avere dei fornitori 4.0? Se sì, avete dovuto rivedere i vostri data base fornitori?
Fabio Leonardi CEO di Igor Gorgonzola Nato a Novara, sposato con due figlie. Frequenta l’Università Luigi Bocconi di Milano, facoltà di Economia Aziendale con specializzazione in Amministrazione e Controllo di Gestione. Entra all’età di 23 anni nell’azienda paterna lgor srl, che opera nel settore caseario fin dal 1935, producendo il tipico formaggio Gorgonzola DOP. Fabio Leonardi è CEO di Igor srl, società che oggi conta tre unità produttive più un’azienda che si occupa solo di stagionatura, site in provincia di Novara con più di 200 addetti. Sotto la sua dinamica spinta, l’azienda è il maggior produttore mondiale di Gorgonzola, con una quota di mercato superiore al 40%. 54
Anche i fornitori di impianti hanno avuto la loro evoluzione tecnologica. Inoltre il piano Calenda ha dato una spinta molto importante come l’ammortamento e l’iperammortamento. Noi imprenditori siamo abituati a correre senza guardare troppo gli incentivi, ma questa volta gli incentivi sono stati così evidenti, di sostanza e incoraggianti che siamo rimasti favorevolmente colpiti da quello che la politica sta facendo.
Un’azienda che esiste dal 1935, quindi protagonista di passaggi industriali importanti: cosa consigliereste ad un’azienda italiana che intende diventare 4.0? È chiaro che ci deve essere prima di tutto la mentalità del management, le scelte, inoltre, non vanno imposte, ma condivise. Oggi sempre più nel settore agroalimentare è richiesta una storia ben precisa del prodotto e questo lo puoi fare se hai tutti i processi produttivi informatizzati in grado di darti le informazioni in tempo reale. Ci vorrebbe anche del coraggio da parte dell’imprenditore di credere che l’automazione, la digitalizzazione e l’interconnessione vadano di pari passo e possano cambiare le sorti di un’azienda.
STORIES Nastroflex
NASTROFLEX Il controllo integrato, chiave di una corretta gestione Centralizzare i processi, informatizzare la produzione e far dialogare magazzini fisici e virtuali: cosa Eurosystem e Nastroflex hanno fatto insieme Fondata nel 1970, oggi Nastroflex occupa una posizione di avanguardia nel settore della trasformazione di abrasivi flessibili per la levigatura di superfici, con prestazioni altamente specializzate e rivolte a settori industriali di molteplici merceologie.
Nastroflex è un’azienda che si è sviluppata gradatamente differenziando i settori merceologici e i mercati di destinazione, così da raggiungere dimensioni tali da garantire risorse sufficienti per investimenti in tecnologia e ricerca. L’azienda si caratterizza anche per un assetto ordinato in unità decentrate che prevede una decisa 55
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duttilità operativa, in grado di soddisfare anche richieste particolari provenienti da attività di nicchia. Alla storica sede aziendale di Ponte di Piave (TV) dove sono impegnati 60 dipendenti, si aggiunge l’unità locale di Trezzano Sul Naviglio (MI) in cui sono occupati altri 40 dipendenti. Nastroflex si trova a fare i conti con un’offerta vastissima di prodotti che vanno da quelli standard di comune reperibilità nella grande distribuzione e presso negozi/ rivenditori del bricolage, ad articoli confezionati con caratteristiche tecniche e misure, richieste dall’industria per i più svariati utilizzi. Questo fa sì che la gestione delle tipologie di prodotto, sia come materia prima che poi come semilavorato e prodotto finito, siano molto complesse. Non ultima poi è la necessità di avere una tracciabilità del prodotto e dei processi che lo stesso attraversa nella fase produttiva e di distribuzione. Un’eterogeneità di prodotti fa sì che ci sia anche un’eterogeneità della clientela: da clienti che ordinano materiale con un programma di consegne su un arco temporale di alcuni mesi a clienti che necessitano immediatamente della consegna dell’ordine. Così pure i singoli ordini posso avere grossi quantitativi per pochi articoli oppure essere composti da molti articoli con diverse caratteristiche e problematiche produttive. La crescita aziendale e la volontà di accontentare e gestire un sempre più alto numero di richieste differenti ha fatto sì che Nastroflex decidesse di dotarsi degli strumenti IT adeguati per supportare le proprie attività e renderle efficienti: un sistema informatico centralizzato da cui poter gestire tutte le aree aziendali. Questo è quello che ha permesso di fare l’ERP Freeway® Skyline, fornendo supporto ad oltre 40 utenti per la gestione di tutte le aree aziendali, che nel caso di Nastroflex significa anche servire oltre 2300 clienti attivi. Mauro Busetto, Direttore Amministrativo di Nastroflex, spiega: “il software Freeway® Skyline ci ha permesso un controllo integrato di tutte le transazioni che si susseguono ed adeguati livelli di integrazione dei vari processi aziendali ed interaziendali. In questo modo è stato possibile rispondere alle tematiche sensibili dell’azienda, in particolare la rintracciabilità dei materiali, la costificazione del prodotto o del processo, l’integrazione con il sistema qualità, ecc..” Elio Bottero, responsabile del progetto per Eurosystem, aggiunge: “prima del nostro intervento, l’informatizzazione 56
Nastroflex Nastroflex Spa nasce nel 1970 grazie alla famiglia Palù, già attiva nel settore degli abrasivi dal secondo dopoguerra. Nel corso degli anni Nastroflex si è sviluppata diversificando i settori merceologici e i mercati di destinazione. In questo percorso, si è rivelato determinante l’orientamento alla ricerca di prodotti caratterizzati da prestazioni differenziate, rispondenti a specifiche necessità industriali. I prodotti trasformati coprono applicazioni nei settori legno e arredamento, metalmeccanico, tessitura, concerie e calzature, vetro, cotto e ceramica. Negli anni Ottanta Nastroflex ha acquisito, e successivamente incorporato, Abrasivi Industriali una storica società milanese produttrice di carte abrasive industriali di finitura e di prodotti per carrozzeria e distribuzione, detentrice del marchio Grinco. Questa operazione ha permesso a Nastroflex di integrarsi a monte nel processo di produzione degli abrasivi flessibili. Nel 2003 Nastroflex ha dato un impulso allo sviluppo internazionale attraverso l’acquisizione del marchio “coccodrillo”, marchio legato ad una storia più che centenaria nel settore degli abrasivi e a brevetti innovativi nel campo della chimica avanzata. Con questa operazione Nastroflex ha guadagnato l’accesso a nuovi mercati in America, Estremo Oriente ed Europa. Oggi il Gruppo Nastroflex ha assunto una posizione di assoluto rilievo a livello internazionale nella produzione e conversione di prodotti abrasivi. Negli ultimi anni è stato intrapreso un piano di investimenti focalizzato a migliorare ulteriormente l’offerta al cliente, incrementando ancora di più il livello qualitativo dei prodotti ed il supporto tecnico.
INCONTRI CON prevedeva moduli software che dialogavano tra di loro. Noi abbiamo permesso di concentrare in un unico sistema tutta l’informatizzazione dell’azienda e questo ha reso quindi possibile la centralizzazione della gestione amministrativa, produttiva, ecc.”. Nello specifico un cambiamento significativo è stato fatto nell’area produttiva. L’obiettivo da raggiungere consisteva nell’informatizzare quest’area dell’azienda, introducendo nei centri di lavoro dei sistemi per la rilevazione, da parte degli utenti, degli avanzamenti di produzione. Questi utenti inizialmente comunicavano l’avanzamento del consuntivo di produzione attraverso la registrazione su moduli cartacei prima e un inserimento manuale sul sistema a fine giornata o fine settimana. Con l’introduzione di Freeway® Skyline è stato possibile fare in modo che gli operatori di reparto potessero inserire queste informazioni direttamente nel sistema utilizzando apposite interfacce di raccolta dati, fruibili su dispositivi touch screen: un semplice gesto per comunicare l’avanzamento dell’ordine di produzione, la quantità degli scarti ecc. “Tutto questo si è successivamente evoluto con l’implementazione e l’integrazione tra il gestionale di Eurosystem, Freeway® Skyline, e il magazzino meccanizzato (Velox), con lo scopo di mettere in condivisione le giacenze di magazzino”, continua Bottero.
Nello specifico, è stata portata avanti l’integrazione tra il software dipartimentale, che gestisce la movimentazione interna del magazzino automatizzato, e Freeway® Skyline che sovrintende tutte le fasi di produzione: in questo modo gli ordini dei clienti vengono tradotti in ordini di produzione dall’ERP, che fornisce al software dipartimentale le istruzioni sul materiale da prelevare in vista della preparazione del prodotto da consegnare al cliente. Nella pratica, vengono comunicati i prelievi che devono essere fatti attraverso un operatore, il quale comanda al magazzino robotizzato, Velox, il numero seriale della matricola. Tramite un trasloelevatore (il quale possiede una mappa interna che lo guida nel magazzino), il prodotto richiesto viene raggiunto e prelevato. La movimentazione registrata viene recepita dal gestionale e c’è un allineamento dei dati tra magazzino gestionale e magazzino fisico (in termini di articoli, lotti e quantità). Il risultato? Un magazzino automatizzato che permette di gestire e stoccare fino a 600.000 mq di prodotto. Conclude Bottero: “la rivoluzione principale nel progetto Nastroflex è stata portare in produzione strumenti innovativi che consentono di raccogliere nei reparti l’avanzamento puntuale delle attività e della produzione di un ordine”.
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AcademIT Da IT manager a manager dell’IT AcademIT è un progetto formativo rivolto agli IT manager che vogliono crescere e valorizzare il proprio ruolo in azienda. Da semplice fornitore di servizi interni a portatore di innovazione, l’IT manager è oggi chiamato a diventare un manager dell’IT, e ad avere un ruolo più attivo e strategico nei processi di sviluppo e raggiungimento dei risultati aziendali. Attraverso corsi in aula, webinar, formazione online, offriamo percorsi di sviluppo professionali (tecnici e manageriali) e personali che arricchiscono il “sapere” aziendale di nuove competenze e abilità, accompagnando il ruolo dell’IT manager in questa sua evoluzione e cotribuendo così alla crescita dell’impresa e della sua competitività.
Formazione che nasce dall’esperienza Il progetto nasce dall’aggregazione di Eurosystem SpA e Nordest Servizi Srl, due system integrator con esperienza trentennale nella gestione di progetti IT applicativi, infrastrutturali, di sicurezza. Nella nostra formazione, nella scelta dei contenuti, dei docenti e della modalità di insegnamento c’è tutta l’esperienza maturata dalle due storiche aziende di IT nel confronto diretto con imprenditori, titolari d’azienda, reparti IT clienti.
Dal sapere al saper fare al saper essere: tre livelli per la crescita AcademIT propone un’offerta formativa completa e allo stesso tempo suddivisa in corsi per la crescita tecnica (sapere), manageriale (saper fare) e personale (saper essere) dell’IT manager. Ogni azienda decide, solo in base alle proprie esigenze, chi far formare sull’utilizzo delle tecnologie e chi far crescere ancora con corsi dedicati a metodi di gestione-organizzazione e competenze personali. Per un IT manager che sappia, sappia fare, gestire, ed essere consapevole di sé e del proprio ruolo in azienda.
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ACADEMIT
Insegnare a fare AcademIT dà accesso immediato a nozioni pratiche attraverso formule di insegnamento concentrate. I contenuti sono mirati, studiati e organizzati per essere applicati nella realtà lavorativa di tutti i giorni. E, una volta assimilati, diventano una guida pratica pronta all’uso per avere un comparto IT efficiente e dinamico.
CORSI IN AULA
Business Intelligence efficace IT governance Networking Base Microsoft Windows Server VMWare vSphere Citrix XenApp e XenDesktop
Privacy, Sicurezza e Controllo ICT CIO Evolution Risk Assessment Sicurezza in ICT Smart Project Misura il R.O.I. Lean Office
Le risorse nascoste Coaching Pro Personal Speaking Restart Stress Exit Negoziazione
WEBINAR Finanziamenti alle imprese / Analytics e Produttività / Smartsourcing Internet of Things / Progetto o Ri-getto?
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MANUEL CACITTI IoT, la sicurezza non guarda in faccia a nessuno Intervista a Manuel Cacitti, esperto di cybersecurity La sicurezza non conosce distinzioni tra l’uso dell’IoT commerciale e quello aziendale. Per questo bisogna cominciare dalla comprensione delle reali necessità di chi vuole andare verso l’IoT, insieme ad una progettazione che prenda in considerazione l’apporto di competenze diverse, per valutare i molteplici aspetti della possibile architettura. Le figure che si occupano di informatica con l’avanzare dell’IoT dovranno avere non solo competenze tecniche, ma anche una grande capacità di analisi e di gestione di situazioni, eventi e persone. IoT e sicurezza: sembra che le sfide da affrontare affinchè questi due temi non si scontrino siano ancora tante. Citrix parla di almeno tre nodi da sciogliere: mancanza di standard di sicurezza, protocolli di comunicazione diversi, aggiornamento dei dispositivi multifunzione. Lei che ne pensa? Quali sono i temi che l’IoT apre in ambito sicurezza? L’Internet delle cose è sicuramente una delle più grandi opportunità che oggi si presenta dinanzi ai nostri occhi; un paradigma in grado di cambiare in modo radicale la percezione del vivere all’interno di un sistema ibrido in cui l’uomo e la tecnologia diventano simbioticamente iperconnessi, la materia prende una dimensione meno essenziale in termini di valore rapportato alla quantità e il concetto di ubiquità assume una connotazione sempre più tangibile. A testimonianza della rilevanza che l’IoT sta assumendo, ricordo che a Udine è nata da poco la prima facoltà di Internet of Things, con lo scopo di formare le professioni emergenti di questo nuovo mercato. 60
L’idea di avere a disposizione una rete estesa di sistemi semplici tra loro interconnessi e trasparente per l’utente finale, determina una grande complessità di progettazione, gestione e mantenimento. La complessità, se non opportunamente gestita o ridotta, rappresenta un potenziale rischio per la sicurezza. Il pericolo maggiore potrebbe essere allora quello di creare sistemi IoT intrinsecamente non sicuri e vulnerabili, perché progettati senza tenere conto dei necessari aspetti di sicurezza. Trattandosi di sistemi potenzialmente in grado di assumere la delega e la gestione di attività tipiche dell’agire umano, l’elemento di maggior impatto potrebbe essere la determinazione di un reale e oggettivo pericolo per la salvaguardia e la salute dell’essere umano. Si pensi, rispetto a questo, ai numerosi attacchi e dimostrazioni di vulnerabilità verso sistemi autonomi di guida veicolare, pacemaker e altri dispositivi medicali comandabili a distanza, accorsi solamente negli ultimi mesi e tali da determinare un serio motivo di allerta per gli addetti ai lavori.
In ambito sicurezza, vede una differenza tra l’utilizzo di oggetti IoT commerciali e industriali? Ignorando inizialmente la distinzione primaria tra dispositivi commerciali e industriali, verso la quale vi è sicuramente una sensibilità e accuratezza costruttiva differente, mi focalizzerei piuttosto sull’ambito di utilizzo primario, ossia lo scopo specifico che del dispositivo si vuole fare. Possiamo avere infatti dispositivi commerciali e/o industriali da impiegare in contesti a basso potenziale di rischio (es. un rilevatore conta passi), così come dispositivi impiegabili in situazioni ad elevata necessità di
ACADEMIT garanzia di sicurezza (es. un pacemaker). In generale non vedo quindi una differenza enorme, se pensiamo in termini di sicurezza, tra il mondo commerciale e quello industriale.
Nel momento in cui un’azienda decide di utilizzare la tecnologia IoT, quali sono le operazioni di partenza da non trascurare per essere protetti? Ritornando a quanto precedentemente affermato, direi la reale comprensione delle necessità per le quali si sceglie di implementare un sistema IoT, assieme ad un’accurata e capace progettazione, magari effettuata coinvolgendo risorse con competenze in grado di considerare tutti i molteplici aspetti della possibile architettura. Potrebbe sembrare banale e riduttivo, ma questo aspetto risulta fondamentale e troppo spesso tale attività è ancora palesemente sottovalutata.
Cosa si è fatto finora in questo ambito? Sono tante le iniziative nate e sviluppatesi negli ultimi anni in relazione alle tematiche IoT e tra queste vi è una prevalente declinazione verso l’ambito software. Si pensi, ad esempio, agli Standard della famiglia UL 2900 legati al tema della sicurezza informatica del software per prodotti e dispositivi collegabili in rete. Meno matura resta ancora
la parte legata alla sicurezza dell’hardware, in relazione ad aspetti che possano riguardare la salvaguardia e l’integrità dei dispositivi come le funzioni di anti-tampering o di M2M signal integrity and availability, fondamentali per la garanzia di comunicazione del dato. Lo scenario risulta però essere ancora notevolmente disgregato ed eterogeneo rispetto a un possibile raccordo su normative e metriche di standardizzazione comuni, segno che c’è ancora del lavoro da fare su tale fronte.
Quali sono le figure professionali emergenti che servono per proteggere un’azienda dai rischi IoT? Direi in generale quelle che possono servire a proteggere anche dagli altri rischi di sicurezza informatica, riferendomi ad esperti di sicurezza che dovranno avere quindi sempre più solide competenze tecniche e di analisi, capacità di gestione di situazioni, eventi e persone. Tra queste, sicuramente la figura del responsabile della sicurezza delle informazioni (CISO), in grado di operare all’interno di organizzazioni a complessità media/elevata e lo specialista della sicurezza ICT (ICT Security Specialist), in grado di fornire un supporto completo nella progettazione, selezione, implementazione e mantenimento di soluzioni di sicurezza a supporto e difesa delle architetture informatiche.
Manuel Cacitti Esperto di cybersecurity Esperto di sicurezza informatica, opera da svariati anni in questo campo su progetti nazionali e internazionali. Svolge attività di ricerca e divulgazione in merito all’ottimizzazione di processi, metodologie e tecniche per la gestione delle informazioni classificate, il trattamento e la conservazione di dati sensibili, giudiziari e clinici. Svolge attività di intelligence per soggetti pubblici e privati. È esperto di metodologie per la conduzione di VA e PT, anche di elevata complessità. Socio ISACA, AIIC, AIP, AICA, ItaSForum, è Research Fellow presso l’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati (IIP) di Roma, svolgendo attività di divulgazione in materia di protezione dell’identità digitale.
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SPAZIO A Y Che schedulatore della produzione serve alla mia azienda? Sergio Pio Angelillis
redazione@logyn.it
Il software per la schedulazione della produzione: come fare la scelta giusta? Prodotti integrati all’interno di ERP aziendali, soluzioni verticali nazionali e internazionali: molti e differenti sono i sistemi software per la gestione della schedulazione della produzione, identificati tecnicamente con la sigla 62
APS (Advanced Planning & Scheduling), disponibili in commercio. Piccola guida tecnica sulle classi di soluzioni esistenti e su come scegliere quella piĂš adatta alla propria realtĂ
SPAZIO A Y Il mercato degli schedulatori La nascita delle prime soluzioni commerciali è avvenuta alla fine degli anni ‘90 per consolidarsi nello scorso decennio in modalità strettamente connessa all’aumento della capacità di calcolo dei computer, necessaria per supportare la procedura di schedulazione e produrre risultati ottimali in tempi ritenuti accettabili dagli operatori e dalle continue modifiche alle quali è soggetto il set di dati che alimenta il processo di programmazione della produzione.
Evoluzioni e nuove necessità
Eurosystem entra nel mondo della produzione industriale Enterprise con PlanetTogether APS Stefano Biral, responsabile tecnico ERP Freeway® Skyline, ci racconta la nuova sfida. Perché Eurosystem ha voluto entrare nel mercato delle soluzioni software Enterprise per la schedulazione della produzione?
La continua evoluzione dei processi produttivi, in termini di maggiore automatizzazione e crescente complessità, ha fatto maturare sempre più la necessità di ottimizzare le attività di produzione. Diversi possono essere i sintomi o le necessità: l’aumento della complessità del processo, determinata dalla forte variabilità e dal numero elevato di risorse, articoli, ordini e clienti; la mancanza di coordinamento e di comunicazione tra i diversi reparti connessi dalla procedura (acquisti, vendite, pianificazione, produzione, spedizione, direzione); la necessità di far fronte ad inefficienze di produzione e di coordinare vincoli di ottimizzazione interna (come i setup) con le esigenze dei clienti; la capacità di poter prevedere o simulare eventuali scenari futuri in modo da poter evitare situazioni critiche che potrebbero comportare blocchi o ritardi di produzione.
In funzione delle esigenze dei nostri clienti più evoluti, è necessario poter offrire tecnologie e prodotti di livello Enterprise, con un ampio parco di installato in tutto il mondo e completamente configurabili, così da evitare personalizzazioni specifiche.
La continua evoluzione dei processi produttivi, in termini di maggiore automatizzazione e crescente complessità, ha fatto maturare sempre più la necessità di ottimizzare le attività di produzione.
È una soluzione aderente a tutti gli standard sia da un punto di vista tecnico che funzionale, dotata di un potente motore di schedulazione. È in grado di elaborare risultati nell’ordine dei secondi, è multi-utente, multi-stabilimento e multi-lingua, ha un’interfaccia grafica di ultima generazione, strumenti di visualizzazione altamente interattivi e configurabili, viste dati predefinite e studiate per i diversi attori coinvolti nel processo di programmazione della produzione, dalle vendite, passando per gli acquisti fino alla produzione.
La problematica in oggetto può essere affrontata sia con il modulo schedulatore presente all’interno del nostro ERP Freeway® Skyline sia integrandoci ad altri prodotti di una fascia più elevate quando le necessità e le particolarità del cliente finale richiedano la gestione di particolari modelli in termini di funzionalità, flessibilità e performance.
Quali sono i contenuti della suite PlanetTogether APS? Il software PlanetTogether APS è una soluzione internazionale presente in Italia da oltre 10 anni grazie al master partner OPT Solutions. È una soluzione configurabile in funzione della classificazione fatta in precedenza nella sezione dei sistemi di fascia alta o leader di mercato basata su un parco installato internazionale di oltre 1000 impianti con una ampia copertura dei principali settori produttivi, sia di tipo discreto che continuo (alimentare, chimico e farmaceutico).
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L’estrema facilità di configurazione consente in tempi brevi di elaborare un prototipo di progetto in modo da poter verificare rapidamente la corrispondenza tra le esigenze e le funzionalità presenti. La forte scalabilità del sistema, intesa in termini di utilizzo di nuove funzionalità, permette di raggiungere in tempi brevi i principali obiettivi di progetto per poi concentrarsi in una seconda fase sul miglioramento di alcuni punti.
Questo significa che andrete a dismettere l’attuale schedulatore presente all’interno del sistema ERP Freeway® Skyline? Assolutamente no. Andremo ad aggiungere questa nuova tecnologia come un modulo opzionale che potrà essere integrato nella suite ERP Freeway® Skyline quando le necessità del cliente ne richiederanno l’uso, tenendo comunque presente anche la necessità di avere un budget di spesa adeguato alle funzionalità auspicate. In ogni caso, il prodotto PlanetTogether APS può essere installato anche presso clienti che non abbiano il nostro ERP, ma che abbiano esigenze in tal senso. È previsto un apposito modulo per l’integrazione con qualsiasi ERP tramite tabelle di frontiera su database o servizi, facilmente implementabili. .
Come funzionano i sistemi di schedulazione? I moderni sistemi di schedulazione permettono di interconnettere i diversi reparti coinvolti in tempo reale, elaborare piani di produzione aggiornati, monitorare gli indicatori di performance critici per il proprio business, aumentare il livello di servizio globale offerto ai clienti, trasferire le conoscenze dei singoli operatori alla procedura, eliminare il proliferare di strumenti personali in modo da permettere di avere una condivisione delle informazioni secondo logiche di ruoli e responsabilità. Da un punto di vista tecnico questi sistemi devono essere interconnessi con il sistema informativo aziendale in modo da acquisire in tempo reale l’intero portafoglio ordini aperto e le informazioni relative allo stato avanzamento degli ordini in esecuzione. La forte interconnessione con i moderni sistemi di monitoraggio basati su architettura IoT comporta oggi per questi software un ruolo determinante nel perseguimento dei principi della Fabbrica 4.0, permettendo il dispatching delle sequenze produttive direttamente ai centri di lavoro a controllo numerico presenti in fabbrica.
Come scegliere uno schedulatore? Riteniamo indispensabile prima definire la strategia di approccio al problema, solo dopo individuare la tecnologia, perché la scelta del software ha un effetto ridotto sulla probabilità di successo. Ma, una volta avviata una strategia, che software scegliere? Come? Affidandosi ad un partner, assoldando un consulente esterno oppure provando a fare una software selection con un responsabile interno? Questo articolo cerca di guidare l’azienda sulla prima cosa da fare: decidere quale fascia di prodotto valutare.
Il mercato degli schedulatori Una possibile classificazione dei software di schedulazione della produzione può essere la seguente: • APS integrati al sistema ERP • APS verticali di fascia media (nazionali)
Sergio Pio Angelillis project consultant 64
• APS verticali leader o di fascia alta (nazionali e internazionali)
SPAZIO A Y
Tipologia
APS integrati al sistema ERP
Per quale tipologia di azienda
Caratteristiche
• Bassa complessità aziendale e/o del processo produttivo
• •
• Budget di spesa minore di 10.000 €
•
• Aziende con processo produttivo altamente standardizzato
•
• •
APS verticali di fascia media (nazionali)
• Media complessità aziendale e/o del • processo produttivo • Specializzate per settori specifici • Mono-stabilimento, mono-utente • Budget di spesa da 10.000 € a 30.000 €
• •
•
•
APS verticali leader o di fascia alta (nazionali e internazionali)
• Media/Alta complessità aziendale e/o del processo produttivo
•
• Multi-settore, multi-utente, multistabilimento
•
• Budget di spesa da 30.000 € a salire
•
•
•
•
•
Modulo aggiuntivo ai moduli standard ERP Nella maggior parte dei casi soluzioni in grado di schedulare a capacità infinita Funzionalità e strumenti grafici limitati e non interattivi Mancanza di strumenti e di logiche di interconnessione con i moduli di fabbrica o monitoraggio produzione Tempi di configurazione e costi ridotti Tempi di avviamento nell’ordine di alcune giornate Presentano motore di schedulazione a capacità finita Presentano funzionalità specifiche per alcuni settori e richieste dei clienti Copertura funzionale non ampia con eventuali punti di forza o eccellenza su alcune di queste Strumenti grafici (gantt, istogrammi, kpi) standard con funzionalità base e interattività utente di primo livello Tempi di avviamento nell’ordine di qualche mese Elevata copertura funzionale, configurabilità e tools di modellazione per settori produttivi differenti (alimentare, chimico, farmaceutico, meccanico, plastico, arredamento, …) Funzionalità di pianificazione, modulo MRP, forecasting, etc., in modalità integrata Strumenti di modellazione e grafici avanzati caratterizzati da forte interattività e configurabilità in modo da rendere la lettura del piano in termini di warning rapida e chiara Strumenti evoluti per la progettazione rapida e grafica dell’interconnessione con i sistemi esterni (ERP e MES) Possibilità di poter configurare logiche di ottimizzazione complesse ed adattate al proprio contesto Strumenti grafici per il dispatching automatico dei risultati alle macchine e/o operatori di produzione Tempi di avviamento nell’ordine di qualche mese
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APS integrati al sistema ERP Diversi produttori sia nazionali che internazionali di sistemi ERP hanno aggiunto nel tempo funzionalità di schedulazione a capacità infinita per poter rispondere a richieste basilari dei propri clienti. Sono soluzioni che presentano come punto di forza la nativa integrazione con il sistema informativo aziendale, ma che, a causa della poca interattività, configurabilità, limitato numero di funzionalità o di modellazione, possono essere utilizzate in contesti relativamente semplici (in termini di volumi di dati da trattare, caratteristiche produttive standard e caratterizzate da bassissima variabilità ed altri volumi produttivi con portafoglio articoli limitato). Questi APS fanno poche cose, ma in modo semplice e veloce, comportano una formazione dell’utente minima e costano poco. L’integrazione nativa con i sistemi ERP fa sì che i due sistemi siano bidirezionalmente aggiornati in tempo reale: ad esempio sia nella generazione di nuovi ordini di produzione che nella chiusura degli stessi per fine produzione.
APS verticali di fascia media (nazionali) Sono disponibili in commercio una molteplicità di soluzioni per la schedulazione della produzione realizzate da produttori nazionali che nella maggior parte dei casi presentano come fattore comune il fatto di essere nate su forte spinta dei relativi clienti, finendo nella maggior parte dei casi di realizzare dei progetti o cantieri sempre aperti e specializzati nell’esercizio di alcune funzionalità grafiche o di calcolo e modellazione per un settore produttivo specifico. Da un punto di vista tecnico, non presentando alla base uno studio architetturale scalabile, sono limitati nell’esercizio e nella risoluzione di problemi di schedulazione ben definiti e circoscritti. Non presentano funzionalità grafiche e di modello caratterizzate dal concetto di configurabilità. Sono soluzioni che in alcuni casi possono rappresentare il giusto compromesso tra una soddisfacente automatizzazione della procedura e costi/tempi necessari per la rispettiva messa in opera. Ma tutto questo è raggiungile o fattibile a patto di aver eseguito in fase preliminare o prototipale un’attenta analisi e verifica delle attese e della procedura con le funzionalità delle soluzioni oggetto di scelta. La mancanza di questa verifica potrebbe comportare un alto rischio di
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crescita dei costi e dei tempi o il blocco del progetto a causa in primis della non completa copertura funzionale e della limitata capacità di interattività e configurabilità.
APS verticali leader o di fascia alta (nazionali e internazionali) Queste soluzioni sia in ambito nazionale che internazionale sono in numero molto limitato e si tratta di sistemi progettati e realizzati da software house nella gran parte dei casi mono-prodotto e caratterizzate da una precisa e specializzata missione aziendale. Oltre alla solida base di partenza le software house hanno saputo aggiungere nel tempo strumenti di grafica evoluti caratterizzati da una forte interattività e da una facile lettura dei risultati. Nel tempo, con il crescere del parco installato, e grazie al perseguimento del criterio della configurabilità, queste soluzioni possono essere facilmente adottate in diversi ambiti produttivi ed in contesti caratterizzati da elevata complessità del processivo produttivo, inteso sia in termini di volume di dati, di variabilità, che di caratteristiche intrinseche delle risorse produttive come centri di lavoro multitasking o vincolati e correlati ad altre risorse produttive. Possono essere ritenuti a tutti gli effetti degli strumenti di manufacturing intelligence in grado di prevedere, controllare e monitorare i diversi aspetti del processo con diverse viste (gantt, istogrammi, kpi, reports, …). Presentano la possibilità di vincolare le attività di produzione in funzione delle disponibilità di materiali, la possibilità di poter configurare vincoli personalizzati e strumenti avanzati per una facile progettazione dell’interfaccia per lo scambio dati bidirezionale con i sistemi ERP e MES. Oltre a funzionalità standard relative ai sistemi di schedulazione, molti di questi sistemi hanno visto crescere le proprie funzionalità anche sul versante della pianificazione, dotandosi di motore MRP, strumenti di analisi inventario e di forecasting. Alcuni di questi presentano funzionalità integrate per il dispatching delle informazioni alla fabbrica in modo da ottenere una interconnessione diretta con gli strumenti di avanzamento della produzione. Si tratta di soluzioni che presentano un alto grado di affidabilità, capaci di soddisfare le esigenze di contesti produttivi semplici o complessi. Sono soluzioni che comportano l’introduzione di uno standard nella procedura di programmazione della produzione.
SPAZIO A Y @eurosystem.it
DAL CARTACEO AL DIGITALE: LA FIRMA DEI DOCUMENTI La firma grafometrica a supporto del business Stefano Biral
redazione@logyn.it
Ma una soluzione a misura di utente esiste... Il contesto dell’offerta Nel mondo del business, firmare un documento in maniera attendibile è una questione complessa poiché l’utente o il cliente finale potrebbe non riconoscere come sua la firma manuale apposta su un documento cartaceo. La necessità è quindi quella di avere un’associazione univoca tra firma e firmatario: difficile con il cartaceo, semplice con il digitale. In questi casi, talvolta potrebbe essere necessario estendere il sistema ERP per avere la certezza che il documento sia stato firmato effettivamente dalla persona richiedente.
All’interno del nostro ERP Freeway® Skyline è disponibile una soluzione certificata che supporta il processo per la firma grafometrica dei documenti: Namirial. Apporre la firma su uno schermo touch consente al documento di nascere digitale e vivere digitalmente in originale conservando i parametri della firma grafometrica. I dati grafometrici non vengono conservati in separati archivi, ma vengono criptati e fusi con il documento stesso. Solo nel caso di disconoscimento della firma, si provvederà a decifrare i dati grafometrici contenuti nel documento e a confrontarli con quelli presenti in altri già verificati o con quelli raccolti dal perito grafologo nominato dal giudice. I passaggi sono i seguenti: creazione del file PDF da parte dell’applicativo standard Freeway® Skyline, firma autografa su schermo touch collegato al PC, salvataggio del documento PDF firmato all’interno del modulo di archiviazione documentale Freeway Document Server.
Il problema dell’utente L’operatore che compila un documento gestionale, ad esempio un contratto di noleggio piuttosto che un DDT di consegna merce, deve poter memorizzare la firma certa della persona che ha di fronte, ovvero non solo il segno grafico, ma una firma grafometrica che appunto permetta di identificare in maniera univoca il firmatario attestandone una serie di variabili (dati biometrici): posizione, tempo, pressione, velocità e accelerazione della mano che firma il documento sul tablet. Il tutto deve essere possibilmente integrato nel processo gestionale.
Eliminazione della carta e riduzione del rischio di illeciti da parte dell’utente finale o cliente sono i vantaggi della firma grafometrica. Infatti se un cliente disconosce la firma con il processo di firma grafometrica, deve provare sia che non era davanti alla persona che lo ha riconosciuto firmando, sia che (in caso di utilizzo della marca temporale) non era davanti all’operatore in quel determinato momento. La cifratura del dato biometrico in locale, la possibilità di non raccogliere specimen all’attivazione del servizio e la disponibilità di strumenti per provare la paternità della firma stessa sono alcuni dei vantaggi offerti dalla soluzione Namirial integrata a Freeway® Skyline. Su questa e altre tematiche correlate, possiamo offrire la nostra consulenza a garanzia e sicurezza del vostro business. 67
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IRISACQUA Rinnovare l’IT: tra necessità e opportunità Investire in soluzioni tecnologiche nuove e aggiornate per ottenere elevate prestazioni Rinnovarsi continuamente è una prerogativa per poter garantire servizi efficienti, soprattutto nel campo informatico. Ecco cosa ha fatto la società di Gorizia Irisacqua per far sì che il proprio IT non diventasse obsoleto. Irisacqua è una società a capitale interamente pubblico, costituita il 29 dicembre 2005 allo scopo di dare attuazione alla riforma del settore idrico introdotta con la “Legge Galli”. Con un organico di circa 98 dipendenti nel 2016, Irisacqua gestisce un territorio la cui estensione complessiva è pari a 466 Kmq, per una popolazione residente di circa 140.000 abitanti e 62.223 utenze attive. Nel corso della concessione, Irisacqua dovrà realizzare opere per un valore pari a più di 240 milioni di euro. “Gli aggiornamenti software di sistema e di tutti gli applicativi aziendali, le nuove logiche di funzionamento e l’analisi di nuove tecnologie informatiche” – spiega Enrico Marin, Responsabile dei Sistemi Informatici in Irisacqua – “ha messo in luce l’obsolescenza e quindi i limiti di alcune componenti del nostro IT, rendendo così indispensabile il cambio dell’infrastruttura. Infatti, il sistema era soggetto a rallentamenti e talvolta creava criticità per gli utilizzatori. Un altro problema era rappresentato dal backup: “infatti” – continua Marin – “era divenuto inaffidabile e richiedeva spesso l’intervento manuale, facendo sì che la coerenza del dato del backup fosse garantita non 68
STORIES Irisacqua tanto dal sistema quanto dall’intervento degli operatori. Il personale perdeva troppo tempo in attesa del sistema di elaborazione o dell’avvio degli applicativi tecnologici”. In questo scenario sono state valutate le diverse possibilità presenti sul mercato: soluzioni legacy, miste ed iperconvergenti. La soluzione tecnicamente corrispondente alle esigenze aziendali è stata identificata nei sistemi iperconvergenti, che gestiscono in maniera attiva e dinamica lo storage, i processori e la memoria fisica, il tutto condensato in un unico hardware ed un’unica console. Data la certificata compatibilità con la tecnologia Citrix, usata in Irisacqua, per l’iperconvergenza è stato scelto Nutanix; come sistema di backup, invece, si è optato per Commvault, una soluzione che permette il salvataggio delle varie unità in modo agentless e garantisce un Disaster Recovery.
Con Nutanix [...] la velocità di risposta è sensibilmente migliorata ed i blocchi del sistema non si sono più verificati anche sottoponendolo a svariati stress test.
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Irisacqua Con la legge n. 36 del 5 gennaio 1994 “Legge Galli” il legislatore ha introdotto il concetto di Servizio Idrico Integrato (SII), riorganizzato sulla base di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO). Ogni ATO è controllato da un’Autorità d’Ambito (ora denominata, per il Friuli Venezia Giulia, Consulta d’Ambito come sancito con L.R. 142/2010 a seguito dell’abolizione delle AATO) il cui compito è quello di redigere il Piano d’Ambito (l’insieme degli interventi necessari per migliorare il servizio e garantire determinati livelli di qualità) e di individuare il soggetto a cui affidare la gestione del servizio e la realizzazione del Piano. La riforma nella Regione Friuli Venezia Giulia è stata recepita con la legge regionale n.13 del 2005 che ha definito sul territorio quattro Ambiti, tra cui l’ATO Orientale Goriziano composto dai 25 Comuni della Provincia di Gorizia. Irisacqua srl è stata costituita il 29 dicembre 2005 proprio allo scopo di dare attuazione alla riforma del settore idrico introdotta con la “Legge Galli”. La società si occupa di gestire il Servizio Idrico Integrato garantendo la continuità del servizio secondo i parametri di qualità definiti dalla Carta del Servizio Idrico Integrato; assicurando la costante salvaguardia delle risorse idriche e dell’ambiente attraverso la riduzione delle perdite di rete ed il contenimento degli sprechi; realizzando gli investimenti previsti nel Piano d’Ambito al fine di risolvere le criticità che ad oggi gravano sul servizio.
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È così che Irisacqua ha selezionato e scelto Nordest Servizi nel rinnovo della propria infrastruttura IT, iniziando proprio quest’anno l’implementazione del progetto. Attualmente con Nutanix, cucito addosso a quelle che erano le esigenze del cliente, la velocità di risposta è sensibilmente migliorata ed i blocchi del sistema non si sono più verificati anche sottoponendolo a svariati stress test. L’interfaccia di gestione delle risorse, chiamata Prism, è ora unica per tutto il sistema ed evidenzia immediatamente qualsiasi problema di tipo hardware o software che si dovesse presentare. Prism, grazie al suo controllo real time delle risorse è stato fondamentale per investigare su comportamenti anomali di applicazioni che non sarebbero mai state scoperte ed avrebbero potuto appesantire il sistema. Alex Cantoni, CTO Nordest Servizi, spiega che “i benefici derivati dal rinnovo dell’infrastruttura informatica si possono rilevare sotto diversi aspetti: a partire dalla user experience o dalla velocità di lavoro dei singoli applicativi per arrivare alla facilità di gestione centralizzata in un’unica interfaccia, e alla semplificazione ed unificazione della soluzione di back up; a cui si aggiungono il risparmio energetico pari ad un quarto del totale e l’ampliamento dello spazio disco”. “Irisacqua” – continua Cantoni – “è riuscita quindi ad ottenere un’infrastruttura che le desse elasticità e possibilità di crescere senza complicazioni”.
SPAZIO A Y @eurosystem.it
UNA VITA IN… OUTSOURCING Indicazioni per un IT più smart Massimo Bosello redazione@logyn.it
Tra fare e delegare Una scelta ponderata per una miglior efficienza dei risultati: evitando la definizione accademica, semplifichiamo in questo modo il significato del fenomeno dell’outsourcing. In una società in cui i fattori tempo e costi sono costantemente nel mirino della vita sia privata che professionale, dovremmo tutti cercare di fare direttamente ciò che è importante e delegare ciò che è meno strategico. Perché questo? Qual è il suo fine ultimo? Una possibile risposta è perché, in fin dei conti, cerchiamo una miglior qualità della vita, mentre l’azienda cerca di guadagnare maggior competitività.
L’outsourcing intorno a noi Con assoluta certezza, possiamo affermare che negli ultimi decenni siamo tutti entrati in un modello, soprattutto sociale, pervaso dall’outsourcing.
Competenze e tempo, oltre all’importanza strategica. In un mondo dove la tecnologia corre a ritmi di annunci esponenziali, solo veri professionisti del settore possono permettersi di governarli e permettere dunque all’azienda di guadagnare vitali vantaggi competitivi. Mai come in questo ultimo decennio, ad esempio, l’informatica è diventata così protagonista e determinante nel mondo del business. È pervasiva in ogni processo di settore e si richiede sia flessibile, ad esempio per i frequenti progetti di M&A (fusioni e acquisizioni societarie). Garantisce la sicurezza, integrità e disponibilità delle informazioni e deve essere innovativa (es IoT e BI). È chiaro che tutto ciò richiede sempre più competenza e tempo, e non è possibile senza una delega e quindi l’outsourcing.
IT Orienteering Ma quale partner scegliere?
Orami tutto si declina e si trasforma in Anything as a Service (Infrastructure aaS, Platform aaS, Software aaS, Backup aaS, …spazio alla fantasia!). Hardware, Middleware, Software si convertono in servizio in outsourcing.
In primis, chi non si è inventato oggi, bensì può certificare un’esperienza che lo ha fatto crescere in ambito organizzativo e di risk management. Suggeriamo sempre (ove possibile) di andare concretamente a conoscere i vostri futuri partner, ai quali affiderete tanto o poco, comunque un qualcosa della vostra azienda. Osservando strutture, ambienti, persone. Informandosi sui modelli organizzativi e di delivery dei servizi, che hanno scelto di adottare (Itil, Cobit, Agile, ecc), sulle certificazioni del personale e aziendali (Iso9001, 27000, ecc).
Una curiosità, nella civiltà moderna la conoscenza oggi è la ricchezza più importante in assoluto, che noi genitori garantiamo ai nostri figli, tramite l’outsourcing della scolarizzazione. Significa che affidiamo a terzi, il nostro bene più prezioso! Perché? Perché non abbiamo più le competenze per raggiungere lo stesso risultato, né il tempo. Questo è un aspetto chiave nella scelta dell’outsourcing.
Necessario ovviamente valutare bene la contrattualistica, per ritrovare una chiara definizione degli ambiti di attività e responsabilità del partner, lasciare spazi all’interpretazione reciproca è molto rischioso. Ci deve essere una specifica di misurazione del servizio con Sla dichiarati e della durata contrattuale (ne troppo breve, ne troppo lunga. Dai 2 ai 5 anni). Un buon lavoro di osservazione e valutazione iniziale paga e garantisce il giusto servizio senza rischi.
Mia madre ha oltre 70 anni e guarda le commedie di Gilberto Govi su YouTube e ascolta musica con Spotify, tutti servizi di outsourcing (che paghiamo regalando informazioni su noi stessi…ma questo è un altro argomento).
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Client bridge wireless Aruba 501 Integrazione rapida e semplice di dispositivi sprovvisti di supporto wireless nativo in una WLAN. Client Bridge wireless Aruba 501 è in grado di connettere fino a 15 dispositivi client Ethernet che eseguono un protocollo di networking legacy sulla WLAN, estendendo l’accesso alla rete wireless a un’ampia gamma di protocolli. Fornisce i vantaggi della mobilità wireless per dispositivi come registri di cassa elettronici, bilance, server, stampanti, apparecchiature mediche e altri dispositivi.
Soluzione multi-vendor Grazie all’integrazione con l’architettura Mobile First di Aruba, supporta le implementazioni in un ambiente multi-vendor.
Sicurezza di classe enterprise Grazie alle solide funzionalità di sicurezza di classe enterprise, la protezione dalle intrusioni nella rete è garantita.
Implementa ovunque Installazione ovunque sia disponibile un segnale WLAN, per risparmiare tempo e denaro.
STILE LIBERO Lavoro
Assunzioni a tempo indeterminato Quali esoneri contributivi per chi assume gli studenti? LIZIER, BASSO E BOTTARI STUDIO ASSOCIATO
Con una circolare di luglio 2017, l’Inps ha fornito le necessarie istruzioni applicative sul nuovo esonero contributivo, introdotto dalla Legge di Stabilità 2017, per le assunzioni di particolari tipologie di studenti. Il beneficio, applicabile alle assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2017 e 2018, anche con contratto di apprendistato, consiste nell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro nella misura massima di 3.050,00 euro su base annua, per un periodo di tre anni dalla data di assunzione. Dopo l’alternanza scuola lavoro L’esonero spetta ai datori di lavoro privati che assumono studenti che hanno ottenuto il titolo di studio da non più di sei mesi e che hanno svolto presso di loro, alternativamente, almeno il 30% delle ore di alternanza scuola-lavoro previste nei casi: •
Legge n. 107/2015 (cd. buona scuola). Percorso che contempla almeno 400 ore di alternanza negli istituiti tecnici e professionali e almeno 200 ore di alternanza nei licei.
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p.dallarmi@studiprofessionali.org
All'interno dei percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Di competenza regionale, sono corsi rivolti ai giovani di età inferiore ai 18 anni in possesso del titolo conclusivo del primo ciclo di istruzione. La loro durata varia in base al percorso scelto, con un minimo di 990 ore annue. Nell'ambito dei percorsi ITS. Gli Istituti Tecnici Superiori realizzano percorsi finalizzati al conseguimento del titolo di diploma di tecnico superiore la cui durata è, di norma, pari a 4 semestri per un totale di 1.800/2.000 ore di durata del corso. All’interno dei percorsi universitari sulla base dei rispettivi ordinamenti.
Dopo l’apprendistato Sempre entro 6 mesi dall’ottenimento del titolo di studio, l’esonero spetta nel caso di assunzione di soggetti che hanno svolto presso lo stesso datore periodi di apprendistato del primo o terzo tipo. Tali forme di apprendistato sono da intendersi:
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per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore (indirizzato agli under 25 al fine di acquisire un titolo di studio in ambiente di lavoro);
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di alta formazione e ricerca, per conseguire titoli di studio specialistici, universitari e post universitari e per la formazione di giovani ricercatori.
Essere in regola tra agevolazioni e incentivi L’esonero non è cumulabile con altre agevolazioni di tipo contributivo, ma risulta compatibile con altri incentivi di natura economica quali, ad esempio, l’incentivo previsto per l’assunzione di lavoratori disabili e di lavoratori percettori del trattamento NASpI (indennità di disoccupazione). La fruizione di tale beneficio è subordinata al possesso del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva), al rispetto della normativa sul lavoro, dei contratti collettivi e dei principi generali in materia di incentivi. 73
numero 15
Privacy by design In cosa consiste il futuro della privacy? UNIS&F
Tel. 0422 916465
privacy@unisef.it
L’imminente arrivo del GDPR (General Data Protection Regulation - Regolamento UE 2016/679) porta in dote diverse novità per le aziende, non ultima l’introduzione del concetto di Privacy by Design. Ma che cos'è la Privacy by Design e cosa rappresenta in concreto? Che cos’è la Privacy By Design? La Privacy by Design è un ulteriore tassello nell’evoluzione dei principi relativi alla protezione dei dati personali e rappresenta il futuro della privacy. Si tratta di un innovativo approccio concettuale che va utilizzato in ogni occasione e contesto in cui sia necessario garantire la protezione dei dati personali. L’utente viene infatti considerato il centro del sistema privacy e qualsiasi progetto (sia strutturale che concettuale) va realizzato considerando sin dalla progettazione (appunto by Design), la riservatezza e la protezione dei dati personali. Nello specifico, la Privacy by Design comprende una trilogia di applicazioni: 1. sistemi IT; 2. pratiche commerciali corrette; 74
3. progettazione strutturale e infrastrutture di rete; Ed individua sette principi definiti fondamentali e che esprimono pienamente l’intero senso di questa prospettiva: 1. Proattivo non reattivo – Prevenzione non correzione; 2. Privacy come impostazione di default; 3. Privacy incorporata nella progettazione; 4. Massima funzionalità − Valore positivo, non valore zero; 5. Sicurezza fino alla fine − Piena protezione del ciclo vitale; 6. Visibilità e trasparenza – Mantenimento della trasparenza; 7. Rispetto per la privacy dell’utente − Centralità dell’utente.
Che cosa comporta? Questo è, senza ombra di dubbio, un approccio metodologico ben strutturato che garantisce una neutra e solida funzionalità operativa indipendente da specifiche
soluzioni tecnologiche. Del resto, ciò è del tutto conforme con i valori fondamentali dell'individuo. L’obiettivo principale è quello di elaborare due concetti: la protezione dei dati e degli utenti. L’utente diventa il punto di partenza per sviluppare il progetto in base alla legge sulla privacy e quindi con un approccio utente-centrico. Ogni volta che un progetto inizia deve prendere in considerazione, prima di tutto, il ruolo dell'utente, progettando tutto attorno alla persona fisica. Secondo questo metodo è molto semplice evitare i rischi relativi a privacy e sicurezza. La Privacy by Design esclude, pertanto, che si possa effettuare una valutazione di conformità alla normativa successivamente alla redazione del progetto o comunque posteriormente in occasione di un evento, in quanto la privacy va considerata già nella fase di progettazione. La valutazione di “Privacy by Design compliance” costituisce un valore aggiunto di rilievo perché attesta che tutti i processi sono stati seguiti considerando adeguatamente la protezione dei dati personali.
STILE LIBERO Privacy Come renderla effettiva? Ma quali sono nel concreto le “misure di sicurezza” che possono essere introdotte dalle aziende per applicare la Privacy by Design? Ecco degli esempi: 1. la pseudonimizzazione, ossia il principio per cui le informazioni di profilazione devono essere conservate in una forma che impedisce l’identificazione dell’utente; 2. la cifratura e l’utilizzo di codici identificativi dei dati trattati, per renderli completamente “leggibili” solo in caso di necessità;
3. la configurazione di parametri privacy personalizzabili dall’utente; 4. la trasparenza dell’informativa sulla modalità di trattamento.
Quali rischi in caso di negligenza? Ma che cosa rischia un’azienda che non rispetti questo principio a partire da maggio 2018? Il mancato adeguamento comporterà il rischio di essere sanzionati dall’autorità amministrativa: sono previste sanzioni pecuniarie fino a € 10.000.000 o fino al 2% del fatturato totale annuo dell’esercizio precedente dell’azienda.
Inoltre le aziende interessate ad acquistare un’applicazione, un prodotto o un servizio per il trattamento automatizzato dei dati dovrebbero assicurarsi fin dal momento dell’acquisto che sia stato rispettato il principio della Privacy by Design: in questo modo eviteranno di dover ricorrere in futuro a investimenti importanti (anche di migliaia di euro) per l’adeguamento alle normative in materia di privacy. www.unisef.it
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numero 15
Investire nell’Industria 4.0 Agevolazioni e incentivi per l’innovazione RUGGERO PAOLO ORTICA - ENRICO FANTUZZI
Con la Legge di Bilancio per il 2017, il Governo ha varato una serie di misure agevolative per le imprese che decideranno di investire nella cosiddetta “Industria 4.0”, con l’obiettivo di traghettare il Paese verso un nuovo paradigma industriale e non perdere la sfida con l’innovazione tecnologica. Il Piano Nazionale Industria 4.0 Per inquadrare correttamente il fenomeno e capirne gli impatti sull’economia nazionale, riportiamo un tratto dell’introduzione del “Piano Nazionale Industria 4.0” scritta dal Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda: “Le imprese manifatturiere rappresentano il motore della crescita e dello sviluppo economico, con la loro capacità di produrre ricchezza e occupazione, alimentare l’indotto e le attività dei servizi, contribuire alla stabilità finanziaria, economica e sociale […] Il Piano Industria 4.0 è una grande occasione per tutte le aziende che vogliono cogliere le opportunità legate alla quarta rivoluzione industriale: il Piano prevede un insieme di misure organiche e complementari in grado di favorire gli 76
info@studioassociatopiana.it
investimenti per l’innovazione e per la competitività.”
La IV Rivoluzione Industriale Il termine “Industria 4.0” fu utilizzato per la prima volta in Germania nel 2011, durante una fiera dell’elettronica ad Hannover, con l’intento di indicare la quarta era della produzione industriale, guidata dalla robotica e caratterizzata dall’applicazione della tecnologia digitale a macchinari smart interconnessi tra loro, in grado di indirizzare la produzione. Per non perdere la sfida con l’innovazione ed essere più competitivo (o, più realisticamente, ridurre almeno il gap con i Paesi che hanno corso di più in quest’ultimo decennio), nel 2015 il Ministero dello Sviluppo Economico annunciò il suddetto “Piano Industria 4.0” teso a rilanciare gli investimenti, favorire la crescita dimensionale e tecnologica delle imprese, incentivare l’imprenditorialità “innovativa”, il tutto mediante agevolazioni e sgravi fiscali, successivamente introdotti con la Legge di Stabilità 2016 e con la Legge di Bilancio 2017.
Quali sono quindi le misure agevolative? Tra le varie misure introdotte, vale la pena ricordare il “SuperAmmortamento” introdotto nel 2016 e prorogato fino a tutto il 2017, che consiste nella deducibilità fiscale del 140% del costo sostenuto per l’acquisto di beni strumentali nuovi; il nuovo “Iper-Ammortamento”, introdotto nel 2017, relativo alla possibilità di dedurre il 250% del costo sostenuto per l’acquisto di beni strumentali nuovi aventi determinati requisiti tecnologici; il “Patent Box”, che permette ai titolari di reddito di impresa di ridurre le aliquote Ires e Irap fino al 50% su redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali, quali brevetti industriali, marchi registrati, disegni e modelli industriali, know how e software protetti da copyright; il “Credito R&S” che prevede l’accesso ad un credito d’imposta del 50% fino ad un massimo di 20 milioni di euro all’anno sulle spese incrementali in Ricerca e Sviluppo, tra cui anche l’assunzione di personale altamente qualificato. Con il “Piano Industria 4.0” sono stati introdotti agevolazioni ed incentivi rivolti alle cosiddette PMI e Start-up Innovative, per sostenerle nelle fasi
STILE LIBERO Fisco iniziali, garantendo agevolazioni sia in fase di costituzione che in fase di avvio dell’attività. Fondazione Nord Est stima al 46,3% il numero di imprese venete ritornate ad investire in innovazione tecnologica approfittando delle neo-introdotte misure fiscali di favore, delle quali il 72,1 % si è avvalsa dell’IperAmmortamento, mentre il 38% del credito in ricerca e sviluppo.
Perché cogliere questa opportunità “Internet of Things”, è un concetto che si riferisce a cose molto comuni nella vita di tutti i giorni, basti pensare agli orologi che trasmettono informazioni sui dati corporei e sulle
prestazioni atletiche a molteplici utenti, agli impianti di domotica che autoregolano la temperatura di casa o chiudono/aprono gli scuri in base alle condizioni metereologiche, o in base agli input che noi forniamo. In pratica, con il concetto di “Internet of Things” si intende la possibilità con cui tutti gli oggetti possono acquisire un ruolo attivo grazie al collegamento alla Rete. In ambito industriale, invece, è facile capire come “Internet of Things” sia il motore dell’Industria 4.0, trattandosi infatti di impianti e macchinari connessi tra loro ed in grado di scambiarsi in tempo reale dati relativi alla produzione, al consumo di energia, al fabbisogno di materie prime e semilavorati, in pratica
guidare in autonomia la produzione. Saper cogliere e sfruttare le opportunità di questo nuovo paradigma industriale è una sfida importante che riguarderà il futuro del Paese e che dovrà partire soprattutto delle imprese. Le misure fiscali emanate ad hoc per l’incentivo agli investimenti in tecnologia digitale sono la diretta dimostrazione di quanto sia rilevante “l’aggiornamento” del sistema produttivo nazionale e, certamente, il successo del “Piano Industria 4.0” dipenderà dell’efficacia con cui ogni imprenditore saprà utilizzare le misure messe a disposizione.
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numero 15
La Riforma Orlando e i captatori informatici Quando un virus diventa strumento di indagine GIULIA TEBALDI
giulia.tebaldi@gmail.com
Con il Ddl Orlando, tra le molte novità apportate in materia penale e processualpenalistica, viene delegato il Governo a normare e, quindi anche delimitare, l’utilizzo del Trojan horse, un virus che, inoculato in telefonini e tablet, sostituirà le intercettazioni per come le abbiamo conosciute fino ad oggi, con maggiori potenzialità captative. Tale strumento per effettuare indagini era stato duramente criticato in quanto eccessivamente invasivo e contrastante con principi fondamentali garantiti dalla Costituzione, ovvero il diritto all’inviolabilità del domicilio e alla segretezza delle comunicazioni, così come il diritto al rispetto della vita privata e familiare previsto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
server della Procura e terminata la captazione il Trojan dovrà essere reso inutilizzabile.
Le disposizioni del Ddl di seguito analizzate sono piuttosto chiare, tuttavia ciò non toglie il sentore di incostituzionalità che pervade l’interprete nel corso della lettura degli articoli.
I reati interessati
Le procedure d’indagine Per l’uso del “Trojan di Stato” anzitutto sarà necessario il vaglio dei presupposti da parte di un Giudice per le indagini preliminari (Gip), l’attivazione del captatore dovrà essere comandata dalla Procura e sarà indispensabile un decreto autorizzativo che disciplini le modalità concrete di intercettazione.
Nel numero 13 della rivista Logyn si era trattato della sentenza Scurato delle Sezioni Unite del 28/04/2016 che si era pronunciata sulla legittimità dell’uso del c.d. “Trojan di Stato”.
Parimenti all’attività di intercettazione ordinaria la registrazione audio dovrà essere curata da personale appositamente delegato ovvero appartenete alla Polizia Giudiziaria e delle operazioni dovrà essere redatto verbale che indichi l’inizio e la fine delle registrazioni e ogni altro elemento utile indicato nel decreto.
La sentenza pur sancendo la costituzionalità dello strumento lo ammetteva solo per gravi delitti in
Poi il contenuto di quanto intercettato, ovvero il trasferimento dei file, dovrà essere indirizzato a un
La legittimità del “Trojan di Stato”
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materia di criminalità organizzata e terrorismo, denunciando apertamente la necessità di intervento legislativo in materia.
I reati per cui si potrà procedere all’intercettazione con Trojan sono individuati specificatamente nell’elenco cui all’art. 51 commi 3 bis e 3 quater c.p.p., ovvero nei casi di associazione a delinquere, associazione mafiosa, delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo, scambio elettorale politico, riduzione in schiavitù, tratta di persone, traffico di stupefacenti, contraffazione, commercio di prodotti con segni falsi. Permane la preclusione al funzionamento del virus, come previsto per le intercettazioni ambientali, nei luoghi di privata dimora, salvo che non si reputi che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa, tenuto conto dei limiti prescritti dal codice per le intercettazioni ordinarie cui all’art. 266 c. 1 c.p.p.. Ricordiamo che le intercettazioni ordinarie sono ammissibili qualora si tratti di delitti puniti con pena dell’ergastolo ovvero della reclusione superiore a cinque anni nel massimo (oltre a delitti contro
STILE LIBERO Azienda sicura il PM potrà disporre l’intercettazione telematica in assenza del vaglio del giudice, che dovrà però convalidare tale scelta mediante decreto entro 48 ore. Il Ddl prevede che il PM motivi circa l’indifferibilità della scelta nel decreto d’urgenza, il che tuttavia non elimina la potenziale arbitrarietà delle captazioni svolte per l’arco di tempo considerato.
o divulgabili” i risultati delle intercettazioni che abbiano coinvolto persone estranee, ma ci sarà pur qualcuno che analizza il materiale in questione. Che fine fa la nostra privacy?
Il Trojan di Stato consentirà di captare immagini e conversazioni accedendo ai dispositivi audio video, presenti in smartphone e tablet, oltre a tutte le comunicazioni telefoniche e telematiche, e questo potenzialmente 24 ore su 24. Come si potrà discriminare quando un soggetto si trova in luogo di privata dimora, magari in situazioni di assoluta intimità, rispetto alle situazioni in cui non lo è?
Infine, a parere di chi scrive, non è affatto chiaro quali siano le sanzioni previste per il mancato rispetto delle seppur poche garanzie che prescrive la normativa. Inutilizzabilità dei dati probatori ottenuti? Nullità degli atti in cui i risultati delle intercettazioni illegittimamente acquisiti venissero trasposti? Tale lacuna rende la norma, intesa quale precetto, priva di sanzione e perciò imperfetta, priva di forza o ancora peggio non giuridica.
Perplessità e preoccupazioni
E soprattutto che dire dei soggetti terzi che dovessero entrare in contatto con l’intercettato?
Ciò che più preoccupa è la previsione di una “attivazione d’urgenza” in cui
La legge prevede che non siano testualmente “conoscibili, pubblicabili
Ci si auspica quindi un importante intervento correttivo di una normativa che apre scenari alla “1984” di Orwell.
la Pubblica Amministrazione con pena superiore a quattro anni, delitti concernenti stupefacenti, armi ed esplosivi, minaccia grave e molestia, manipolazione del mercato, pornografia minorile). Per quel che interessa in particolare il settore aziendale l’art. 266 c.p.p. ammette le intercettazioni anche in materia di reati contro l’industria e il commercio quali in particolare la frode nell’esercizio del commercio, la vendita di prodotti alimentari non genuini e la vendita di prodotti industriali con segni mendaci. È evidente quindi che la riforma Orlando consente un ampio ricorso al Trojan di Stato, ben più esteso di quanto indicato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che lo avrebbero confinato ai delitti in materia di criminalità organizzata e terrorismo
Siamo così lontani dal mondo di Orwell?
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numero 15
I dati commerciali nella concorrenza sleale Fare chiarezza sulle responsabilità di aziende e dipendenti PAOLO RISCICA
p.riscica@riscicaavvocati.it
Il nostro sistema giuridico tutela le informazioni riservate dell’azienda, in modo da preservare il knowhow e tutti quei dati che l’impresa ha faticosamente acquisito negli anni e che costituiscono, di fatto, il “patrimonio” della stessa. Ma le informazioni commerciali, intese quali i dati relativi a elenchi clienti, fornitori, prezzi, fatturati, condizioni di vendita e quant’altro correlato all’attività di vendita, possono essere considerate riservate e meritevoli di tutela? La risposta è sì. In effetti, le norme che hanno portato a tale interpretazione giurisprudenziale sono contenute principalmente nell’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale e nell’art. 2598 del Codice Civile. Cosa dice il Codice della Proprietà Industriale L’art. 98 del Codice della Proprietà industriale tutela “le informazioni aziendali e le esperienze tecnicoindustriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi 80
generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; abbiano valore economico in quanto segrete e siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”. In base a tale norma, devono ricorrere alcuni requisiti specifici per poter considerare un’informazione come “riservata”, ovvero la segretezza, il valore economico e le misure di sicurezza predisposte dall’imprenditore per il mantenimento della riservatezza stessa dell’informazione. Si noti che quest’articolo del Codice fa espresso riferimento alle informazioni e alle esperienze “commerciali”, prevedendo quindi che anche i dati commerciali siano meritevoli di tutela.
Cosa dice il Codice Civile Qualora non siano rispettati contemporaneamente i requisiti di segretezza, valore economico e misure di sicurezza previsti nell’articolo 98 del Codice della Proprietà Industriale, vi è comunque la tutela approntata dalla norma generale contenuta nell’art. 2598 del Codice Civile.
Infatti i primi due commi prevedono comportamenti tipici vietati che vanno dagli atti di concorrenza sleale per confusione, a quelli di denigrazione e vanteria. Particolarmente importante si rivela il terzo comma, il quale prevede che “[…] compie atti di concorrenza sleale chiunque [….] si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”. Tale norma fissa una nozione di concorrenza sleale piuttosto ampia, comprendendo tutti i comportamenti dell’imprenditore volutamente diretti a privare il concorrente del risultato del suo investimento e a danneggiarlo commercialmente. Come ha avuto modo di chiarire il Tribunale di Milano (sentenza del 7.11.2016), le notizie inerenti alla clientela e alle condizioni economiche dei rapporti contrattuali sono per loro stessa natura riservate e non sono destinate ad essere divulgate al di fuori dell’azienda, indipendentemente dal fatto che esse siano accessibili ai dipendenti dell’impresa nella normale esplicazione del loro lavoro. Non v’è dubbio, quindi, che
STILE LIBERO Parola all’avvocato costituisce condotta non conforme alle regole di concorrenza l’utilizzo in grande quantità di dati commerciali riservati, come elenchi clienti, fornitori, prezzi, fatturati etc.
Dipendenti infedeli ed ex dipendenti Vale ora la pena accennare alle possibili responsabilità dell’azienda concorrente che ha acquisito ed utilizzato i dati commerciali, oltre alle responsabilità per il soggetto che ha divulgato tali dati. Infatti, nella prassi, i dati commerciali vengono soventemente diffusi da dipendenti infedeli o da ex dipendenti, che si trovano ovviamente in una posizione privilegiata di accesso alle informazioni aziendali. Per quanto riguarda i dipendenti infedeli, è solo il caso di ricordare che l’art. 2105 c.c. impone al dipendente il dovere di fedeltà mediante l'osservanza di due obblighi di natura negativa:
• divieto di concorrenza; • obbligo di riservatezza. La violazione di tali precetti comporta una responsabilità disciplinare (art. 2106 c.c.), con l'obbligo al risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro, ma in alcuni casi può essere configurata altresì una responsabilità penale per la protezione del segreto professionale ed aziendale (sanzionata dagli artt. 621-623 del Codice Penale). Va precisato che, in ogni caso, si presumono imputabili all’impresa concorrente gli atti del dipendente che fornisce a questa notizie riservate sull’organizzazione e sull’attività del proprio datore di lavoro, con conseguente responsabilità della stessa in ordine ai danni subiti per il comportamento del dipendente infedele.
di concorrenza leale e di correttezza professionale, incluse quelle di non utilizzare informazioni acquisite durante il rapporto di lavoro, non altrimenti ricavabili e non riferite alle capacità professionali dell’ex dipendente (così, Trib. Milano 16 giugno 2015). Mentre per avere una tutela nei confronti dei dipendenti è opportuno far loro sottoscrivere un patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c. ed un patto di riservatezza. L’unico rimedio per ottenere tutela nei confronti dell’azienda concorrente è invece rivolgersi all’Autorità Giudiziaria, anche per l’emissione di eventuali provvedimenti urgenti che inibiscano l’utilizzo dei dati commerciali riservati.
Gli ex dipendenti, invece, non essendo più sottoposti ai precetti di cui all’art. 2105 c.c., devono comunque osservare le normali regole
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numero 15
La respirazione consapevole Uno strumento efficace contro lo stress ANNA MANDERIOLI
www.annamanderioli.it
Tutti noi ci troviamo ad affrontare ogni giorno richieste di vario tipo. Quando queste richieste si trasformano in pressioni e queste pressioni si protraggono nel tempo, il rischio è che si trasformino in stress cronico. La condizione di stress è una reazione dell’organismo per adattarsi ad un generico cambiamento fisico o psichico (H. Seyle, 1956) ed è una condizione naturale in risposta a determinate sollecitazioni ambientali in vari ambiti della vita. Alcune ricerche dimostrano come lo stress cronico stia aumentando ed è responsabile di 6,5 milioni di giorni lavorativi persi ogni anno. In un recente sondaggio su 1300 lavoratori, i dati hanno evidenziato che almeno il 42% ha sperimentato abusi verbali, il 29% urla ai colleghi, il 14% lamenta problemi gastrointestinali, depressione, diminuzione delle abilità interpersonali.
Quali i sintomi
Cosa succede nel nostro corpo
In questi momenti la respirazione è alterata: si respira più velocemente e viene utilizzata al minimo la capacità polmonare, non soddisfacendo così le reali necessità di ossigenazione dell’organismo.
Quando siamo sollecitati in questo modo l’organismo libera nel circolo sanguigno alcuni ormoni tra cui cortisolo e adrenalina. Il cortisolo 82
aumenta la pressione sanguigna e il battito cardiaco e quando la sua produzione diventa eccessiva, interviene l’insulina per contrastarla, generando un ciclo glicemico con l’immediata attivazione del cortisolo per riportare il glucosio al giusto livello. Tra le più importanti risposte a questo ciclo, ci sono l’aumento di glicemia (col rischio di formazione adipose nell’addome, fino al diabete) e la riduzione delle risposte immunitarie (maggior predisposizione a infiammazioni, malattie autoimmuni, allergie).
L’organismo subisce alterazioni nella sua naturale funzionalità: composizione chimica, pressione sanguigna, sistema ghiandolare che, con il tempo logorano corpo, mente e spirito. Si entra in un circolo vizioso in cui ci si sente sempre affannati: difficoltà a dormire, digerire, concentrarsi, irritarsi al minimo contrattempo, piccole difficoltà che diventano problemi insormontabili.
Le ricerche ormai dimostrano come una corretta respirazione (conosciuta nello yoga come Pranayama) intervenga nella regolazione del sistema dello stress. Alcuni studi hanno evidenziato come le tecniche di respirazione possano normalizzare le funzioni autonomiche (Pilkington et al. 2005), portare ad una riduzione del cortisolo salivare (indicatore fisiologico dello stress) e di altri ormoni coinvolti nelle situazioni di stress patologiche (Selvamurthy, 1998). Una respirazione consapevole e profonda aiuta a migliorare il sistema metabolico, endocrino e nervoso, così come le funzionalità di tutti i nostri organi interni.
Cosa significa respirare? La respirazione comprende il movimento di un muscolo molto importante: il diaframma. È un muscolo involontario a forma di cupola, che separa la cavità toracica da quella addominale: durante l’inspirazione il diaframma scende comprimendo gli organi vicini, provocando così una pressione molto benefica che ossigena organi e muscoli e stimola un massaggio che ne favorisce la buona funzionalità. Durante l’espirazione il diaframma
STILE LIBERO Benessere sul lavoro torna in su e la pancia scende. Questo movimento è favorito dal movimento di altri muscoli involontari connessi ad esso e che possiamo imparare a percepire e a muovere. In genere, invece, noi respiriamo in modo automatico, muovendo soprattutto la zona toracica e clavicolare. L’addome, che si dovrebbe espandere verso l’esterno durante l’inspirazione per fare entrare aria, viene contratto verso l’interno; durante l’espirazione, quando l’aria dovrebbe essere spinta fuori, contraendo l’addome verso l’interno, viene attuato il movimento opposto. Questa è chiamata respirazione paradosso e non sfrutta la totale capacità dei polmoni.
La giusta respirazione Quando la respirazione diviene lenta e profonda, attraverso un corretto movimento, tutto funziona al meglio. Nel Kundalini Yoga si dice che con otto respiri al minuto l’ipofisi (che controlla l’attività endocrina) inizia a funzionare bene, mentre con quattro respiri al minuto attivano anche l’epifisi (che regola alcune funzioni metaboliche e circolatorie). Per esprimere al meglio tutte le potenzialità dell’essere umano secondo i saggi dovremmo respirare una volta al minuto. Questa è una pratica conosciuta come “One minute breath” (venti secondi per inspirare, venti secondi trattenere, venti secondi per espirare) possibile con un apprendimento graduale e sotto la guida di un insegnante esperto. Prima di arrivare a padroneggiare questa tecnica, però, dobbiamo conoscere il nostro respiro.
Ora un po’ di pratica! PRIMA FASE: Conoscere il proprio respiro. Seduti sulla sedia con schiena diritta o nella posizione del loto (gambe incrociate a terra). Chiudere gli occhi, piegare leggermente il mento verso il torace, porre una mano all’altezza del cuore, e l’altra sull’addome. Ascolto il respiro: •
Dove si muove il respiro nel corpo?
•
Come mi sento in ascolto del mio respiro?
•
Proseguire questo esercizio varie volte.
SECONDA FASE: Riconoscere le tre fasi della respirazione 1. addominale o diaframmatica; 2. toracica o media; 3. clavicolare o alta. Cominciare dall’espirazione per poter svuotare completamente i polmoni e fare fluire all’interno aria pulita. Espirare: contrarre e svuotare l’addome (spingendo l’ombelico verso la colonna); svuotare quindi la parte toracica (possiamo aiutarci con una leggera pressione delle mani ai due lati della cassa toracica); infine svuotare la zona alta clavicolare. Inspirare: riempire d’aria l'addome; passare poi a riempire gradualmente cassa toracica, e infine zona clavicolare. Ricominciare il ciclo dall’espirazione.
“Quando inspiri, torni a te stesso. Quando espiri rilasci ogni tensione” Thich Nhat Hanh
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Arte e tecnologia
L'Arte ai tempi dei Big Data: una relazione controversa Elettra Battini
elettra@artelaguna.it
È lo spazio labile tra potenzialità e rischi di una connessione onnipresente il terreno d'indagine degli artisti digitali
Qual è il valore di un'opera d'arte al giorno d'oggi? E questo valore come si determina? No, non chiedetelo al grande critico o all'esperto curatore, ma al World Wide Web. È l'opera d'arte stessa ad affermarlo in prima persona, una scultura digitale fatta di neon, fili, sensori e tubi catodici, che da creazione dell'ingegno diventa un essere dotato di vita propria e apparentemente anche di coscienza, capace non solo di interrogarsi sul proprio valore, ma di darsi una risposta ben precisa. "This Much I'm Worth (A self-evaluating artwork)" è il titolo dell'opera di Rachel Ara, artista inglese classe 1965 che scardina e mette in discussione il tradizionale
©Rachel Ara, This Much I'm Worth
©Rachel Ara, This Much I'm Worth
©Rachel Ara, This Much I'm Worth 84
STILE LIBERO Arte e tecnologia ©Benjamin Grosser, Interactive Robotic Painting Machine
concetto di attribuzione di valore, nel campo dell'arte, ma non solo: l'opera digitale mostra costantemente il suo valore di vendita aggiornato, raccogliendo ed elaborando attraverso complessi algoritmi i dati provenienti dalla rete. L'opera d'arte in questo modo non solo diventa parte del web, ma riconosce nella rete un affidabile legittimatore del proprio valore commerciale, sollevando questioni etiche che vanno ben oltre il campo dell'arte, interrogandoci sul nostro modo di dare valore alle cose: a chi ci rivolgiamo quando si tratta di chiarire quale valore ha un fatto per noi? Deleghiamo ad altri le nostre decisioni? Certamente è una grande tentazione quella di fare del web il nostro rifugio, in un quotidiano costantemente connesso, un luogo dove sedare la nostra sete di significato attraverso il costante rumore di un intricatissimo e onnipresente flusso di informazioni. Qui s'inserisce la riflessione del giovane artista coreano Seaum Shim, che scandaglia la linea sottile che separa la vastità del potenziale conoscitivo di Internet e la violenza di un sovraccarico di informazioni. "Inter[Face]" è il titolo del suo recente progetto, che vede l'utilizzo di stampanti, Arduino, MaxMsp e un algoritmo Python in dialogo costante con i big data di Google. Nel momento in cui un utente effettua una ricerca digitando una parola chiave nel sistema, l'algoritmo e il microcontroller tracciano le ricerche in rete e stampano le immagini collegate in
©Benjamin Grosser, Interactive Robotic Painting Machine
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forma di "faccia". A questo punto sta allo spettatore decifrare il messaggio di queste immagini facciali, lasciando aperto l'interrogativo sul significato delle informazioni che riceviamo dalla rete, sulla loro rilevanza e su quello che noi decidiamo di fare di questa miriade di dati. È evidente come in questi progetti sia l'opera stessa ad acquisire quasi una vita propria, un potere decisionale, lasciando l'uomo al ruolo di osservatore, interprete, capace di reazione piuttosto che di iniziativa, creando forse un parallelo con il web, che sempre più sembra acquistare potere e proiettare la sua ombra su un soggetto che appare sempre più inerme e passivo. È un opera che all'uomo ruba persino le abilità creative quella di Benjamin Grosser, artista statunitense che attraverso una combinazione di computer interconnessi, sensori, microfoni e software Python ha creato una macchina in grado di creare veri e propri dipinti in risposta agli stimoli sonori dell'ambiente circostante. "Interactive Robotic Painting Machine" utilizza l'intelligenza artificiale per creare la sua propria arte e prendere decisioni in autonomia, lasciandosi influenzare in questo, proprio come noi, dalle voci e dalla presenza degli altri. Questa macchina che ho creato - si domanda l'artista - dipinge per me o per se stessa? La mia coscienza è rinforzata dal sistema o vi si perde? Ancora una volta, è l'essere umano a trovarsi in un ruolo subalterno, mentre deve confrontarsi con dispositivi sempre più intelligenti e autonomi. Se come afferma Tim O'Reilly, l'IoT è un'estensione dell'uomo, Benjamin Grosser si spinge ancora oltre, identificando addirittura una persona con l'indirizzo IP del dispositivo con cui è collegata in quel momento alla rete: non solo oggetti interconnessi dunque, ma anche persone. Persone che diventano l'oggetto di osservazione di un sito web, che acquisisce tratti umani e ma spiarci come un grande occhio invisibile: "Tracing You" è infatti un sito web che
incrociando l'indirizzo IP del visitatore con i dati e le fonti disponibili online, traccia il visitatore mostrando l'immagine più vicina alla sua attuale localizzazione. Un progetto che in maniera ironica tocca questioni serie, quali la sorveglianza e il controllo, lasciando intravedere risvolti inquietanti, e riflettendo su quanto la perenne interconnessione ci renda incredibilmente trasparenti, e, forse, un po' più vulnerabili.
©Seaum Shim, Inter[Face]
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©Seaum Shim, Inter[Face]
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SMART CITY
Sviluppo umano, sociale, economico ed ambientale, gli asset della smart city Intervista a Bernardo Centrone, Consulente e Business Development Manager Doha, capitale del Qatar completerà nel 2018 il progetto smart city, che ha tra le sue priorità creare equilibrio fra tradizione e ambiente, migliorando nel
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contempo la qualità di vita degli indigeni e di coloro che arrivano lì per lavorare.
STILE LIBERO Viaggio La capitale del Qatar, una città molto lussuosa come la maggior parte delle città del Qatar, come si sposa il lusso con la città intelligente?
Perché proprio Doha è diventata “capitale” delle città intelligenti? O quali fattori le hanno permesso di diventarlo?
Doha ha deciso di lanciare un piano che ha chiamato Qatar National Vision 2013. Il nome esprime una visione nazionale che la dice lunga sulla portata del progetto e il loro modo di pensare. Per noi italiani avere una vision nazionale è sicuramente una cosa sconosciuta.
Nel 2022 ci saranno i mondiali di calcio nel Qatar con un investimento di 120 miliardi nei quali sono compresi diversi progetti sulla smart city. C’è una società nel Qatar che si chiama Meeza che ha la missione di fornire servizi di information technology a tutta l’area del Medio Oriente e Nord Africa, un’area in cui non esistevano le infrastrutture. Questo per dire che gran parte delle innovazioni hanno anche una certa facilità di inserimento, perché sono da costruire ex novo e non in sostituzione o implementazione. Questo ha prodotto una proliferazione di progetti legati alla smart city, numericamente superiori a quelli europei, se ci pensiamo è un paradosso, visto che la tecnologia la importiamo dall’Europa.
Doha è una città avanzata ma convive anche con delle differenze sociali ed economiche molto evidenti. La città va verso un’evoluzione che vuole garantire prima di tutto un alto livello di qualità della vita sia per gli indigeni, che per tutti coloro che arrivano come turisti o che si trasferiscono a lavorare. Su questo hanno le idee molto chiare. L’evoluzione non può prescindere da alcuni elementi: •
Modernizzare ma mantenendo le loro tradizioni.
•
Analizzare gli scenari futuri considerando che il petrolio prima o poi finirà, quindi scoprire un modello economico differente.
•
Prestare attenzione ai cosiddetti “espatriati”, cioè chi arriva per lavoro e per turismo.
•
Creare un equilibrio tra lo sviluppo economico e la gestione dell’ambiente.
Come si colloca la Smart City in questo contesto? Hanno un piano molto chiaro di sviluppo, supportato da una disponibilità finanziaria enorme, ma hanno anche delle differenze sociali importanti da gestire. I pilastri di questa strategia sono: sviluppo umano, sociale, economico e ambientale. Vogliono mantenere un equilibrio tra questi elementi. È qui che la smart city entra in gioco, come capacità tecnologica innovativa da una parte e nuova disponibilità di servizi a disposizione dei cittadini dall’altra. È un progetto che metterà insieme software, connettività, sensori, reti cloud e machine to machine per connettere diversi elementi di infrastrutture, per condividere i dati e fornire tutto questo a dei sistemi di gestione che controllano il tutto. È quanto di più ampio possiamo immaginare.
Quali sono i progetti in atto che vanno nella direzione della smart city? Il progetto, che è in fase di sviluppo e che sarà completato nel 2018, comprende diverse aree: smart operation, ovvero la gestione intelligente degli edifici, per esempio è prevista la costruzione di un distretto sia abitativo civile che industriale dal nome Msheireb, che avrà una serie di accorgimenti come: controllo sicurezza video, gestione dell’illuminazione, controllo accessi, allarmi antincendio, gestione dei rifiuti, etc.. Per esempio per la gestione dei rifiuti si inseriscono dei sensori all’interno dei bidoni che avvisano quando sono pieni, in questo modo il camion passa solo quando ha raggiunto il livello massimo per essere svuotato. La seconda area di sviluppo riguarda le smart application, soprattutto quelle destinate al cittadino, per servizi legati per esempio al trovare il parcheggio piuttosto che conoscere il meteo, o il traffico. Servizi che possono essere gestiti sia dal governo locale oppure dai fornitori stessi della tecnologia, in quest’ultimo caso si ha anche una maggiore suddivisione dell’investimento. Della smart city fa parte anche la geolocalizzazione indoor. A causa delle alte temperature hanno dei centri commerciali molto ampi tale per cui si rende necessaria la geolocalizzazione indoor, per trovare un negozio o la posizione di una persona. Poi c’è tutta la parte legata all’energia. In quelle zone l’urbanizzazione è straordinariamente alta, perché più dell’80% della popolazione vive in città, in quanto, il resto del territorio è deserto. Quindi il problema della gestione intelligente dell’acqua e dell’energia è molto importante. 89
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Infine, abbiamo le infrastrutture di controllo remoto: data center in grado di gestire questa mole di dati in modo da dare informazioni a chi la gestisce.
Una città connessa vuol dire anche maggiore sicurezza... La sicurezza è uno dei problemi che si pone contemporaneamente alla possibilità di essere tutti connessi, per una smart city è ancora più critica perché spesso i sensori utilizzati all’interno della città sono costruiti non pensando alla sicurezza. Mi viene in mente l’attacco in America di un hacker a delle semplici telecamere, che creò non pochi problemi. L’altra questione da considerare è che questi sensori non hanno
un’intelligenza così evoluta, perché non hanno molte possibilità di raccogliere dati. Una soluzione sarebbe costruire queste tecnologie già pensando al problema sicurezza e non adattarle dopo averle prodotte.
In che modo la tecnologia si sposa con la parte più green e sostenibile del paese? Non esistono posti al mondo dove c’è una convergenza tra i capitali finanziari, la politica ed investimenti esteri per garantire questo. La tendenza in questi paesi è che sono in grado di farlo. Poiché attraverso i loro capitali attraggono know how estero. Aziende che si insediano portando nuove skill ma che devono attenersi alle linee del Paese. Dubai, il Qatar stanno diventando l’head quarter dello sviluppo economico. L’obiettivo a lungo termine è quello di creare nuovi modelli economici che non dipendano dal petrolio, creare dei centri come hanno già fatto a Dubai, con un modello che non si basa più sul petrolio ma su tutto il resto: tecnologie, innovazione, ricerca e sviluppo e turismo. L’idea è costruire dei centri di sviluppo economico commerciali a livello turistico come Parigi, Londra.
Bernardo Centrone Consulente e Business Development Manager Business Advisor, Sales-Driver e Coach, al servizio del mercato BtoB per lo sviluppo in ambito italiano e globale. Ex amministratore delegato per l’Italia e Head of South Central Europe di Orange Business Services, la società protagonista di alcuni dei progetti smart city a Doha, leader internazionale nelle soluzioni di connettività, cloud, security, IOT e Smartcities. Con Orange Business Services, Centrone ha sviluppato significativi progetti per global companies (industria, aerospace, finance) con soluzioni innovative di Cloud, Smartworking e IOT. Attualmente è Business Advisor presso Optimist, una innovativa startup italiana che ha sviluppato una piattaforma di interfaccia conversazionale uomo-macchina per applicazioni quali user interaction, lead generation, customer care, contact center. 90
STILE LIBERO Sport
TELEMETRIA BRAIN Motorsport: mai più nessun segreto con BRAIN La telemetria senza fili che migliora le prestazioni con i dati prodotti durante la corsa Intervista a Simone Grillo, CEO e co-founder di BRAIN che si licenzia per portare avanti con il collega il progetto Brain. Dall’idea di due anni fa alla concretizzazione sul mercato oggi di un prodotto in
grado di misurare tutte le metriche relative a un giro in pista o su strada, dalla velocità all’angolo di piega, ai giri motore, alla traiettoria. Non solo, anche il motociclista potrà essere più al sicuro.
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Da cosa nasce l’idea di BRAIN? BRAIN è un progetto nato in Italia, pensato per i motociclisti. È nato nel 2015, io e Timoteo eravamo colleghi e lavoravamo in ambito tecnologico, lui a capo della divisione software ed io a capo della divisione User Experience (UX). Stavamo lavorando ad un prodotto wearable quando abbiamo deciso di licenziarci dal nostro posto fisso per lanciarci nell’avventura di fare qualcosa di nostro. Avevamo sempre avuto voglia di fare qualcosa in proprio dalla progettazione al prodotto finito, la passione per i motori unita a quella per la tecnologia hanno reso possibile il progetto BRAIN. Licenziarsi da un buon posto di lavoro, ben pagato, non è semplice. Le persone attorno a noi ci hanno sempre assecondato con le parole, ma si capiva che forse volevano dirti che eri pazzo! Quando abbiamo deciso non c’era nulla che potesse farci cambiare idea, né le controproposte del nostro vecchio datore di lavoro, né altre concessioni. Ci siamo rivolti subito ad Industrio, un incubatore Hardware Trentino e lì per noi è stato il primo approccio da un finanziatore, peraltro andato benissimo ed in tempi abbastanza brevi. L’idea è piaciuta molto, un paio di presentazioni (che abbiamo vissuto con grande eccitazione) e siamo riusciti a mettere assieme i primi 100k euro. Forse è stata la cosa più facile in tutta la storia di BRAIN!!! Fare startup per di più sull’hardware
è di una complessità che nemmeno immaginavamo, lo diciamo con fierezza, perchè abbiamo portato in due anni un prodotto sugli scaffali, certificato, e siamo partiti con delle semplici slide! Il percorso però fra questi due punti è davvero impervio, molto più di quanto si possa immaginare, lo sai solo se ci sei passato, grandi difficoltà ma grandi soddisfazioni, questo è fare startup e dopo due anni ci stiamo forse abituando, quasi!
Telemetria wireless, in cosa consiste e a cosa serve? La Telemetria è una tecnologia informatica che permette la misurazione e la trascrizione di informazioni. Nel nostro caso l’abbiamo applicata al monitoraggio delle performance delle moto e dei motociclisti. Il dispositivo consente di misurare tutte le metriche relative a un giro in pista o su strada, dalla velocità all’angolo di piega, ai giri motore, alla traiettoria. Oltre a misurare le performance legate al mondo motociclistico, BRAIN attraverso dei sensori che lavorano con degli algoritmi che analizzano i dati permettono di rilevare anche una situazione di emergenza. In questo caso un segnale di allerta geolocalizzato viene inviato ai numeri preferiti.
Il progetto più curioso a cui avete partecipato Quando parliamo di BRAIN dose ne parliamo sempre, in termini di un prodotto estremamente versatile e con una capacità di applicazione agli usi più disparati. Noi lo decliniamo per ora sui motorsport, ma tutti gli sport d’azione sono i nostri principali mercati. Con delle piccole customizzazioni BRAIN dose può essere applicato nel mondo delle assicurazioni, nel tracking di flotte, e anche in ambiti che non avremmo mai immaginato. Infatti, ci ha molto sorpreso e divertito quando una persona ci ha proposto di utilizzarlo per monitorare il trasporto di uova fresche o di animali vivi! Abbiamo sorriso molto, non tanto per il settore lontano dal nostro ma perché ci siamo resi conto di aver creato qualcosa che andasse bene anche in situazioni che mai avremmo pensato. Da startup quale siamo non possiamo spaziare così tanto rispetto al nostro focus per cui non siamo andati troppo oltre su questo fronte! Però è stato curioso!
Durante lo sviluppo di BRAIN vi siete messi in gioco collaborando con associazioni e team di
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SPORT professionisti. Quanto hanno contribuito queste esperienze alla vostra crescita?
tutt’altro che finito, anzi, è appena iniziato.
Quella è stata una delle parti più belle del nostro lavoro (la pista con i team), ci siamo ritrovati nel giro di un mese ad entrare nei box del motomondiale e vedere passare davanti a noi Valentino Rossi e tutti gli altri grandissimi campioni che corrono il mondiale. Abbiamo imparato anche un metodo di lavoro assieme a loro, che concentrano in breve tempo tutto, senza pause, senza riposo. L’obiettivo è solo il risultato, non c’è spazio per altro. Anche dal lato tecnico abbiamo tratto giovamento: poter confrontare i dati con chi direttamente parcellizza la propria performance per analizzare le aree di miglioramento, ha fatto la differenza. Abbiamo letteralmente assorbito i consigli di chi da anni vive il mondo in cui noi vogliamo entrare, consigli su come fare il prodotto, quale feature potenziare, quale ritardare. Nell’ultimo periodo abbiamo un po’ trascurato la pista… abbiamo dovuto concentrarci su HW e SW e questo mi manca tantissimo! Torneremo presto a provare tutte le nuove feature di un progetto ed un prodotto che è
Da Kickstarter a BRAIN dose. Quali sono i risultati raggiunti e quali sono i progetti futuri a cui state lavorando? Un abisso! Questa è la risposta! È successo di tutto da quel momento. Noi avevamo le idee chiare e volevamo realizzare questo prodotto, in origine il suo nome era BRAIN One. Sviluppando BRAIN One, dopo la campagna, abbiamo suscitato l’interesse di INTEL che ci ha proposto di migrare il nostro hardware verso una loro soluzione, la cosa ci affascinava ma questo avrebbe comportato tempi più lunghi ma un prodotto di gran lunga migliore, avevamo però fatto una promessa ai nostri sostenitori. Così abbiamo deciso di interpellarli, chiedendo loro, volete BRAIN One subito oppure BRAIN dose, un dispositivo ancora più rivoluzionario, attendendo di più? Il 95% di loro ha risposto per BRAIN dose, ne siamo stati entusiasti così abbiamo portato BRAIN One allo stadio di prototipo per un gruppo di beta tester privilegiati e ci siamo messi al lavoro su dose. Una bella scelta…BRAIN dose è un dispositivo tecnicamente eccezionale, che ora miglioreremo sempre più grazie al software. L’esperienza diventerà ancora più immersiva. Il futuro ci vede sempre in ambito motorsport ma allargando gli orizzonti anche al ciclismo, sport invernali ed acquatici. In cantiere abbiamo novità incredibili soprattutto sul mondo due ruote, non a motore questa volta! Abbiamo un round di finanziamento aperto, per cui, non c’è momento più adatto di ora per saltare a bordo e navigare assieme in questa grande avventura!
Simone Grillo CEO e Co-founder di BRAIN Srl Simone Grillo 29 anni CEO e co-founder di BRAIN srl, laureato in ingegneria Aereospaziale ha frequentato il Master in Digital Business and Entreprenurship. Ha cominciato la sua carriera lavorando per due incubatori. In H-Farm come progettista dell’interazione e nel gruppo M31 nell'area di sviluppo del prodotto di dispositivi indossabili. Simone è un grande fan di motosport ed elettronica e finalmente sta esprimendo le sue passioni in BRAIN. 93
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L’acqua di mare & l’erba voglio
La cucina a modo mio: cucina trendy, facile e un po’ elaborata, ma alla portata di tutti e di tutte le situazioni di Luisa Giacomini cuoca per passione luisa.jackomini@gmail.com
C’erano una volta le stuzzicanti polpette ricetta della nonna, eseguite rigorosamente con il recupero di carni. Polpette fritte, con varianti al pomodoro o ai funghi, fatte anche di proposito perché non si aveva pazienza o gola di aspettare gli avanzi. Ora con l’evoluzione delle tendenze culinarie, la varietà del menù ci propone l’imbarazzo della scelta: polpette una più buona dell’altra, così buone da leccarsi i baffi! Anche rigorosamente vegetariane e vegane con un occhio di riguardo al gluten free.
Polpette di lenticchie e riso con salsa sublime di carote al curry e timo limone (vegane, senza glutine) Ingredienti per 4 Per le polpette 200 g di riso basmati, 170 g di lenticchie cotte, 50 g di porro tritato, 20 g di prezzemolo tritato, 1 costa di sedano media (con foglie), 1 cucchiaino da caffè di curcuma, 1 cucchiaino da caffè di garam masala, farina di mais qb, farina di riso qb, olio EVO.
Per le carote 4 carote medie lavate e pelate, 250 g di yogurt di soia non aromatizzato oppure yogurt vaccino bianco denso (per chi non è vegano), 30 grammi di porro tritato, una manciata di foglioline tritate di timo limone, 1 foglia di alloro, brodo vegetale qb, olio EVO qb, 1 cucchiaino da caffè di curry, facoltativo uno spicchio d’aglio.
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STILE LIBERO Cucina Polpette di seitan alle mandorle, uvetta e uva confit al finocchio Ingredienti per 20 polpettine circa Per le polpette 300 g di seitan a cubetti, 50 g di uvetta sultanina, 50 g di mandorle, 4 cucchiai di farina di riso, 2 cucchiai di farina di semola di grano duro, ½ porro a rondelle sottili, 1 cucchiaino di coriandolo (macinato), olio EVO qb, sale e pepe nero al macinino.
Per l’uva confit 1 grappolo di uva Red Globe (200 g circa) con acini diraspati e lavati, olio EVO qb, 1 cucchiaio di brandy, 2 pizzichi di zucchero, julienne di scorza di limone, 2 pizzichi di sale, semi di finocchio e rosmarino qb tritati finemente, 20 g mandorle a lamelle.
Esecuzione Polpette Lessare le lenticchie in acqua salata scolare e raffreddare. Fare poi lo stesso con il riso. In una piccola padella con olio EVO far soffriggere molto delicatamente a fiamma moderata sia il porro per le polpette che per la salsa. Prelevare tutto il soffritto e metterlo da parte. Nella stessa padella soffriggere il sedano, spegnere e aggiungere il prezzemolo. Frullare al robot una parte di riso e lenticchie, a cui unire poi le lenticchie e il riso restanti, il soffritto di porro (quello delle polpette), il sedano, il prezzemolo e le spezie. Regolare di sale e spezie qb rendendo omogeneo l’impasto. Formare delle palline, rotolarle nella farina di riso e di mais in parti uguali e appiattirle un po’. Disporle su una teglia ricoperta di carta da forno ben unta con olio EVO e cuocere per circa 20/25 minuti in forno a 180 °C.
Salsa sublime di carote Padellare le carote a rondelle sottili con olio EVO, alloro e aglio. Stufarle con poco brodo vegetale, eliminare la foglia di alloro e l’aglio, aggiungere il trito del timo limone, il curry e poco sale. Portare a cottura e se necessario aggiungere ancora del brodo. A cottura ultimata, frullare nel mixer con il relativo porro soffritto tenuto da parte. Una volta raffreddato il tutto, aggiungere yogurt quanto basta per addensare il composto. A piacere regolare di sale e di curry. Servire le polpette di lenticchie e riso ancora calde o tiepide, accompagnandole con la salsa. Ottimo un contorno leggermente croccante con julienne di zucchine, sedano e peperoni gialli, all’olio EVO. Decorare il piatto con foglioline di timo limone.
Esecuzione Due ore prima di eseguire le polpette Accendere il forno a 100°C in modalità statica. Tagliare a metà gli acini eliminandone i semi. Disporli in una ciotola, condirli con il sale, lo zucchero, l’olio EVO, il brandy e il trito di finocchio e rosmarino. Mescolare bene per insaporire il tutto. Sistemare gli acini sulla teglia con carta forno, con la parte tagliata verso l’alto. Infornare e cuocere per 2 ore circa. Infine padellarli velocemente a fiamma vivace con un filo d’olio, poche zeste di limone e se necessario poco finocchio e rosmarino. Regolare di sale e spegnere il fuoco. Mettere in ammollo l’uvetta in una ciotolina con acqua tiepida per 15 minuti. In una padella tostare le mandorle e una volta raffreddate tritarle finemente al mixer. In una padella soffriggere il porro con olio EVO su fiamma moderata; stufare con poco brodo vegetale o alcune gocce d’acqua e aggiungere il seitan e l’uvetta ben strizzata. Mescolare e far insaporire il tutto per alcuni minuti; aggiungere poi il coriandolo, regolare di sale, pepe e spegnere. Frullare molto finemente il tutto nel robot o mixer, fino a quando l’impasto risulterà colloso. Versare il composto in una ciotola, aggiungere il trito di mandorle, la farina di semola e controllare la sapidità, eventualmente aggiustando con il coriandolo. Formare delle palline con le mani unte d’olio o inumidite, passarle leggermente sulla farina di riso, sagomarle e disporle su una teglia ricoperta di carta da forno. Cuocere a 180 °C per circa 10/13 minuti (a metà cottura le polpette andranno girate sottosopra). Servire le polpette di seitan con l’uva confit, alcune zeste di limone, lamelle di mandorle e misticanza.
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N. 15 Pubblicazione semestrale Registrazione Tribunale di Treviso n. 201 del 09/11/2012 ROC n. 22990/2012 direttore responsabile Leonardo Canal caporedattore Dora Carapellese responsabile organizzativa Giovanna Bellifemine hanno collaborato Gian Nello Piccoli, Dora Carapellese, Stefano Moriggi, Stefano Biral, Sergio Pio Angelillis, Massimo Bosello, Ruggero Paolo Ortica, Enrico Fantuzzi, Patrik Dall'Armi, Paolo Riscica, Giulia Tebaldi, Unis&F, Anna Manderioli, Elettra Battini, Luisa Giacomini, Sue Maurizio, Francesca Fantinel. realizzazione grafica Franco Brunello, Giulia Zangrando segreteria e sede operativa Via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711, fax 0422.928759 redazione@logyn.it editore Eurosystem S.p.A., via Newton 21, 31020 Villorba (TV) redazione@logyn.it per la pubblicità e per i numeri arretrati Eurosystem S.p.A., via Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711 redazione@logyn.it stampa Trevisostampa Srl Via Edison 133, 31020 Villorba (TV) telefono 0422.440200 info@trevisostampa.it Nell’eventualità in cui immagini di proprietà di terzi siano state qui riprodotte, l’Editore ne risponde agli aventi diritto che si rendano reperibili. Porrà inoltre rimedio, su segnalazione, a eventuali involontari errori e/o omissioni nei riferimenti.
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