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l l’intervista a Martin Parr l di Marco Sconocchia

Pratica e dedizione sono le cose più importanti per un fotografo Secondo Martin Parr, anche lo studio prevale sul talento. Ironia, colori accesi, vita quotidiana sono le caratteristiche principali delle foto di questo artista rivoluzionario, che qui parla anche del suo Paese: “Che disgrazia la Brexit!”

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a un paio d’anni

sono ossessionato dalle foto di Martin Parr. Non l’ho capito subito, il suo umorismo britannico, il colore esplosivo, il kitsch ricorrente, la grana grezza della pellicola, i mostri dei luoghi turistici e della società dei consumi. La scoperta di Parr è stata un’esplosione, l’aurea del personaggio mi ha incuriosito, l’irriverenza, le facce sfatte della classe media, il feticismo d’immagini, il taglio ironico, i colori accesi, l’assenza di stilismi e di pudore, le orribili camicie che indossa mi hanno fatto pensare se il virtuosismo esagerato, le “masturbazioni” fotografiche e il tecnicismo da bassisti a sei corde, oltre il mio tanto amato bianco e nero, non mi avessero rotto le scatole. Chissà che non abbia pensato qualcosa di simile anche lui di se stesso, quando, dopo un inizio di carriera sulle orme dei propri idoli classici, decise di accendere i colori, intraprendendo la sua personalissima strada per il racconto: “La critica è ipocrisia, la società è ipocrisia. Sono un turista. Sono un consumatore, io faccio le cose che fotografo e posso esserne criticato’’, ebbe aa dire in un’intervista. Mr. Parr non sembra voler piacere a tutti e si diverte nel creare caos intorno a se, è un fotografo di rottura in uno dei periodi più conservatori della storia della Gran Bretagna ed è anche per questo che inizialmente i suoi lavori non vennero apprezzati appieno dalla critica. L’Inghilterra thatcheriana, coperta dalla coltre grigia dell’austerità è un terreno fertile di contraddizioni che un fotografo maturo con

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Sopra, nella foto piccola, un autoironico autoritratto di Martin Parr; nella foto grande, New Brighton, England (dal libro “The Last Resort”, 1983-1985)

una idea precisa ed uno stile codificato può sfruttare al meglio. “The Last Resort”, del 1986, è la sublimazione dell’uomo Parr, che a 30 anni produce il suo capolavoro. E’ un lavoro originale, potente, preciso, ma tutto da decifrare, un libro al quale ne seguiranno altri, tutti di grande successo. Il ‘’turista’’ Parr fa sul serio e continua il suo lavoro di ‘’studio delle persone’’ in giro per il mondo, la società diventa globa-

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le e lui è pronto a raccontarla, sempre con il flash montato e l’anello di saturazione dei colori, il suo marchio di fabbrica. Henri Cartier-Bresson di lui diceva che “veniva da un altro pianeta”. Il maestro della fotografia non avrebbe potuto trovare una definizione sintetica più appropriata. “Quando si cerca di rinchiudermi in una categoria, cerco immediatamente di uscirne”, disse Martin Parr in un’altra intervista. Sicuramente è uno dei primi

che ha cercato di rompere quella tradizione umanistica radicata nella generazione precedente di fotografi, cambiando per sempre il modo di fare fotografia. Nella sua sincerità, Parr sembra voler dire: siate coerenti, non fate per forza quello che vi dicono di fare ma trovatevi una strada che vi rappresenti, prendete una macchina fotografica e andate a scattare! Martin, quando ti sei accorto di voler

diventare Martin Parr? Lo sei già diventato? Mi sembra una domanda complicata per iniziare un’intervista. Ho deciso che volevo diventare un fotografo professionista quando mio nonno mi ha avvicinato a questo mondo, avevo 12-13 anni, lui era un bravo fotografo, mi portava a fare foto con lui. Mi piaceva la sua compagnia e adoravo già fare foto. Il mio percorso è ancora in svolgimento, posso dire che Mar-

tin Parr ha ancora strada da fare. La tua storia di fotografo parla di un cambiamento centrale nella tua carriera: il passaggio al colore, che poi è una delle tue caratteristiche principali, quando è successo? Nel 1982 ho iniziato a esplorare il colore, mi sono ispirato a delle vecchie cartoline di paesaggi americane che mi piacevano molto. Ho iniziato a usare il colore perchè

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A destra, un’altra foto scattata a New Brighton (dal libro “The Last Resort”, 1983-1985)

credevo potesse valorizzare al meglio le mie idee e le mie foto e dargli una connotazione più mia. Qual è stato l’avvenimento che ha cambiato la tua storia di fotografo? Sicuramente il passaggio al colore e al medio formato. Come mai hai deciso di entrare nella Magnum? Per farmi commissionare più lavori. Come hai vissuto la querelle della tua entrata nella agenzia? Non erano tutti d’accordo ai tempi… L’enorme confusione che si creò non mi dispiacque, amo le controversie, mi piace il caos, il fatto che si fosse creato tutto quel parlarne a riguardo mi divertì molto. Alla fine venni accettato con il 66 per cento dei voti, in politica sarebbe chiamato un plebiscito o quasi (ride). Quali sono le fotografie alle quali tieni di più? C’è n’è una in particolare che ti ha emozionato di più quando l’hai vista nel mirino intento nello scattarla? Non sono così sensibile, sì certo alcune fotografie ho capito subito che sarebbero state delle buone fotografie, ma pensare prima che sarebbero state importanti per la mia carriera no. Un lavoro al quale tengo molto però è quello che ho fatto a New Brighton (“The Last Resort”, ndr) che parlava della zona nella quale vivevo, quelle foto sono state l’inizio di tutto. Dopo questi anni di esplorazione, cosa credi che sia cambiato nella Gran Bretagna di oggi rispetto a quando hai iniziato a fare foto? I cambiamenti sono inevitabili e non per forza negativi, in questi anni ho assistito a diversi lenti cambiamenti, in linea di massima ciò che mi colpisce di più è l’impoverimento e l’americanizzazione della nostra isola. E poi la Brexit, che disgrazia la Brexit!

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Qui a sinistra, l’Acropoli di Atene (dal libro “Small World”, 1991); nelle altre tre foto, in alto, il Luxor hotel, Las Vegas, 1994, e una via di Las Vegas, 1994 (dallo stesso libro); sotto, Benidorm, Spain, 1997 (Martin Parr Collection/ Magnum photos)

Come realizzi i tuoi scatti? Con una noiosa Canon, con il flash integrato. Da dieci anni circa non uso più l’analogico. Qual è il tuo punto di vista su Instagram? È la fine della fotografia come l’abbiamo sempre intesa o può essere uno strumento per interpretare la realtà che ci circonda? Mi piace Instagram e mi piacciono tutte queste piattaforme dove le persone possono postare foto perché in passato questo settore era ristretto a un piccolo gruppo di persone come editori e fotografi professionisti, quindi sono favorevole. Rispetto alla tua esperienza personale, dalla Manchester School of Art all’Agenzia Magnum, pensi che oggi sia più difficile la carriera di un fotografo? Anche se adesso ci sono moltissimi fotografi, ci sono anche molte più strade aperte. Perciò chi fa un lavoro potente può comunque trovare il modo per mostrarlo ed essere pagato per quello che fa.

Cosa è cambiato invece nel tuo modo di vivere o percepire l’Inghilterra? Sono combattuto quando penso all’Inghilterra. Da un lato ho grande affetto per le cose più tradizionali. Non ci può essere niente di più piacevole, o più inglese, che prendere il tè di pomeriggio in un piccolo villaggio nel Dorset. Ma le stesse persone che si incontrano avranno opinioni bigotte sull’Europa, che è ciò che più mi fa arrabbiare della Gran Bretagna contemporanea.

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Quali sono i posti dove ti piace di più fotografare, il tuo parco giochi diciamo? Decisamente i luoghi affollati, dove c’è caos. Mi vengono in mente la spiaggia di Brighton, i mercatini, il Giappone in generale, alcuni posti in Messico, le fiere. C’è un posto, invece, dove ti piace andare in vacanza? Non vado mai in vacanza, sono sempre in giro per il mondo per lavoro.

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Nel 1982 ho iniziato a esplorare il colore, mi sono ispirato a delle vecchie cartoline di paesaggi americane. Ho iniziato col colore perchè credevo potesse valorizzare al meglio le mie idee

Credi che per un fotografo sia più importante lo studio o il talento? Assolutamente lo studio, ma ancor di più la pratica, la dedizione che si mette in quello che si fa, il talento senza queste due vale molto poco. Credi che l’età matura sia un’arma in più per la tua fotografia? Non ho sicuramente più la freschezza di quando ero più giovane, ma l’esperienza e lo studio possono sopperire a questo, la cosa che mi dispiace è che purtroppo con l’età ho meno tempo per scattare foto, ma comunque ho un gruppo di persone che mi aiutano molto nelle questioni “burocratiche”. Chiudiamo con una domanda a bruciapelo. Hai paura della morte? No, no, non ho mai avuto paura della morte (ride).

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